6. Pensieri che non diremo

VI

Pensieri che non diremo

[...] L'Accento sbiadisce in intervallo
tra Amici che si separano,
finché ciò che prevediamo ha luogo,
e pensieri che non diremo
più intimi a noi divengono
delle Persone che conosciamo.

(E. Dickinson)

Albus lo stava evitando. All'inizio non lo aveva fatto di proposito, ma in seguito si era reso conto di ricercare spesso la solitudine, allontanandosi da Scorpius ogni volta che ce n'era l'occasione. L'amico doveva averlo notato, forse prima ancora che lui lo comprendesse consciamente, ma non si era mai lamentato.

Aveva bisogno di riflettere, ed essergli vicino gli impediva di farlo con lucidità. A lezione si distraeva sempre a osservarlo, attratto dai suoi gesti, e ora si sentiva molto più consapevole – della sua presenza, dei suoi movimenti e, gli sembrava, anche dei suoi pensieri. Finiva per domandarsi di continuo se Scorpius pensasse a lui, poi realizzava che invece era lui a non riuscire a toglierselo dalla testa. Perciò, quando poteva, si ritagliava un po' di spazio per ragionare e tentare di rispondere agli interrogativi che si agitavano nella sua mente.

Avevano due ore libere prima di doversi dirigere verso le Serre, ma, invece di passarle con lui e Len, Albus aveva annunciato di dover fare delle ricerche su alcuni testi di Erbologia. La scusa era suonata poco credibile perfino alle sue stesse orecchie, eppure Scorpius non aveva battuto ciglio, gli aveva chiesto se avesse bisogno di compagnia e al suo diniego lo aveva lasciato andar via senza obiettare.

Quindi era seduto a un tavolo della biblioteca, con un libro davanti che non era neanche certo fosse della materia giusta, aperto a una pagina a caso, e fissava l'inchiostro senza vederlo davvero, sperando che dall'esterno sembrasse preso dallo studio.

Quando aveva cominciato a nascondersi in quel modo ridicolo?

Lo hai sempre fatto, aveva sussurrato una crudele voce dentro di lui, che aveva prontamente zittito. Aveva avuto paura di tante cose nella propria vita, ma mai aveva permesso alla mancanza di coraggio di costituire un ostacolo al suo rapporto con Scorpius. Perché se esisteva una sola ragione al mondo per affrontare una situazione difficile senza provare a evitarla, quella era la loro amicizia. Per lui non solo aveva litigato con James, ma aveva sconvolto l'intera famiglia: più di una volta si era ritrovato a discutere con zio Ron – tra il silenzio contrito di suo padre e le esclamazioni esasperate, rivolte al fratello, di sua madre – perché aveva un'opinione in merito che ad Albus sembrava davvero ridicola. Per qualche motivo pareva convinto che Scorpius fosse una versione ringiovanita dell'uomo terribile che era – sempre secondo lui – il signor Malfoy.

Ad Albus non importava cosa gli altri pensassero di Scorpius o del padre: che Draco Malfoy fosse stato un pessimo compagno di scuola e poi un Mangiamorte era una realtà che non gli apparteneva, relegata in un passato che non lo riguardava. Lui lo aveva incontrato poche volte, nelle estati in cui si era visto con l'amico, e non era riuscito a farsi un'idea precisa di che tipo fosse. Ma di una cosa era assolutamente certo: non poteva essere cattivo, se aveva cresciuto un figlio così. Perché Scorpius sapeva essere irritante a volte, ma era un amico leale e Albus era sicuro di poter contare su di lui in ogni situazione. Averlo al suo fianco lo faceva sentire più forte e avrebbe fatto di tutto perché le cose restassero in quel modo.

Adesso che l'imbarazzo si frapponeva tra loro come un muro invisibile, il suo unico obiettivo era sistemare la situazione. Quello che Scorpius gli aveva confessato lo aveva sorpreso, tuttavia l'incredulità aveva presto lasciato spazio a una sensazione più positiva che non riusciva a descrivere fino in fondo, ma che gli riscaldava il cuore: era felice di essere desiderato dalla persona che ammirava più di ogni altra; era lusingato, ed era stata la sua scarsa autostima a impedirgli di interpretare correttamente il modo in cui il suo migliore amico lo guardava.

Accarezzò con le dita le pagine del libro che aveva davanti, mero oggetto di scena, mentre considerava che tutto aveva assunto un significato diverso da quello a cui era abituato. Avrebbe voluto abbracciare Scorpius con la semplicità con cui lo faceva prima, sorridergli con affetto nella certezza che ciò che avevano fosse già il più intenso rapporto possibile tra loro. Ma non lo era.

Io vorrei baciarti sempre, gli aveva detto. E Albus era arrossito, perché non aveva mai immaginato di baciarlo, e in verità non aveva mai immaginato di baciare nessuno, perché di nessuno gli era mai importato abbastanza da sentirne il desiderio.

Scorpius invece aveva baciato Dominique e altre ragazze, aveva baciato Rose e con lei aveva avuto ulteriori esperienze. Conosceva il desiderio molto meglio di lui, che non lo aveva mai sperimentato e che, a dirla tutta, non ne aveva mai avvertito la mancanza.

Adesso, però, si stava sforzando di figurarsi ciò che l'amico gli aveva suggerito.

Non sapeva come sarebbe stato baciare Scorpius. Non sapeva come sarebbe stato baciare qualcuno. Ma sapeva cosa significava averlo accanto, stringerlo quando era turbato, intrecciare le dita alle sue solo per sentire se erano fredde e morbide come al solito.

Forse era quello, il desiderio. Forse era il bisogno di percepirsi vicinissimi, la paura di essere separati anche solo da un piccolo spazio o da una verità ingombrante.

Albus si premette le mani sugli occhi. Non sapeva niente, tranne il fatto che non era disposto a perdere neanche un frammento di quello che aveva con lui.

***

Albus lo stava evitando. Forse non di proposito, però Scorpius lo comprendeva meglio di quanto lui comprendesse se stesso e aveva capito subito di dovergli lasciare un po' di spazio.

Gli costava fatica mostrarsi indifferente ogni volta che l'amico accampava una scusa per starsene in disparte, ma si impegnava a mantenere ben salda la maschera di impassibilità.

Sebbene in precedenza non vi avesse mai prestato davvero ascolto, finché era con Len si faceva distrarre dalle sue chiacchiere, altrimenti sarebbe stato difficile ignorare la stretta allo stomaco indotta da un pensiero preciso e ricorrente – lo perderai.

Scorpius ne era terrorizzato, si sarebbe accontentato di un'amicizia a metà, pur di averlo sempre accanto a sé. L'impotenza lo dilaniava, alimentando la sua paura più grande, perciò si costringeva a tenere la mente occupata, anche se questo significava stare a sentire l'amica che gli raccontava pettegolezzi ai quali non era affatto interessato.

«Secondo me, speravano tutti che la colpa ricadesse su Karen. D'altra parte è facile immaginare che una Serpeverde abbia aggredito il Portiere di Grifondoro poco prima della partita», stava raccontando Len.

«Karen Jones?», le fece eco Scorpius, poco concentrato. «Che c'entra lei?»

«Ma come fai a non capire!», lo rimproverò la ragazza. «Lei e Jordan Kirke stavano insieme.»

Lui sospirò. Aveva assecondato i suoi discorsi solo per necessità – e perché alla parola Portiere una scintilla di reale interesse si era accesa in lui –, ma quegli intrecci iniziavano a fargli venire il mal di testa. «Non avevi detto che frequentava Cassidy Sharp?»

«Sì», confermò Len. «Di nascosto. E di nascosto si vedeva anche con Karen.»

«E tu sai tutto perché...?»

Lei liquidò quella domanda con un gesto della mano. «Io so sempre tutto. Dicevamo: Karen e la Sharp erano ovviamente all'oscuro l'una dell'altra, ma quando Kirke si è ripreso dalla fattura...»

«Si è ripreso?», la interruppe Scorpius. «Può giocare? Ha ricominciato ad allenarsi?»

Len si accigliò. «Se mostrassi questo interesse anche per tutto il resto della vicenda mi daresti molta più soddisfazione.»

«Non ambisco a tanto, sono una persona semplice.»

Erano seduti sui gradini di marmo di uno dei porticati della scuola, al riparo dalla pioggia incessante, ma comunque all'esterno. Scorpius aveva insistito per sistemarsi all'aperto, perché, anche se non lo aveva ammesso, sperava che il vento freddo avrebbe attenuato la sensazione di non poter respirare. Len lo aveva guardato di traverso, ma non aveva protestato, e si era lanciata nel resoconto della diceria che aveva ritenuto più interessante nell'enorme ventaglio di opzioni di cui disponeva.

«Non ho la più pallida idea di come procedano gli allenamenti dei Grifondoro.»

«Credevo sapessi sempre tutto.»

«Tutto ciò che è rilevante», precisò.

Scorpius non ebbe il tempo di lasciarsi toccare dalla nota di biasimo nella sua voce, perché dietro di lei vide Rose attraversare il portico dal lato opposto rispetto a dove si trovavano loro. In un lampo prese una decisione che sperò di non rimpiangere altrettanto alla svelta.

«Ci vediamo dopo», disse a Len, ignorando un'occhiata di rimprovero e alzandosi per andare via.

Aveva visto Rose separarsi da Cassidy, perciò intendeva sfruttare quella rara occasione per parlarle da sola. Se c'era qualcosa che aveva imparato in quei giorni era che i pettegolezzi andavano sempre anticipati. Era stanco di rincorrere voci su cui non aveva alcun controllo: stavolta si sarebbe mosso per primo.

***

L'aula studio era affollata ma non piena e Rose individuò subito un banco libero vicino alla finestra. La pioggia la metteva di buonumore e le piaceva fermarsi a guardare le gocce d'acqua che si rincorrevano sui vetri fino a unirsi in un'unica scia.

Poco distante da dove aveva preso posto, Luke Goldstein era seduto con alcuni compagni di Grifondoro e quando si accorse di lei la salutò con un cenno. Rose ricambiò, mentre notava l'assenza di James e immaginava che avesse scelto di dormire più a lungo nell'unica mattinata libera dalle lezioni che avevano i ragazzi del settimo anno.

Lei invece aveva soltanto un'ora buca, ma era determinata a sfruttarla al massimo per portarsi avanti con i compiti, così da prepararsi in anticipo anche sulle lezioni future.

Aveva appena aperto il Sillabario dei Sortilegi quando udì una sedia che si spostava di fronte a lei. Alzò gli occhi e incrociò quelli grigi di Scorpius Malfoy che si stava sedendo al suo tavolo.

«Ciao», esordì. «Spero di non disturbarti.»

Il suo cuore perse un battito e si irritò per la reazione debole del proprio corpo alla vista di lui. Non aveva idea del perché fosse lì, ma, data l'assenza di libri o altro materiale di studio, pareva del tutto intenzionato a parlarle.

«Come mai...» Si interruppe. Non voleva sembrare scortese, ma Scorpius non l'aveva mai avvicinata da quando si erano lasciati. Le aveva dato il tempo che aveva chiesto e non l'aveva mai cercata – e a lei era dispiaciuto, ma allo stesso tempo gli era stata grata.

«Ho scoperto che in questa scuola girano un sacco di storie», disse in tono leggero. «Alcune vere, altre no.»

Lei gli rivolse un'espressione divertita, a suggerirgli che se in cinque anni di scuola era la prima volta che ci pensava, forse era un po' in ritardo.

Scorpius ricambiò il sorriso. Guardandolo così da vicino, Rose non poté fare a meno di ricordare cosa le piacesse di lui. Era un bel ragazzo, senza ombra di dubbio, ma soprattutto aveva il fascino di chi sa dire qualunque cosa facendola apparire come la più interessante che si possa ascoltare.

Lei amava sentirlo parlare, le piaceva quando raccontava del Quidditch, perché era l'argomento di cui era appassionato, ma anche quando semplicemente la metteva a parte dei dettagli della sua giornata, per poi invitarla a fare altrettanto.

Eppure c'era sempre un'ombra in lui, qualcosa che suggeriva a chi non lo conosceva che potesse essere meno spontaneo e sincero di quanto sembrava. Rose aveva imparato ad accettare l'inquietudine che si agitava in fondo al suo sguardo – un nemico contro cui lui combatteva continuamente. Era tutto mente, Scorpius – pensieri, schemi e strategie – e non smetteva mai di riflettere per cercare la soluzione ottimale in ogni situazione, che fosse una partita o un problema con una persona a cui teneva. Ma era anche cuore, perché quello che faceva era sempre guidato da sentimenti puri. Voleva il bene di tutti ed era disposto anche a sacrificare se stesso affinché le sue scelte fossero le migliori possibili per chi lo circondava.

«È possibile che tu senta delle voci...»

Rose alzò gli occhi al cielo, interrompendolo. «Ti prego, risparmiamelo.»

Lui parve a disagio, ma lei non se ne curò. L'ultima cosa di cui aveva voglia era sentirlo parlare di Dominique. «Non quelle che pensi», precisò. «Mi riferisco al fatto che si dice che io sia gay.»

Lei spalancò gli occhi, sorpresa. Non ne aveva mai sentito parlare, ma se fosse capitato la sua reazione sarebbe stata esattamente quella che ebbe di fronte a lui: scoppiò a ridere.

«Dico davvero», insisté lui, visibilmente più rilassato. Poi tornò serio: «Non voglio che pensi che quello che c'è stato tra noi fosse finto.»

Rose scosse la testa, non avrebbe mai potuto crederlo. La loro relazione era stata manchevole sul piano sentimentale, ma mai dell'attrazione: la loro intesa era palpabile e Scorpius l'aveva fatta sentire desiderata più di chiunque altro. «Sarebbe assurdo.»

«Bene», replicò lui. «Qualunque cosa tu senta, ricorda questo: non ho mai mentito quando dicevo che stavo bene con te.»

Non poté fare a meno di sussultare, perché quelle parole le facevano ancora effetto. Sentirle era un sollievo momentaneo da una ferita che non si sarebbe rimarginata e che era ingiusto anestetizzare in quel modo.

«Se avessi potuto scegliere», proseguì lui, lo sguardo argenteo perso in chissà quali pensieri, «avrei scelto te.»

Rose gli credette, era impossibile non farlo quando parlava così. Eppure non era affatto ciò che voleva sentire. «Quando dici queste cose mi rendi parecchio difficile odiarti», ammise sinceramente.

Lui sorrise. «Sarebbe carino se non mi odiassi.»

«Non sono pronta a essere tua amica.»

Un'ombra di dispiacere tornò a velargli gli occhi e Scorpius sospirò. «Lo capisco.»

Sarebbe stato più facile se fosse stato un po' meno perfetto. Era così anche quando stavano insieme: lui era gentile e premuroso, non gli mancava niente, a eccezione del fatto che non era innamorato di lei. Si era comportato sempre in modo impeccabile, prima e dopo la loro rottura, e Rose aveva desiderato più di una volta di poterlo detestare per soffocare nel disprezzo qualunque residuo dei propri sentimenti. Nemmeno sapere di lui e Dominique, di un bacio che a quanto pareva non aveva avuto seguito, aveva suscitato in lei un'emozione negativa nei suoi confronti.

«Come sta tua madre?», gli chiese per cambiare argomento.

Lui si incupì. «Non bene», rispose. «Per niente.»

Si pentì all'istante di averglielo chiesto e desiderò di poterlo consolare. Ma non avrebbe potuto neanche se non fossero stati due estranei, ormai. «Mi dispiace.»

«Grazie», replicò Scorpius meccanicamente. Poi si alzò. «Ti lascio studiare.»

Rose non lo trattenne, gli rivolse un cenno di saluto e lo guardò andare via. Solo quando fu sparito oltre la porta si rese conto di essere stata in tensione per tutto il tempo: aveva le spalle e le gambe doloranti per la posa rigida che aveva assunto durante la conversazione.

Luke le si avvicinò con fare tranquillo, come se avesse appena finito i compiti e fosse passato da lei soltanto per un saluto. «Stai bene?», le chiese invece, in un tono pratico che contrastava apertamente con la calma dei suoi movimenti.

«Benissimo», gli rispose sinceramente.

Lui fece un mezzo sorriso e Rose ne fu subito contagiata. «Se James fosse stato qui si sarebbe precipitato a invadere la tua privacy appena Malfoy si è seduto di fronte a te», commentò divertito, poggiando le mani sul banco.

Lei alzò gli occhi al cielo. «Posso gestire Scorpius», disse. «Un po' meno James.»

Luke rise piano. «L'importante è che non ci sia stato bisogno di intervenire.»

«Eventualmente lo avresti fatto tu?», domandò Rose, accigliata.

«Come avrei potuto esimermi?», ribatté lui. «Rientra nei miei doveri di Caposcuola.»

«Prendi il tuo ruolo un po' troppo sul serio.»

Il ragazzo scosse la testa. «La verità è che non avrei sopportato di subire la predica di tuo cugino.»

Fu il turno di Rose di ridere, ma non ebbe il tempo di replicare perché i ragazzi del settimo anno, che stavano aspettando l'amico sulla porta, richiamarono la sua attenzione sull'orario. «Devo andare.»

Lei annuì e gli fu riconoscente per averle donato quel momento di leggerezza. «Grazie, Luke.»

Lui non disse niente, ma le strizzò l'occhio, poi si voltò e la lasciò sola con il rumore della pioggia che batteva contro la finestra.

***

Era stata una giornata orribile e Albus non vedeva l'ora di addormentarsi per concluderla alla svelta. Sapeva di essere stato freddo e scostante con Scorpius, ma non ne aveva avuto realmente intenzione. Durante le lezioni non avevano praticamente mai parlato, a pranzo e a cena la conversazione era stata di banale circostanza. Per tutto il tempo aveva desiderato che quel giorno finisse, ma adesso che era sotto le coperte temeva che una notte di sonno non avrebbe cambiato nulla. Non avrebbe sopportato che l'indomani fosse uguale.

Si girò. Scorpius era steso su un fianco, rivolto verso di lui come sempre. Aveva gli occhi chiusi, ma parve avvertire lo sguardo di Albus su di sé e li aprì.

La sua espressione era di una serenità disarmante: sembrava così tranquillo che chiunque altro avrebbe pensato che non avesse nessuna preoccupazione al mondo. Ma Albus sapeva che non era così, che quello non era il vero Scorpius, perché il suo turbamento era tanto più profondo quanto meno affiorava in superficie. E sapeva, quella volta, di esserne responsabile.

«Mi dispiace di essere stato strano oggi», disse in un sussurro.

Scorpius gli sorrise. «Non ti preoccupare.»

«No, non va bene», ribatté invece Albus. «Io stavo...»

Un grugnito interruppe a metà la sua frase: due letti più in là, il ritmico russare di Tom si era interrotto. Albus attese in silenzio che ricominciasse.

«Usciamo», disse piano quando la stanza fu di nuovo tranquilla.

Si tolse le coperte di dosso e scese dal letto. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Scorpius lo stava seguendo.

Entrambi in pigiama, percorsero interamente il corridoio, che terminava su una parete con una grande finestra. Gli abissi del Lago Nero erano scuri e tranquilli, non si vedeva nuotare neanche un Plimpy. Albus si sedette sul davanzale, il fianco destro rivolto all'acqua, e raccolse le ginocchia al petto per lasciare all'amico lo spazio per fare altrettanto.

Si erano sistemati in quella posizione speculare tante volte, per chiacchierare in un luogo più silenzioso e meno frequentato della Sala Comune. Le porte più vicine erano a pochi metri di distanza, ma i muri erano spessi e a quell'ora della notte i loro compagni di Casa stavano quasi certamente dormendo.

Scorpius prese posto di fronte a lui, la schiena contro il muro e le ginocchia piegate davanti a sé, le punte dei piedi che toccavano quelle di Albus.

«Dicevo che non sono fiero di essere stato scostante oggi», ripeté a bassa voce, ma in tono più deciso. «È che sto ancora elaborando quello che mi hai detto.»

Lui gli lasciò il tempo di aggiungere altro, ma quando non lo fece si limitò ad annuire. «Se vuoi parlarne con me puoi farlo», disse, senza che lo sforzo che gli costava quell'offerta affiorasse sul suo viso.

Ma Albus lo percepì. «Non sei obbligato.»

«Voglio farlo», insisté. «Se esiste la possibilità che io ti aiuti a digerire questa storia, voglio provarci.»

Lui sospirò e si voltò a osservare il vetro. Per quanto strizzasse gli occhi, non riusciva a vedere niente. «Ti piacciono sia i ragazzi che le ragazze», constatò, senza incrociare il suo sguardo.

«Sì.»

«Ti preoccupava il fatto che io lo sapessi?»

Quell'eventualità feriva Albus più di ogni altra cosa. Odiava il pensiero che il suo migliore amico sentisse di non poter essere completamente se stesso con lui e non si sarebbe mai perdonato di avergli dato motivo di dubitare della sua reazione a quel genere di confessione.

«No», rispose Scorpius, tranquillizzandolo all'istante. «Mi preoccupava che sapessi come mi sento rispetto a te.»

Questo Albus lo capiva. Lui stesso era infastidito da come si era comportato quando lo aveva scoperto e, ancora di più, dalla propria incapacità di arrivarci da solo. «Ci ho pensato», tentò di spiegare. «Non ho fatto altro che pensarci, in verità. Non è che io non ti creda», disse, rammentando la domanda stupida che gli era uscita sul momento – Come fai a saperlo? – in risposta alla sorpresa. «Ma mi riesce difficile comprendere perché tu, che potresti avere chiunque, dovresti volere proprio me.»

Scorpius inclinò la testa e non disse nulla finché Albus non ebbe riportato lo sguardo su di lui. «Non ti riesce perché sei insicuro», ribatté fissandolo dritto negli occhi, con un tono deciso che era troppo dolce per essere di rimprovero. «Ma io ti conosco e so quanto vali.»

Albus si sentì avvampare e strinse i pugni. Avrebbe voluto toccarlo, sfiorargli un ginocchio o un braccio, assecondando un impulso che fino al giorno prima gli sarebbe sembrato naturale. E invece adesso si sentiva superficiale a credere di potersi abbandonare a un gesto casuale senza essere riuscito a dare un senso a ciò che provava.

«Non me lo avresti mai detto, se non te lo avessi chiesto?»

Conosceva già la risposta a quella domanda, ma aveva bisogno di sentirselo dire.

Scorpius sospirò e si passò una mano tra i capelli. «Avevo un piano.»

«Il silenzio?»

«Sì. Mi sarei fatto bastare qualunque cosa andasse bene a te», ammise. «Non ti avrei domandato nulla e avrei imparato a desiderare soltanto quello che eri disposto a darmi spontaneamente. Ed è ancora così», si affrettò a precisare, impedendogli di interromperlo, come aveva cercato di fare. «Scegli ciò che vuoi e lo avrai. Anche se per me dovesse significare starti lontano.»

Una fitta di dispiacere lo attraversò. «Non voglio che tu mi stia lontano.»

Il sorriso di Scorpius fu terribilmente triste, mentre rispondeva in tono rassegnato: «D'accordo. Ma se sarai tu a stare lontano da me dovrò lasciartelo fare.»

Albus non seppe replicare. Su di loro calò un silenzio strano: un po' dell'imbarazzo che li opprimeva pareva essere svanito, ma c'erano tante parole che non avevano pronunciato che sembravano non riuscire a trovare la strada per venire fuori.

Fu Scorpius a romperlo per primo. «Guardandoci adesso penso solo che sarebbe stato meglio continuare a nascondertelo.»

Albus si rabbuiò. «Non mi piace che tu mi nasconda le cose», gli ricordò. «E comunque non serve, mi sto solo adattando.»

«È naturale», convenne lui. Provò a fare chiarezza: «È giusto che tu abbia il tempo e lo spazio che vuoi. Ma non ne avresti avuto bisogno se non ti avessi detto niente.»

«Io invece sto iniziando a dare un senso a molti dei tuoi silenzi», ribatté irritato, «alle bugie che non mi hai detto, perché ti è stato sufficiente omettere qualche particolare. Ma va bene così, era un tuo diritto tenertelo per te», precisò, perché incolparlo del suo comportamento era l'ultima cosa che voleva. «È che non mi aspettavo di essere io il tuo problema.»

Lui fece una mezza risata amara. «Problema», ripeté infastidito. «Che infelice scelta di termini.»

«Mi dispiace.»

«Non sei tu a doverti scusare.»

Albus lo aveva fatto spesso negli ultimi tempi. Lo avevano fatto entrambi, era il modo in cui cercavano di ritrovarsi attraverso colpe che non sapevano attribuire l'uno all'altro. «Nemmeno tu», gli disse convinto. «Per cosa dovresti farlo?»

Scorpius distese leggermente le gambe, incastrando le caviglie tra le sue. Quel contatto così semplice accese tutte le terminazioni nervose di Albus, che rimase immobile, pregando che non si ritraesse. «Per il disagio che provi adesso», lo sentì dire.

«Non sono a disagio», lo corresse d'impulso. Era vero, forse era in imbarazzo, preoccupato di dire o fare la cosa sbagliata, ma non a disagio – mai a disagio, con lui.

Fu evidente nella sua espressione tesa che Scorpius non gli aveva creduto. «Potremmo tornare indietro, a quando non lo sapevi.»

Albus inclinò la testa, confuso. «Non sono così bravo a fingere.»

«Potrei Obliviarti

Gli ci volle qualche istante per realizzare che aveva davvero pronunciato quelle parole, per di più in tono serio. «Ma come...» La paura si fece largo dentro di lui e quando riuscì a replicare era ormai terrorizzato: «No! Non voglio! Io...» Cercò qualcosa di più coerente da dire per far valere le proprie ragioni, ma argomentare il suo punto di vista gli risultò insopportabilmente difficile. «No!»

«Sta' tranquillo», cercò di calmarlo Scorpius. «Non lo farei mai contro il tuo volere. Era solo una proposta.»

Albus si alzò. Non tollerava di restare seduto su quel davanzale un secondo di più. «Non voglio», ripeté. «E cancella quest'idea dalla tua mente», ordinò deciso.

L'altro annuì, ma lui non si sentì affatto più sereno.

«Me ne torno a letto», annunciò con un sospiro. «Buonanotte.»

Poi gli diede le spalle e se ne andò. Quando Scorpius lo raggiunse in camera, qualche istante dopo, lui era già nascosto sotto le coperte e si fingeva addormentato.

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Note

Ancora una volta, specifico che le circostanze della rottura tra Rose e Scorpius sono spiegate nella OS Amari spiccioli contesi.

Riguardo alla madre di Scorpius, Astoria, mi sono presa una piccola licenza (come tutte le altre che vengono con la mancata considerazione di TCC): secondo il canon, lei sarebbe dovuta morire nell'estate del 2019, prima del terzo anno di Scorpius, ma qui siamo ai primi giorni di dicembre 2021, durante il suo quinto anno, e lei è ancora viva, nonostante sia malata, come si intuisce dalla conversazione con Rose.

In questo capitolo Albus è costretto a fare i conti con i sentimenti di Scorpius e quest'ultimo non può fare niente se non aspettare... Vedremo cosa ne verrà fuori!

Come sempre, un ringraziamento a tutti i lettori, spero che la storia continui ad appassionarvi. ♥

Alla prossima!

Futeki

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