18. La volta perenne del cielo

XVIII

La volta perenne del cielo

Io vivo nella possibilità,
una casa più bella della prosa,
[...]
Ha stanze simili a cedri,
impenetrabili allo sguardo,
e per tetto la volta
perenne del cielo. [...]

(E. Dickinson)

Il Natale portò con sé venti implacabili e tempeste di neve che spazzarono via la maggior parte dei propositi degli studenti di Hogwarts per le vacanze. Rese impraticabili le strade e per nulla invitante l'ambiente esterno, quindi i Serpeverde rimpiazzarono le uscite mancate a Hogsmeade con partite di carte nelle aule deserte e lunghi pomeriggi a godersi il calore della Sala Comune.

Len e Oliver erano gli unici davvero intenzionati a sfruttare i giorni di festa per mettersi in pari con lo studio e Karen fingeva interesse per i compiti solo per avere una scusa per unirsi a loro. Pete e Steven, invece, preferivano impiegare il tempo giocando a Spara Schiocco con un mazzo di carte che Oliver aveva privato della capacità di esplodere quando avevano disturbato il gruppo di studio.

Scorpius aveva tirato fuori la scacchiera Babbana ricevuta al compleanno e aveva chiesto ad Albus di insegnargli a giocare. Lui era stato più che felice di accontentarlo e con pazienza stava condividendo con l'amico tutta l'esperienza accumulata negli anni grazie agli incontri con zio Ron.

«No, non ha senso che tu protegga quel pedone con un altro pedone.»

«Perché? Così se mangerai il mio, io mangerò il tuo e saremo pari.»

Albus considerò con una punta di orgoglio la rapidità con cui stava apprendendo le strategie di base. «Ma nel frattempo avrai sprecato due mosse senza avanzare. È una scelta troppo passiva. Se invece fai così», suggerì prendendo il suo cavallo e schierandolo davanti alla fila di pedoni, «tirerai fuori un pezzo d'attacco ottenendo comunque di proteggere il pedone.»

«Se tu mangerai il mio, io farò altrettanto con il tuo, ma allo stesso tempo avrò portato avanti un pezzo più importante di un pedone.»

Albus sorrise. «Esattamente.»

Un lampo di luce rossa sorvolò le loro teste e finì contro la parete. Insieme si voltarono a fronteggiare la minaccia, entrambi con le bacchette alla mano, solo per scoprire che Pete e Steven si erano stancati di giocare a Spara Schiocco con carte sabotate e avevano pensato bene di allenarsi a duellare.

«Siete impazziti?», li rimproverò Oliver, allertato dai rumori della battaglia in corso.

Nessuno dei due ragazzi parve toccato dal rimbrotto del più grande.

«Expelliarmus!», tentò Steven, ma sotto l'evidente effetto di una Fattura Tarantallegra, il movimento irrefrenabile delle sue gambe gli impedì di colpire con precisione.

Pete non ebbe alcuna difficoltà a evitare l'incantesimo, che finì dritto nel camino, alimentando per un istante le fiamme.

Albus e Scorpius si scambiarono un'occhiata, intuendo senza sforzo di essere dello stesso avviso.

«Faccio io con Steven», si offrì Scorpius, seguendo con la punta della bacchetta un bersaglio in movimento ben più scomodo da colpire.

Albus annuì. Lanciarono in contemporanea l'Incantesimo di Disarmo, centrando i due ragazzi nello stesso istante. Riscosso dalla loro iniziativa, anche Oliver mise da parte l'incredulità ed estrasse la propria bacchetta.

«Finite Incantatem», pronunciò all'indirizzo del fratello, permettendogli finalmente di interrompere la scomposta danza indotta dalla magia dell'avversario.

«Siete impazziti?», ripeté in tono duro. «Che vi è preso?»

«Volevamo esercitarci!», dichiarò Steven. «Non ci capiterà più di avere la Sala Comune tutta per noi!»

«Ma non è questo il luogo né il modo per farlo», intervenne Len in tono più conciliante. «Dovreste circondarvi di incantesimi di protezione o accertarvi di essere in un posto in cui non potete causare danni.»

«Magari lontano da un fuoco acceso», precisò Karen, gettando un'occhiata preoccupata al camino che di tanto in tanto sputava fuori ancora qualche scintilla.

«Scusate», borbottò Pete. Albus si accorse che lo sguardo del ragazzo si era posato su Scorpius prima di abbassarsi mortificato.

«Ce ne andiamo da qualche altra parte», dichiarò Steven, ma la sua spavalderia aveva lasciato posto a un'esitazione colpevole. «Volevamo solo fare pratica, Ollie.»

Oliver sospirò, arrendendosi all'evidente insofferenza del fratellino. Erano chiusi nel castello già da due giorni senza poter uscire a causa della bufera e la noia attanagliava i due Serpeverde più piccoli.

«Facciamo così», propose allora, chiudendo il proprio libro di Trasfigurazione con aria rassegnata. «Andremo insieme a cercare un'aula adatta, applicheremo protezioni e insonorizzazione e vi eserciterete con me presente. In cambio mi prometterete di non andarvene in giro a duellare da soli, rischiando di farvi espellere o di finire al San Mungo.»

«Lo promettiamo!», acconsentirono i due in coro, eccitati all'idea di avere il suo appoggio.

Oliver scosse la testa esasperato, ma con un leggero sorriso sulle labbra. «Qualcuno di voi vuole venire con me?»

Karen, che fino a quel momento lo aveva osservato prendere in mano la situazione in un silenzio piuttosto insolito, si riscosse. «Ti accompagno volentieri.»

Len sollevò il libro di Antiche Rune. «Scusate, ma ho tanto da studiare.»

Memore della conversazione tra le due ragazze a cui lui e Scorpius avevano involontariamente assistito qualche giorno prima, Albus si affrettò a declinare in favore di una partita di scacchi agguerritissima in modo da lasciare i due da soli con i più giovani.

Quando furono usciti, Len abbandonò il proprio posto per accostarsi a loro.

«Chi vince?»

«Albus», dichiarò Scorpius con un mezzo sorriso. «Per ora.»

«Non puoi vincere questa partita», replicò lui.

«Ma prima o poi ti batterò.»

«Voglio sperare che oltre a giocare vi stiate dedicando al progetto», intervenne Len.

Albus fece un cenno all'indirizzo del calderone occultato. «La pozione deve riposare per ventiquattr'ore prima che possa procedere alla fase successiva.»

«E tu? Stai stilando una lista di incantesimi da lanciare sulla coppa?», si rivolse a Scorpius.

Quest'ultimo scrollò le spalle. «Ci sto lavorando.»

Len gli diede un colpetto dietro la testa. «Non essere superficiale. Io e Albus contiamo anche su di te.»

I due ragazzi si scambiarono un'occhiata. Albus gli rivolse un sorriso di scuse.

«Stilerò la lista», promise Scorpius.

Len parve soddisfatta. «Bene.»

***

Nei giorni a seguire, mentre Albus seguitava a preparare la Pozione di Trasferimento, Scorpius prese l'abitudine di infilarsi nello spazio occultato assieme a lui, con un libro di Incantesimi tra le mani e un foglio di pergamena per prendere appunti. Lavoravano in silenzio, concentrandosi su cose diverse ma beneficiando della reciproca compagnia, e quando Len entrava in Sala Comune e li scorgeva impegnati sul progetto, rivolgeva loro un discreto sorriso compiaciuto e taceva per non rivelare agli altri il loro segreto.

Albus immaginava con chiarezza come dovessero apparirle: lui seduto a gambe incrociate sui cuscini verdi, intento a mescolare il liquido, a sminuzzare ingredienti o a regolare la fiamma del calderone con la bacchetta, e Scorpius dietro di lui, la schiena contro il muro e le gambe piegate a fargli da appoggio, un libro sulle ginocchia e piuma e calamaio pronti all'uso accanto a sé.

Albus non aveva mai creduto davvero alla necessità di occultare il loro lavoro, pensava piuttosto che la rivalità tra Rose e Len avesse portato quest'ultima a eccessi di prudenza che rasentavano la paranoia. Nonostante ciò, trovava utile poter lasciare il calderone in Sala Comune con la certezza che nessuno lo avrebbe toccato, neanche per errore, e che sarebbe stato protetto dall'entusiasmo esplosivo di Pete e Steven. Inoltre, anche se non lo avrebbe ammesso all'amica, la possibilità di dedicarsi alla pozione in un piccolo angolo riservato a lui e Scorpius gli donava la pace necessaria a mantenere la concentrazione senza difficoltà.

Lasciò cadere tre gocce di Sangue di Salamandra nel composto e lo osservò diventare rosso come previsto dalle confuse istruzioni che cercava di seguire. Soddisfatto, calcolò che avrebbe dovuto attendere qualche ora prima di poter proseguire.

«Hai finito?», gli domandò Scorpius, chiudendo il libro con un tonfo.

Senza voltarsi, Albus annuì.

Lo sentì sporgersi sopra la sua spalla per sbirciare il risultato del suo lavoro mentre lo avvolgeva in un abbraccio. Lui si rilassò contro il suo petto, lasciandosi stringere.

«Sicuro che sia la pozione giusta? Sembra succo di melograno», lo prese in giro.

Albus sghignazzò. «Ti sconsiglio di provare a berlo, sono quasi certo che sia velenoso.»

Scorpius posò le labbra su un punto del collo appena sotto l'orecchio. «Davvero?»

Gli occhi di Albus corsero a Oliver, che leggeva la Gazzetta del Profeta sul divano, e a Pete e Steven, che giocavano a Spara Schiocco seduti sul tappeto. «Sì.»

«Non possono vederci», sussurrò Scorpius. Doveva aver seguito il suo sguardo, ed esitava con la bocca a poca distanza dalla sua pelle, il respiro che gli solleticava la guancia e una stretta morbida a circondargli il busto.

Albus notò che Scorpius teneva le dita affondate negli avambracci con cui lo cingeva per impedirsi di toccarlo, e si domandò che senso avesse proibirselo quando era ciò che desideravano entrambi. Ebbe la certezza, per la prima volta, che se anche l'Incantesimo di Occultamento non ci fosse stato, cedere all'impulso di baciarlo sarebbe stato più semplice e più giusto che preoccuparsi di nascondere ciò che provava per lui.

Quando voltò la testa per andargli incontro, trovò le labbra di Scorpius senza alcuna esitazione. Sentì che una mano gli percorreva il petto fino a raggiungere la base del collo e la morsa si fece più serrata – più urgente – e gli parve di ritrovare il proprio posto tra le braccia di lui, mentre lo baciava.

Si separarono che lo sguardo di Scorpius cadeva ancora sulle sue labbra, come se non ne avesse mai abbastanza – e Albus lo capiva alla perfezione.

Poi Oliver voltò la pagina del giornale, una delle carte di Pete esplose, e improvvisamente realizzò che non erano da soli: l'imbarazzo gli colorò le guance, quindi affondò il viso nel collo di Scorpius, che lo cinse con tenerezza.

Un bacio gli sfiorò i capelli. «Dimmi un po', la pozione è venuta bene?», lo sentì chiedere. «Guarda che Len ci lancerà una fattura se le roviniamo il progetto.»

Albus gli rivolse un sorriso malizioso. «Se qualcosa va storto, posso sempre dirle che sei stato tu a distrarmi.»

Scorpius si illuminò. «In effetti penso che ci crederebbe.»

In giorni come quello, quando la giocosità e il desiderio prendevano il sopravvento sul resto, i suoi occhi si accendevano di un bagliore argentato. Albus si lasciava incantare dalla sua espressione rapita e guidare da una brama che era gemella della sua. Scorpius lo baciava come se ne andasse della sua stessa vita, quasi riuscisse a trovare ossigeno solo nel respiro condiviso tra le loro lingue intrecciate. E stringersi ormai aveva il sapore di casa – perché era ritrovarsi oltre la semplice vicinanza.

Altre volte, invece, il dolore gli spegneva lo sguardo. Scorpius gli rivolgeva sorrisi dolci carichi di sofferenza, si aggrappava a lui con la stessa urgenza di sempre, ma portava dentro un peso che gli spezzava il respiro in modi che non avevano nulla a che fare con il desiderio.

In quei giorni, Albus lo abbracciava e faceva in modo di essere il suo sostegno. Lo distraeva quando si perdeva nei suoi turbamenti, provocandolo con piccoli gesti audaci che gli rammentavano quanto avesse bisogno di lui. La sera, quando erano insieme da soli, lo accarezzava con tenerezza, cercando di tranquillizzarlo mentre provava ad addormentarsi.

La notte prima, quando Scorpius si era svegliato di soprassalto da un sonno agitato, Albus aveva percepito il battito forsennato del suo cuore contro il braccio. Gli aveva sfiorato il collo con le dita, poi la mascella, fino a premergli il palmo contro la guancia, quindi gli aveva posato un bacio sulla fronte.

«Andrà meglio», gli aveva detto, quasi avesse diritto a fargli quella promessa in prima persona.

Lui aveva annuito e lo aveva abbracciato più forte. «Lo so.»

Nei giorni buoni, Scorpius lo stuzzicava mentre lavorava alla pozione o lo trascinava via dal calderone per coinvolgerlo in una partita a scacchi o in giri esplorativi del castello quasi deserto. Un pomeriggio, colto da un'improvvisa ispirazione, gli tolse di mano la belladonna che stava pesando e gli impose di mollare tutto e seguirlo. Lo portò nella vecchia aula in cui Oliver aveva allestito temporaneamente lo spazio per le esercitazioni di Pete e Steven.

Il Portiere si assicurava di cambiare posto di frequente e di non lasciare traccia della loro attività illegale per non rischiare di essere scoperti da qualche professore. Sceglieva luoghi senza quadri che avrebbero potuto fare la spia, abbastanza lontani da alloggi e uffici dei docenti e sufficientemente isolati da evitare le involontarie incursioni dei compagni di scuola di altre Case alla ricerca di intrattenimento.

Quando Albus entrò nell'aula, osservò che era troppo piccola per la maggior parte delle classi e che per quel motivo, probabilmente, non aveva mai avuto modo di utilizzarla da quando era a Hogwarts. Oliver aveva impilato i banchi e le sedie e li aveva addossati alle pareti, formando un'impalcatura su cui aveva lanciato tutti gli incantesimi di protezione necessari ad assorbire suoni e colpi involontari, in modo da non attirare attenzioni indesiderate.

Len e Karen erano sedute sulle cattedra e non smisero di chiacchierare tra loro neanche quando si accorsero dell'arrivo dei due ragazzi, concedendo solo saluti distratti.

«Guardate chi vi ho portato», annunciò Scorpius, con un particolare entusiasmo nella voce.

«Ciao, Albus!», lo accolse Steven, eccitato. «Sei venuto a unirti a noi?»

«C'è una novità», li informò Pete. «Abbiamo battuto Oliver.»

Quest'ultimo alzò gli occhi al cielo. «Solo perché eravate due contro uno.»

«Anche Len e Karen hanno duellato», proseguì il più giovane, ignorando la precisazione.

«E chi ha vinto?», fece Albus, lasciandosi contagiare dal loro impeto.

«Len», replicò Steven. Poi, più a bassa voce: «Ma solo perché Karen si distraeva di continuo a guardare mio fratello.»

Scoppiarono a ridere e le ragazze, troppo lontane per sentire quel commento irriverente, li osservarono confuse.

«Tocca a voi», li informò Oliver. «A questi due pivelli serve una dimostrazione pratica.»

Albus si voltò a guardare l'amico e la scintilla nei suoi occhi gli suggerì che l'idea doveva stuzzicarlo parecchio. «Ti va?», domandò infatti Scorpius.

Lui annuì. «Ma non farmi fare brutte figure.»

Scorpius rise e si allontanò da lui solo per prendere posizione a circa dieci passi di distanza, la bacchetta saldamente impugnata. «Quando vuoi.»

«Ripetiamo le regole che conosciamo tutti in modo che entrino bene nella testa dei novellini», iniziò Oliver, mentre Albus si preparava al duello. «Si attacca al mio tre e non prima. Non è ammesso l'uso della magia oscura né l'intervento di altri, con l'eccezione del sottoscritto, che farà da arbitro. Qualora dovessi intromettermi, il duello sarà da ritenersi concluso. Chi dei due risulterà disarmato o incosciente perderà, e il duello sarà da ritenersi concluso. Se uno di voi lascerà cadere la bacchetta, il gesto sarà interpretato come una resa e...»

«... il duello sarà da ritenersi concluso», completarono Pete e Steven, in coro.

Oliver parve soddisfatto. «Molto bene. In posizione.»

Albus studiò il suo migliore amico e la conoscenza profonda che aveva di lui lo illuse per un secondo di essere in grado di anticiparne le mosse.

«Uno, due...»

Gli bastò vederlo sollevare la bacchetta per rendersi conto che non aveva la minima idea di quale incantesimo avrebbe usato per primo. Si lasciò pervadere dall'entusiasmo dell'incontro e si preparò a rispondere.

«Tre!»

Lo Schiantesimo di Scorpius si abbatté implacabile contro lo scudo che Albus aveva fatto appena in tempo a erigere. Scartò di lato per evitare il secondo colpo, poi si decise a passare alla controffensiva.

«Expelliarmus!», pronunciò rapido, ma Scorpius aveva intuito la sua mossa e si era preparato a neutralizzarla.

«Protego!»

Lampi colorati attraversarono l'aula da parte a parte, spegnendosi contro le pareti protette da incantesimi o gli scudi dei duellanti. Albus vide l'amico scagliare un Incarceramus e mentre lo evitava immaginò di vivere la stessa scena anni più tardi, trovandosi però al suo fianco. Si figurò l'addestramento da Auror che avrebbero condiviso e le prime missioni, la soddisfazione di portarle a termine e il piacere di farlo insieme.

Ammirò l'abilità innata di Scorpius: la certezza che non sarebbe mai stato davvero un avversario gli rese più dolce la sconfitta, quando di una sequenza rapida di due Expelliarmus riuscì a parare soltanto il primo.

La bacchetta fu strappata dalla sua mano e Len la afferrò al volo.

«Albus è stato disarmato», annunciò Oliver in tono più formale del necessario. «Vince Scorpius.»

Il sorriso che gli rivolse quest'ultimo mentre gli andava incontro, giocoso e divertito, ma senza alcuna traccia di superiorità, gli suggerì che forse i pensieri dell'amico erano sulla stessa lunghezza d'onda dei suoi.

«Saremo fortissimi insieme», gli disse infatti.

Albus sollevò a sua volta gli angoli delle labbra. «Non vedo l'ora.»

***

Il pomeriggio in cui la tempesta cessò, fu Albus a trascinare via Scorpius dalla Sala Comune con le loro scope sotto braccio.

«Non voglio volare», aveva dichiarato l'amico già tre volte, ma il figlio di mezzo di Harry Potter, abituato a non avere né i privilegi del primogenito né i vizi della sorella minore, aveva imparato prestissimo che l'unico modo per ottenere ciò che voleva era ignorare i rifiuti ingiustificati.

«Non c'è nessun motivo valido per cui tu non possa farlo», gli rispose con pazienza. Niente suggeriva che si sarebbe stancato di ripetersi o che avrebbe ceduto all'indolenza di Scorpius.

«Per favore», disse quest'ultimo, quando ebbero varcato le enormi doppie porte dell'ingresso della scuola e furono abbastanza lontani da essere davvero soli. «Possiamo fare una passeggiata, se vuoi.»

«Voglio portarti in un posto», ribatté Albus, turbato dal vederlo così in difficoltà. «Non possiamo arrivarci a piedi senza attraversare la Foresta Proibita.»

«Un sacco di gente entra nella Foresta Proibita.»

«Lo dici perché non hai paura delle Acromantule», specificò con una smorfia. «Potrei raccontarti una storia che ti farebbe venir voglia di non metterci piede mai più.»

«Troviamo un altro modo», insisté Scorpius.

«Va bene. Ma dimmi perché.»

«Perché cosa?»

«Perché non vuoi volare.»

Esitò, distogliendo lo sguardo da lui e puntandolo in direzione opposta. «Lo sai, non mi riesce.»

«Questa è la conseguenza, non la causa», replicò Albus. «Non sei tranquillo e quindi non voli bene, ma io voglio sapere cos'è che ti turba.»

Lui tacque, forse cercando le parole giuste.

Quando non arrivarono, Albus proseguì: «Nessuno ti obbligherà a tornare in squadra se non vuoi, ma non riesco a capire perché tu debba privarti di una cosa che hai sempre amato. Cos'è cambiato?»

«Tutto», rispose lui tra i denti. Si passò una mano sul viso, coprendosi gli occhi. «Non posso fare quello che facevo prima, non più.»

«Intendi prima di...»

«Prima che se ne andasse», confermò Scorpius. Aveva l'espressione stravolta e gli occhi lucidi, e Albus pensò per un istante che forse aveva sbagliato a forzarlo. «È come se la vita di adesso e quella di prima fossero due cose separate. E non posso tornare indietro.»

Si stupì di realizzare che in effetti, da quando era tornato a scuola, Scorpius aveva mostrato interesse solo per ciò che rappresentava una rottura rispetto alla quotidianità che si era lasciato alle spalle. Il loro rapporto, quello che aveva varcato il confine labile dell'amicizia, era in qualche modo una novità. Albus lo comprese per la prima volta in quel momento, mentre richiamava alla mente tutte le cose che novità non lo erano affatto e che l'amico aveva, a poco a poco, rifiutato – le lezioni, i pasti, il Quidditch.

«Non sono due cose separate», disse piano, guardandolo sussultare. Forse non si era aspettato che lui replicasse in tono tanto tranquillo. «La tua vita è sempre la stessa. E so che sembra assurdo, perché è vero, dentro di te è cambiato tutto e non puoi tornare indietro, ma fuori? Tutto il resto del mondo è ancora uguale.»

«Non mi aspetto che il mondo si fermi per me.»

«Lo so e non è questo che intendo, non fingere di non capire.»

Scorpius sorrise amaro. «Non riesco a fare quello che facevo prima senza sentirmi in colpa. Mi sembra sbagliato proseguire con la mia vita come se niente fosse.»

«Non come se niente fosse», specificò lui. Gli posò una mano sul petto, all'altezza del cuore. «Ti porterai dentro questa ferita per sempre. E ti cambierà, lo sta già facendo. Ma tu devi proseguire con la tua vita. È quello che avrebbe voluto anche tua madre.»

Quando vide una lacrima abbandonare le sue ciglia, Albus fece scivolare la mano attorno al busto di Scorpius e lo strinse a sé in un abbraccio. Lo sentì soffocare il viso contro il suo collo e lasciò che desse sfogo a un dolore che non sapeva se avesse mai avuto modo di uscire.

Trascorsero diversi minuti prima che Scorpius lo lasciasse andare, gli sistemasse il colletto ormai rovinato della camicia e si asciugasse gli occhi arrossati dal pianto.

Senza dire una parola, inforcò la scopa e gli fece cenno di fare altrettanto.

Quando Albus l'ebbe imitato, lui gli rivolse un sorriso incerto. «Va' piano. Mi servirà un po' prima di riprendere il ritmo.»

Annuì. «Avrai tutto il tempo che vuoi.»

Volarono in direzione del Lago Nero e Albus si accertò di restargli accanto senza che la sua preoccupazione trasparisse dall'insistenza con cui lo guardava. La scopa di Scorpius oscillava pericolosamente, quasi il mezzo magico percepisse la reticenza della propria guida e fosse sul punto di disarcionarla. In qualche momento, però, quando Albus gli indicava una macchia di vegetazione distogliendo la sua attenzione dal volo, o quando uno stormo di uccelli li incrociava costringendoli a cambiare rotta, la memoria muscolare di anni di allenamenti emergeva e rendeva la sua andatura più fluida e naturale.

Atterrarono sulla riva di un'insenatura del Lago, in un punto in cui gli alberi finivano quasi a ridosso dell'acqua e c'era soltanto un piccolo tratto di terreno su cui fermarsi prima di entrare nella Foresta. Abbandonarono le scope e si lasciarono cadere sulla ghiaia umida uno accanto all'altro, gli sguardi rivolti alla riva opposta nell'unica direzione lasciata libera alla vista dai salici.

«Qualche volta vengo qui per stare da solo», confessò Albus, condividendo con lui un segreto che non aveva mai rivelato a nessuno. «Questo è il mio rifugio. Volevo che lo vedessi.»

Scorpius incrociò le braccia sopra le ginocchia e nel farlo lo sfiorò con un gomito. Il sole si abbassava inesorabile proprio di fronte a loro e la luce del crepuscolo creava giochi d'ombra sulle acque scure. I rami dei sempreverdi, provati dal vento sferzante degli ultimi giorni e appesantiti dalla neve, curvavano verso il Lago e sembravano sul punto di sfiorarne la superficie. «È bellissimo.»

Albus gli posò un bacio sulla spalla, per lasciargli spazio e allo stesso tempo suggergli che se avesse voluto il contrario, a lui sarebbe andato più che bene. Scorpius capì e lo cinse con un braccio.

«Mio padre ha raccontato a me, James e Lily tante storie di quando era uno studente. In una di quelle ha salvato la vita al suo padrino, Sirius Black, evocando un Patronus molto potente.» Sollevò una mano per indicare un punto indefinito al di là dell'insenatura. «Mi piace immaginare che fosse esattamente lì quando è successo. Quando vengo qui mi sembra quasi di veder spuntare il suo Patronus dall'altra parte del Lago. L'estate scorsa papà ci ha insegnato l'incantesimo. James lo avrebbe studiato quest'anno e lui ci teneva a prepararlo personalmente.»

«C'è riuscito?»

«Sì», confermò in tono amaro. «E naturalmente il Patronus di James è un cervo, proprio come il suo e quello del nonno.»

«Una specie di tradizione di famiglia», osservò Scorpius. «Piuttosto noioso.»

Albus rise, ma il ricordo di quando si erano esercitati insieme lo turbava troppo profondamente perché fosse un suono allegro.

«E tu?», fece l'amico, scostandosi da lui per guardarlo negli occhi. «Sei riuscito a evocarlo?»

«Solo una nebbiolina argentea», rispose Albus. «Niente di corporeo.»

«Be', hai tutto il tempo del mondo per eguagliare tuo fratello. È facile perdere il paragone se hai due anni di studio in meno.»

La ragionevolezza di quella replica gentile lo fece sorridere e Albus gli rubò un bacio a fior di labbra.

«Che ho detto?», fece Scorpius, sorpreso.

«Tu dai sempre per scontato che io possa fare qualsiasi cosa.»

«Perché è così.»

«Non puoi saperlo.»

«Sì, invece», ribatté. «Ti conosco.»

Albus sospirò. «Ci sono cose che non dipendono da noi. Te l'ho già detto, io sono sempre stato diverso dal resto della mia famiglia.» Un mezzo sorriso gli deformò l'espressione. «È diventato chiaro con lo Smistamento, ma è stato sempre così.»

Scorpius gli rivolse un'occhiata perplessa. «E allora?»

Prese fiato per pronunciare ad alta voce il dubbio più pressante di tutti, quello che lo attanagliava fin dall'estate. «E se il mio Patronus fosse completamente diverso? Sarebbe l'ennesima dimostrazione della mia estraneità alla famiglia.»

Attese che Scorpius lo guardasse con pietà – o almeno come se fosse un idiota – ma lui si limitò ad aumentare la stretta. «Non sarai mai estraneo alla tua famiglia, nemmeno se darai prova di non essere come loro.» Si voltò e gli sorrise con dolcezza. «Albus, siamo tutti diversi. Perché questo dovrebbe voler dire che siamo soli?»

«Non lo so», ammise lui. «Forse è soltanto più facile sentirsi parte di qualcosa quando non ci sono differenze da accettare.»

«Ma siamo ciò che siamo», gli fece notare Scorpius, «e ogni tanto dovremmo riconoscerci speciali per questo.»

Albus sorrise al ricordo della conversazione avuta sul colore dei suoi occhi, insolito rispetto a quello dei fratelli – ma lo stesso del padre. Pensò per la prima volta che forse, per ogni cosa che lo distingueva da loro, ce n'era almeno un'altra che li accomunava – il sogno di diventare Auror, la passione per gli scacchi, il tifo sfegatato per i Cannons.

«Ci proverò», promise, con l'intenzione di farlo per davvero.

Scorpius gli passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. «Ti aiuterò io.»

***

Scorpius non aveva immaginato ciò che avrebbe significato portare il suo rapporto con Albus a un altro livello, infrangendo i confini dell'amicizia e di quanto avevano conosciuto nei precedenti quattro anni. Se ne rese conto la sera prima dell'ultimo dell'anno, mentre erano dell'altro.nello stesso letto in una stanza tutta per loro e si baciavano inseguendo sorrisi e parole irriverenti l'uno sulla bocca

Lo capì perché strinse il fianco di Albus mentre gli baciava la gola e lui rise forte, accusandolo di fargli il solletico di proposito. Gli fu chiaro che il lato fisico della loro relazione, che senza dubbio era quello cambiato in maniera più sostanziale, non rappresentava comunque l'evoluzione più rilevante.

C'era una nuova libertà nella complicità che era sempre esistita tra loro, una consapevolezza che d'improvviso li rendeva consci di come dovevano apparire a occhi estranei quando erano insieme e che allo stesso tempo dava un significato più importante al loro continuo ricercarsi e al modo in cui si appoggiavano l'uno all'altro. Scorpius sentiva di essersi liberato di un peso e di aver finalmente trovato la propria dimensione nel rapporto con lui – dove poteva sfuggire a qualsiasi dolore o preoccupazione, ritrovando sempre il sorriso.

Non aveva paura di ammettere a se stesso di essere innamorato. Non glielo avrebbe detto, non ancora, ma solo perché temeva di turbare quell'equilibrio perfetto con una rivelazione che per Albus poteva essere prematura e ingombrante. Dentro di sé, però, era grato per la prima volta per quel sentimento puro e confortante, che non aveva niente di sbagliato.

«Ma tu non ce l'hai un punto del corpo sensibile al solletico? Se esiste dovrei conoscerlo, merito di potermi vendicare.»

Scorpius sorrise, la testa poggiata sul suo petto, un braccio intorno al busto e la mano di Albus ad accarezzargli i capelli. «Puoi cercarlo, se vuoi.»

Sentì la sua risata riverberargli nella cassa toracica e prima ancora che l'altro potesse pensare di assecondare quella provocazione, fu Scorpius a seguire il proprio suggerimento: gli sollevò l'orlo della maglia del pigiama e accarezzò con un dito la parte bassa del ventre nudo, inseguendo la sottile peluria che spariva sotto i pantaloni in un tocco leggero che sapeva lo avrebbe fatto rabbrividire.

Agganciò il dito sotto l'elastico e lo tirò giù. Si sollevò sulle braccia, incrociando il suo sguardo solo per assicurarsi che avesse compreso ciò che stava per fare e che non avesse obiezioni a riguardo. Albus aveva le labbra schiuse per la sorpresa e gli occhi illuminati dalla curiosità.

Spostò anche la biancheria per esporre il suo corpo quel tanto che bastava ai suoi scopi, poi si chinò a sfiorarlo con la bocca.

Non l'aveva mai fatto, ma l'avevano fatto a lui, e l'unica cosa a cui riusciva a pensare in quel momento era scoprire se ad Albus sarebbe piaciuto allo stesso modo. In passato si era creduto abbastanza generoso, sempre preoccupato dell'appagamento altrui, ma prima di stare con lui non aveva mai provato un tale desiderio di dare piacere – quasi fosse una nuova forma di soddisfazione personale.

Albus inspirò violentemente mentre lui prendeva confidenza con l'atto, esplorando i confini di quella novità e allo stesso tempo richiamando alla mente il pensiero di ciò che, a parti invertite, avrebbe infiammato lui. Abbandonò presto quell'idea e la presunzione di poter indovinare da subito cosa fare, quindi sollevò gli occhi sul suo viso e ne studiò le reazioni.

Scivolò in avanti e mosse la lingua, e il suo sussulto gli suggerì di essere sulla strada giusta. Lo strinse con le labbra e risalì l'intera lunghezza, respirando dal naso e succhiando fino a incavare le guance.

Albus teneva gli occhi incatenati ai suoi, ma lo sforzo che gli costava mantenere il contatto visivo era sempre più evidente. Scorpius lo vide abbassare le palpebre nell'istante in cui fremette nella sua bocca – una mano si posò sulla sua spalla per spingerlo via, ma lui la ignorò.

«Aspetta, io non...»

Esitò soltanto un istante, il tempo necessario a rendersi conto che quella protesta era solo nel suo interesse, quindi decise che non meritava attenzione e tornò a ciò che stava facendo.

Albus esplose e soffocò un grido tappandosi la bocca con il braccio. In piccola parte, Scorpius ne fu dispiaciuto, perché si sentì privato di uno dei tanti modi in cui anelava sentirlo dentro di sé – il suo sapore sulla lingua, la sua voce nelle orecchie.

Si sollevò e si passò il dorso della mano sulle labbra, poi gli risistemò il pigiama e si stese su un fianco accanto a lui. Albus sembrava esausto e appagato. Teneva gli occhi socchiusi e un sorriso pigro gli animava la bocca.

«Io dovrei...»

«Dormire», concluse Scorpius per lui.

Albus scosse la testa, ma le palpebre si stavano già abbassando. «Dai, vieni qui.» Allungò le mani alla cieca e lui sorrise della sua urgenza di ricambiare.

«Domani», gli propose, stringendolo tra le braccia e invitandolo a riposare.

«Almeno dammi un bacio.»

Scorpius non si mosse. Sembrava quasi parlare nel sonno – e se non era così, era comunque prossimo ad addormentarsi. Non era sicuro volesse davvero un bacio dopo quello che lui aveva fatto, perciò lasciò che quella richiesta cadesse nel silenzio.

Albus aprì un occhio solo. «Allora?»

Ancora incerto, si sporse in avanti, ma rimase immobile a pochi centimetri da lui. Lo vide sollevare anche l'altra palpebra e puntare gli occhi verdi – di nuovo lucidissimi – direttamente sul suo viso.

«Vuoi...»

«Che mi baci», completò. «Proprio adesso.»

Non c'era alcun dubbio su ciò che gli stava domandando, né sulle implicazioni di quella richiesta. Scorpius sorrise e lo accontentò.

Fu un bacio breve ma profondo, e Albus infilò le dita nei suoi capelli per trattenerlo un istante in più prima di permettergli di allontanarsi.

Il suo sguardo era carico di sottintesi. «Domani», promise.

Poi richiuse gli occhi.

***

La spinta dell'alfiere nero costrinse Scorpius a sacrificare una torre per proteggere la regina. Albus non aveva avuto difficoltà a intuire ciò che progettava l'amico e ad attuare le contromisure necessarie, ma Scorpius diventava ogni giorno più bravo e da un momento all'altro avrebbe potuto sorprenderlo con una mossa creativa.

«Tu sei avvantaggiato», lo sentì lamentarsi, senza che distogliesse l'attenzione dal gioco. «Hai fatto molta più pratica di me.»

Lui alzò gli occhi al cielo. «Tu hai fatto più pratica di me su altre cose, però io non mi lamento.»

Scorpius incrociò il suo sguardo e gli rivolse un sorriso malizioso. «Perché ora sei soltanto tu a beneficiarne.»

Albus si trattenne dal raccogliere la provocazione. «Rendiamolo più interessante», fece a sua volta, muovendo il cavallo. «Se riesci a mettermi sotto scacco almeno una volta, vinci un premio.»

Lo sguardo di Scorpius si illuminò. «Che premio?»

«Quello che vuoi.»

«Tutto quello che voglio?» Le dita corsero a spostare avanti un pedone che giaceva in un angolo della scacchiera, apparentemente dimenticato.

Sulle labbra di Scorpius aleggiava un sorriso.

Su quelle di Albus, che aveva compreso alla perfezione la sua strategia, pure.

«Tutto quello che vuoi.»

Lo vide tornare a studiare la disposizione dei pezzi e gli concesse il tempo di riflettere mentre lui lasciava vagare lo sguardo per la Sala Comune. Len, che almeno nell'ultimo giorno dell'anno aveva messo da parte i libri, stava sfogliando distrattamente una rivista che recava in copertina una strega intenta a cambiare abbigliamento con un solo colpo di bacchetta. Steven, abbandonato temporaneamente dal proprio compagno di guai, aspettava quest'ultimo sul divano in una posa scomposta, quasi fosse afflitto dall'assenza di Pete – o più probabilmente erano i commenti del fratello sui recenti insuccessi della loro squadra del cuore a straziarlo. Oliver, infatti, camminava avanti e indietro per la stanza stringendo tra le dita la Gazzetta aperta alla pagina sportiva e imprecando contro i Montrose Magpies.

Karen entrò in quel momento, audace nell'abbigliamento come ogni volta che non le era imposta la divisa. La gonna già cortissima era tirata su a coprire il ventre altrimenti nudo, di cui si intravedeva soltanto una striscia sottile al di sotto del bordo del maglione verde smeraldo. Solo occasionalmente Albus le aveva visto un rossetto scuro sulle labbra, ma per il resto Karen sembrava del tutto indifferente al fascino del make-up – cui Len cedeva molto più di frequente – e si limitava a una sottile linea dorata sugli occhi che faceva risaltare il colore olivastro della pelle. Gli fu particolarmente evidente quando lei sbatté le palpebre un paio di volte, sorpresa da un commento piuttosto colorito di Oliver che lei intercettò nel fare il proprio ingresso in Sala Comune.

Il ragazzo rimase senza parole, imbarazzato dalla volgarità con cui l'aveva accolta o forse soltanto colpito dalla vista di lei.

Con un sorriso sulle labbra, Albus lo sentì balbettare delle scuse, ma si perse la replica di Karen perché Scorpius richiamò la sua attenzione sul gioco. Nel vederlo distratto, seguì la direzione del suo sguardo fino alla loro compagna e gli rivolse una muta domanda inarcando un sopracciglio.

Lui non rispose e si limitò a constatare che Scorpius aveva mosso l'alfiere e conquistato il dominio delle caselle bianche. Senza rifletterci troppo, spostò il re per evitare che la collaborazione dei cavalli potesse metterlo in difficoltà.

«Dovremmo approfittare della bella giornata e uscire», suggerì Len a voce alta.

Karen prese posto accanto a lei sul divano. «Sono d'accordo. Aspettiamo Pete e andiamocene a Hogsmeade. Ho voglia di una cioccolata calda.»

«Io di un'altra battaglia con le palle di neve», replicò Steven, scattando in piedi.

Lei sorrise. «Anche.»

«Con quelle scarpe non andresti lontano», la prese in giro Oliver, adocchiando gli stivali con il tacco che aveva indossato.

Karen gli rispose in tono offeso. «Tu non hai idea di cosa potrei fare con queste scarpe.»

«Che peccato non poter uscire in serata», si lamentò Len. «Dubito che il cenone organizzato a Hogwarts andrà molto oltre un brindisi di mezzanotte e qualche fuoco d'artificio magico sul soffitto della Sala Grande.»

«Potremmo organizzare una festa qui», propose Albus. «Non avremmo vincoli di orario e non infrangeremmo troppe regole tutte insieme.»

Len spalancò la bocca. «Per Merlino! Albus, hai appena avuto un'idea divertente

«Mi piace!», acconsentì subito Karen. «E ci sono un sacco di giochi che potremmo fare. Se riusciamo a procurarci un po' di alcolici...»

«Qui ci sono due ragazzini», le ricordò Oliver, accennando al fratello e a Pete che li aveva appena raggiunti e stava cercando di cogliere la natura della conversazione.

«... e delle Burrobirre per i marmocchi...»

«Nessuno di voi ha l'età per bere!», s'intromise Steven, ma quattro paia di occhi – Albus era troppo divertito per reagire come i compagni – lo fulminarono all'istante.

«D'accordo, allora usciamo e procuriamoci quello che ci serve», si unì Scorpius, muovendo la regina con un sorriso sulle labbra. «Scacco.»

Albus sgranò gli occhi. «Ma è un suicidio!»

«Credevo si chiamasse sacrificio

«Quando serve a qualcosa! Il mio pedone mangia la tua regina e resti in svantaggio di pezzi e di posizione. Hai praticamente perso.»

«Ma ti ho messo sotto scacco. Una volta», ribatté Scorpius, soddisfatto.

Albus sospirò, sconfitto.

«Un patto è un patto», lo sentì aggiungere, in tono abbastanza basso da non essere udito dagli altri.

Tra la frustrazione e un lampo di orgoglio, si rese conto che se avesse potuto lo avrebbe baciato lì, davanti a tutti. Ignorò la fastidiosa consapevolezza di essere lui stesso l'unico impedimento a quella libertà, e gli sorrise. «Allora ti devo un premio.»

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Note

Tutte le mosse di scacchi presenti in questo capitolo e le varie strategie menzionate da Albus e Scorpius sono ispirate a partite reali e a spiegazioni trovate in rete, ma non sono comunque un'esperta, quindi mi scuso per eventuali imprecisioni.

Da questa settimana conto di riprendere il normale ritmo di pubblicazione, ogni due weekend, ma non escludo possibili slittamenti a causa del periodo che sto attraversando, particolarmente impegnativo in termini lavorativi.

Grazie a chi continua a seguire questa storia. ♥

Alla prossima!

Futeki

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