16. La Verità è nuda e fredda
XVI
La Verità è nuda e fredda
[...] La Verità, è Nuda, e Fredda –
Ma è quella che sorreggerà –
Se qualcuno non è sicuro. [...]
(E. Dickinson)
«Scorpius?» Un sussurro, ma da un timbro di voce che non poteva ignorare. Una mano sulla spalla lo scosse con delicatezza. «Svegliati.»
«No», protestò, gli occhi ancora saldamente chiusi. «Al diavolo le lezioni. Se i professori chiedono di me, di' che sono andato in cerca di Nargilli.»
Albus rise. «Ma siamo in vacanza! Potresti davvero andare in cerca di Nargilli, per quel che importa ai professori.»
Scorpius aprì un occhio solo e lo guardò di traverso. Il pigiama che aveva ancora addosso e l'espressione rilassata gli davano l'aspetto giocoso di un bambino. «Se non ci sono le lezioni allora cosa vuoi?»
Lui si accigliò. «Te.»
Non c'era niente di infantile nel modo in cui pronunciò quell'unica sillaba. Scorpius sbatté le palpebre un paio di volte, per metterlo a fuoco e schiarirsi i pensieri. Poi si spostò di lato e sollevò un angolo delle coperte. Il freddo si insinuò tra le lenzuola insieme ad Albus, ma non gli importava. Quando si fu steso accanto a lui, coprì di nuovo entrambi. Gli strinse il busto con il braccio e le cosce con una gamba, poi infilò la testa nello spazio tra la sua spalla e il collo. Tutto il suo corpo copriva quello di Albus. «Potrei restare così per sempre», annunciò. «Al diavolo i Nargilli.»
Lui rise di nuovo. Si voltò senza sciogliersi dall'abbraccio e riuscì a posizionarsi in modo da avere gli occhi all'altezza dei suoi. «Non erano i Nargilli il nostro obiettivo del giorno.»
«Avevamo un obiettivo del giorno che non fosse questo?», domandò Scorpius, poi si avvicinò per baciarlo.
Aveva inteso essere dolce, ma nell'istante in cui la sua bocca trovò quella di Albus una frenesia che di recente gli era diventata sempre più familiare si impadronì di lui. Spinse le sue labbra a schiudersi e le trovò dolcemente arrendevoli.
Scorpius avvertì in ogni punto del proprio corpo la necessità di averlo, quasi il desiderio avesse sostituito il sangue che gli scorreva nelle vene. Si mosse per stringerlo di nuovo, perché bramava un contatto più intenso; quando le dita trovarono l'orlo della maglia del pigiama vi si infilarono al di sotto. Gliel'avrebbe tolta, poi avrebbe fatto lo stesso con i pantaloni. E se Albus avesse voluto, si sarebbe anche fatto spogliare – ma in quel momento non era la sua priorità. Voleva vederlo, sentirlo, e placare il bruciore che gli si era acceso dentro.
Si allontanò di colpo e riprese fiato. Era sopra di lui, le braccia ai lati del suo corpo e le gambe incastrate tra le sue. Doveva assolutamente calmarsi.
Albus non sembrava essersi accorto del suo conflitto. Lo guardava con occhi luminosi e si mordeva il labbro inferiore, già gonfio per i baci. Scorpius si lasciò cadere al suo fianco, perché non poteva vederlo così e sperare di riacquisire il controllo di sé.
«Puoi riposare ancora un po' se vuoi», lo sentì dire. «Posso andare a Hogsmeade con Len per comprare gli ingredienti per la pozione. Ma dopo avrò bisogno di te per prendere dalle Serre quelli che non possiamo acquistare.»
«Io ho bisogno di te adesso», replicò Scorpius, addolcendo quella replica secca con un sorriso e guadagnandone uno in cambio. Non aveva nessuna voglia di separarsi da lui. «Andiamo insieme.»
***
Albus ignorò il cartello sospeso per magia che indicava il corridoio dedicato agli ingredienti di origine vegetale e proseguì senza esitazione verso una serie di scaffali a cui nessuno degli altri clienti sembrava interessato.
Scorpius e Len lo imitarono in silenzio e lo guardarono muoversi con sicurezza nel negozio. Un paio di volte l'apprendista del proprietario di Erbe magiche e altri ingredienti gli si avvicinò per aiutarlo a pesare o versare in una provetta alcuni materiali, ma Albus sembrava così a proprio agio e del tutto in grado di farcela da solo che il ragazzo smise di ronzargli intorno – probabilmente per non sfigurare davanti al capo per colpa di un cliente un po' troppo capace.
Scorpius riconobbe solo alcune delle sostanze che stava raccogliendo – zanne di serpente, aculei di porcospino, pungiglioni di celestino essiccati – e si chiese quanto complessa dovesse essere una pozione che ne richiedeva così tante.
«Ci serve davvero tutta quella roba?», domandò Len, dando voce ai suoi stessi dubbi. «Non ricordo che nella traduzione che ho fatto ci fossero queste cose.»
Albus scosse la testa. «Spine argentee acuminate», recitò a memoria, senza alcun bisogno del foglio di pergamena che elencava gli ingredienti. «Sospetto siano le zanne di serpente, ma non ne sono sicuro. Vanno introdotte nel calderone quasi alla fine e penso di poter capire se ho ragione in base al colore e alla consistenza che la pozione avrà raggiunto per allora.»
Len si irrigidì. «Quindi la traduzione non è precisa?»
«Penso che neanche in lingua originale il procedimento fosse chiaro», la tranquillizzò Albus. «Sembrano gli appunti di un pozionista che sperimenta un composto molto instabile, ci vorrà un po' di intuito per raggiungere un risultato abbastanza simile a quello riportato nel libro.»
«Grandioso», bofonchiò lei, scoraggiata.
Albus non si scompose e si avviò al reparto dedicato ai barattoli di insetti.
«Mi sembri molto tranquillo», gli disse Scorpius, affiancandolo per tenergli il sacchetto in cui stava infilando la merce man mano che la sceglieva.
Lui scrollò le spalle. «Ce la posso fare.»
«Non ne dubito», replicò deciso. «Ma di solito lo fai tu.»
Albus si voltò, gli rivolse uno sguardo di sfida e un mezzo sorriso. «Durante una partita molto impegnativa il mio capitano mi ha detto che non mi era richiesto di vincere, ma solo di dare il massimo», lo citò. «Sono concentrato. Mi aiuti o no?»
Scorpius sigillò il sacchetto e ne prese un altro con la mano libera. «Agli ordini.»
Si aggirarono per i corridoi del negozio per oltre un'ora. Albus tirò fuori dallo zaino la pergamena con gli ingredienti soltanto un paio di volte, per cercare ispirazione tra le parole tradotte di istruzioni già vaghe.
Len lo seguiva nervosa, Pozioni era l'unica materia in cui avesse mai avuto qualche difficoltà e si sentiva chiaramente a disagio per l'incapacità di contribuire. Scorpius, invece, supportava l'amico tenendogli questo o quell'altro strumento e portandosi dietro i sacchetti con i componenti già selezionati. Di tanto in tanto lo stuzzicava con una battuta per togliergli l'espressione seria dalla faccia, suscitando il suo sorriso e le occhiate incuriosite di Len.
«Asfodelo, belladonna, aconito», elencò, guardando preoccupato le foglie tossiche di quest'ultimo. Di solito per le preparazioni magiche si usavano i fiori o le radici. «Dobbiamo preparare una pozione o avvelenare qualcuno?»
«Il confine è sottile», confermò Albus divertito, poi mostrò un vasetto in terracotta che conteneva un ciuffo di centinodia. «Difficilmente questa ci servirà, ma potremmo farci un buon idromele.»
Len si illuminò, Scorpius invece fece una smorfia. «Non mi piace l'idromele.»
Un'occhiata di intesa passò tra lui e Albus. «Preferisci il Rum di Ribes Rosso?»
Il ricordo del loro primo bacio emerse prepotente assieme al sapore fantasma del liquido vermiglio con cui avevano brindato.
«Decisamente.»
«Forse qui da qualche parte ci sono anche i frutti di bosco.»
«O potremmo fermarci ai Tre Manici di Scopa e prenderne un calice a testa.»
Len spostò lo sguardo dall'uno all'altro, perplessa. «Non credo che il Rum di Ribes Rosso si serva nei calici, ma non sono certa di voler sapere cosa mi sto perdendo di questa conversazione.»
Si sorrisero, poi Albus tornò a scrutare gli scaffali, mentre Scorpius le chiese una mano con i sacchetti.
Quando portarono alla cassa i loro acquisti, Albus individuò un pacchetto di carote caramellate su un ripiano accanto e lo aggiunse alla spesa, ignorando le occhiate interrogative degli amici.
Una volta fuori, Len prese a scorrere la lista degli ingredienti. «Sembra che abbiamo preso quasi tutto, con delle varianti per i componenti su cui non eravamo sicuri. Mancano soltanto le Foglioline di Briofite Pietrificanti.» Abbassò la pergamena per guardare i suoi amici. «Almeno sappiamo cosa sono?»
Albus annuì. Si erano stretti nei mantelli e stavano attraversando le strade di Hogsmeade. Non era una giornata particolarmente fredda, ma il vento sferzante li costringeva a nascondere i volti nelle sciarpe. Avevano diviso i recenti acquisti tra le loro borse e procedevano in direzione del Lago Nero a passo svelto. Scorpius sentiva il braccio di Albus toccare il suo mentre camminavano vicini, quindi tirò la mano fuori dalla tasca del mantello e sfiorò con il dorso guantato il fianco dell'amico, che gli rivolse un'occhiata complice, ma non si mosse. Avrebbe voluto stringergli la mano, ma accettò il suo desiderio di riservatezza senza prenderlo per un rifiuto.
«Le briofite sono piante che nascono lungo i corsi d'acqua perché prive di strutture vascolari lignificate e quindi incapaci di spingersi in profondità nel suolo», spiegò Albus, riportando l'attenzione di tutti sull'ultimo ingrediente. «La loro mancanza di tessuti di trasporto richiede che siano utilizzate per le pozioni nell'arco di un paio di giorni dal momento in cui vengono raccolte, altrimenti perdono le loro proprietà magiche.»
«Sono muschi, quindi», comprese Len, sovrappensiero. «Quelli che crescono ai margini del Lago Nero non vanno bene?»
Albus scosse la testa. «Nel procedimento della pozione sono esplicitamente richieste briofite pietrificanti, quelle che favoriscono i fenomeni di travertinizzazione negli ambienti dov'è presente acqua corrente.»
«E dove lo troviamo un fiume abbastanza raggiungibile da procurarcele e tornare in tempo per poterle utilizzare nella pozione?»
Il modo in cui gli angoli della sua bocca si piegarono in su diede loro l'idea della soddisfazione che gli aveva dato quella domanda. «Nella Serra Numero Zero.»
***
La Serra Numero Zero era il regno del professor Paciock. Era stato lui a organizzarne la costruzione e si diceva che al suo interno coltivasse piante esotiche dai poteri inimmaginabili.
Scorpius non ci credeva, aveva sempre pensato che il professore volesse semplicemente un luogo in cui dedicarsi alla propria passione senza le interferenze di studenti poco attenti alla cura delle sue preziose creature vegetali.
Albus sembrava saperne più di loro. «C'è una piccola cascata artificiale nella Serra Numero Zero», spiegò, mentre superavano l'orto in direzione del luogo in cui si tenevano le lezioni di Erbologia. «Moltissime piante hanno bisogno di un corso d'acqua per crescere bene e il Lago Nero è troppo freddo e troppo immobile per la maggior parte di loro.»
Nel silenzio del pomeriggio di un giorno di festa, Albus li guidò verso la Serra Numero Due, in cui entrarono senza difficoltà con un semplice Alohomora, e tirò fuori dal terriccio di un vaso di basilico una grossa chiave d'ottone.
«Come facevi a sapere dove trovarla?», si decise a chiedere Scorpius.
Albus scrollò le spalle. «Lo scorso anno il professor Paciock mi ha mostrato la sua serra per una ricerca sugli habitat magici, poi ha nascosto qui la chiave. Deve aver pensato che se anche avessi approfittato dell'informazione, ne avrei avuto abbastanza cura da non fare danni.» Sorrise.
L'interno della Serra Numero Zero era ampliato con la magia e ricco di una moltitudine di piante. Scorpius non ne riconobbe la maggior parte, ma Albus sembrava sapere esattamente come muoversi e anche Len fu in grado di indicargli delle foglioline urticanti da cui stare alla larga mentre procedevano dietro l'amico.
Sopra di loro, un fiume sospeso nasceva da un punto imprecisato del soffitto, una sorgente magica che doveva in qualche derivare da un torrente reale situato altrove. L'acqua scorreva sopra le loro teste su un letto invisibile e poi precipitava in un salto di almeno quattro metri fino al livello del suolo, dove proseguiva serpeggiando all'interno della serra fino al punto in cui si inabissava, sparendo sottoterra.
«Bello, vero?»
Ad Albus brillavano gli occhi e Scorpius non poté fare a meno di sorridergli. «Molto.»
«Io resto di guardia», si offrì Len. «Anche se non so cosa faremmo se ci beccassero qui.»
«Lo so io», la rassicurò Albus, senza aggiungere dettagli.
Si avviò verso la cascata, superando una serie di vasi vuoti e lasciando il lastricato in favore del terreno umido.
«Attento a dove metti i piedi.»
Scorpius prese l'avvertimento come un invito a seguirlo, quindi obbedì, evitando con cura radici e arbusti sporgenti.
L'amico aveva estratto la bacchetta e stava studiando attentamente la parete rocciosa di fianco alla cascata. Vi passò la mano con delicatezza, affondando le dita nel muschio.
«Il travertino è una roccia affascinante, deve la sua formazione alle briofite», gli spiegò in tono basso, come se parlasse tra sé. «Le piante trattengono l'acqua, dando il tempo al carbonato di calcio di precipitare, e allo stesso tempo sottraendo l'anidride carbonica per la fotosintesi.»
«È davvero incredibile», concesse. «Come fai a sapere tutte queste cose?»
Albus scrollò le spalle. «Le ho lette in alcuni libri.»
Un sorriso allargò le labbra di Scorpius. «Secchione.»
«Ignorante.»
«Per fortuna ci sei tu ad acculturarmi.»
«Puoi dirlo forte.»
Estrasse una provetta dalla tasca del mantello e iniziò a grattare via dalle rocce una piccola quantità di muschio. Poi la sigillò e la ripose.
«Possiamo andare.»
«Più facile del previst...»
«Ragazzi!», li stava chiamando Len, riuscendo nell'impresa impossibile di urlare sottovoce. Camminava chinata nella loro direzione, nascondendosi tra le piante per non essere vista attraverso la finestra. «Sta arrivando Paciock!»
«Dobbiamo attraversare il fiume», disse Albus, sbrigativo. «Veloci.»
Scorpius e Len ebbero il buon senso di non fare domande. Avrebbero dovuto fare il giro della Serra, tornando da dove erano venuti, ma in quel modo sarebbero stati chiaramente visibili dalla porta. Scelsero un punto in cui dei massi affioranti permettevano di raggiungere l'altra sponda saltando dall'uno all'altro.
Scorpius si mosse per primo, rapido e attento. Quando posò i piedi su una roccia abbastanza ampia e stabile si voltò. «Attenti a non scivolare.»
Len lo seguì, allungando le braccia in avanti per farsi aiutare a compiere l'ultimo salto prima che lui continuasse la traversata.
«Scorpius», si sentì chiamare quando ebbe raggiunto la riva. Albus era fermo sul masso più grande a metà strada, in attesa che Len gli lasciasse campo libero. Indicò un punto alle sue spalle, spingendolo a voltarsi. «Cavolo carnivoro cinese.»
Posò gli occhi su quello che sembrava un grosso cavolo munito di denti affilati che di tanto in tanto faceva schioccare in modo minaccioso.
Len alzò un sopracciglio. «È quello che Paciock ha portato a lezione?»
Accadde tutto molto in fretta: la strega si voltò per rivolgere la domanda direttamente ad Albus; quest'ultimo, che aveva appena messo un piede sulla riva e aveva l'altro ancora su una roccia, fu raggiunto al petto dal braccio di Len, che lo aveva sollevato per indicare la pianta. Albus perse l'equilibrio e rovinò in acqua, finendo per essere trasportato dalla corrente per alcuni metri.
«Albus!»
Fortunatamente, il fiume era poco profondo e lui riuscì a rimettersi in piedi, tirando fuori dall'acqua il busto intero.
«E voi cosa ci fate qui?»
Il professor Paciock spuntò alle loro spalle e nel vederlo in acqua si accigliò.
«Albus!», fece sorpreso, rivolgendogli un'occhiata carica di disappunto. «Dovrò cambiare posto alla chiave della serra.»
Scorpius si sporse ad aiutare l'amico, evitando di rispondere.
«Ecco, noi...», iniziò Len, nervosa.
«È per Scorpius, professore», intervenne Albus, issandosi sulla riva e togliendosi il mantello zuppo dalle spalle. «Alla lezione sulle piante carnivore lui non c'era e ci teneva a vederlo.»
A completamento delle proprie parole, rivolse uno sguardo al Cavolo che sembrava quasi... affettuoso.
Il professore incrociò le braccia sul petto, poco convinto. «Avreste dovuto chiedermelo.»
Albus avanzò, sfoderando la sua espressione innocente. «Mi dispiace, ero convinto che fosse partito per trascorrere il Natale con sua nonna.» Frugò nella tasca del mantello ed estrasse il pacchetto di carote caramellate acquistato a Hogsmeade quella stessa mattina. «Ho anche pensato che fosse una buona idea portarle del cibo che avrebbe gradito, data la sua assenza.»
L'espressione di Neville Paciock si addolcì, forse perché era impossibile restare arrabbiati con uno dei suoi migliori studenti – o forse perché quest'ultimo aveva pensato alle sue piante come a qualcosa di cui prendersi cura e da viziare. «Non avrei lasciato la serra per tutte le vacanze», lo rassicurò, senza alcuna traccia di rimprovero. «Partirò domani, ma tornerò ogni tre giorni per prendermi cura delle piante che ne hanno bisogno.»
Albus gli rivolse un sorriso comprensivo che era la migliore manifestazione del suo animo Serpeverde a cui Scorpius avesse mai assistito. «Avrei dovuto immaginarlo.»
«Ci scusi per l'intrusione, professore», si inserì lui, aprendo bocca per la prima volta. «Ero solo curioso», concluse per reggere il gioco all'amico.
«Adesso la lasciamo lavorare», aggiunse Len.
«Se volete fare un giro sarò felice di spiegarvi...»
Uno starnuto interruppe la sua frase a metà. «Mi scusi», fece Albus, passandosi una mano tra i capelli bagnati. «Forse dovrei tornare al castello ad asciugarmi. Sono scivolato», concluse con l'ennesimo sorriso innocente. Gli allungò il pacchetto di carote. «Per lui», concluse gettando un'altra occhiata amorevole alla creatura inquietante che aveva costituito la loro copertura.
Scorpius si trattenne per non scoppiare a ridere.
«Ma certo», replicò il docente. «Andate pure, ragazzi.»
***
Albus stringeva tra le mani una tazza fumante, ma non sembrava intenzionato prenderne neanche un sorso. Dopo una doccia calda, si era raggomitolato sul divano più vicino al camino della Sala Comune e se ne stava a fissare le fiamme in silenzio.
Scorpius gli sistemò sulle spalle una coperta, ricevendo in cambio uno sguardo carico di gratitudine. Era stato nelle cucine a procurarsi del tè e un po' di torta che rimpiazzasse la cena di cui nessuno dei due aveva voglia, ma Albus si era limitato ad assaggiarne un pezzetto per poi abbandonarla sul tavolino da caffè.
«Hai ancora freddo?», gli domandò prendendo posto al suo fianco.
Lui scosse la testa e sistemò la tazza accanto ai piatti ancora pieni.
«Non vuoi mangiare?»
«E tu?»
«Ho preso entrambe le fette per te.»
Albus sorrise senza guardarlo negli occhi. «Sto bene così.»
Scorpius allungò un braccio sullo schienale del divano e fu felice di sentirlo rilassarsi contro di sé. Stava per chiedergli cosa gli passasse per la testa quando lui lo sorprese con una domanda che non si sarebbe mai aspettato.
«Hai salutato Dominique prima che partisse?»
Si accigliò. Rifletté alcuni secondi sul senso di quella frase, poi si concentrò per rispondere nella maniera più sincera possibile. «Non ricordo di averla vista, ieri.»
«Era vicino a Rose.»
«Non ci ho fatto caso.»
Albus esitò, come se si aspettasse che aggiungesse altro. Quando lui non lo fece, si morse il labbro e gli chiese ciò che realmente gli premeva sapere. «Pensi mai a lei?»
Scorpius non ebbe bisogno di ponderare la risposta. «No.»
«Mai?»
«Mai.» Forse gli avrebbe rimproverato l'insensibilità con cui riusciva a non degnare della minima considerazione una ragazza che aveva baciato due volte, o magari, sperava, avrebbe apprezzato che fosse del tutto incapace di pensare ad altri che a lui. «Come ti è venuto in mente?»
Una scrollata di spalle. «Insicurezza, credo. Sai, è difficile accettare che tu possa volere me anziché lei. O chiunque altro.»
Scorpius combatté contro il fastidio del constatare ancora una volta che non si riconosceva alcun valore. Odiava che non vedesse quanto fosse intelligente e pieno di risorse, come aveva dimostrato soltanto poche ore prima, quando era riuscito a convincere il professor Paciock dell'innocenza delle loro intenzioni. Più di tutto detestava la propria incapacità di convincerlo che non ci fosse nessun altro che avrebbe potuto desiderare in quel modo. «Invece è proprio così.»
«È la prima volta per me», ammise Albus con un sospiro.
Lo strinse più forte. «Anche per me.»
Lui si ritrasse, sgomento, poi un lampo di fastidio prese il posto della sorpresa sul suo volto. «Non mentirmi per consolarmi. Io so che tu e Rose...» Arrossì. «Voglio dire, anche se non ne abbiamo mai parlato apertamente, perché tutto volevo sapere tranne che i dettagli...»
La mente di Scorpius registrò con più soddisfazione del lecito un'irritazione che andava al di là dell'imbarazzo. «Eri geloso?», chiese, intenerito da quella possibilità.
«Io so che siete stati insieme diverse volte», concluse lui, ignorando la domanda. «Non è lo stesso per me, anche se tu non sei mai stato con un ragazzo prima d'ora.»
Ebbe finalmente la percezione che il suo discorso andasse a parare altrove rispetto alla direzione che avevano preso i suoi pensieri. «Tu stai parlando di sesso.»
Lo vide sussultare e arrossire ancora. «Tu no?», replicò confuso, ma la sua espressione dovette sembrargli una risposta sufficiente. «E di cosa, allora?»
Di sentimenti, avrebbe dovuto replicare, ma gli mancò il coraggio. E forse era meglio così, perché sapere che Albus lo desiderava quanto lui era una piacevole fitta all'altezza dello stomaco, perciò non c'era motivo di risalire fino al cuore ed esplorare la graffiante prepotenza di ciò che sentiva.
«Non ti devi preoccupare di quello.»
Albus lo stava fissando, gli occhi verdi puntati nei suoi a ostentare una determinazione che vincesse l'imbarazzo. «Perché, a te non interessa?»
L'ultima cosa che voleva era turbarlo. Scorpius era continuamente diviso tra l'esigenza di non fargli alcun tipo di pressione e la necessità di mostrargli quanto lo desiderasse per mettere a tacere le sue insicurezze. Camminava su un filo sottile di autocontrollo che minacciava di spezzarsi da un momento all'altro sotto il peso dell'attesa.
«Stamattina», proseguì Albus, quando ebbe compreso che non avrebbe avuto risposta, «tu mi volevi, non è vero?»
Scorpius sospirò, i pensieri subito rivolti a ciò che aveva immaginato di fare quando al risveglio aveva aperto gli occhi e se lo era trovato davanti. «Io ti voglio sempre.»
Glielo aveva già detto ed era una verità assoluta, che poteva tentare di nascondere nei gesti per non forzarlo, ma che a parole non sarebbe mai riuscito a negargli.
«Però stamattina ci hai pensato. In quel momento io l'ho visto.»
«Sì.»
«Lo rivoglio», gli disse con decisione. «Quel momento. Vedere che mi vuoi.»
Lo osservò per individuare una traccia di tentennamento nella sua espressione, ma non ne trovò. Aveva i capelli ancora umidi sulla fronte, gli occhi accesi e le labbra schiuse. Ed era bello, bello in un modo che lui neanche riusciva a vedere. Quando Scorpius si sporse per baciarlo, assecondando più un istinto che un pensiero consapevole, Albus lo incontrò a metà strada.
Nessuno dei due si preoccupò che fossero nella Sala Comune e che da un momento all'altro qualcuno avrebbe potuto sorprenderli. Non rifletterono sul fatto che avessero una camera tutta per loro a pochi passi, comoda e privata, perché niente aveva importanza quanto l'urgenza di ritrovarsi nel reciproco respiro.
Scorpius avvertì la carezza della lingua di Albus nello stesso istante in cui le sue mani gli circondavano il viso. La coperta che gli aveva posato sulle spalle scivolò via e lui se ne liberò per tornare a stringerlo con un ostacolo in meno tra i loro corpi.
Quando lo spinse a stendersi, Albus non oppose alcuna resistenza. Gli baciò l'angolo della bocca, poi la guancia, infine scivolò sul collo dove alternò le labbra ai denti – morsi troppo leggeri per lasciare un segno, ma che riverberavano nella carne di entrambi come il più intimo dei contatti.
Quando si fece impellente l'esigenza di guardarlo, posò le mani ai lati della sua testa e si sollevò. Aveva le labbra arrossate e schiuse che sembravano sul punto di inseguire le sue. Albus le curvò verso l'altro mentre una scintilla di divertimento gli animava gli occhi.
«Cerchi di impedirmi la fuga?», domandò, mentre con la guancia sfiorava un braccio che lo teneva imprigionato. «Guarda che non vado da nessuna parte.»
Scorpius ricambiò il sorriso. «Mi piace l'idea che tu sia incastrato tra il mio corpo e una superficie qualsiasi. Un divano,» si chinò a posare la bocca sulla sua, alternando le parole ai baci, «un letto», si spostò sulla guancia, dal lato che ancora non aveva avuto modo di vezzeggiare, «la parete della doccia degli spogliatoi...»
La confessione si spense contro il suo collo, sfuggita in un momento troppo intenso perché Scorpius avesse la lucidità di tenerla per sé. Schiuse le labbra e succhiò la pelle – e se gli avesse lasciato un segno tanto meglio –, quindi lo sentì emettere un suono che pensò lo avrebbe tormentato per sempre.
«E poi?», mormorò Albus contro il suo orecchio, il respiro incerto. «Dopo avermi incastrato?»
Scorpius sorrise amaro e si allontanò di nuovo da lui per guardarlo. «Dovresti smetterla di provocarmi.»
«Perché? Hai paura di cedere?»
«Ne sono terrorizzato.»
Le mani di Albus abbandonarono la presa sulla sua schiena per tornare a stringergli il viso. Gli passò i pollici sulle guance con una tenerezza tale che a Scorpius occorse tutto il proprio autocontrollo per evitare di voltarsi e baciargli il palmo, ma non poteva abbandonare i suoi occhi in quel momento.
«Io no», dichiarò lui, trasmettendogli tutta la propria convinzione. «Lasciati andare, non scapperò. È quello che voglio.»
Quando non riuscì a trovare le parole per replicare, Scorpius lo baciò ancora. Schiuse la bocca e s'inebriò del sospiro strozzato che emise quando infilò le dita sotto il maglione per affondarle nella carne nuda.
Gli morse un labbro e poi vi passò sopra la lingua, come per addolcire la durezza del primo contatto con la tenerezza del secondo. Tutto il suo corpo era premuto contro di lui, ma Albus non sembrava affatto infastidito né dal suo peso, né dal modo in cui il bacino di Scorpius continuava a ricercare il suo.
«Lo sai che sei tu ad avere tutto il potere su di me e non il contrario, vero?», gli disse quando riuscì a separarsi da lui.
Albus sorrise incerto, stordito dai baci. «Inizio a sospettarlo.»
«Hai ancora freddo? Vuoi finire la torta?»
«Cosa?» Confuso, si voltò a guardare il camino e i piatti sul tavolino, riacquisendo la consapevolezza dell'ambiente che li circondava. «No.»
Scorpius sollevò un angolo della bocca. «Allora andiamo in camera.»
***
Scorpius chiuse la porta e vi si appoggiò contro, studiando i suoi movimenti. Lo vide avanzare con sicurezza nella semioscurità per raggiungere il comodino: Albus accese la lampada e la luce improvvisa ferì gli occhi di entrambi. Scorpius sbatté le palpebre un paio di volte e quando riuscì a metterlo di nuovo a fuoco scoprì che aveva ignorato il proprio letto e si era seduto sul suo, dal quale lo osservava con un mezzo sorriso.
Si staccò dalla porta prima ancora di averlo deciso razionalmente.
Si infilò tra le sue ginocchia per averlo più vicino possibile, poi gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Ogni volta che lo faceva gli sembrava la prima, un nodo gli stringeva lo stomaco e il sapore della sua bocca gli bruciava la gola fino a lasciarlo senza fiato. Eppure allo stesso tempo iniziava ad avvertire la familiarità di quel gesto, riconoscendo quei piccoli segni che voleva essere l'unico ad aver scoperto – il modo in cui il respiro gli si spezzava quando schiudeva le labbra per approfondire il bacio, il guizzo della sua lingua quando si accorgeva dell'intrusione e la accoglieva con un misto di sorpresa e aspettativa.
Scorpius era smanioso di toccarlo, di sentirlo contro di sé, ma non riuscì a fare a meno di prendersi del tempo per baciarlo con calma. Avrebbe potuto farlo per sempre, ignorare la tensione del proprio corpo e le fitte di eccitazione al bassoventre solo per bearsi di quel contatto più innocente, che sapeva così tanto di lui da scaldargli il cuore.
Fu Albus a lasciarsi cadere all'indietro e a trascinarlo con sé. Lui si mosse appena per non pesargli addosso, rotolando su un fianco senza interrompere l'abbraccio, le mani saldamente intrecciate dietro la sua testa per impedirsi di toccarlo dappertutto.
«Dimmi quello che vuoi», pronunciò in un sussurro che rasentava la preghiera.
Lui gli afferrò l'orlo della maglia e lo tirò verso l'alto. «Toglila.»
Obbedì senza fiatare. Si puntellò su un gomito e si sfilò l'indumento.
Albus passò le dita sulle sue spalle, percorse la linea della clavicola e scese sul petto, in un contatto lievissimo. Lo vide accarezzargli l'addome e poi sfuggire all'immagine che già si andava formando nella mente di Scorpius quando riportò le mani sulle sue braccia. Con l'indice indugiò sulla cicatrice che si era fatto un anno prima, quando era stato troppo distratto dal pensiero di lui per rendersi conto che stava per finire contro il Platano Picchiatore.
Proseguì nel suo studio, lento ma senza esitare, e Scorpius desiderò di poter fare la stessa cosa a sua volta. Lo aveva già visto nudo, negli anni in cui avevano condiviso il dormitorio e lo spogliatoio al termine degli allenamenti. Erano stati momenti spontanei, tratteggiati dall'assenza di pudore di chi è cresciuto insieme all'altro, ma a un certo punto, non ricordava esattamente quando, aveva iniziato a prendere coscienza della necessità di distogliere lo sguardo da lui nei suoi momenti privati e ad avvertire la colpa quando esitava un istante di troppo a obbedire a quell'imperativo.
Adesso Scorpius voleva che si spogliasse per lui, voleva osservarlo con la consapevolezza di avere diritto a quel desiderio e ancora di più a soddisfarlo – perché era ciò che bramavano entrambi.
All'ennesimo brivido indotto dal suo tocco, cedette e lo baciò. Albus lo ricambiò subito e lui avvertì con chiarezza ogni punto del proprio corpo premuto contro il suo. Infilò una mano in mezzo a loro per strattonare il maglione che ancora impediva il contatto pelle contro pelle e Albus si separò da lui per toglierselo.
Si scambiarono uno sguardo più intimo di un bacio, occhi accesi e profondi incontrarono i suoi in un istante di esitazione. Poi Scorpius sentì una gamba premere tra le sue e la stretta sulla schiena farsi più forte.
Passò entrambe le mani sul suo corpo, troppo avide per seguire i movimenti leggeri che aveva preventivato. Sfregò i palmi contro le punte turgide sul suo petto, poi scese a sfiorare con le dita l'addome contratto per la tensione. Prima che potesse impedirselo, gli strinse i fianchi e lo attirò contro di sé. Se il gonfiore tra le sue gambe non fosse stato già sufficiente, il suono che Albus emise gli avrebbe comunque dato un'idea chiara del suo coinvolgimento.
In un gesto deliberatamente lento, Scorpius passò l'indice sul suo ventre, strappandogli un ansito, poi proseguì oltre l'ombelico e più in basso, seguendo la scia della sottile peluria che scompariva sotto i vestiti. Si agganciò all'orlo dei pantaloni. «Vuoi?»
«Sì.»
Quella semplice sillaba lo accese anche più dei suoi gemiti. Il pensiero di un consenso esplicito, perfino quando la sua volontà era già chiara dai gesti, gli regalò una scarica di eccitazione che lo attraversò completamente. Per la prima volta sentì che il trasporto con cui lo desiderava era giusto, ricambiato, non qualcosa da contenere e nascondere per la sua inadeguatezza.
Gli tirò via i pantaloni e poi fece lo stesso con i propri. Con solo il sottile ostacolo della biancheria a separarli tornò a premersi contro di lui e a baciarlo, infilando la mano tra i loro corpi uniti per alimentare il fuoco che stava bruciando entrambi.
«Scorpius», gli sentì pronunciare contro le proprie labbra.
Lui non si fece pregare e gli abbassò l'intimo fino a metà coscia. Il bisogno di toccarlo superò qualsiasi altra cosa e quando lo assecondò Albus soffocò un ansito contro il suo collo.
Scorpius prese ad accarezzarlo, muovendosi dapprima lentamente, poi più veloce. D'istinto, lui gli andò incontro con piccoli scatti del bacino, le labbra ancora premute sulla sua gola che mormoravano parole inintelligibili.
Poi le dita di Albus raggiunsero il suo bassoventre e lui perse il ritmo. Sentì che gli veniva abbassata la biancheria, eliminando la costrizione che gli aveva imposto un piccolo dolore a cui si era distrattamente abituato, preso com'era a rivolgere la propria attenzione su di lui.
«Insieme», gli sussurrò Albus all'orecchio, provocandogli un brivido. Poi lo accarezzò.
Il contatto minacciò di fargli perdere completamente il controllo e Scorpius dovette premere la fronte contro di lui e inspirare a fondo per mantenerlo. Quando fu sicuro di riuscire a muoversi senza smarrirsi sotto il suo tocco, allineò il bacino al suo e strinse la mano attorno a entrambi.
Colto alla sprovvista, Albus trattenne il fiato, esitando quel tanto che a lui bastò per iniziare a muoversi e dettare il ritmo per tutti e due. Il suo respiro si fece affannoso, un dettaglio che Scorpius riuscì a registrare solo con un angolo della mente.
Senza alcun motivo, con i pensieri offuscati dal piacere e il corpo teso allo spasimo, gli vennero in mente le parole con cui, solo il giorno prima, aveva ottenuto di sentirsi chiedere ciò che Albus voleva.
Per favore, toccami.
Si mosse più in fretta, assecondando la bramosia di entrambi.
Di' il mio nome.
Un tremito lo costrinse a chiudere gli occhi. «Albus.»
Lo sentì raggiungere il culmine inseguendo il proprio nome sulle sue labbra. Scorpius fu attento a lasciarlo andare, per evitare una frizione spiacevole sulla pelle ormai troppo sensibile, e proseguì soltanto per sé. Gli bastarono pochi secondi per crollare esausto e soddisfatto contro la sua spalla.
Nel silenzio dell'appagamento, interrotto solo dal rumore del proprio battito che gli pulsava nelle orecchie, udì i respiri affannosi di entrambi.
«Stai bene?», domandò Scorpius, allontanandosi leggermente per guardarlo in viso.
Albus aveva un'espressione dolcissima, gli occhi chiusi e le labbra curve in un sorriso. «Benissimo.» Colto da un pensiero, sollevò le palpebre e ricambiò il suo sguardo. «E tu?»
Lui trattenne una risata e gli schioccò un bacio all'angolo della bocca. «Suppongo di averti reso chiaro quanto ti volessi.»
La luce della lampada non fu sufficiente a svelare il rossore che Scorpius immaginava avergli colorato le guance – e non aveva davvero bisogno di una conferma visiva per esserne certo.
Si protese all'indietro per recuperare la bacchetta dal comodino, ma Albus lo trattenne. «Dove vai?»
«Da nessuna parte.» Probabilmente non sarebbe mai più riuscito ad allontanarsi da lui.
Albus annuì, serio.
«Tergeo», scandì Scorpius, prima su di lui e poi su se stesso. Dopodiché allungò un braccio per stendere una coperta addosso a entrambi. Con un ultimo sguardo si impresse a fuoco nella memoria l'immagine di Albus che scivolava nel sonno, avvinghiato a lui.
Poi spense la luce. «Buonanotte», mormorò contro i suoi capelli, accarezzandogli la tempia con un bacio.
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Note
Le informazioni circa le briofite e il fenomeno della travertinizzazione sono vere, eccetto ovviamente il riferimento alle proprietà magiche di questi vegetali. La Serra Numero Zero non esiste nel canon, è un dettaglio che mi sono divertita ad aggiungere come iniziativa di Neville, mi sembrava in linea con il suo personaggio. Per quanto riguarda il Cavolo Carnivoro Cinese, sappiamo dai libri che ai tempi di Harry veniva studiato al quinto anno, quindi ho trovato plausibile che fosse ancora così.
Tengo molto a questo capitolo e mi ha emozionata condividerlo con tutti voi. Spero che il primo avvicinamento di Scorpius e Albus in senso fisico vi sia piaciuto e soprattutto vi sia sembrato realistico.
Come al solito, un ringraziamento a chi continua a seguire questa storia. ♥
Alla prossima!
Futeki
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