8. Un'alba diversa
(TW: Tematiche delicate associate a malattia, lutto, morte di una persona cara.)
VIII
Un'alba diversa
Una paura lancinante - una cerimonia - una lacrima -
un risveglio un certo mattino
per trovare che quello per cui ti svegliavi
respira un'alba diversa.
(E. Dickinson)
Le pareti di quel reparto del San Mungo erano dipinte di un pallido verde acqua che a Scorpius dava la nausea. Si sentiva come se stesse annegando tra le mura del corridoio troppo stretto in cui aspettava impaziente che l'orologio sul muro battesse l'ora.
Si sfiorò il labbro inferiore con un dito, dove avvertiva ancora il fantasma di un dolore scomparso, curato dall'incantesimo che la Preside in persona aveva operato su di lui senza, stranamente, fare domande.
Signor Malfoy, devi tornare subito a casa.
«Sta piuttosto male», sussurrò suo padre, seduto compostamente su una sedia.
Scorpius si fermò. Aveva camminato avanti e indietro per tutto il tempo, perché non riusciva a restare immobile in attesa. «Hai detto che l'hanno ricoverata soltanto stamattina.»
Draco Malfoy annuì, confermando quelle parole. «Ma peggiora rapidamente. È dimagrita, ha la pelle...»
«La vedrò tra poco», lo interruppe Scorpius, infastidito dall'immagine che gli si stava formando nella mente.
Suo padre si alzò e gli mise una mano sulla spalla, più per impedirgli di scappare che non per rassicurarlo. «Ti voglio preparare: non sarà piacevole. Non è molto lucida.»
Lui si irrigidì. Erano mesi che sua madre dimenticava piccole cose, faceva confusione quando ragionava e incespicava sulle parole. Ma per la prima volta Scorpius pensò che avrebbe potuto guardarla negli occhi e scoprire che lei non lo riconosceva, che non aveva la minima idea di trovarsi il proprio figlio di fronte.
Dalla porta che era stata oggetto delle sue occhiate più intense, nell'ultima mezz'ora, uscì un Guaritore. Insieme ai due tirocinanti che lo seguivano a pochi passi di distanza, si fermò a parlare con suo padre, ma Scorpius era troppo impaziente per indugiare oltre.
Varcò la soglia e subito la sua spavalderia si spense.
In fondo, sua zia era in piedi e gli dava le spalle, guardava fuori dalla finestra e non si voltò neanche quando lui bussò con le nocche sul legno per annunciare la propria presenza. Una porta sulla parete destra rivelava l'accesso a un piccolo bagno e sul lato opposto alcune attrezzature mediche magiche circondavano la testa del letto che si allungava verso il centro della stanza.
Astoria Greengrass giaceva distesa tra lenzuola bianchissime, i capelli biondi sparsi sul primo di due cuscini impilati. Ruotò il capo verso di lui e incurvò le labbra. «Ciao, amore.»
Scorpius esitò un istante prima di farsi più vicino. Ombre violacee le cerchiavano gli occhi, la pelle era opaca e più scura del suo colore naturale. Era magra in modo spaventoso e il sorriso era debole, ma lo sguardo che gli rivolse era limpido. Aveva mosso leggermente la mano nella sua direzione, come a invitarlo ad avvicinarsi, senza avere la forza per esprimerlo con gesti più ampi.
La accontentò. Voleva abbracciarla, ma sembrava così fragile che temette di farle male. «Ciao, mamma.»
Zia Daphne si voltò a guardarli. Aveva il viso segnato da una stanchezza che lui non le aveva mai visto e nel passargli accanto gli accarezzò una spalla, poi uscì senza dire niente.
«Come va a scuola?»
La sua voce era gracchiante; provò a schiarirsela, ma un accesso di tosse la colse all'improvviso, scuotendole il petto. Scorpius si mosse per aiutarla, ma suo padre, apparso dietro di lui senza alcun rumore, lo precedette, reggendola con un braccio per tenerla sollevata e porgendole con la mano libera un bicchiere con una cannuccia.
Sua madre bevve con una smorfia quella che doveva essere una pozione, poi si adagiò di nuovo sui cuscini, spossata. Lo invitò a rispondere con un altro sorriso.
«Tutto bene», disse Scorpius piano, quasi avesse temuto di turbarla parlando più forte. «Ci hanno assegnato un progetto interdisciplinare, ci sto lavorando con Albus e Len», raccontò. Era la prima cosa che gli era venuta in mente che fosse abbastanza innocua da poter essere riferita con tranquillità.
«Oh, che bello», replicò lei, lottando contro le palpebre che si abbassavano sugli occhi azzurri. «Sarai bravissimo, come sempre.»
«Dovrebbe riposare.» La voce di zia Daphne, rientrata nella stanza, spinse Scorpius a voltarsi. Aveva le braccia incrociate sul petto e stava scambiando strane occhiate con suo padre. Alla fine lei scosse la testa.
«Torneremo a trovarla domani.»
«Ma papà, siamo appena arrivati», protestò Scorpius.
«Domani sarò ancora qui, non mi muovo», provò a scherzare sua madre. Aveva già gli occhi chiusi e sembrava poter scivolare nel sonno da un momento all'altro.
Solo quella vista lo convinse a non insistere oltre. «Va bene.»
Lei tornò a guardarlo solo per un breve istante, con uno sforzo che sembrò costarle tutte le energie che le erano rimaste. Poi rivolse un'occhiata a suo marito che, come obbedendo a un ordine che aveva udito soltanto lui, si chinò e le posò un bacio delicatissimo sulle labbra.
Scorpius non distolse lo sguardo. Sentiva di doversi imprimere nella memoria ogni momento in cui la sua famiglia era ancora tutta intera.
«Andiamo.»
Lui si sporse in avanti e baciò a sua volta la madre sulla guancia, sentendo la pelle terribilmente fredda sotto le labbra. Era la prima volta, da quando era entrato in quella stanza, che la toccava.
«Ci vediamo domani», le mormorò.
Ma lei si era già addormentata.
***
Il giorno dopo, Astoria non lo riconobbe.
Ci fu un momento di smarrimento per entrambi, in cui lui sentì il dolore affiorare sul proprio volto e lei rivelò con lo sguardo che dentro di sé sapeva chi aveva di fronte, ma non riusciva a ricordarlo.
Poi il momento passò, un lampo di lucidità le attraversò gli occhi e sua madre inspirò di colpo, come sorpresa di trovarselo davanti. «Scorpius, amore», lo salutò, con la dolcezza e l'entusiasmo che l'avevano caratterizzata nei giorni in cui era stata in salute. «Che cosa ci fai qui anche tu?»
Diverse persone erano andate a trovarla. Lei e la sorella avevano perso i genitori prima ancora che Scorpius nascesse, ma avevano zii e cugini e più di uno le aveva fatto visita quella mattina. Zia Daphne aveva dovuto spiegarle chi fossero e lei aveva finto un riconoscimento che in realtà non era mai avvenuto, mostrando loro la stessa gentilezza che riservava anche agli estranei.
Scorpius si era sentito sollevato quando lei lo aveva chiamato per nome, ma il suo aspetto era terribile e il peggioramento del suo stato mentale lo turbava più di quanto lasciasse intendere.
Si era domandato cosa sarebbe successo se sua madre avesse perso ogni facoltà cognitiva, se avesse continuato a vivere una vita che in fondo vita non era più. Se l'era figurata a casa loro, nel letto che condivideva con suo padre, circondata da Elfi Domestici pronti a prendersi cura di lei, ma completamente spenta, e quell'immagine lo aveva fatto inorridire.
Doveva esserci qualcosa di profondamente sbagliato in lui, se credeva che la morte non fosse il destino peggiore a cui potesse andare incontro sua madre. C'era di sicuro qualcosa di profondamente sbagliato nel fatto che pensasse, nei recessi della sua mente, che se lei era condannata a morire, sarebbe stato meglio che accadesse il prima possibile.
Si era sorpreso del proprio cinismo, ma perlopiù a meravigliarlo era stato il fatto che aveva formulato quel pensiero con una compiutezza che non poteva appartenere al subconscio. Lo aveva elaborato con una cura e una precisione che erano figlie della stessa razionalità che aveva soppiantato, in lui, ogni considerazione emotiva e socialmente accettabile. Non se n'era vergognato, ma aveva riconosciuto che forse avrebbe dovuto. Se qualcun altro gli avesse detto quelle stesse cose lui avrebbe dovuto mostrarsi turbato, contrito, spaventato o in un qualunque altro modo che non fosse sollevato. Perché in realtà, lo sapeva, se gli avessero detto che aveva ragione a pensarla così, lui avrebbe provato soltanto riconoscenza per quell'assoluzione.
Avevano lasciato il San Mungo in un silenzio carico di dolore e solo una volta tornati a casa suo padre si era deciso a dire qualcosa.
«I Guaritori pensano che non le rimanga molto tempo. È questione di giorni, al massimo una settimana.»
Scorpius aveva sospirato. «È successo così in fretta.»
Si era poi reso conto di aver parlato come se tutto fosse già finito, anche se non era così.
«È tipico di una Maledizione del Sangue. Ricompare inaspettata dopo generazioni, si aggrava all'improvviso e degenera rapidamente.»
Non avevano più parlato, mentre consegnavano i mantelli agli Elfi Domestici e si sistemavano in un'abitazione troppo vuota che non aveva più niente di una casa - non il calore, non la tranquillità, non la sicurezza.
A cena, Scorpius non era riuscito a mangiare più di qualche boccone e suo padre non aveva obiettato quando lui aveva chiesto di potersi alzare da tavola.
Aveva raggiunto la biblioteca alla ricerca un libro di cui avrebbe riconosciuto il dorso tra mille, perciò aveva preso a scorrere gli scaffali rapidamente, sicuro di ritrovarlo in fretta. Quando neanche a un secondo giro più accurato era riuscito nel suo intento, aveva avuto un'illuminazione.
La camera dei genitori era accanto alla sua e Scorpius entrò senza esitare. Sul comodino di sua madre, dalla parte opposta della stanza rispetto alla porta, giaceva un volume dalla copertina azzurra tutta consumata.
Sorrise e girò attorno al letto per raggiungerlo.
Il peso dell'oggetto nelle sue mani gli era talmente familiare che lo avrebbe ricordato per tutta la vita, così come era certo di avere impressa a fuoco nella memoria la sensazione della scritta dorata in rilievo sulla copertina. La percorse con le dita per richiamare il ricordo di sua madre che gli leggeva qualcosa prima di andare a dormire.
Miti, dei ed eroi dell'Olimpo.
Erano racconti Babbani intrisi di magia, vicende di Creature Magiche straordinarie e di eroi dalle fantastiche abilità. Soprattutto, erano storie sulle divinità, onorate e rispettate perché incredibilmente potenti, ma comunque preda di vizi e virtù, e mosse sempre da passioni umane.
Fin da piccolo Scorpius aveva pensato che se i Babbani avessero conosciuto i Fondatori di Hogwarts, li avrebbero scambiati per gli dei greci. Corinna Corvonero non era affatto diversa dall'astuta Atena degli antichi, così come la bontà e l'operosità di Tosca Tassorosso la rendevano molto simile a Estia, dea del focolare. Godric Grifondoro sarebbe stato Ares, il dio della guerra, perché il suo coraggio in battaglia non aveva eguali. E non era forse vero che Salazar Serpeverde aveva fondato il suo regno nei Sotterranei del castello e sigillato nella Camera dei Segreti la creatura che rappresentava il suo potere, prima di abbandonare la scuola? Allo stesso modo Ade, dio dell'Oltretomba, aveva scelto di regnare sugli Inferi, piuttosto che condividere con altri la gloria dell'Olimpo.
Scorpius era stato affascinato da quelle storie, aveva ascoltato sua madre raccontarle innumerevoli volte senza mai stancarsi. Le sue preferite erano quelle che narravano le origini delle cose che lui aveva davanti ogni giorno, come la vicenda di Prometeo, che aveva sottratto il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini.
«Mamma, esiste il dio dell'arcobaleno?»
«Certo. È la dea Iride, una divinità minore.»
«E qual è la sua storia?»
«A dire il vero non la conosco. In questo libro non c'è.»
«Allora dovremmo inventarla noi!»
Lei aveva riso. «Va bene. Chi vuoi che ci sia?»
«Una Creatura Magica che può volare dalla terra fino al cielo lasciando una scia colorata!»
«Un Occamy, allora. Le sue squame iridescenti riflettono la luce del sole formando un arcobaleno.»
«Davvero? Posso vederne uno da vicino?» I suoi occhi si erano illuminati di speranza. «Possiamo prenderne uno?»
«E il cielo come farà, senza il suo arcobaleno?»
Le pagine erano ruvide come le ricordava, le parole segnavano la carta in maniera indelebile. Aveva desiderato di poter aggiungere una storia anche lui, quella che aveva inventato con sua madre. Ora che era più grande, era certo di non aver bisogno di una traccia scritta per rammentare alla perfezione ciò che avevano creato insieme.
Suo padre entrò nella stanza e lo strappò a quei pensieri. Scorpius immaginò come dovesse apparire, in piedi accanto al suo letto, a fissare il libro che teneva chiuso tra le mani.
Lo sollevò. «Me lo leggeva da piccolo.»
«Ha sempre avuto una passione per la mitologia greca», spiegò l'altro, avanzando di qualche passo. «Io non ne avevo mai sentito parlare e lei diceva di voler rimediare.»
Scorpius sorrise. Suo padre non partecipava mai alle loro letture condivise, ma si assicurava sempre di passare a dargli la buonanotte prima che crollasse addormentato, e ne approfittava per prendere in giro la moglie e i suoi bizzarri racconti.
«È così che mi ha convinto per la scelta del tuo secondo nome.»
«Hyperion?»
«Non ti ha mai spiegato da dove venisse?»
Fece cenno di no con la testa.
«Era un titano, padre degli dei del sole, della luna e dell'aurora.»
«Elio, Selene ed Eo», aggiunse Scorpius, che subito riconobbe le divinità di cui aveva letto in quello stesso libro.
«Pare che fosse dotato di grande spirito di osservazione e che sia stato il primo a comprendere i moti degli astri e delle stagioni, generando tutte le speculazioni umane che ne seguirono.»
«Non me lo ha mai detto.»
«Forse sperava che un giorno glielo avresti domandato tu.»
Scorpius avvertì una stretta allo stomaco. La verità implicita in quell'affermazione era che ormai non avrebbe potuto domandare più niente, che il tempo era scaduto prima ancora che si rendesse conto di desiderarne altro.
Suo padre dovette cogliere la sua inquietudine, perché gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, come aveva fatto solo il giorno prima mentre aspettavano nel corridoio del San Mungo.
«Non cambierà niente», gli sussurrò, guardandolo dritto negli occhi. «Lo sai, vero?»
Che strane parole da dire. Sarebbe cambiato tutto, come poteva pensare il contrario?
Scorpius vide nelle iridi argentate del padre lo specchio delle proprie e allora comprese che quello era il suo modo di dirgli che sarebbe andato tutto bene, che anche in una vita stravolta non sarebbe stato solo. Che ci sarebbe stato lui, a colmare il vuoto dentro il figlio.
Forse aveva pensato di pronunciare quelle parole - non cambierà niente -, che dovevano essergli costate parecchio, solo per rassicurarlo. E allora Scorpius tacque e tenne per sé la fredda rassegnazione di cui si era ritrovato vittima. Evitò di replicare - che invece sì, sarebbe cambiato tutto, ma se la sarebbe cavata lo stesso - perché suo padre stava soffrendo e l'unica cosa che poteva fare per lui era permettergli di consolarlo.
In silenzio, si limitò ad annuire.
***
Il letto vuoto e in ordine accanto al suo era la prima cosa su cui Albus posava gli occhi al risveglio. Scorpius era via soltanto da due giorni - due e mezzo, si corresse mentalmente, oggi è il terzo - e già non ne poteva più. Odiava che fosse lontano. Odiava che stesse passando un momento difficile senza di lui.
Si alzò e bofonchiò un saluto ai compagni di stanza, che stavano già uscendo. Era di nuovo in ritardo, ma in un primo momento non se ne curò: avrebbe saltato la colazione e raggiunto Len direttamente in aula. Poi gli venne in mente che, così facendo, se ci fosse stato un gufo ad attenderlo in Sala Grande se lo sarebbe perso. Si costrinse a muoversi e si diresse verso il bagno.
Rinfrescato all'esterno, ma con i pensieri ancora intorpiditi dal sonno, tornò in camera e si portò di fronte allo specchio. I suoi capelli erano un disastro, gli occhi cerchiati da ombre scure. Prese a spogliarsi del pigiama per indossare la divisa e lo sguardo gli cadde su un angolo della stanza, dove una sedia che utilizzavano come aggiunta al guardaroba giaceva quasi abbandonata.
Era di Scorpius la camicia posata sullo schienale, Albus l'avrebbe capito anche se non avesse saputo che lui era l'unico a sistemarle in quel modo. L'aveva dimenticata quando era andato via e da allora era rimasta lì, dove nessuno aveva osato toccarla.
Mezzo svestito e con un'idea stupida nella testa, si mosse per prenderla. Era liscia e morbida, identica alle sue ad eccezione della taglia. Scorpius aveva le spalle più larghe, il torace più ampio e Albus non si era avvicinato alla sua forma fisica neanche quando faceva parte della squadra e si allenava per il Quidditch insieme a lui. Era sempre stato più esile, più basso di qualche centimetro, e l'amico aveva sempre detto che tra loro due il più adatto al ruolo di Cercatore era lui. Ma in verità Scorpius era agile, non aveva affatto l'imponente stazza dei gemelli Sutter o del loro Portiere, Oliver, che era tanto robusto quanto goffo nei movimenti.
Si infilò la camicia e non fu sorpreso di sentirsela particolarmente comoda. Ancora davanti allo specchio, prese ad abbottonarla domandandosi se il maglione della divisa avrebbe nascosto adeguatamente la follia che lo aveva colto quella mattina.
Non aveva neanche il suo profumo, odorava semplicemente di bucato, come tutti gli indumenti puliti che gli Elfi Domestici restituivano loro dopo averli lavati. Era in tutto e per tutto uguale alle sue, ma era di Scorpius e indossare qualcosa che gli apparteneva lo faceva sembrare più vicino.
Le maniche erano leggermente lunghe e gonfie sulle sue braccia, che erano più sottili di quelle muscolose dell'amico. La camicia era larga soprattutto sui fianchi, ma provò a tenderla tirando giù l'orlo e infilandolo con decisione nei pantaloni. Infine indossò il maglione, cercando di dare una forma accettabile al colletto che spuntava dall'indumento.
Il risultato era passabile. I polsini fuoriuscivano un po' troppo, il busto era ingrossato dal tessuto in eccesso. Nel complesso però era in ordine e probabilmente questo sarebbe bastato a passare inosservato come al solito.
Una rapida occhiata all'orologio gli ricordò che se voleva avere il tempo di passare in Sala Grande doveva sbrigarsi. Si infilò le scarpe saltellando verso la porta, afferrò lo zaino e uscì di corsa.
Quando arrivò, fu costretto a procedere controcorrente in un fiume di studenti che si dirigevano nelle rispettive classi. Ce n'erano altri ancora ai tavoli, quelli che non avevano lezione subito dopo o quelli che non si curavano affatto di arrivare in ritardo. In questa seconda categoria rientrava Len, che, seduta al solito posto, sorseggiava il suo tè con tutta la calma del mondo.
Albus la raggiunse sgomitando e subito gettò un'occhiata al tavolo nella speranza di trovare qualche lettera per lui, ma rimase deluso.
«Niente colazione?», domandò la ragazza, scrutandolo con occhio critico e forse cogliendo qualcosa di insolito nel suo abbigliamento. Tuttavia non disse nulla in proposito e lo invitò con un cenno del capo ad accomodarsi accanto a lei.
Lui la assecondò solo perché sperava in un gufo ritardatario. «Non ho fame.»
«Tu hai sempre fame, al mattino», replicò lei. «Pane e marmellata», aggiunse, indicando il bottino che aveva messo da parte per lui.
Albus fu sorpreso da quella premura e si accigliò, ma si limitò a ringraziare e ad accettare un po' di cibo.
«Sei in ritardo.»
La voce alle sue spalle lo fece sussultare e un boccone gli andò di traverso.
Lily batté un paio di colpi sulla sua schiena, scuotendolo più del necessario. «Pensavo che non venissi», aggiunse sedendosi al suo tavolo, unica Grifondoro in mezzo agli studenti verdeargento.
«Ho dormito troppo.»
«Lo hai sentito?»
Len voltò leggermente la testa verso di loro, a considerare la presenza di sua sorella per la prima volta da quando era arrivata.
«Gli ho mandato un gufo, ma non ha risposto.»
«Cosa gli hai scritto?»
Albus sospirò. «Sicuramente potevo fare di meglio. Ma cosa si dice a qualcuno che sta perdendo la madre?»
Aveva pensato e ripensato a quali potessero essere le parole giuste da affidare a una lettera per Scorpius, ma alla fine si era arreso all'evidenza che non ne esistevano. Ciascuna di esse, per quanto scelta con cura, sarebbe stata inutile e insignificante, e l'assenza di una replica da parte dell'amico gli suggerì che lui era esattamente dello stesso avviso - ma che, a differenza sua, non avrebbe riempito il vuoto tra di loro con frasi di circostanza.
«Tu che hai detto?», insisté Lily.
«Che mi dispiace che stia soffrendo», rispose. «Che vorrei essere lì con lui.»
Non avrebbe potuto fare niente neanche se gli fosse stato vicino, eppure trovava così sbagliato che fossero separati in un momento tanto difficile che non aveva potuto evitare di farglielo sapere.
«Allora no», pronunciò sua sorella con convinzione.
«No cosa?»
«Non potevi fare di meglio.»
Quella rassicurazione non bastò a rimuovere il peso che aveva sullo stomaco, ma lo tranquillizzò abbastanza da permettergli di infilare in bocca un altro pezzo di pane tostato.
«Tornerà presto. Ormai manca poco.»
La sua voce aveva un'inflessione che lo mise in allarme, la stessa che Albus associava alle sue intuizioni. Non poteva esserselo immaginato, perché anche Len la guardò con un'ombra di preoccupazione sul volto. «Che significa?», domandò la ragazza, rivolgendosi direttamente a Lily.
«La signora Malfoy sta molto male», spiegò.
Albus intervenne prima che Len potesse replicare. «Quanto presto?»
«Cosa credi che sia, una Profezia vivente?», borbottò sua sorella, infastidita.
Lui fece un bel respiro e tentò di riacquisire il controllo. Farsi prendere dal panico non lo avrebbe aiutato. «Dimmi solo quello che pensi», insisté in tono più mite. «Qualunque cosa ti passi per la testa.»
Lily inclinò il capo e gli rivolse un'occhiata dispiaciuta, ma per un lungo istante parve guardare attraverso di lui. «Lo rivedrai a breve.»
***
Aveva la testa reclinata all'indietro contro le mattonelle del bagno e fissava il soffitto in attesa di... be', qualcosa. Era tardi e Scorpius era stanco, tutto quello che voleva era lavarsi via di dosso l'odore dell'ospedale e infilarsi sotto le coperte.
Suo padre lo trovò in quella posizione insolita, dopo aver gettato un'occhiata attraverso la porta aperta. «Tutto bene?»
Lui si voltò a guardarlo. «Ho una brutta sensazione.»
«È normale.» Fece per entrare, ma poi cambiò idea e si fermò sulla soglia. «Sono giorni difficili.»
«No, intendo adesso», precisò lui. «Ho l'impressione che non appena sarò sotto la doccia riceveremo una brutta notizia. E io sarò tutto bagnato e perderò un sacco di tempo per asciugarmi e rivestirmi.»
Non poteva credere di averlo detto davvero. Non ne aveva avuto intenzione, ma quel pensiero assurdo e opprimente gli era scivolato fuori dalle labbra in un fiume incontrollato di parole.
Suo padre sospirò. «Non cambierà niente se impiegherai del tempo per asciugarti e rivestirti.» Forse avrebbe dovuto consolarlo, dirgli che non sarebbe accaduto niente di male, ma come avrebbe potuto? Sapevano entrambi che il peggio era dietro l'angolo e forse convivere con l'attesa era il primo passo per imparare a convivere, dopo, con la perdita.
«Sta' tranquillo», gli disse ancora. «Vai a farti la doccia.»
***
Albus si rigirò tra le coperte per l'ennesima volta. Si era impegnato a dare le spalle al letto vuoto di Scorpius, ma l'immobilità lo faceva impazzire quanto l'incapacità di prendere sonno.
Si domandò cosa stesse facendo il suo amico. Forse dormiva: avrebbe dovuto, a quell'ora della notte. Oppure era sveglio anche lui, a fissare il soffitto con l'espressione neutra che aveva in volto quando ciò che sentiva era troppo spiacevole per permettersi di lasciarlo affiorare.
Si alzò di scatto e afferrò la bacchetta dal comodino. Prese a vestirsi rapidamente, poi con un incantesimo appena sussurrato svuotò lo zaino dei libri di scuola e lo riempì con le cose essenziali. Non gli serviva una valigia, sarebbe stata solo d'impiccio.
Prima di uscire dalla stanza si costrinse a dare un'occhiata allo specchio: i suoi capelli sarebbero stati un disastro in ogni caso, ma magari sarebbe stato meglio sembrare presentabile, se voleva piombare nell'Ufficio della Preside a quell'ora assurda.
La Sala Comune era silenziosa, ma non deserta. Una testa scura si voltò a guardarlo nel sentirlo arrivare.
«Neanche tu riesci a dormire?»
Len aveva tra le mani una tazza che doveva contenere del tè - o anche qualcosa di più forte - e sembrava stanchissima. Solo in un secondo momento parve notare che lui era vestito di tutto punto e aveva lo zaino in spalla. «Dove stai andando?»
Non era giusto che Scorpius fosse solo. Certo, era con suo padre, ma Albus avrebbe dovuto essere con lui, anche soltanto per sentirsi dire di lasciarlo in pace. Perlomeno ci avrebbe provato.
«A casa.»
Lei si accigliò. «In piena notte?»
Sentiva di aver atteso fin troppo. «Ci vorrà un po' per convincere la Preside. Conto di arrivare per l'alba.»
«Aspetta.» La ragazza si alzò e gli si parò davanti, impedendogli fisicamente di proseguire. «Non sei lucido.»
«Non dovrebbe stare da solo.»
Non ci fu bisogno di specificare di chi parlasse. Len annuì. «Domani mattina andremo dalla Preside e le chiederemo il permesso di raggiungerlo. Ma non sappiamo come stanno le cose. Potrebbero volerci giorni...»
«Lily ha detto che rimane poco tempo.»
«... e lui potrebbe non volere gente intorno», proseguì implacabile.
Albus l'aveva considerato. Conosceva Scorpius abbastanza da sapere che preferiva affrontare i suoi problemi da solo, ma lui aveva sempre fatto in modo di essergli accanto comunque, affinché sapesse che se aveva bisogno di qualcuno, il suo amico c'era. «Lo accetterò, se sarà una sua scelta.»
Len sospirò. «Torna a letto.»
«Ma...»
L'amica gli afferrò il viso tra le mani e lo guardò dritto negli occhi. Albus si concentrò su di lei quel tanto che servì a ritrovare la ragione. «È notte fonda», gli ricordò lei. «Domani andremo dalla Preside insieme, te lo prometto.»
***
Accadde all'alba.
La porta della camera si schiuse e la figura alta di suo padre comparve sull'uscio. Scorpius aprì gli occhi, il sonno leggerissimo interrotto dall'inquietudine, più che dal rumore.
«È successo.» Non gli disse altro.
Lui si alzò, infilò i piedi nelle pantofole e si avviò verso l'armadio. Si vestì con gesti meccanici, senza esitare, ma allo stesso tempo senza avvertire la necessità di fare più in fretta. Si trovò a pensare allo strano dubbio che aveva avuto la sera prima di fronte alla doccia e si diede dello stupido.
Scese al piano inferiore e trovò suo padre intento a scrivere un messaggio, il loro gufo in attesa davanti a lui.
Le tende erano state aperte, ma i primissimi raggi di sole erano filtrati da pesanti nuvole grigie all'orizzonte e il soggiorno era insolitamente cupo.
«Andiamo?»
Suo padre pronunciò quella domanda senza neanche guardarlo. Scorpius stava indossando il mantello quando la nota stridula nella sua voce lo impensierì.
Draco Malfoy, uomo rigido e sempre composto, aveva gli occhi lucidi e un'espressione sofferente impressa sul volto. Le ciglia bionde erano ancora umide di lacrime.
Aveva pianto.
Suo padre, la persona più forte che avesse mai conosciuto, nonché la più restia a mostrare apertamente le proprie emozioni, aveva pianto.
Fu a quel punto che il terrore si impossessò di lui. Scorpius, che non aveva provato niente fino a un istante prima, avvertì il sapore amaro della paura mentre guardava il suo papà cedere al dolore. Ancora una volta, pensò che doveva esserci qualcosa di profondamente sbagliato in lui, se perfino Draco Malfoy piangeva la morte dell'amore della sua vita e a lui non riusciva di versare una lacrima per la perdita di sua madre.
Sparirono tra le fiamme della Metropolvere in un silenzio opprimente.
Si lasciò guidare attraverso i reparti del San Mungo, fino a che, svoltato un angolo, riconobbe lo spazio angusto tra le pareti verde acqua. Era presto, ma i Guaritori e i tirocinanti si aggiravano già per i corridoi, tuttavia nessuno li fermò.
Suo padre esitò solo un'istante prima di entrare nella camera che ormai era familiare a entrambi. Scorpius lo seguì.
Zia Daphne era già lì, in piedi accanto alla porta del bagno, ad asciugarsi frettolosamente le lacrime con le mani. Suo padre si avvicinò al letto, inginocchiandosi accanto alla testa della moglie e premendosi una mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi.
Sua madre aveva gli occhi chiusi, ma non sembrava affatto che stesse dormendo. La pelle era cinerea, la bocca leggermente aperta e irrigidita in una posa innaturale.
Udì zia Daphne mormorare qualcosa riguardo al fatto che le mani si sarebbero gonfiate presto, e vide suo padre sfilare la fede nuziale dal dito della moglie.
In quel momento, la vista gli si offuscò.
Scorpius si piegò in avanti, come se avesse ricevuto un colpo allo stomaco. Posò una mano sul ginocchio per sostenersi e con l'altra cercò a tentoni la parete dietro di lui, per attenuare le vertigini. Il muro era freddo e ruvido, l'aria si era fatta pesante.
Si rese conto di urlare solo quando vide con la coda dell'occhio i piedi di sua zia che si avvicinava. Avvertì l'umidità delle lacrime tra le dita della mano su cui erano precipitate e, con un angolo della mente incomprensibilmente lucido, si disse che forse non era poi così sbagliato, se si sentiva male di fronte al corpo immobile di sua madre.
Zia Daphne lo strinse forte, mentre lui si abbandonava a un pianto incontrollato. Scorpius la lasciò fare, ma una parte di lui avrebbe voluto mandarla via, perché si sentiva soffocare.
Sapeva che la mancanza d'aria era solo una sensazione e che stava avendo un attacco di panico, eppure tutta la sua razionalità - che anche in quel momento non era venuta meno - non bastò a tirarlo fuori da quel dolore.
Quando suo padre si avvicinò per abbracciarlo, Scorpius si raddrizzò e ricambiò la stretta, riversando sul suo mantello le lacrime che non riusciva più a trattenere.
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Note
Gli effetti di una Maledizione del Sangue non sono conosciuti nel dettaglio dal canon, io comunque ho immaginato qualcosa di simile al decorso di una malattia Babbana, con i sintomi descritti in questo capitolo e un peggioramento piuttosto rapido.
Non si sa molto dei signori Greengrass, genitori di Astoria e Daphne, ma ho assunto che fossero morti entrambi prima della nascita di Scorpius, e che siano altri i parenti ancora in vita delle due donne.
Miti, dei ed eroi dell'Olimpo è il titolo di un libro inventato, ma può richiamare vagamente i titoli delle varie saghe di Percy Jackson di Rick Riordan. Quanto alla storia dell'Occamy, la dea Iride è realmente una divinità minore degli antichi, ma la leggenda dell'arcobaleno è di mia invenzione.
Anche le informazioni su Iperione, o Hyperion, appartengono alla mitologia greca, ma il collegamento con il secondo nome di Scorpius è farina del mio sacco.
Come segnalato all'inizio, in questo capitolo e nel prossimo sono presenti tematiche delicate legate alla malattia di Astoria, che possono urtare la sensibilità di alcuni lettori. Si tratta di un momento di svolta per la crescita di Scorpius che inevitabilmente impatterà su tutti gli aspetti della sua vita.
Come sempre, un ringraziamento a tutti i lettori, spero che la storia continui ad appassionarvi. ♥
Alla prossima!
Futeki
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