4. Pace - Interromperebbe il buio

IV

Pace - Interromperebbe il buio

Si può essere più soli
senza la Solitudine -
sono così abituata alla mia sorte
che forse l'Altra - Pace -
interromperebbe il buio -
e affollerebbe la piccola stanza. [...]

(E. Dickinson)

Rose puntò ancora una volta la bacchetta contro la copertina del libro adagiato sul suo letto. Rimase in silenzio per un momento, raccogliendo la concentrazione.

«Gemino», pronunciò distintamente, infondendo in quella parola tutta la magia di cui era capace.

Il volume si duplicò all'istante, ma lei attese prima di toccare quello che aveva appena creato. Alla fine si fece coraggio e lo aprì, sfogliandone le pagine: alcune erano scritte, altre, purtroppo, immacolate, ma la frustrazione per il fallimento non le impedì di notare che le era riuscita solo la replica dei capitoli che aveva già studiato e che ricordava meglio.

Mise da parte l'ennesimo esperimento fallito, depositandolo su una pila di precedenti tentativi andati a vuoto, forte della consapevolezza di aver fatto comunque qualche progresso rispetto a quando era in grado di ottenere soltanto la copertina.

Si concentrò sul libro originale, sforzandosi di non pensare al contenuto, ma immaginando le pagine, che aveva distrattamente sfogliato almeno una volta, tutte piene di parole e simboli.

«Gemino», sussurrò a occhi chiusi.

Si fiondò ad aprire la copia e trovò, con grande soddisfazione, che nessun foglio era rimasto bianco, ma che in molti casi le lettere erano scritte male o completamente a caso.

Si accontentò: l'importante era che sembrasse davvero un libro suo. Sicuramente, in caso di furto accidentale, non sarebbe neanche stato aperto.

Cassidy irruppe nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, appoggiandovisi contro per impedire a chiunque di entrare. «Sono nei guai.»

Un'occhiata alla colonna di volumi impilati sul pavimento accanto al letto di Rose le fece inarcare un sopracciglio, distraendola dal suo dramma personale. «Stiamo aprendo una biblioteca clandestina?»

Lei li fece Evanescere con un colpo di bacchetta, conservando solo l'ultimo duplicato, e liquidò la questione con un cenno della mano. «Che succede?»

«Luke Goldstein è stato in infermeria.»

Rose le rivolse un'occhiata interrogativa, invitandola a proseguire.

«Ricordi Andrew Davies?»

«Il ragazzino di Corvonero del secondo anno che ti muore dietro?»

«Lui. Mi ha fatto il favore di fingersi malato per tenere d'occhio Jordan.»

Lei si preparò a ricevere una serie di informazioni che probabilmente avrebbero messo nei guai entrambe. «E come avrebbe fatto?»

«Merendine Marinare.»

Ovviamente. «Non è insolito che Luke faccia visita a Jordan», le fece notare, sedendosi sul proprio letto. «Dopotutto è il suo Portiere.»

Cassidy parve ricordarsi di possedere una bacchetta, quindi si staccò dalla porta e la sigillò con la magia, per prendere posto accanto a lei. «Quel Vermicolo di Jordan Kirke ha parlato.»

Rose sospirò. La sua amica la stava guardando con rabbia mista a una seria preoccupazione e lei non poté fare a meno di cogliere la richiesta di aiuto che stava lanciando. «È amico di James, non mio», le ricordò.

L'altra le prese la mano. «Se non provi a parlare con Luke finirò nei guai.»

«Non credo che mi ascolterà.»

Cassidy alzò gli occhi al cielo. «Ti sottovaluti sempre. Ti assicuro che lui ti starà a sentire ben volentieri

***

Il crepitio delle fiamme nel camino era sovrastato dal chiacchiericcio dei suoi compagni di Casa, eppure James adorava la caotica tranquillità della Sala Comune. Seduto sulla sua poltrona preferita, stringeva tra le mani una lettera ricevuta durante il pranzo e letta già due volte, le cui ultime righe lo avevano tubato più di quanto gli piacesse ammettere.

Percorse con un dito la lieve irregolarità della pergamena vergata dalla grafia disordinata di suo padre e immaginò che il significato di quelle parole abbandonasse l'inchiostro per attraversare la sua pelle e imprimersi dentro di lui.

Prenditi cura di tutti, contiamo su di te.

Una fiducia che non sentiva affatto di meritare, non nel giorno in cui aveva litigato con suo fratello e non era neanche riuscito a parlare con Rose.

Ti vogliamo bene.

Un affetto di cui non avrebbe potuto fare a meno neanche se fosse stato questione di meriti - e per fortuna non lo era affatto.

Sbagliava sempre qualcosa, James, nel rivolgersi ai suoi familiari più piccoli; lo sapeva, eppure non aveva ancora imparato a farlo nel modo giusto. Era troppo esigente con Albus, troppo opprimente con Lily e Hugo, troppo protettivo con Rose. Alla fine dell'anno avrebbe lasciato la scuola senza essere mai riuscito a porsi come un riferimento per loro, che probabilmente sarebbero stati sollevati di liberarsi della sua presenza.

Si passò una mano sul viso, insopportabilmente stanco. Che agli altri piacesse o meno, lui era il più grande ed era responsabile per tutti, e se ciò significava intromettersi nelle loro vite passando per un fastidioso impiccione, allora lo avrebbe fatto senza alcun rimpianto. In qualche modo credeva - o forse almeno sperava - che in un momento di bisogno sarebbe risultato loro istintivo rivolgersi a lui; in caso contrario, averli tutti sotto controllo permetteva a lui di tenere d'occhio la situazione e percepire in tempo l'insorgere di eventuali problemi.

Quel suo contorto e ampiamente criticabile metodo era risultato piuttosto efficace in passato: quando Lily, al suo primo anno, si era sentita emarginata perché i suoi compagni la prendevano in giro, lui era stato lì per lei, pronto a ricordarle quanto fosse speciale; quando Rose aveva sofferto per la fine della sua storia con Malfoy, James era stato presente per asciugarle le lacrime e spingerla a uscire di nuovo, le aveva strappato dapprima sorrisi e poi anche qualche risata sincera, mentre pian piano tornava ad essere la ragazza vitale che lui conosceva fin da bambina.

Non gli interessava che ormai entrambe ritenessero le sue attenzioni superflue, così come non gli importava che Albus lo credesse ottusamente ostile nei suoi confronti e in quelli del suo migliore amico. Malfoy non gli piaceva, non ne aveva mai fatto mistero - d'altra parte cosa poteva pensare del ragazzo che aveva spezzato il cuore di Rose? - ma il risentimento trovava ragione nell'inspiegabile incapacità del fratello di vedere i suoi difetti. Certo, nemmeno James era perfetto, ma l'ammirazione con cui Albus guardava a Scorpius Malfoy gli faceva torcere lo stomaco e accendeva in lui un incontrollato moto di rabbia.

Fu Rose a strapparlo da quei pensieri, avvicinandosi a lui dopo un'intera giornata passata a evitarlo. Gli strinse piano la spalla, con una dolcezza che gli ricordava sempre di quando erano piccoli, e che ormai si premurava di rivolgergli solo quando lui non eccedeva con le attenzioni nei suoi confronti.

«Zio Harry?», domandò, accennando alla lettera.

James le sfiorò leggermente il dorso della mano in segno di saluto, poi ripiegò la pergamena, nascondendone le parole alla vista di entrambi. «Sì.»

«Tutto bene?»

«Sì.» James aveva imparato a mentire molto presto, soprattutto per la necessità di fingersi estraneo ai guai in cui era solito cacciarsi nei primi anni di scuola, ma con il tempo aveva affinato quell'abilità allo scopo di rassicurare il prossimo - su una situazione difficile o anche sul proprio stato emotivo.

Tuttavia, Rose si era sempre mostrata altrettanto capace di smascherarlo, tanto che lui non si sforzava neanche più di fingere con lei.

«Che cosa dice?», gli domandò sua cugina.

James le passò la lettera. «Il lavoro di papà procede bene, così come quello di mamma, che è anche stata invitata a rilasciare un'intervista come ex giocatrice delle Harpies», sintetizzò. «Riportano i saluti di zia Hermione e zio Ron e si raccomandano di non finire troppo spesso in punizione.»

Rose si lasciò sfuggire un sorriso, ma continuò a scorrere rapidamente il contenuto della missiva. L'occhio attento di James percepì distintamente il momento in cui lesse le ultime parole e la fronte le si aggrottò leggermente. «Be', sul fatto che tu ti prenda cura di tutti non c'è dubbio», commentò scherzosamente.

James provò a sorridere, ma non risultò convincente neanche a se stesso.

La cugina gli diede un pugno giocoso sul braccio. «Se sei preoccupato per me non devi. Anzi, ti assicuro che in questo momento sono io quella che progetta di risolvere una situazione spinosa per un'amica.»

Lui le rivolse un'occhiata interrogativa, ma lei non approfondì.

«Sai dov'è Luke?»

«Sarà qui a momenti. Hai bisogno di qualcosa?», domandò, incapace di trattenersi.

Rose scosse il capo. «Non è per me, te l'ho detto. E tu?», fece lei, prendendolo in contropiede. «Hai bisogno di qualcosa?»

James fu segretamente orgoglioso della sicurezza con cui gli aveva posto quella domanda e comprese che Rose era forte abbastanza da gestire non solo i propri problemi, ma anche quelli degli altri. Per la prima volta considerò che per avvicinarsi a lei, ai cugini e ai fratelli avrebbe potuto aprirsi e offrire loro la stessa sincerità che pretendeva a sua volta, sebbene gli risultasse tutt'altro che semplice.

«No», disse piano. «Ho discusso con Albus e temo di aver detto, o lasciato intendere, qualcosa che non penso realmente.»

La ragazza lo guardò di traverso. «Allora scusati, no?»

Lui esitò. «Se lo facessi lui penserebbe che mi sia rimangiato tutto quello che ho detto e non è così.»

«E cos'è che non ti rimangi?», gli chiese, incrociando le braccia sul petto.

C'era una nota di rimprovero nella sua voce e James non poté fare a meno di sorridere. «Non mi piace che lui prenda sempre le parti di Malfoy.»

«È il suo migliore amico.»

«È il tuo ex», precisò lui, aspettandosi già la ramanzina che avrebbe ricevuto in risposta e riportando lo sguardo sulle fiamme ardenti nel camino.

«Non sono affari suoi», borbottò infatti Rose. «Né tantomeno tuoi. Se Scorpius non ti piace è un problema tuo, ma gradirei che le ragioni non avessero a che fare con me.»

James puntò gli occhi nei suoi. «Non posso, mi dispiace», ribatté senza alcuna traccia di pentimento nella voce. «Ma se può consolarti non mi piaceva neanche prima che iniziaste a uscire insieme.»

Rose alzò gli occhi al cielo. «Mi era chiaro già all'epoca, ma mentre a me non interessava affatto la tua opinione in merito, Albus potrebbe essere sfortunatamente più sensibile a quello che dici.»

Lui scoppiò a ridere, perché la dura realtà era che a nessuno fregava un accidente di cosa pensasse lui di Scorpius Malfoy. «Non ne sono così sicuro.»

«Vuoi dirmi perché avete litigato?»

L'ilarità si spense e James ripensò alla discussione avuta con il fratello e alla delusione che aveva visto affiorare nel suo sguardo mentre realizzava ciò che lui aveva involontariamente suggerito. «Potrei aver insinuato che il fatto che lui stia sempre dalla parte di Malfoy lo rende estraneo alla nostra famiglia.»

Rose lo guardò sbigottita, rimase in silenzio per qualche secondo e poi lo colpì sulla testa. «Ma sei scemo?»

Solo un po'. «Non lo penso davvero e lui lo sa.»

«No che non lo sa», lo rimproverò lei. Poi, incapace di trattenersi, gli diede un altro piccolo schiaffo. «Di tutti gli argomenti su cui puoi sbagliare la scelta delle parole, questo è senza dubbio il peggiore. Lo sai che soffre a essere l'unico Serpeverde tra noi.»

«A me non importa che non sia un Grifondoro», precisò James, ed era assolutamente vero, gliel'aveva anche detto in più di un'occasione - ma non si era preoccupato troppo di non essere creduto.

«Importa a lui

A quel punto, James tacque. Sbagliava sempre qualcosa, ormai lo sapeva, ma si sforzò di credere che poteva migliorare il proprio approccio con un po' di impegno. «Mi scuserò.»

«Bene», convenne Rose in tono ragionevole, ma lui colse una sfumatura di incredulità nella sua voce. Poi, dopo aver riflettuto qualche istante, lei lo sorprese con una proposta che non gli faceva ormai da un po': «Ti andrebbe una passeggiata al Lago?»

Lui sapeva quanto sua cugina amasse quel posto e la difficoltà che aveva avuto a tornarci dopo la rottura con Scorpius. «Certo», si affrettò a rispondere prima che cambiasse idea. «Ma dovrei fare una doccia, prima.»

«Nessun problema. Devo scambiare due chiacchiere con Luke, da sola», concluse indicando con un cenno del capo l'ingresso della Sala Comune.

James si voltò e vide l'amico avvicinarsi, quindi gettò uno sguardo perplesso a Rose, che andò completamente sprecato perché l'attenzione di lei era tutta assorbita dal nuovo arrivato.

«Buone notizie», annunciò quest'ultimo. «Jordan sarà dimesso domattina e potrà riprendere gli allenamenti anche subito.»

«Davvero?», gli fece eco lui. «Finalmente! Sta bene?»

«Tutto risolto», confermò Luke, spostando gli occhi tra lui e Rose. «Le bolle sono sparite e non hanno lasciato segni permanenti. Pare si sia trattato di una fattura piuttosto originale.»

«Ha ricordato qualcosa sul responsabile?», domandò James.

Questa volta, colse distintamente l'occhiata divertita che il suo amico rivolse a Rose. «No.»

«Perché non vai a prepararti?», suggerì sua cugina, in un chiaro invito a lasciarli soli. «Tra un paio d'ore farà buio.»

Decise che era meglio non approfondire e si alzò. «Farò in fretta», promise baciandole la guancia. Poi rivolse un saluto all'amico e si avviò in direzione dei dormitori.

***

«Allora è così», disse Rose, mentre Goldstein prendeva posto sul divano accanto. «Nessuno sarà punito per quello che è capitato a Kirke?»

Luke le fece cenno di sedersi, ma lei era troppo nervosa per farlo, quindi si limitò ad appoggiarsi al bracciolo della poltrona che fino a poco prima aveva occupato James. «Suppongo di no», rispose lui, «per ora. Non credo che i professori lasceranno correre.»

Lei si sforzò di rimanere impassibile. «Pensavo si fosse trattato di uno scherzo», commentò. «Sono cose che accadono abbastanza di frequente.»

«Non per questo sono meno gravi», le fece notare.

Rose non riusciva a decidere se lui la stesse prendendo in giro oppure no. L'episodio era certamente serio, ma lei non l'avrebbe definito grave, visto che nessuno si era fatto male. D'altro canto, l'antipatia nei confronti di Jordan Kirke poteva aver viziato il suo giudizio, complice la segreta convinzione che se lo fosse assolutamente meritato.

«E non ci sono sospetti?» Doveva convincerlo a rivelarle ciò che sapeva, in modo da verificare se ci fosse la necessità di implorarlo di mantenere il segreto.

«Se ne esistessero, i miei doveri di Caposcuola mi imporrebbero di riferirli.»

La scintilla di divertimento nei suoi occhi blu infranse definitivamente l'espressione severa che si era sforzato di mantenere fino a quel momento e lei si rilassò.

«Una fortuna, per il responsabile, che non sia così», convenne stando al gioco.

«Ma ho saputo qualcosa che potrebbe definirsi un pettegolezzo e quindi probabilmente irrilevante ai fini della questione», proseguì lui. «Pare che Jordan sia l'unico studente di Hogwarts ad essere riuscito a mantenere segreta la propria vita sentimentale.»

«Davvero?», replicò Rose, fintamente sorpresa. «Ha una ragazza?»

«No», rispose l'altro. «Ma fino a qualche tempo fa ne aveva due

Lei non batté ciglio. «Ammirevole la sua capacità di nascondere non una ma ben due relazioni.»

Luke scoppiò a ridere, strappando un sorriso anche a lei. «Non era poi così bravo se è finito affatturato in infermeria.»

«Prima o poi i segreti vengono sempre a galla. Immagino sarà così anche per l'identità delle due ragazze.»

«Forse», disse lui, poco convinto. «O forse no. Dipenderà da quanto si riveleranno loquaci le persone che ne sono a conoscenza.»

«O da quanto si riveleranno diligenti i Caposcuola coinvolti.»

Rose abbandonò la poltrona e si sedette all'altro capo del divano rispetto a Luke, ricalcando la posizione in cui si erano trovati qualche ora prima, quando avevano parlato del Distillato della Pace.

Lui le sorrise. «Puoi stare tranquilla.»

«Io?», fece lei, fintamente offesa. «Io non c'entro assolutamente niente.»

«Certo che no. Pensavo potessi essere preoccupata per...», si guardò intorno con fare circospetto, poi ridusse la voce a un sussurro: «Karen Jones.»

Rose scoppiò a ridere. «Nient'affatto. Anzi, non mi dispiacerebbe vederla in punizione», ammise riprovevolmente. «Ma temo che nessuno trarrebbe beneficio da un approfondimento della faccenda. Soprattutto non l'altra ragazza.»

Lui si disse d'accordo, l'ombra di una risata ancora sulle labbra, poi distese le gambe davanti a sé e poggiò la testa contro lo schienale del divano.

«Giornata pesante?», domandò Rose d'istinto, tranquillizzata dall'aver portato a termine il proprio compito con successo.

Lui voltò la testa per guardarla mentre le rispondeva: «Solo un po'. Tu invece come stai?»

Di Luke le piaceva che si rivolgesse sempre a lei alla pari, nonostante la conoscesse come la cugina più piccola del suo migliore amico. C'era una spontaneità rilassante in quella domanda, un'assenza di sottintesi che la illuse per un istante che non le stesse chiedendo della discussione con Dominique o di come si sentisse a sapere di lei e Scorpius. «Sto bene.»

«Mi fa piacere», disse lui sinceramente.

Lei gli sorrise ancora, poi seguì il suo sguardo fino a James, che era ricomparso sulla soglia della Sala Comune e si avviava verso di loro.

«Finalmente!», lo canzonò Rose. Poi rivolse al cugino un'espressione incoraggiante. «Andiamo?»

***

Era alla ricerca di qualcuno che potesse costituire una soluzione al suo problema quando Rose adocchiò un ragazzino con indosso la divisa del Quidditch che attraversava l'atrio nello stesso istante in cui lei e James facevano altrettanto.

«Aspettami qui per un secondo, devo salutare un amico», disse al cugino, allontanandosi da lui. Poté solo immaginare l'espressione sorpresa di James nel sentirle definire amico quel Serpeverde che aveva incrociato appena qualche volta, ma Rose non si curò di sembrare sfacciata nell'avvicinarsi a lui. Chiamò a raccolta tutta l'autorità di studentessa più anziana che sentiva di possedere e sperò che fosse sufficiente a garantirle un certo ascendente su un compagno più giovane.

«Pete, giusto?», lo apostrofò con un sorriso.

Il ragazzo si guardò intorno, quasi fosse indeciso sul fatto che si stesse rivolgendo proprio a lui.

«Ma certo che sei Pete», ripeté Rose, rammentando di aver sentito il suo nome da James e Luke, in un'occasione in cui avevano discusso della partita che avrebbero giocato contro la squadra di Scorpius. «Ho bisogno che tu mi faccia un favore.»

Lui si irrigidì e parve sul punto di cominciare a tremare, ma poi rispose con voce flebile: «Se posso...»

«Sì che puoi», lo rassicurò lei. «Sono io che non posso entrare nella Sala Comune di Serpeverde per riferire a mio cugino Albus che lo aspetto al più presto al Lago Nero. Perciò dovrai essere tu a farlo per me», concluse, mettendogli una mano sulla spalla. «Non è vero, Pete

C'era un'inflessione minacciosa nel tono con cui continuava a ripetere il suo nome, ma Rose non si pentì affatto di averlo spaventato, perché era disposta a tutto pur di ottenere quello che le serviva. Di tanto in tanto si ritrovava a pensare che sarebbe stata bene tra i Serpeverde.

«Ma-ma c'è l'allenamento tra poco», replicò il ragazzo. «E il capitano odia che arriviamo in ritardo.»

Rose annuì, con fare comprensivo. «Hai ragione, certo. Passare per i Sotterranei prima di andare al campo ti farebbe perdere molto tempo», convenne. Poi lo guardò dritto negli occhi e gli rivolse un sorriso perfido. «Quindi farai meglio a sbrigarti.»

***

James camminava piano al suo fianco, adeguandosi al ritmo placido che a Rose piaceva mantenere quando passeggiava in riva al Lago. Lei adorava sentire il rumore dei propri passi sulla ghiaia e lasciarsi investire dall'odore delle erbe lacustri che qualche volta si era anche fermata a raccogliere per sperimentare una pozione nuova. Rammentava senza alcuno sforzo i momenti più belli che aveva trascorso in quel luogo, quasi tutti con Scorpius, e le si stringeva lo stomaco nel realizzare di essere diventata incapace di districarlo dal pensiero di lui.

Si rimproverò silenziosamente per la nota di amarezza che avvelenava sempre i suoi ricordi migliori, ma allo stesso tempo cercò di non essere troppo dura con se stessa: si era innamorata, non poteva essere una colpa, né era responsabile di non essere stata ricambiata fino in fondo. E di certo non aveva motivo di vergognarsi, né dei propri sentimenti, né tantomeno di aver sofferto. Se si fosse perdonata, se fosse stata capace di accettare le cose per quello che erano, ovvero la normale evoluzione di una relazione che non aveva funzionato tra due ragazzi, allora se la sarebbe cavata senza problemi. Aveva fatto del proprio meglio, quindi non doveva avere rimpianti.

«A cosa pensi?», chiese a James, prima che lui potesse fare la stessa domanda a lei.

«Mi crederesti se ti dicessi "a niente"?»

«No.»

Lui rise. «Allora al Quidditch.»

Non era vero, Rose lo sapeva, ma sorrise di quel suo goffo tentativo di non turbarla rivelando che pensava a lei, forse ai giorni successivi alla rottura con Scorpius, nei quali lei spariva e suo cugino la ritrovava sempre lì, in quello stesso posto intriso di memorie.

«Non sei ancora convincente», lo prese in giro.

Oppure, invece, James pensava a quando lei aveva smesso di andarci, perché non riusciva più ad affrontarli, quei ricordi in cui si era rifugiata fino a poco tempo prima.

Lui si finse offeso. «Come puoi mettere in dubbio la mia onestà

Rose doveva dargliene atto, lui l'aveva vista nelle condizioni peggiori e non aveva tentennato neanche una volta. Non quando aveva pianto, quando non provava altro che rabbia, quando si era sentita così vuota da non riuscire a fare alcunché. Doveva essere stato orribile, per lui, guardare una persona che amava decomporsi a poco a poco, crollare irreversibilmente una briciola alla volta, perché era questo che era accaduto a Rose: era sfiorita, perdendo petali sotto il peso di un vento implacabile, come un fiore appassito di quelli con cui condivideva il nome. E poi aveva reagito, si era ripresa e per la prima volta aveva visto un'ombra di sollievo animare lo sguardo di suo cugino, l'unica reazione che si fosse mai lasciato sfuggire su un volto altrimenti inscalfibile. Gli aveva rimproverato le premure eccessive e l'opprimente controllo che pretendeva di avere su di lei, ma a parti invertite, forse, Rose non sarebbe stata capace di guardarlo stare male come James aveva fatto con lei, rimanendo al suo fianco e senza crollare a sua volta.

«Devo chiederti di farmi una promessa», gli disse di punto in bianco, coprendosi gli occhi dal sole che si avviava verso il tramonto.

James la invitò a continuare, curioso.

«Non arrabbiarti con me per quello che sta per succedere.»

Lui si accigliò, poi ebbe un'intuizione e si voltò. Dietro di lui, Albus si avvicinava a loro con la stessa espressione perplessa del fratello, spostando lo sguardo da lui a Rose in attesa di spiegazioni.

«Cosa c'è di così urgente da farmi correre qui?», domandò a mo' di saluto.

Forse Pete era stato un po' troppo zelante, ma lei non si scompose. «Credo che tu e James abbiate qualcosa di cui parlare.»

Quest'ultimo sospirò. «E dici a me di non impicciarmi?»

Rose rivolse un sorriso angelico a entrambi. «Siete due idioti, ma siete i miei cugini e vi voglio bene», asserì. «Perciò adesso farete la pace, come si fa tra bambini piccoli che hanno bisogno di essere guidati da qualcuno per capire che i loro litigi sono troppo stupidi per durare a lungo.»

Albus alzò gli occhi al cielo. «Me ne torno al castello.»

James scrollò le spalle. «Problema risolto.»

«Non osate ignorarmi», li rimproverò lei in tono minaccioso.

Albus, che si era già allontanato di un paio di passi, si arrestò e tornò a voltarsi verso di loro.

«James, comincia tu», ordinò lei.

Lui sospirò. «Scusami se ho detto che sei estraneo alla famiglia», pronunciò in tono stanco, ma sincero. «Non era quello che intendevo, né lo penso.»

Albus si accigliò, forse meno disposto a credergli di quanto lo fosse Rose. «E cos'è che intendevi», replicò infatti, «quando hai detto che non faccio mai le scelte giuste?»

Il suo tono era abbastanza alto da incuriosire i pochi studenti di passaggio, che voltavano la testa al loro indirizzo per cogliere qualche frammento della discussione.

James strinse le labbra in una linea dura. «Lo sai.»

«Ma dillo, ti prego», lo incalzò il fratello, allargando le braccia come a mostrarsi pronto a incassare il colpo. «Non lasciamo spazio a fraintendimenti.»

«Non è un segreto che Malfoy non mi piaccia», ammise l'altro, senza alcuna traccia di pentimento.

Albus gli rivolse un sorriso di scherno. «E quindi se Goldstein fosse un imbecille, o se io lo ritenessi tale, questo mi autorizzerebbe a criticare te perché sei suo amico?»

«Sì, dannazione!», rispose James, perdendo finalmente le staffe. «Cosa ti aspetti che faccia se non dirti che hai preso un abbaglio? Dovrei prendermela con lui? Bene, allora lo sfiderò a duello», propose sarcastico. «Sempre meglio che mollargli un pugno in un corridoio, come avrei voglia di fare ogni volta che lo incrocio.»

Rose si accigliò, ma si costrinse a restare in disparte. Se avevano bisogno di urlarsi contro a vicenda per tirare fuori ciò che sentivano, lei li avrebbe lasciati fare, ma si sarebbe assicurata che alla fine deponessero le armi.

Albus si guardò intorno, inibendo con un'occhiataccia le ragazze che avevano rallentato il passo fino a fermarsi per ascoltarli, e spingendole a una rapida fuga. «Peccato che Goldstein non abbia un fratello», commentò. «Qualcuno avrebbe dovuto dire a lui che sei tu l'imbecille.»

James abbassò le palpebre, sforzandosi di mantenere la calma. «Tu ti aspetti troppo da lui», pronunciò lentamente, poi riaprì gli occhi su quelli di colore diverso di suo fratello. «Pensi che sia perfetto e credi che, a prescindere da come agisce con gli altri, con te si comporterà sempre bene. Non è così», scandì con una punta di dispiacere nella voce. «Prima o poi ti deluderà e tu ne uscirai a pezzi.»

Rose trattenne il fiato, ma Albus reagì più prontamente. «Lo dici perché lo hai visto accadere a lei?», la indicò, poi le rivolse uno sguardo di scuse. «Mi dispiace, Rosie, so che sei stata male e sai quanto avrei voluto potertelo evitare. Ma è molto diverso», tornò a parlare al fratello, «loro stavano insieme, noi siamo amici. Le relazioni possono finire.»

«Anche le amicizie», replicò James.

«Sì», concesse lui, «ma non puoi dare per scontato che succederà solo sulla base di quello che è capitato a Rose.»

«Adesso basta», intervenne lei, quando fu certa di avere il controllo sulla propria voce. «Il mio rapporto con Scorpius non è affar vostro. Comunque siano andate le cose tra noi, Albus non è tenuto a schierarsi da una parte o dall'altra, perché non ci sono fronti contrapposti, ma solo una relazione che non ha funzionato e che riguarda soltanto me.»

Albus distolse lo sguardo, ma James assunse un'espressione mortificata e Rose si rivolse direttamente a lui. «Sono io l'unica ad avere il diritto di odiarlo. Se hai delle perplessità sulle amicizie di tuo fratello puoi e devi esprimerle, ma i miei problemi non possono diventare le tue giustificazioni.»

«Non sono giustificazioni», la corresse lui. «Sono motivazioni

«Che non ti appartengono», insisté lei. «E per come la vedo io, se Hugo facesse delle scelte che non condivido, gli esporrei il mio punto di vista, ma poi lo supporterei in ogni caso.»

James incrociò lo sguardo del fratello e parve cogliere per la prima volta la sua espressione ferita. «Mi dispiace», gli disse sinceramente.

Albus annuì.

Rimasero a fissarsi per qualche istante e proprio quando Rose si fu convinta che nessuno dei due avrebbe aggiunto altro, James la sorprese: «Non mi importa che tu sia in una Casa diversa o che frequenti persone che non mi piacciono», si sforzò di dire. «Cioè, sì, mi interessa, ma non è poi così rilevante.»

Albus parve confuso, ma Rose sorrise tra sé, nel vedere il maggiore dei Potter lottare con le parole per esprimere un concetto che per lui era alla base di tutto.

«Sei la mia famiglia», disse alla fine, con uno sforzo immenso. «Questo è importante.»

***

Il dolore ai muscoli stanchi per il Quidditch era la sensazione più piacevole che riusciva a provare quella sera. Scorpius era stato irascibile per tutta la durata degli allenamenti, aveva chiesto troppo ai suoi compagni e poi li aveva mandati via con incoraggiamenti e complimenti in cui non credeva, dettati più dal senso di colpa per essere stato troppo esigente che non da un parere sincero. Li aveva lasciati alle docce da soli, in modo che potessero lamentarsi liberamente di lui, unendo lo spogliatoio contro quel capitano insopportabile; poi, una volta andati via tutti, era andato a lavarsi anche lui, troppo stanco per pensare a schemi di gioco e strategie.

Tornare al dormitorio fu l'azione meccanica che compiva ormai da cinque anni e che si accompagnava sempre all'insopprimibile lampo di serenità che provava al pensiero di ritrovare Albus dopo essere stati separati per un motivo qualsiasi - mai abbastanza valido.

Quel giorno, rientrare aveva un sapore diverso, ovvero quello della speranza di potersi lasciare alle spalle il peso di una giornata orribile e di una discussione in cui neanche credeva. Era pronto a chiedere scusa, a farsi perdonare, perfino a cambiare idea su cose di cui si pensava convinto.

Quando aprì la porta della loro stanza, lui era lì, seduto sul letto a gambe incrociate, con un libro di Erbologia tra le mani. Lo vide alzare la testa e incrociò il suo sguardo, leggermente sorpreso di vederlo tornare prima del solito.

«Possiamo parlare?», domandò Scorpius di getto, prima che lui potesse mormorare qualcosa e fuggire via da lui.

Ma Albus non sembrava affatto intenzionato ad andarsene: chiuse il libro e lo mise da parte, tornò a rivolgersi a lui e gli fece un sorriso appena accennato. «Scusami.»

Non ce la faceva, a sostenere quello sguardo carico di colpe - inesistenti - e l'espressione dolce macchiata di rammarico. Non sopportava di essere sempre assolto tanto facilmente, di sentirsi investito di una fiducia che era certo di non meritare. Parole non dette gli bruciavano le labbra con cui non riusciva mai a pronunciarle, e le sue, di colpe - esistenti - si mescolavano a sentimenti che avrebbero dovuto essere più positivi. E invece corrodevano.

«Non sei tu a doverti scusare», replicò subito, chiudendosi la porta alle spalle. «Sono io che ho sbagliato e mi dispiace.»

«Ho avuto una discussione con mio fratello, stamattina», spiegò Albus, invitandolo con un colpetto sulle coperte a sedersi accanto a lui. «Prima della lezione di Incantesimi.»

Scorpius si avvicinò e prese posto sul suo letto. «Che è successo?»

«La solita discussione stupida.»

Colse perfettamente il sottinteso: era lui la causa del litigio, o almeno il motivo per cui avevano iniziato, forse finendo per scivolare in questioni che avevano turbato Albus più di quanto avrebbe fatto qualche insulto rivolto a lui.

Scorpius arretrò leggermente e posò la testa contro il muro dietro di loro, puntando lo sguardo sulla schiena dell'amico. «E come è andata?»

«Esattamente come immagini. Le solite cose, dette e non dette.»

Lui, intanto, non stava dicendo assolutamente niente, ma Scorpius non aveva bisogno di sentirsi esporre le sue insicurezze, perché le conosceva meglio delle proprie. Avrebbe voluto ricordargli che James era soltanto un idiota, ma l'invito di Lily a essere più indulgente gli pesava sui pensieri.

«Non sempre riesce a capirti», disse allora.

Albus sospirò, ruotò la testa per guardarlo e sorrise dispiaciuto. «A volte non mi capisco neanche io. Perché sono così diverso dai miei fratelli? Qual è il motivo per cui sono un Serpeverde?»

Scorpius gli passò un braccio sul busto, attirandolo a sé schiena contro petto, perché non avrebbe sopportato di dover rispondere alle sue domande con quegli occhi verdi puntati su di sé. «Non importa che tu non sia esattamente uguale a loro», lo rassicurò. «Secondo me sei speciale. E forse il motivo per cui sei qui è che io ho bisogno di te.»

Senza che gli fosse necessario vederlo, Scorpius percepì il sorriso che gli affiorò sulle labbra dal modo in cui espirò, liberandosi dell'aria che aveva trattenuto. Albus gli toccò la mano con cui lui lo stringeva a sé, ma non cercò di divincolarsi e lui rimase immobile.

«Rose ci ha costretti a parlarne», gli disse, proseguendo nel suo racconto. «Ci ha fatti incontrare senza che ce lo aspettassimo. James si è scusato», esitò, enfatizzando quella sorprendente informazione. «Ha detto che sono la sua famiglia.»

Accentuò la stretta, soddisfatto del suo tono più sereno. «Bene.»

Il silenzio calò su di loro senza che nessuno dei due ne fosse disturbato. Scorpius chiuse gli occhi, beandosi del primo momento di pace che aveva da quella mattina, ma li riaprì non appena il suo amico riprese a parlare.

«Tu e Dominique, allora», iniziò poco convinto. «State insieme?»

«No», rispose lui. «Niente del genere. Ci siamo baciati», liquidò la questione. «Non ricapiterà.»

«Se dovesse succedere...»

«Non succederà.»

«Ma qualunque cosa accadesse, con chiunque», insisté Albus, «non tenermi all'oscuro. Le omissioni sono bugie.»

Di nuovo, il senso di colpa gli attanagliò lo stomaco. Era una scelta codarda, la sua, dettata dalla paura e dalla vergogna, ma si diceva che aveva diritto a tenere per sé alcune cose, sebbene fosse consapevole che poterlo fare non implicava direttamente una motivazione valida.

«A questo proposito», iniziò, prima di perdere quel poco di coraggio che aveva. «C'è una cosa che devo dirti. Gira una voce...»

Partire da lontanissimo era la scusa con cui prendeva tempo, permettendo a una parte di sé di avere ancora modo di tirarsi indietro, mentre si forzava a parlare.

Albus ridacchiò. «Di già?», protestò con una traccia di divertimento nella voce. «Non devi dare troppo peso alle dicerie. Voglio dire, James l'ha detto, ma non intendeva sfidarti a duello sul serio

Accaddero contemporaneamente diverse cose: la porta della stanza si aprì e Neil e Tom entrarono parlando di Quidditch; Scorpius realizzò che lui e Albus si trovavano in una posizione che poteva sembrare molto intima, vista dall'esterno, ma l'amico non parve preoccuparsene affatto, e lui si limitò a soffocare l'istinto di lasciarlo andare e scelse di prolungare quella concessione che aveva fatto a se stesso; infine, la sua mente elaborò le parole di Albus: la sorpresa lo privò di ogni briciola di coraggio e la concomitanza di più distrazioni lo distolse dal buon proposito di parlare apertamente.

«Tuo fratello ha detto cosa?»

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Note

Gli effetti dell'incantesimo Gemino e i diversi risultati ottenuti da Rose nel corso dei suoi esperimenti non sono propriamente canon, ma mi sono sembrati abbastanza logici da poterli inserire nella storia, con lei che cerca un modo intelligente per difendersi dai dispetti di Len.

Andrew Davies, Corvonero del secondo anno appena menzionato come uno spasimante di Cassidy, è un personaggio originale che deve il cognome a Roger Davies, il capitano della squadra di Quidditch di Corvonero che accompagnò Fleur Delacour al Ballo del Ceppo. Analogamente, Jordan Kirke, Portiere di Grifondoro, nonché straordinario studente capace di avere due relazioni segrete tra le mura di Hogwarts, è un personaggio di mia invenzione che deve il cognome a Andrew Kirke, studente della casa di Grifondoro che nel quinto libro sostituisce uno dei gemelli Weasley come Battitore insieme a Jack Sloper,

I riferimenti a una passata relazione tra Scorpius e Rose, nonché alla loro rottura e al legame che Rose ha con le rive del Lago Nero, sono spiegati nelle OS precedenti, ovvero Non ne troviamo cicatrice e, soprattutto, Amari spiccioli contesi.

Qui iniziamo a comprendere meglio i pensieri dei personaggi principali, cosa li spinge ad agire in un certo modo e quali sono le motivazioni alla base delle loro azioni. Spero che la lettura vi stia appassionando, nel frattempo ci tengo a ringraziare tutti coloro che mi hanno lasciato dei commenti. ♥

Alla prossima!

Futeki

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