15. Le cose che non tornano indietro

XV

Le cose che non tornano indietro

Le Cose che non tornano indietro, sono svariate -
L'Infanzia - certe forme di Speranza - i Morti -
Anche se le Gioie - come gli Uomini - fanno talvolta un Viaggio -
E tuttavia restano. [...]


(E. Dickinson)

«Ce l'avevi tu!»

«Se ce l'avessi io anche adesso, sarebbe nel baule, ma come vedi non c'è.»

«Devi trovarla, Tom! Ci serve!»

«Oh, andiamo, non sarà una tragedia viaggiare senza.»

«Ma quand'è che imparerai ad avere cura delle cose?»

Scorpius si rigirò tra le coperte con un lamento. Aprì gli occhi su Neil e Tom, che si erano appena resi conto di averlo svegliato con il loro battibecco e gli stavano rivolgendo un'espressione mortificata.

«Scusa, mio fratello ha perso la gabbietta di Freccia e tra poche ore dobbiamo prendere il treno», spiegò Neil, sollevando il povero animale che si dibatteva tra le sue mani.

«Non l'ho persa», protestò Tom. «È solo che non riesco a trovarla.»

Era già tanto che avessero trovato il topo, pensò Scorpius tra sé, mentre rinunciava all'idea di riaddormentarsi. Di colpo, gli eventi della notte precedente gli tornarono in mente provocandogli una stretta al cuore.

Si alzò a sedere e cercò di mettere ordine nella testa. Era domenica, le vacanze di Natale erano ufficialmente iniziate. Dopo la colazione la maggior parte degli studenti avrebbe preso il treno per tornare a casa.

«A proposito», fece Neil, realizzando improvvisamente che giorno fosse. Si scambiò un'occhiata con il fratello. «Buon compleanno», gli augurarono in coro.

Lui li ringraziò, poi sgusciò fuori dalle coperte, lasciandoli a dibattere su come gestire il problema del trasporto di Freccia mentre lui andava a farsi una doccia. Eseguì meccanicamente tutti i movimenti necessari a lavarsi e vestirsi senza pensare a niente che non fosse ciò che stava facendo.

Quando attraversò i battenti enormi della Sala Grande, lo sguardo gli cadde subito sui suoi amici e sul posto vuoto che tenevano sempre per lui, anche se a colazione non ci andava da tempo. Come se avesse avvertito la sua presenza, Albus si voltò, costringendolo ad affrontare il pensiero di ciò che avevano fatto la sera prima.

Si erano baciati.

Scorpius lo ripeté, scandendo ogni sillaba nel silenzio della propria testa.

Si erano baciati.

Era stato un bacio vero, non uno di quelli che aveva sognato o rubato a un momento di solitudine con uno sforzo di fantasia. Un bacio che lo aveva fatto tremare come solo un evento reale avrebbe potuto fare.

Era possibile che rimanesse un caso isolato, che Albus scegliesse di fare finta di nulla o gli dicesse che si era pentito di averlo fatto. Ne avrebbe avuto il diritto, ribadì a se stesso, quindi avrebbe rispettato qualunque sua decisione. Costringersi ad accontentarsi di quell'unico episodio gli avrebbe spezzato il cuore, ma poteva farcela.

«Ciao», disse, mentre Albus lo guardava in silenzio. Aveva negli occhi la traccia di pensieri analoghi ai suoi e lo vide ripercorrere gli stessi momenti che affollavano la sua mente.

«Buon compleanno!», esclamò Len, alzandosi e precipitandosi ad abbracciarlo.

Scorpius la strinse e ringraziò tutti i compagni che si stavano unendo ai suoi auguri.

Si sedette nel posto libero in mezzo ai suoi migliori amici e Albus, che fino a quel momento non aveva pronunciato neanche una parola, lo guardò con dolcezza. «Ciao», sussurrò, come se avesse detto qualcosa che era un segreto tra loro.

Scorpius avvertì una strana fitta allo stomaco, che era al contempo una sensazione piacevole e un impedimento ad approfittare dell'abbondante colazione.

«Io e Albus stavamo discutendo del progetto interdisciplinare», lo informò Len, e lui notò per la prima volta i fogli di pergamena che teneva aperti davanti a sé.

«Lascialo stare, Len», la interruppe Albus. «È il suo compleanno.»

Lei lo fulminò con lo sguardo. «Non è una buona ragione per battere la fiacca. Non abbiamo molto tempo.»

Aveva ragione, non avevano speso neanche un minuto a lavorare a quel progetto la cui scadenza si avvicinava inesorabile e a cui lei e Albus tenevano per migliorare i propri voti. E poi Scorpius aveva bisogno di tenere la mente occupata. «Va bene così. Aggiornami.»

«Il nostro progetto copre tre materie diverse, perciò ci divideremo i compiti», iniziò a spiegare Len. «Albus preparerà la Pozione di Trasferimento, qui c'è la traduzione degli ingredienti e del procedimento.» Picchiettò con il dito su una delle pergamene. «Io cercherò di individuare tutte le Rune che possono favorire il trasferimento di magia sull'oggetto per applicargliele prima di immergerlo nella pozione. Tu invece ti occuperai di trovare tutti gli incantesimi da lanciare sul manufatto per attribuirgli le caratteristiche che vogliamo.»

«Ovvero che riesca a leggere l'anima delle persone», rammentò Scorpius.

Len annuì. «Ovviamente dobbiamo decidere anche quale oggetto utilizzeremo. E tutti i passaggi tra le varie fasi li faremo insieme.»

Albus si sporse in avanti per guardare più da vicino la pergamena di Len. Nel farlo, posò una mano sulla gamba di Scorpius, che perse completamente la concentrazione.

«Mi servirà aiuto per trovare gli ingredienti», disse lui. «Alcuni non sono facili da reperire.»

«Molto bene. Dobbiamo capire di cosa abbiamo bisogno, possibilmente esprimendoci ognuno secondo le proprie competenze», concluse Len. «Potrei prendere in prestito centinaia di libri dalla biblioteca e scoprire che a Scorpius ne basterebbe uno solo per individuare gli incantesimi giusti.»

Sentendosi nominare, lui annuì, ma la sua mente era tutta focalizzata sulla mano dell'amico, ancora posata sulla sua coscia, nonostante fosse tornato al proprio posto e non avesse più bisogno di alcun sostegno.

«Dobbiamo decidere dove lavorare», disse Albus. «Ci serve un posto dove lasciare il nostro calderone nei tempi in cui la pozione dovrà riposare. Ci sarebbe il bagno di Mirtilla Malcontenta. Papà mi ha raccontato che una volta lui e i suoi amici...»

«L'ha già occupato Rose», tagliò corto lei. «Ma non so cosa stia facendo perché ha protetto il suo calderone con una serie di incantesimi. Immagino che anche i suoi genitori abbiano raccontato a lei la stessa storia.»

Albus sbuffò e incrociò le braccia sul petto, liberando finalmente Scorpius dalla distrazione del contatto con lui. «Magari potremmo tenerlo in Sala Comune.»

«Sarebbe molto esposto. Andrebbe bene se riuscissimo a fare in modo che nessuno ci veda, così non ci ruberanno l'idea, né ci saboteranno», osservò Len, considerando tutti gli aspetti più rischiosi della competizione tra studenti. «Però non mi viene in mente nessun modo per nascondere un calderone, oltre a proteggerlo. Salvio Hexia?», propose sovrappensiero. «Ma credo si applichi solo a luoghi circoscritti.»

«Un Incantesimo di Occultamento», suggerì Scorpius, unendosi finalmente alla discussione.

Lei sgranò gli occhi. «Mi sembra un po' drastico come metodo di protezione.»

«Però potremmo lasciare il calderone in un angolo della Sala Comune e nessuno lo vedrebbe. Albus potrebbe perfino lavorarci senza che gli altri se ne accorgano.»

«È un incantesimo molto avanzato», rifletté l'amico. «Pensi davvero di riuscire a lanciarlo?»

Lui annuì.

«È deciso allora», decretò Len, facendo sfoggio di una sorprendente fiducia nelle capacità di Scorpius. «Si comincia.»

***

Fuori dalle doppie porte della Sala Grande, l'Ingresso era gremito di studenti, alcuni con i bagagli, altri che salutavano i compagni in procinto di tornare a casa per Natale. Rose, ostacolata nei movimenti dal baule e dalla gabbia in cui sonnecchiava il suo gufo, aveva intercettato Albus con lo sguardo e gli aveva fatto segno di avvicinarsi.

Scorpius era rimasto qualche passo indietro mentre lui abbracciava la cugina e, a seguire, James, Hugo e Lily Luna.

«Io vado in biblioteca», annunciò Len, abbandonandolo ad aspettare la fine di quei convenevoli.

Scorpius annuì distratto, mentre osservava James il Perfetto che sembrava aver sbollito la rabbia per la partita e stava stringendo Albus in un abbraccio così soffocante che pareva preoccupato di non rivederlo mai più. Distolse lo sguardo dalla scena soltanto quando Rose attirò la sua attenzione salutandolo con la mano. Lui sorrise, grato di quell'apertura, e ricambiò. Accanto a lei, Lily Luna gli strizzò un occhio, cui lui rispose con un cenno del capo, celando la propria confusione.

Quando Albus tornò da lui, Scorpius gli lesse in volto una felicità a stento contenuta. Nonostante le discussioni frequenti, per Albus il legame con la famiglia contava più di ogni altra cosa, perciò un semplice gesto d'affetto da parte loro bastava a riempirlo di gioia. Purtroppo era per lo stesso principio che James, la cui stupidità era acclarata, era in grado di guastargli l'umore con una sola parola fuori posto. Fortunatamente in quella circostanza doveva aver tenuto la bocca chiusa.

«Andiamo?», fece Albus, allegro.

Scorpius annuì, incapace di trattenere un sorriso di fronte alla sua espressione serena.

Nei Sotterranei incrociarono Neil e Tom, che dovevano aver trovato la gabbietta di Freccia, perché il topo si dibatteva contro le sbarre, protestando per il trasferimento che i suoi padroni gli stavano imponendo. Si scambiarono i saluti e la solita promessa - mai rispettata nei quattro anni precedenti - di scriversi durante le feste.

In Sala Comune c'erano soltanto Oliver e suo fratello Steven, che avrebbero trascorso il Natale a Hogwarts con loro. Len non era ancora tornata dalla biblioteca, quindi Albus trascinò Scorpius in camera per dargli il suo regalo di compleanno.

«È soltanto metà», specificò, avviandosi verso il proprio armadio. Ne tirò fuori una scatola chiusa da un nastro verde, su cui Scorpius riconobbe il logo di Mielandia. «Il resto arriverà più tardi.»

«Grazie», disse mentre la apriva e si lasciava investire da un meraviglioso profumo di Calderotti.

Albus gli sorrise e lui pensò che no, non sarebbe stato affatto facile farsi bastare quell'unico bacio, se lui avesse scelto quella strada. Distolse lo sguardo dal suo viso, ma l'attenzione tornò sull'amico quando si rese conto che aveva allungato una mano per chiudere la porta. Nella solitudine della loro camera, proprio come la sera prima, Albus gli si avvicinò tanto da permettergli di percepire il suo respiro contro le labbra.

Lo baciò con una delicatezza che durò un solo, brevissimo istante; poi gli strinse il viso tra le mani e Scorpius gli circondò la vita con il braccio libero per attirarlo a sé. Era esattamente come lo ricordava - e come le decine di altre volte in cui lo aveva baciato nei propri pensieri: sentiva le labbra di Albus morbide contro le proprie, il suo respiro sembrava ridargli fiato mentre lui lo perdeva ogni volta che la sua lingua lo accarezzava con tenerezza.

Albus si mosse leggermente nella stretta del suo abbraccio e il contatto tra i loro corpi lo mandò fuori di testa, perciò Scorpius si costrinse a lasciarlo andare e a ritrovare lucidità. La mano con cui ancora reggeva i Calderotti tremava, così posò la scatola su una sedia.

Albus non avrebbe fatto finta di niente. Non avrebbe detto che si era pentito.

Il suo cuore perse un battito.

Si erano baciati di nuovo.

«Scusa», mormorò Albus in difficoltà. «È da ieri sera che ci penso.»

Scorpius scosse la testa. «Non devi scusarti, mi fa piacere.» Realizzò con sorpresa che era meno evidente di quanto pensasse.

«È tutto così nuovo», proseguì lui. «Come se avessi visto la realtà con un occhio solo per tutto questo tempo e avessi scoperto che guardarla con due occhi la rende diversa.»

«In senso buono?», si azzardò a chiedere.

«Certo.» Albus arrossì. «È che io neanche lo sapevo di potermi sentire così. Prima stavamo comunque bene, avevamo il nostro equilibrio, ma adesso... c'è di più.»

Scorpius gli accarezzò nuovamente le labbra con lo sguardo. «Con i salti nel vuoto è così: a volte ottieni qualcosa che non sapevi nemmeno di volere. E scopri che ti piace.»

Cancellò il mezzo passo di distanza che lui stesso aveva imposto tra loro e gli posò una mano sul braccio, stringendolo all'altezza del gomito per attirarlo a sé. «A volte vale la pena correre il rischio dell'ignoto, non credi?», sussurrò contro le sue labbra, una traccia di sorriso ancora chiara nel tono di voce. Lo baciò piano, beandosi del sussulto leggero che gli provocò quel contatto delicato. Quando si allontanò da lui, lasciò che ciò che provava trasparisse dalla propria espressione. «L'equilibrio o questo

Albus sospirò - o semplicemente liberò il fiato dopo averlo trattenuto senza accorgersene. «Sai già qual è la mia scelta.»

Scorpius lo guardò dritto negli occhi - verde screziato di desiderio. Sorrise.

«Molto bene.»

***

Len arrivò con una pila di libri tra le mani che lasciò cadere sul tavolo con un tonfo. Lui e Scorpius sussultarono, ma il terrore si attenuò quando l'amica annunciò che servivano per le ricerche che avrebbe fatto lei sulle Rune. Albus stava cercando di concentrarsi sul progetto, ma era dolorosamente consapevole della presenza di Scorpius al suo fianco e combattere la tentazione di toccarlo lo prosciugava di ogni energia mentale.

«Deve essere qualcosa di piccolo, perché dovremo immergerlo nella Pozione di Trasferimento», stava dicendo l'amico. «A meno che Albus non intenda preparare un calderone gigante, le nostre opzioni sono limitate.»

«Il problema è che non sappiamo in che modo l'oggetto esprimerà la magia che gli avremo fatto assorbire», commentò Len. «E questo probabilmente dipenderà dalla sua natura.»

«Un paio di occhiali?», propose Albus, per partecipare alla discussione. «Funzionerebbero guardandoci attraverso, a prescindere da cosa riusciranno a mostrare.»

«È una buona idea», convenne Scorpius. «Anche uno specchio può funzionare.»

«Pensate sia il caso di considerare un oggetto già magico?», domandò Len, massaggiandosi una guancia con l'indice, come faceva spesso quando era sovrappensiero.

«Sarebbe più difficile da procurare e non avremmo modo di sapere se questo interferirà con la Pozione di Trasferimento», replicò Scorpius.

Fin dal mattino, si era mostrato particolarmente concentrato sul progetto. Per un solo istante Albus si era sentito infastidito dalla semplicità con cui l'amico era riuscito a dedicarsi ad altro quando lui non ne era stato in grado, poi si era vergognato di quel pensiero. Forse era lui che dava troppo peso a quanto era accaduto. Non aveva un nome per ciò che c'era tra loro e questo lo faceva impazzire, ma non erano forse le stesse persone che erano state fino al giorno prima?

Scorpius era ancora il suo migliore amico, certo, ma Albus credeva fermamente che baciare qualcuno significasse essere qualcosa di più che semplici amici.

Gli amici non si baciano, ecco.

D'altra parte, lui aveva baciato anche Dominique - due volte - e Albus lo ricordava con una fitta di fastidio, la stessa che lo tormentava al pensiero delle parole che l'amico aveva riservato a quanto accaduto con sua cugina.

«State insieme?»

«Niente del genere. Ci siamo baciati, non ricapiterà.»

«Potrei occuparmene io», propose Scorpius. «Cercherò di procurare un oggetto adatto, visto che il mio lavoro con gli incantesimi richiederà molto meno tempo di quello che occorrerà a voi per la pozione e per le Rune.»

Len si disse d'accordo, così Albus annuì.

La verità era che sentiva che qualcosa era cambiato, dalla sera precedente. Qualcosa che riguardava lui, non solo il suo rapporto con Scorpius. C'era differenza tra accettare di essere attratto dai ragazzi e baciarne uno. Si era sentito molto coraggioso quando si era aperto con Lily sull'argomento, eppure adesso temeva profondamente il momento in cui altri avrebbero saputo di lui e Scorpius. Perché anche se la loro non era un relazione - non ancora, si disse con una punta di colpevole speranza - Albus sapeva che quel qualcosa che era cambiato in lui la sera precedente era scritto a chiare lettere sul suo viso. E perciò, se doveva affrontare la paura che tutti sapessero, meritava almeno di poter definire i contorni del loro rapporto.

Voleva baciarlo ancora - poteva? Scorpius lo avrebbe trovato opprimente? Aveva bisogno di toccarlo, di sentire che era reale lì, al suo fianco. Ma come poteva pretendere da lui che fosse disposto a lasciargli esplorare quei sentimenti se poi aveva paura di ammetterli di fronte ad altri?

Non c'era da sorprendersi che fosse l'unico di tutta la famiglia a non essere finito a Grifondoro.

Dov'è il tuo coraggio, se temi quello che sei?

Un'idea gli balenò in mente così all'improvviso che non riuscì a evitare di esprimerla ad alta voce: «Perché non chiediamo aiuto al Cappello Parlante?»

I suoi amici si voltarono a guardarlo, due espressioni ugualmente perplesse dipinte sui loro volti. Comprese che stavano parlando d'altro, Len stava scorrendo con l'indice la lista degli ingredienti per la pozione.

«La maggior parte di quelli possiamo comprarli a Hogsmeade», tagliò corto Albus, indicando con un cenno la pergamena dell'amica. «E gli altri li ruberemo dalle Serre.»

Scorpius inarcò un sopracciglio, ma fu l'unica reazione alla sua improvvisa propensione a organizzare un furto.

«Vogliamo incantare un oggetto per renderlo magico, allora perché non farci aiutare dal manufatto più potente che sia mai stato creato e che, guarda caso, può raccontare la propria storia?»

Len scrollò le spalle. «Non mi sembra un'idea così pessima.»

«È geniale», replicò Albus, spinto da un insolito moto di autostima.

«Dovremo chiedere il permesso alla Preside», fece notare Scorpius.

«Ce lo darà», disse Albus con un sorriso carico di sicurezza. «Quando saprà che è per motivi didattici sarà ben felice di accontentarci.»

***

Albus non si era sbagliato: la preside McGranitt aveva dato loro accesso immediato al proprio ufficio incoraggiandoli ad apprendere quanto più possibile dal Cappello Parlante. Il loro entusiasmo, però, fu immediatamente smorzato dalla prima risposta che ricevettero: «Miei cari ragazzi, come potrei raccontarvi la storia di come sono nato, se quando è successo ancora non esistevo?»

Len inarcò un sopracciglio, mentre Scorpius si limitò a un sorriso sardonico.

«Non sai nulla della tua creazione?», provò a insistere Albus, per celare la propria delusione.

«Fui creato dall'impeto di Godric Grifondoro, dalla saggezza di Corinna Corvonero, dalla cura di Tosca Tassorosso e dall'ambizione di Salazar Serpeverde. Tutti loro erano mossi da ragioni che mi hanno reso quello che sono, e un po' del loro potere vive ancora attraverso di me», rispose il Cappello, con lo stesso tono cantilenante con cui intonava le filastrocche di inizio anno scolastico. «Ma tutto questo lo so esattamente come so a quale Casa indirizzare ogni studente di Hogwarts.»

«Fa parte del tuo potere», dedusse Scorpius. «È la tua conoscenza.»

«Sì, giovane Serpeverde», replicò il Cappello, sottolineando l'ultima parola come per infondervi un significato nascosto. «La magia che mi ha donato questa conoscenza non fa parte della conoscenza di cui ho bisogno.»

Ad Albus girava già la testa per i suoi continui giochi di parole. «Quindi non puoi aiutarci», concluse dispiaciuto.

«Oh, ma in qualche modo l'ho già fatto, non credete?», ribatté lui. «Avreste tutti e tre potuto trovarvi in altre Case, non conoscervi mai. Invece siete riuniti sotto il tetto di Salazar e potete godere della reciproca collaborazione. È stato questo il mio aiuto per voi: farvi incontrare.»

«Non tutti e tre potevamo finire in altre Case», borbottò Albus a voce bassa, ma gli altri lo sentirono comunque.

«Avrei potuto accontentarti, signor Potter», disse il Cappello Parlante. «Avresti potuto essere un Grifondoro.»

Len e Scorpius si voltarono nello stesso istante, lei chiaramente sorpresa, lui con lo sguardo scintillante di chi aveva appena ricevuto una conferma.

Albus li ignorò. «Ti ho implorato, quel giorno», disse, rinunciando all'inutile proposito di mantenere il segreto sul proprio Smistamento. «Ho insistito, ma tu non hai cambiato idea.»

«Né l'ho cambiata oggi», confermò il Cappello. «Ma non ti ho costretto, la scelta è stata tua.»

Lui si accigliò. «Mi hai fatto capire di non essere all'altezza di Grifondoro.»

«Sei stato tu a non sentirti all'altezza di Grifondoro», lo corresse. «Mentre quando hai scelto Serpeverde non hai dubitato di meritarlo.»

«E ho sbagliato», ammise Albus, «perché credevo che finire in questa Casa significasse soltanto non avere i valori delle altre.»

«Invece Serpeverde è sempre stata più esigente di ogni altra Casa, come il potente mago che le ha dato origine», ribatté il Cappello. «Ambizione, furbizia, lealtà. Sono qualità che hai dimostrato di possedere quando non hai pensato a dare prova del tuo valore.»

Lui tacque, riconoscendo la verità in ciò che gli veniva detto. Sentiva lo sguardo di Scorpius su di sé, ma non aveva il coraggio di affrontarlo adesso che era venuto fuori quanto fosse stato simile a James nel reputare Serpeverde una Casa inferiore, in cui essere smistato solo perché non all'altezza di tutte le altre.

«Quando hai scelto, giovane mago, sei scappato dal peso delle aspettative che gravavano su di te e hai tracciato la strada che ritenevi più giusta per il tuo futuro», proseguì il Cappello in tono più gentile. «Dimmi, sei pentito?»

Albus scosse la testa. «Sono molto felice. Qui ho trovato il mio posto», disse guardando prima Len, poi Scorpius. «Ho trovato me stesso.»

«Molto bene. Allora andate e date prova delle vostre abilità», li congedò il Cappello Parlante. «Portate in alto il nome di Salazar Serpeverde e rendetelo orgoglioso di voi.»

***

«Avevi chiesto al Cappello Parlante di essere smistato a Grifondoro?», gli domandò Scorpius quando furono rimasti soli.

Albus aveva sperato di non doverne parlare. «Lo immaginavi.»

Len li aveva lasciati in Sala Comune ed era andata a prepararsi per la cena, mentre loro si erano seduti su un divano ad aspettarla, troppo pigri per preoccuparsi di avere i capelli in disordine e la divisa sgualcita.

«Sì», ammise l'amico. «Ma non so se dispiacermi che tu non abbia ottenuto quello che volevi.»

«Non saremmo diventati amici», replicò Albus. «Né...» quello che siamo adesso.

Scorpius scosse il capo. «Ci siamo conosciuti sul treno, ricordi?»

«E pensi che sarebbe bastato a creare un legame anche se fossimo stati in Case diverse?»

«Sarebbe bastato a me», rispose lui con semplicità. «Ti avrei comunque cercato.»

Albus sorrise. Aveva sbagliato a pensare che Scorpius volesse fargli la predica per la sua vigliaccheria.

«"Dov'è il tuo coraggio, se temi quello che sei?"», citò lui, ripetendo le parole che ormai aveva impresse nella memoria. «È questo che mi ha detto il Cappello Parlante per convincermi di non essere un Grifondoro.»

«E cosa sei?», gli chiese Scorpius, l'eco della domanda reale - cosa temi? - sottinteso in quell'interrogativo più gentile.

«Sono diverso», rispose lui. «Dalla mia famiglia. Da molti altri a cui ho tentato di uniformarmi. Anche da te.»

«Non ti ho mai sentito distante per questo», gli fece notare Scorpius.

Albus gli sorrise con dolcezza. Allungò una mano sul divano per intrecciare le dita alle sue. «Lo so. Ecco perché questo è il mio posto.»

Quando la porta della Sala Comune si aprì, lo lasciò immediatamente andare. Oliver entrò con un pacco sotto il braccio.

«Ehi, Albus, questo è per te. Era qui fuori.»

Lui si alzò, lasciando l'amico sul divano da solo e reprimendo il bruciante senso di colpa che provava per essersi allontanato di scatto. «Grazie.»

Solo quando Oliver fu sparito in direzione del dormitorio lo porse a Scorpius.

«L'altra metà del regalo», disse senza guardarlo negli occhi.

Colse la confusione di Scorpius, che doveva trovare il suo comportamento piuttosto ambiguo. «Va tutto bene?»

«Sì», disse lui. «Scusa.»

«Continui a scusarti», ribatté. «Non devi.»

Strappò la carta azzurra e si concentrò sulla scatola pesante che aveva tra le mani.

«Sono...»

«Scacchi», finì Albus per lui. «Babbani.»

Scorpius estrasse con delicatezza la scacchiera: era interamente in vetro, trasparente con l'eccezione delle caselle nere, che erano più opache, e dei bordi di colonne e traverse. Anche i pezzi erano dello stesso materiale, lavorati con estrema cura per i dettagli.

«Sono bellissimi», disse senza fiato.

«Ho pensato che con la tua propensione alla strategia avresti apprezzato un gioco del genere», spiegò. «E volevo che avessi qualcosa che fosse anche bello da vedere. Zia Hermione mi ha aiutato a procurarmeli in un negozio Babbano, per questo il pacco è arrivato soltanto ora. Trovo questa versione molto più affascinante degli Scacchi dei Maghi, perché c'è la massima autonomia di gioco. Nessun pezzo ti dirà mai cosa fare o si opporrà a una tua decisione.»

Con delicatezza, l'amico adagiò sul tavolino l'alfiere che aveva tra le dita e lo abbracciò forte. «Grazie», mormorò al suo orecchio.

Albus ricambiò la stretta e sfiorò con le labbra la sua guancia.

«Non so giocare», ammise Scorpius quando si furono separati. «Cioè, conosco la maggior parte delle regole, ma non ho mai davvero imparato. Mi insegneresti?»

Lui si illuminò. Gli scacchi erano forse l'unica cosa in cui Albus era più bravo di chiunque altro in famiglia. Suo padre glieli aveva regalati quando era piccolo e lui aveva mostrato da subito un certo talento; crescendo era arrivato perfino a battere lo zio Ron, di tanto in tanto. Il pensiero che Scorpius acquisisse la stessa passione gli scaldava il cuore: probabilmente l'amico avrebbe finito per diventare più bravo di lui, ma non gli importava. Voleva soltanto condividere.

«Certo», accettò entusiasta. «Quando vuoi.»

***

Albus si era sentito in difetto per tutta la sera.

Al tavolo semideserto dei Serpeverde, i pochi studenti rimasti a scuola si erano avvicinati per tenersi compagnia. Len e Karen avevano coinvolto Oliver in una conversazione sul Quidditch, a cui si era unito ben presto anche Scorpius. Pete e Steven, invece, avevano parlottato tra loro come se il resto del gruppo non fosse presente.

Albus era rimasto in silenzio, pensando al modo in cui si era allontanato dall'amico quando Oliver era entrato in Sala Comune. Se fosse stato Scorpius a comportarsi così, lui ne avrebbe sofferto da morire.

Mentre si crogiolava nel senso di colpa, attorno a lui la cena era iniziata e finita in tranquillità. Si era assicurato che Scorpius mangiasse qualcosa - lo aveva fatto - e aveva finto di non notare la sua placida indifferenza, sebbene gli provocasse una stretta al cuore.

Soltanto quando tutti ebbero abbandonato anche la Sala Comune e le chiacchiere del dopocena in favore delle proprie stanze, Albus tirò un sospiro di sollievo.

«Sei arrabbiato con me?»

Scorpius parve confuso da quella domanda. «Dovrei?»

«Forse», ammise lui. «Ma preferirei che non lo fossi.»

«Allora non lo sono.»

La sua risposta decisa lo fece sorridere. Albus gli si avvicinò e lo abbracciò forte, come a impedirgli di scappare via da lui. Senza esitare, Scorpius ricambiò la stretta.

«Non avrei dovuto allontanarmi da te quando Oliver è entrato in Sala Comune, oggi», si scusò, il viso affondato nel collo per non dover incrociare i suoi occhi. Lo accarezzò con le labbra e depositò un bacio leggero proprio nel punto in cui riusciva a sentire il battito del cuore. «Sembrava che io mi vergognassi, ma non è così», spiegò ritrovando il coraggio di guardarlo. «E non è che io ti voglia solo quando siamo in questa stanza.»

Scorpius parve divertito. «Non devi preoccuparti, lo capisco.»

«Se lo sapessero gli altri si spargerebbe subito la voce», continuò, seguendo ad alta voce il filo del ragionamento con cui aveva tentato di comprendere la propria paura. «Arriverebbe alle orecchie della mia famiglia e io... non saprei come affrontarlo. Voglio essere io a parlargliene, appena sarò pronto.»

«Va bene», ribatté lui tranquillizzandolo. «Lo avevo immaginato. Non è un problema per me.»

Albus non si era aspettato quell'immediata comprensione. Si chiese se a parti invertite lui l'avrebbe avuta - probabilmente no. Si sentì infastidito dalla sua accondiscendenza, quasi fosse sintomo di uno scarso interesse, poi, di nuovo, si vergognò di quel genere di pensieri. Sospirò: stava diventando paranoico. «Vorrei avere la tua stessa lucidità.»

Scorpius non aveva mai mostrato di essere toccato dalla sua vicinanza, quando erano in mezzo agli altri. Al contrario, Albus si era più volte incantato a guardarlo, elemosinando la sua attenzione e sperando che lui facesse altrettanto. Aveva immaginato di stringergli la mano sotto il tavolo, di sfiorargli la gamba con la propria, e, sebbene alla fine non avesse fatto nessuna di quelle cose, si era sentito per tutto il tempo come se quell'intenzione fosse scritta a chiare lettere sul proprio volto.

Scorpius parve comprenderlo alla perfezione, perché la sua espressione si addolcì. Allungò le braccia verso di lui. «L'autocontrollo si esercita», mormorò, «e io ho avuto tanto tempo per farlo.»

Albus avvampò e accolse l'offerta del suo abbraccio per seppellire nuovamente il viso contro di lui. Era infantile da parte sua pensare che l'amico fosse poco coinvolto quando era stato lui a costringerlo a imparare a celare i propri sentimenti, perché incapace di coglierli e ricambiarli da subito. «Mi dispiace.»

Scorpius gli sollevò il mento con due dita, costringendolo a guardarlo negli occhi. «Continui a dirlo, ma non riesco a capire di cosa ti scusi. Non vedi quanto mi hai reso felice?»

La sua espressione dovette suggerirgli quanto fosse sorpreso da quelle parole.

«Non devi pensare che io non mi senta come te solo perché lo mostro di meno», scandì in tono deciso.

Albus si lasciò distrarre dai suoi occhi grigi, nell'infruttuoso tentativo di intuire i pensieri che si agitavano nella sua mente. Sobbalzò quando Scorpius gli afferrò la mano e se la portò sul petto. «Lo senti?»

Impiegò un istante a capire che non si riferiva al calore avvolgente che gli riscaldò il palmo, bensì al suo battito incontrollato.

«Sì.» Accarezzò con le dita il tumulto del cuore, segno inequivocabile che la sua espressione rigida non indicava affatto uno scarso coinvolgimento emotivo, ma solo un'invidiabile capacità di celarlo. «Sì, lo sento.»

Scorpius annuì. «Questo è quello che mi fai», mormorò, tenendo ostinatamente gli occhi incatenati ai suoi. «Sempre. Da sempre», aggiunse in un sussurro.

Albus non ebbe la pazienza di aspettare che lui cancellasse il breve spazio che ancora li separava. Sarebbe impazzito, pensò. Forse lo era già. Non riuscì nemmeno a immaginare cosa potesse aver visto Scorpius sul suo viso un istante prima che lui lo baciasse, perché ormai non era neanche in grado di decifrare se stesso. Non era più capace di pensare lucidamente, non sapeva concentrarsi su altro che non fosse l'impulso di toccarlo, stringerlo, baciarlo. Forse adesso che sapeva cosa si provava a stargli vicinissimo, la distanza, per quanto esigua, sarebbe stata molto più difficile da tollerare.

Albus lo baciò e Scorpius spinse le sue labbra a schiudersi sotto l'urgenza delle proprie, lo accarezzò con la lingua al ritmo spezzato del respiro di entrambi e gli prese la testa tra le mani per impedirgli di allontanarsi. Un morso leggero, giocoso, gli tormentò il labbro inferiore strappandogli un sorriso e Scorpius baciò con tenerezza l'angolo sollevato della sua bocca.

Lo stringeva all'altezza dei fianchi e i loro corpi aderivano completamente, ma Albus sentiva ancora la necessità di annullare una lontananza inesistente tra loro: la pressione dell'avambraccio contro la sua schiena sarebbe stata ancora più deliziosa se avesse potuto percepire la pelle dell'amico contro la propria, e i respiri affannosi che portavano i loro petti a sfiorarsi di continuo sarebbero diventati ancora più rapidi senza l'ostacolo dei vestiti.

Spinse leggermente il bacino in avanti, assecondando l'istinto, e lo sentì emettere un suono roco, subito soffocato dal bacio che si stavano scambiando. Ma la presa sulla parte bassa della sua schiena si allentò e un campanello d'allarme risuonò nella testa di Albus, che per la prima volta si interrogò sui movimenti del proprio corpo.

Il dubbio lo fece irrigidire, quindi si separò da lui e provò a riprendere fiato, cercando di mettere ordine nei propri pensieri. Ma Scorpius, lo bloccò, tenendolo stretto.

«Dovresti dirmi quello che vuoi», gli sussurrò piano. «Esplicitamente

Una sfumatura nel tono con cui aveva pronunciato quelle parole - un'insicurezza che per lui era del tutto nuova - spinse Albus a guardarlo con attenzione.

Non era davvero un suggerimento, quanto più una richiesta. C'era qualcosa di inspiegabile nel bisogno di Scorpius di ascoltare parole che facevano eco a un desiderio già evidente, eppure lui si ritrovò a considerare, con un angolo della mente, che ciò che chiedeva aveva in realtà perfettamente senso. Perché dopo tutto il tempo passato a nascondere ciò che voleva, Scorpius non riusciva a credere che lui lo ricambiasse. E in quella necessità di una conferma, Albus vedeva soltanto lo specchio della propria.

Intrecciò le braccia che teneva ancora sulle sue spalle, serrandole dietro al collo per legarlo a sé, e finì per doversi allungare ancora un po' per compensare la loro differenza di altezza. Gli baciò il profilo della mascella, poi premette la guancia contro la sua, avvertendo il lieve pizzicore di un principio di barba che iniziava a crescere.

«Di' il mio nome», sussurrò al suo orecchio.

Perché, in verità, c'era sempre almeno una ragione per preferire il fratello più maturo, la cugina più intelligente, la sorella più sveglia, e invece Scorpius voleva lui - aveva scelto lui - e, allo stesso modo, lui non riusciva a credere che fosse così.

«Albus

Perciò forse le loro necessità affondavano le radici in motivazioni così simili che anche Scorpius aveva compreso la ragione di quella richiesta, e la rapidità con cui l'aveva assecondata gli strappò un sospiro di sollievo.

Accarezzò nuovamente con la bocca la pelle delicata del collo dell'amico e il passaggio del suo respiro sulla scia umida lasciata dalle labbra schiuse provocò a Scorpius un fremito. Tornò a premersi contro di lui e stavolta non ebbe alcuna esitazione. «Per favore, toccami.»

Lui non si fece pregare.

Per prima cosa infilò la mano sotto il suo maglione e strattonò la camicia fino a estrarla completamente dai pantaloni. Quando gli sfiorò la schiena, dapprima con le dita fredde, poi con il palmo aperto leggermente più tiepido, Albus fu scosso da un brivido che non aveva niente a che fare con la temperatura. Non ebbe il tempo di fermarsi a considerare la familiarità di quel contatto che la bocca di Scorpius tornò sulla sua, catturando tutta la sua attenzione, mentre con l'altra mano gli piegava la testa all'indietro, costringendolo a un bacio più profondo.

Rimasero avvinghiati per un tempo interminabile, stringendosi e accarezzandosi, mordendo e baciando l'uno le labbra dell'altro. Quando alla fine si separarono, le loro mani erano ancora intrecciate nel tentativo di mantenere un ultimo legame.

Quella notte, nella pace di sogni che non si discostavano troppo dalla realtà, Albus vide Scorpius dietro le palpebre socchiuse, avvertì il suo sapore sulla lingua, il suo odore riempirgli le narici, e si sentì completamente felice.

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Note

Non è noto quanto effettivamente sappia il Cappello Parlante sulle proprie origini, ma che sia per mantenere un segreto o perché ne è davvero all'oscuro, ho scelto di non fargli rivelare la complessa magia che ha portato alla sua creazione.

L'Incantesimo di Occultamento non esiste nel canon, è quindi di mia invenzione. È da considerarsi un incantesimo abbastanza difficile, i cui effetti saranno mostrati più avanti.

L'episodio dello Smistamento di Albus è raccontato anche nella drabble missing moment L'anima per se stessa, che fa parte di questa serie.

Come al solito, un ringraziamento a chi continua a seguire questa storia. ♥

Alla prossima!

Futeki

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