2. Né tu puoi dirlo a me

II

Né tu puoi dirlo a me

Non posso dirtelo - ma lo avverti -
Né tu puoi dirlo a me. [...]

(E. Dickinson)

«Cos'è che gli nascondi?»

Len era semisdraiata sull'erba, con le palpebre chiuse e il viso incorniciato da ciocche d'ebano rivolto al sole. Scorpius sospettò che si reggesse sui gomiti solo per non posare a terra la testa e sporcare i capelli raccolti in una lunga treccia.

«Perché pensi che gli nasconda qualcosa?»

Lui era seduto all'ombra di un albero, a godersi come lei la bella giornata prima della lezione successiva, ma la sua mente correva ad Albus e allo scontro avuto con suo fratello. E Len, ovviamente, lo sapeva.

«È Albus che lo pensa.» Ruotò la testa e aprì gli occhi, scrutandolo con la nera profondità delle sue iridi. «"Un oggetto capace di mostrare ciò che c'è nell'anima delle persone"?»

«È un idealista.»

«Ce l'aveva con te.»

Scorpius si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. «Non credo.»

«Secondo me», fece lei, alzandosi a sedere e voltandosi per averlo di fronte, «ha la sensazione di non capirti fino in fondo.»

Scosse il capo. «Io non gli mento mai e lui lo sa.»

«Questo non significa che tu gli dica sempre tutto.»

Tacque, intimamente colpevole di doverle dare ragione. Non sarebbe mai ricorso a una bugia, né si sarebbe sottratto a una domanda diretta, ma c'erano omissioni di cui si avvaleva di tanto in tanto, silenzi che riteneva facessero più bene che male.

«Se non gli dici la verità ci sarà sempre un muro in mezzo a voi», sentenziò Len.

Scorpius si irrigidì e si impose di rifiutare quell'eventualità. «Non c'è nessun muro.»

«Sì che c'è», insisté lei, alzandosi in piedi. «E quando ci sbatterai la testa contro non venire a piangere da me.»

Lui fece per replicare, ma Len si chinò in avanti e picchiettò con un dito sulla sua fronte, fintamente perplessa. «Non che ci sia davvero qualcosa da danneggiare, qui dentro.»

Scorpius alzò gli occhi al cielo, rassegnato a uscire sconfitto da quella conversazione. «Dove stai andando?», le domandò mentre lei raccoglieva la borsa e se la metteva in spalla.

«In biblioteca. D'improvviso sento l'impellente necessità di prendere in prestito tutte le copie di Geroglifici e Logogrammi Magici», rispose sovrappensiero. «Di certo sarebbe un peccato se Rose perdesse il suo libro e non ne trovasse un altro in biblioteca.»

Lui sospirò, ma non poté fare a meno di sorridere. «Piantala.»

«Chi, Rose? Non è mica una Mandragora, anche se capisco che lo si possa pensare», ribatté provocatoria. «Ma direi che somiglia più a un Bubotubero, quindi per piantarla mi servirebbe addirittura una zolla di terra.»

«Len.»

Lei rise e lo salutò con la mano, mentre si allontanava a grandi passi.

Scorpius la lasciò andare senza preoccuparsi troppo. La rivalità tra le due ragazze era aspra, ma fondamentalmente innocua, e nessuno più di Rose sapeva tenere testa a Eleanor e alla sua creatività.

Posò la testa contro la corteccia e chiuse gli occhi, ispirando il profumo dell'erba umida intorno a lui.

***

Albus lo trovò appoggiato a un albero, nel solito posto in cui passavano il tempo libero nei giorni di sole. Sembrava quasi che dormisse, ma lo vide sollevare una palpebra nell'udirlo avvicinarsi. «Missione compiuta?»

Gli mostrò il pollice in segno di vittoria, quindi si sedette accanto a lui, abbandonando la borsa poco distante. Dapprima Scorpius gli fece spazio, poi evidentemente decise che il tronco non era abbastanza grande per entrambi e si scostò per distendersi, poggiando la testa sulle sue gambe.

Lui non protestò. «Ha capito subito che era stata Len.»

«Sospetto che il motivo per cui ha chiesto a te di restituire il libro a Rose fosse proprio di farle sapere chi c'era dietro la sua sparizione.»

Albus rise. «Probabilmente hai ragione.»

Guardò Scorpius sollevare il braccio sinistro e coprire il sole con la mano, proteggendosi il viso, che non era più in ombra. La sfumatura metallica che la luce aveva acceso nelle sue iridi sparì all'istante, facendole ripiombare nell'oscurità di un fumo troppo denso.

Aveva lineamenti affilati e delicati insieme e Albus non aveva la minima idea di come fosse possibile. I capelli biondi gli cadevano costantemente in ciocche caotiche sulla fronte, ma riusciva a sembrare sempre studiatamente disordinato, quel tanto che bastava a smussare i contorni della sua aura di perfezione, rendendolo più reale: alunno dagli ottimi voti ma mai rinchiuso a studiare, irriverente ma non maleducato, ottimo giocatore di Quidditch, buon amico, fidato compagno. Se gli avesse voluto solo un po' meno bene, lo avrebbe invidiato da morire. E invece era orgoglioso di ognuno dei suoi successi come se fossero i propri e avvertiva sempre un piccolo moto di soddisfazione nel constatare che quel ragazzo che in altre circostanze avrebbe ammirato da lontano era il suo migliore amico.

Faceva caldo, Scorpius aveva arrotolato le maniche della divisa e una cicatrice quasi invisibile faceva capolino sulla pelle bianchissima del braccio sollevato. Albus allungò una mano e la sfiorò con l'indice. «È guarita bene.»

«È passato un anno.»

Si era ferito in uno scontro involontario con il Platano Picchiatore, da cui, ovviamente, era uscito sconfitto. Madama Chips gli aveva messo dei punti, combinando tecniche di medicina Babbana con gli approcci magici, come si usava fare già da qualche tempo.

«Sai, nonno Arthur giura di essere stato il primo mago a sperimentare i punti di sutura, grazie a un certo Augustus Pye», raccontò, ripetendo la storia che aveva sentito più di una volta da bambino. «Ma pare che qualcosa sia andato storto nel suo caso.»

Scorpius ridacchiò, guardando la cicatrice che lui stava ancora accarezzando con le dita. «Combinati con una Pozione Cicatrizzante aiutano a non lasciare segni. È stata una bella scoperta.»

Albus risalì lungo il suo avambraccio fino al polso, poi gli sfiorò con i polpastrelli il palmo, aperto contro il sole: era tiepido, ma le sue dita sottili erano fredde come al solito. Scorpius le allargò per fargli spazio e lui intrecciò la mano con la sua, abbandonandosi alla stretta anche mentre lui lasciava ricadere l'arto sul busto e si arrendeva alla luce e al calore.

«Sembra che sia stata Madama Abbott a convincere Madama Chips ad adottare questa tecnica, riferendole dei suoi studi recenti durante il tirocinio al San Mungo.»

«Deve averla fatta sentire terribilmente vecchia», commentò Scorpius, divertito. «Sarà per questo che poi è andata in pensione.»

«Alla sua età era anche ora», ribatté Albus. «Ma dev'essere bello fare per tutta la vita il lavoro che ami.»

«Sarà così anche per noi.»

Lo aveva detto con una semplicità tale che era impossibile non crederci. Aveva la capacità di far sentire le persone in grado di fare qualunque cosa, di convincerle di essere speciali e piene di talento.

«Sarà dura, almeno all'inizio», obiettò lui, costringendosi a rimanere con i piedi per terra. «L'addestramento per diventare Auror non è una passeggiata. Sempre che mi ammettano.»

Scorpius gli rivolse un'espressione accigliata, come faceva sempre quando mostrava di avere poca fiducia in se stesso o quando parlava al singolare, escludendolo dai suoi eventuali fallimenti futuri. La combinazione delle due cose, evidentemente, non gli piacque affatto. «Sarebbero degli idioti a non farlo», commentò semplicemente.

«Sarà bello vivere da soli», concesse Albus, abbandonandosi al sogno ottimista di iniziare la carriera che aveva sempre desiderato assieme al suo migliore amico. «A casa o a scuola ci sono sempre altre persone a prendersi cura di noi e a darci delle regole. Dovremo cavarcela da soli e sarà un bel passo.»

«Io sono sicuro che avrò comunque te a dettare legge.»

Sorrise. «Be', se non fosse così tu finiresti per morire di fame, tanto per dirne una.»

«Sarò ben felice di lasciarti provvedere al cibo e sopporterò i tuoi comportamenti da despota che regna sull'ambiente domestico», disse tendendo le labbra in un'espressione divertita.

«Mi ringrazierai per la mia organizzazione se vivremo in un appartamento minuscolo, con un solo bagno e un armadio troppo piccolo.»

«E una credenza semivuota, due piatti, due bicchieri e due tazze. Il minimo indispensabile», completò Scorpius, che, al contrario, era abituato all'enorme villa di famiglia. «Mi piace.»

«No», replicò lui, attirando su di sé il suo sguardo perplesso, occhi grigio fumo - ma con una sfumatura d'argento catturata dai raggi del sole - spalancati per la confusione. «Sulle stoviglie pretendo un buon margine di sicurezza, in modo da avere qualcosa in cui mangiare quando dimenticherai di lavare i piatti che ti ho lasciato.»

Lui scoppiò a ridere e Albus avvertì il suo torace scuotersi contro la mano che ancora gli teneva sul petto. «Dovrò farmi insegnare qualcosa da tua nonna, non conosco neanche un incantesimo per la cura della casa.» Un'idea geniale parve colpirlo all'improvviso. «Ci portiamo un Elfo Domestico?»

«Neanche per sogno.»

Scorpius rise ancora, trasmettendogli un irrinunciabile senso di pace. «Dovevo provarci.»

***

Fuori si stava facendo buio e i suoi compagni di squadra avevano già lasciato lo spogliatoio da un pezzo, ma Scorpius se ne stava in piedi a fissare una vecchia lavagna su cui era rappresentata la vista dall'alto del campo di Quidditch.

Si passò una mano tra i capelli ancora umidi per la doccia e sperò che non avessero l'aspetto terribile che gli sembrava di percepire al tatto.

Era sua abitudine trattenersi dopo gli allenamenti per sistemare le attrezzature e studiare nuovi schemi da proporre alla squadra, perciò stava immaginando con precisione ogni spostamento di ciascun elemento dei Serpeverde. Di fronte a lui, tre puntini rossi rappresentavano i Cacciatori, due blu i Battitori e uno verde, nei pressi degli anelli, il Portiere; non aggiungeva mai se stesso, perché sapeva che come Cercatore avrebbe potuto trovarsi praticamente ovunque senza contribuire in alcun modo all'azione. Erano disposti secondo una formazione base, semplicemente allineati nella propria parte del campo come all'inizio di una partita, e lui si limitava a osservarli senza mai modificare la loro posizione, quasi li avesse disegnati solo per ricordarsi quanti erano i giocatori che doveva muovere sul terreno di gioco come pedine su una scacchiera.

Tutto si svolgeva nella sua mente con una chiarezza che sarebbe stato impossibile replicare con linee e simboli. Vide distintamente i Cacciatori di Grifondoro procedere verso gli anelli e Neil e Tom indirizzare Bolidi contro di loro, nel tentativo di arrestarne l'avanzata. Goldstein era il migliore, ma era abbastanza furbo da non incentrare l'azione su di sé, quindi contenere lui non sarebbe stato sufficiente. Gli avversari erano tutti giocatori maturi, con anni di esperienza nel Quidditch alle spalle, mentre Serpeverde poteva contare su soli due Cacciatori. Più Pete.

Dal momento che si trovavano costantemente in inferiorità numerica, l'unico modo di evitare di essere circondati e bloccati era quello di separarli, ma per farlo avrebbe dovuto far lavorare i suoi compagni sui lanci della Pluffa a grandi distanze. Il pericolo di essere intercettati sarebbe stato il problema maggiore, ma con un gioco rapido e preciso e l'aiuto di Neil e Tom potevano riuscire a segnare. I Battitori avrebbero dovuto concentrarsi sul lasciare libero lo spazio tra i Cacciatori più lontani, rinunciando a un gioco difensivo e avanzando con loro in maniera compatta.

Era così preso dalle proprie riflessioni che non si accorse della ragazza che attendeva sulla soglia della porta aperta fino a che lei non batté le nocche sul legno, attirando la sua attenzione. Scorpius si voltò a guardarla, ma dovette sbattere le palpebre più volte prima che gli occhi vedessero oltre le immagini di gioco che la sua mente stava elaborando.

Dominique Weasley era piuttosto alta e l'aria sicura che ostentava le faceva guadagnare ancora qualche apparente centimetro. Lo stava osservando da chissà quanto tempo con un sorrisetto divertito sulle labbra delicate e le braccia incrociate sul petto.

«Sei venuta a spiare gli avversari?», la canzonò Scorpius senza crederci davvero.

Lei rise e gli si avvicinò fingendo di sbirciare sulla lavagna con discrezione. «Come se non sapessimo tutti che non scrivi mai niente, là sopra.»

Gli sfuggì un'espressione compiaciuta mentre si picchiettava l'indice sulla tempia. «Il luogo più sicuro del mondo.»

«Dovremo versarti il Veritaserum nel succo di zucca», scherzò lei. «Oppure ci limiteremo a ignorare le tue fantasiose trovate per sopperire alle carenze della tua squadra e vinceremo comunque.»

Il sorriso di Scorpius si smorzò, ma non svanì del tutto. «Che ci fai qui?», domandò meno duramente di quanto avrebbe voluto.

«Il sole è tramontato e tu dovresti rientrare», gli fece notare. Poi si indicò la spilla da Prefetto appuntata sul mantello. «Vuoi che ti tolga dei punti?»

Lui scosse la testa, abbandonando la sua posizione. «Nossignora. Andiamo.»

Si incamminarono insieme per uscire dallo stadio e Dominique lo prese ancora in giro per le debolezze tecniche dei Sepeverde, ma lui rispose prontamente facendole notare che il loro Portiere non era riuscito a tenersi fuori dai guai abbastanza da giocare la partita.

«Mi viene quasi da pensare che sia tutta una scusa», suggerì Scorpius, sarcastico. «Forse avevate paura di perdere contro di noi e avete inventato qualcosa per rimandare l'incontro.»

Lei scoppiò a ridere e lui dovette riconoscere a se stesso che sembrava davvero una battuta, piuttosto che un'insinuazione, quindi sorrise a sua volta.

Dominique gli piaceva, non solo perché era bellissima, e lo era davvero, ma anche perché trovava sorprendentemente facile chiacchierare con lei di Quidditch o di altre sciocchezze. Il loro rapporto era leggero e spontaneo e a lui faceva bene sentire di potersi lasciare andare a commenti stupidi senza rifletterci troppo.

Lei dovette intuire la direzione dei suoi pensieri, perché una scintilla di malizia le animò gli occhi. Era bella e sapeva di esserlo, con i suoi lineamenti delicati, i capelli d'oro sempre in ordine e il piglio deciso che la caratterizzava, e Scorpius si ritrovò a domandarsi se anche quell'ultimo tratto fosse dovuto al sangue di Veela che sapeva circolare nelle vene della sua famiglia.

Quando lei lo baciò, lui non poté dirsi sorpreso. Non c'erano stati segnali evidenti, nessun approssimarsi lento, né uno scambio di sguardi particolarmente profondo, eppure lei era sempre così limpida nelle proprie intenzioni che negare di essersi aspettato quel gesto avrebbe fatto di lui un bugiardo.

Considerò per un istante di abbandonarsi a lei e per i successivi non rifletté affatto, godendosi semplicemente la vicinanza di qualcuno che gli piaceva. Dominique schiuse le labbra sulle sue e lui non si ribellò, accogliendo senza indugio il già noto sapore della sua lingua contro la propria. Le esplorò la bocca con un'avidità di cui non si sarebbe creduto capace, ma che riconobbe essere la gemella dell'urgenza con cui aveva sollevato le mani a circondarle il viso, desideroso di addentrarsi in quel bacio fino a sprofondare.

Riacquisire il controllo fu la naturale conseguenza di quell'attimo di smarrimento, un ritorno alla lucidità che giungeva con solo qualche secondo di ritardo, un tempo che non riusciva a pentirsi di essersi concesso, esausto com'era.

«Domi», mormorò separandosi da lei.

Lei tentò di annullare nuovamente la distanza tra le loro labbra, ma Scorpius glielo impedì, tenendole saldamente la testa tra i palmi. Lo sguardo che gli rivolse non fu propriamente ferito, ma comunicava efficacemente il suo disappunto.

«Rose», disse soltanto lui, a mo' di spiegazione.

Lei scosse la testa, liberandosi dalla sua stretta. «Vi siete lasciati.»

«Da poco.»

«È passato più di un mese.»

Inspirò a fondo, cercando dentro di sé il coraggio di affrontare quella conversazione particolarmente ostica. «Ti sembra abbastanza perché lei mi abbia dimenticato?»

«Mi sembra che non sia un problema tuo, visto che tu, invece, hai dimenticato lei.»

Non era un discorso del tutto privo di fondamenta, ma lui non aveva alcuna voglia di approfondire le proprie motivazioni.

Lei interpretò il suo silenzio come un tentennamento. «Io so che mi vuoi anche tu.»

Certo che la voleva, come avrebbe potuto negarlo? Era un desiderio tangibile, facile, che vedeva riflesso sul volto di lei. Nessuna complicazione, nessun pensiero, nessuna preoccupazione.

«Non è il caso, ne abbiamo già parlato.»

Dominique non nascose la propria delusione, ma in pochi secondi si ricompose e gli rivolse un sorriso tranquillo. «Come vuoi. Ma penso che ti farebbe bene lasciarti andare, ogni tanto.»

Lui fece per rispondere, ma un movimento al margine del suo campo visivo catturò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi. Non troppo distante dal punto in cui si trovavano, due figure ammantate erano seminascoste dal tronco di un albero. Scorpius assottigliò lo sguardo e gli parve di distinguere nel buio due sciarpe blu e argento, di quelle che avevano tutti gli studenti secondo i colori della propria Casa.

«Rientrate immediatamente», ordinò Dominique, in tono abbastanza alto da farsi udire. «O toglierò venti punti a Corvonero prima ancora di riuscire a farmi dire i vostri nomi per mettervi in punizione.»

Due ragazzine del primo o al massimo del secondo anno sbucarono alla luce della luna e diedero loro le spalle, avviandosi di corsa verso il portone principale.

«Ci avranno sentiti?», domandò Scorpius, preoccupato da quell'eventualità.

La ragazza scosse la testa. «No, ma ci hanno sicuramente visti.» Gli rivolse un sorriso malizioso. «Sei pronto ad affrontare i pettegolezzi di tutta la scuola?»

***

I piatti erano colmi di cibo davanti a lui, ma Scorpius aveva così poco appetito che la consueta abbondanza dei tavoli della Sala Grande gli diede la nausea. Nel posto accanto, Len sorseggiava il suo tè mattutino con una grazia che a lui rimproverava sempre di non avere, mentre dall'altra parte Albus spalmava un velo di confettura sul pane.

Il soffitto rifletteva l'azzurro di un'altra rara giornata di sole, preziosissima in quell'inizio novembre che solitamente prometteva solo pioggia e grigiore. Di conseguenza, l'atmosfera era piacevolmente allegra e il chiacchiericcio animava l'ambiente ad ogni angolo.

«Ho la sensazione di essere osservato», mormorò Albus confuso, ma senza dare troppo peso alla cosa. Poi addentò la sua colazione. «Dovresti provare questa marmellata, è fantastica.»

Scorpius gli rispose con un mezzo sorriso e mandò giù un sorso di latte, per nascondere il suo conflitto interiore. Non sapeva come dire all'amico che in realtà era lui l'oggetto di quelle occhiate insistenti e l'argomento di conversazione del giorno.

«Albus...», iniziò, ma si interruppe, incerto su come portare avanti un discorso che sapeva di dovergli fare, ma che ancora non aveva preso forma nella sua mente.

L'altro lo guardò accigliato. «Che c'è?»

Len posò la tazza sul piattino un po' troppo rumorosamente per essere un gesto casuale, ma non abbastanza perché qualcuno a parte Scorpius ci facesse caso. Lui si voltò verso di lei e incassò l'occhiata in tralice che gli rivolse, comunicandogli che sapeva.

Sospirò, poi tornò a rivolgersi all'amico. «Devo dirti una cosa.»

Prima che potesse lanciarsi in una spiegazione improvvisata, Neil e Tom presero posto di fronte a loro, salutandoli con un'espressione compiaciuta.

«Devo proprio dirtelo, amico», fece Tom, ostentando un ghigno soddisfatto. «Bel colpo!»

Scorpius chiuse gli occhi, quasi sperasse ingenuamente di vederli sparire, ma, riaprendoli, li trovò ancora lì.

«Che colpo?», domandò Albus, confuso.

Neil lo ignorò, rivolgendosi direttamente a lui. «Ma quindi è una cosa seria e state insieme, oppure no?»

«Non sto con nessuno», replicò burbero, poi si voltò verso il suo amico. «Stavo per dirtelo.»

«Dirmi cosa?» Stavolta Albus si rivolse direttamente ai gemelli, per ottenere finalmente una risposta.

Neil, che era appena più sensibile del fratello, intuì che i loro commenti lo avevano messo in difficoltà, perciò rimase in silenzio, ma Tom non ebbe la stessa accortezza.

«Non lo sai? Ieri sera il nostro Scorpius ha fatto centro e con una delle ragazze più belle della scuola.»

«Adesso basta», lo interruppe bruscamente lui. Neil diede di gomito a suo fratello, poi gli chiese di passargli lo zucchero, che in vita sua non aveva mai messo né nel latte, né nel caffè, forse sperando di comunicargli che era il caso di lasciar perdere quella conversazione.

«Ieri sera io e Dominique ci siamo baciati e due ragazzine di Corvonero ci hanno visti», spiegò rapidamente sottovoce. «Come puoi immaginare, la notizia si è diffusa. Per questo ti sembra che tutti guardino da questa parte, oggi», concluse indicando se stesso.

Albus rimase perfettamente impassibile, turbandolo ancora di più. «Quando è successo?»

«Dopo l'allenamento.»

«Poi sei venuto a cena», rammentò lui. «E poi siamo tornati in Sala Comune. Abbiamo parlato di Quidditch, dei compiti...»

«Albus...»

«Insomma, che aspettavi a dirmelo?»

Più che una domanda, era una vera e propria accusa e Scorpius si sentiva tremendamente colpevole. Potendo scegliere, avrebbe evitato che lui lo sapesse, ma dal momento che tutti ne sarebbero venuti a conoscenza in breve tempo, la decisione più saggia sarebbe stata quella di dirgli la verità la sera prima. Però non ne aveva avuto il coraggio.

«Non è stata la prima volta», ammise. «È successo una settimana fa, lei era venuta a guardare i nostri allenamenti e quando gli altri sono andati via siamo rimasti soli. Abbiamo chiacchierato, l'atmosfera era piacevole, e ci siamo baciati. Poi le ho detto che non sarebbe più dovuto accadere.»

Albus aveva sgranato gli occhi già all'inizio di quella seconda confessione, abbandonando il serrato autocontrollo che aveva mostrato fino a poco prima. «Non ci posso credere.»

«Mi dispiace, l'ultima cosa che volevo era che la notizia arrivasse a Rose.»

«Ne soffrirà», convenne Albus, guardandolo con durezza. «Ma perché hai mentito a me

C'era qualcosa nel suo tono offeso che lo colpì con la violenza di un gancio destro. Scorpius si sentì vacillare ed esitò un momento per ritrovare il controllo della voce.

«Non ti ho mentito», precisò debolmente. «Ho soltanto omesso.»

Quello che aveva voluto evitare era proprio il tono di biasimo con cui il suo amico gli si stava rivolgendo, ma per ragioni diverse da quelle che aveva creduto. Era certo che lui si sarebbe arrabbiato per la sua insensibilità nei confronti di Rose e aveva deciso di nascondergli la verità perché credeva che seppellirla sarebbe stata la scelta migliore per tutti. Eppure lui gli rimproverava quella mancanza di sincerità che lui si era sforzato sempre di far convivere con la lealtà nei suoi confronti, perché non avrebbe mai potuto mentirgli - forse non ne era neanche capace - ma nemmeno poteva rinunciare a tenere per sé alcune indelebili macchie.

«Semantica», replicò Albus in tono sarcastico. «Ti stai giustificando con la semantica

Davanti a loro, Neil e Tom tenevano la testa bassa, ma era impossibile che si fossero persi anche una sola parola di quello scambio.

Scorpius trasse un respiro profondo, quasi volesse assorbire l'impatto di un altro metaforico colpo, e Len gli posò una mano sul fianco a mo' di conforto. «Sapevo che ti saresti arrabbiato, perciò non volevo dirtelo.»

«Ma io sono arrabbiato perché tu non me lo hai detto», ribatté l'altro irritato.

Lui si lasciò andare a un mezzo sorriso amaro. «Adesso chi è che gioca con la semantica?»

Ottenne solo, ovviamente, di farlo arrabbiare di più. Lo fissò dritto negli occhi e per un attimo si aspettò che quel ragazzo pacifico e tranquillo gli mollasse un pugno per sfogare la frustrazione, ma lui rimase immobile, a ribollire in silenzio ricambiando il suo sguardo.

Scorpius avrebbe voluto scusarsi quantomeno per quell'ultima uscita infelice, ma non ne trovò il coraggio, quindi tacque.

«Di tutte le ragazze della scuola avresti potuto evitare almeno lei», mormorò Albus, rassegnato. «Se proprio ci tenevi a non ferire Rose.»

Lui sbatté le palpebre, confuso, ma non fece in tempo a domandare spiegazioni perché il suo amico raccolse la borsa con i libri e si alzò. «Dove vai?»

«In classe, mi è passato l'appetito», replicò spiccio. «Ci vediamo dopo.»

***

«Sei proprio un idiota.»

La sentenza di Len lo raggiunse nell'istante in cui anche Neil e Tom lasciarono il tavolo, imbarazzati per aver innescato la discussione tra lui e Albus. Scorpius chiuse gli occhi e inspirò a fondo, cercando di ritrovare la calma.

«Gli passerà», aggiunse la ragazza, incurante dello sforzo evidente che lui stava compiendo per trattenersi. «Ma te lo devo dire: certe volte proprio non capisco perché fai quello che fai.»

«Davvero?», domandò lui, sarcastico.

«Sì, davvero.»

«Non dovrebbe essere un problema mio cosa ferisce o meno Rose», scandì finalmente, lasciando scivolare sulla lingua quelle parole che gli avevano bruciato la gola per settimane.

«Appunto.»

La replica di Len lo sorprese abbastanza da spingerlo a voltarsi verso di lei con aria interrogativa.

«Sei tu a metterti continuamente nella posizione di dovertene preoccupare», spiegò la ragazza in tono ovvio. «Vuoi andare avanti con la tua vita? Fallo, è un tuo diritto. Ma se decidi di preoccuparti ancora per lei e poi non lo fai come si deve, sembri soltanto un idiota.»

«Ho baciato una ragazza!», si difese lui. «È capitato. Non è un crimine.»

«Lo hai fatto diventare un crimine nel momento in cui lo hai nascosto ad Albus.»

Scorpius rifletté sulle sue parole e odiò doverle dare ragione. Una parte di lui, seppellita in profondità sotto strati di autocontrollo, gli sussurrava insinuante che forse c'erano altri motivi per cui aveva preferito tacere.

«Non volevo deluderlo.»

«Lo fai ogni volta che gli nascondi qualcosa», replicò Len.

«È arrabbiato anche per il fatto in sé.»

«Certo», convenne lei. «Rose è quasi una sorella per lui e di tutte le ragazze che potevi baciare...»

Lui guardò confuso anche lei e fu sul punto di chiedere quale fosse esattamente il problema con Domi, ma Len si illuminò di comprensione prima ancora che parlasse.

«Tu non ci hai pensato.»

«Non ho pensato a cosa?»

«Dominique», scandì lei, stupita e divertita insieme. «Weasley. È sua cugina, la sua perfetta, bionda cugina Veela che è Prefetto di Grifondoro, gioca a Quidditch, ha il massimo dei voti in tutte le materie e può ottenere con il fascino qualunque cosa per cui non basti la sua già notevole intelligenza. Vuoi che continui?»

Scorpius mormorò un'imprecazione a mezza voce. «I Weasley sono un'infinità, con la prossima generazione colonizzeranno questa dannata scuola.»

«Ma è Dominique quella che Rose invidia praticamente da sempre», gli rammentò. «Sei stato con lei per nove mesi, devi averlo capito. Lo so perfino io.»

In verità, lui non aveva mai tratto particolari conclusioni sul loro rapporto. Nel parlare della sua famiglia, Rose non la menzionava mai e a Scorpius non era venuto in mente di chiedere se andassero d'accordo o meno.

«Ti piace davvero così tanto questa ragazza?», domandò Len in tono pratico.

Lui scosse la testa. «In realtà no. È che mi era sembrato tutto molto semplice.»

Lei lo guardò sarcastica, a sottintendere che semplice era l'aggettivo meno indicato per descrivere quanto accaduto. «Tu alterni momenti in cui studi la situazione a fondo, fin nei minimi particolari, e altri in cui ti sfuggono dettagli così macroscopici che finisci per fare la figura dell'idiota.»

Scorpius si passò una mano sul viso, improvvisamente esausto. «Mi hai dato dell'idiota già tre volte.»

«Perché è quello che sei», ribatté lei scrollando le spalle, mentre si alzava dal suo posto. «Vuoi che ce ne sia una quarta?»

«Noto che ti sta molto a cuore la mia autoconsapevolezza», replicò, osservando che i ragazzi intorno a loro si affrettavano per raggiungere le rispettive classi, «ma perché, invece, non ti concentri sulla prevenzione e mi aiuti a evitare di finire in questi guai?»

Len gli rivolse un sorrisetto che gli rese chiaro che si aspettava quella domanda. «Perché io combatto solo battaglie che posso vincere», spiegò senza alcuna pietà. «E tu sei una causa persa.»

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Note

Geroglifici e Logogrammi Magici è un libro che si usa a Hogwarts al quinto anno per lo studio di Antiche Rune.

L'episodio dell'incidente di Scorpius con il Platano Picchiatore, a cui fa riferimento Albus, è narrato nella one-shot prequel Non ne troviamo cicatrice, della stessa serie di questa long, ambientata un anno prima. Lì compare Madama Chips, che da canon avrebbe dovuto essere già in pensione: la sostituzione con Hannah Abbott avviene poco dopo, io ho ipotizzato un periodo di affiancamento con la storica infermiera di Hogwarts. Anche la questione dei punti di sutura, che nella OS risultava un po' troppo Babbana, qui trova una spiegazione in un'evoluzione della Medimagia che mi sono permessa di immaginare, prendendo spunto dal fatto canon secondo cui Arthur Weasley provò su di sé i punti con l'aiuto di Augustus Pye, tirocinante nel reparto "Dai Llewellyn Ward" del San Mungo, quando venne morso da Nagini in Harry Potter e l'Ordine della Fenice.

Ci tengo a ringraziare di cuore chi ha letto e recensito il primo capitolo e chi si è spinto a leggere anche il secondo, nella speranza che soddisfi le vostre aspettative.

Alla prossima!

Futeki

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