13. Fra la nostra Anima - e la Loro
XIII
Fra la nostra Anima – e la loro
Sentire come una perdita la morte
Di coloro che non abbiamo mai visto –
Implica una Vitale Affinità
Fra la nostra Anima – e la loro. [...]
(E. Dickinson)
Aveva vagato per il castello nella convinzione che se fosse rimasto in movimento nessuno sarebbe riuscito a trovarlo. Poi gli era venuta in mente quella mappa magica che suo padre aveva dato a James l'anno prima, facendogli promettere che sarebbe passata a lui una volta che avesse concluso gli studi, e si era innervosito al pensiero di essere visto mentre si aggirava senza meta per i corridoi.
Perciò Albus si era deciso a tornare nei Sotterranei, cosa che, vista l'ora, gli avrebbe anche risparmiato un rimprovero da parte dei Caposcuola di ronda. Era abbastanza tardi perché la maggior parte dei suoi compagni stesse già dormendo, ma qualcuno era ancora sveglio a recuperare compiti dell'ultimo minuto in Sala Comune o a sorseggiare una bevanda calda davanti al camino. La sua stanza era silenziosa, le luci erano spente e Tom russava nel letto più lontano dalla porta. Impiegò qualche secondo ad abituarsi all'oscurità, poi vide Scorpius dormire sotto le coperte, separato dai gemelli dal suo letto vuoto. Albus gli si avvicinò senza fare rumore, ma l'amico aprì gli occhi comunque, capace come sempre di avvertire la sua presenza.
«Non volevo svegliarti», sussurrò.
Scorpius gli sorrise, mezzo assonnato. «Non preoccuparti. Stai bene?»
«No.»
Il suo sguardo si fece più lucido. «Che succede?»
«Il solito. Discussioni con James.»
«Oh.»
«Già.» Albus gli si avvicinò e si mise a sedere per terra, la schiena poggiata contro il comodino che separava i loro letti.
«Che stai facendo?»
«Mi metto vicino a te.»
«Non serve che tu mi...»
«A me serve», lo interruppe subito, ritorcendogli contro le parole che lui stesso aveva pronunciato qualche ora prima. «Torna a dormire.»
«Mi sembra di non fare altro», commentò Scorpius.
«Sei stanco?»
«Non così tanto. Ma a volte dormire mi sembra l'unico modo per...»
Esitò, ma Albus rimase silenzioso, in attesa che continuasse.
«Quando sono sveglio sento come un peso sullo stomaco», provò a spiegare. «E la mia testa... è come se non fossi mai del tutto lucido. Hai presente quando hai troppo sonno per ragionare?»
Annuì.
«È una sensazione del genere.»
Albus sospirò. «Vorrei poter fare qualcosa.»
«Lo so», replicò l'amico, tirando fuori una mano dalle coperte per arruffargli i capelli. «Ma non devi.»
Lui la catturò e intrecciò le dita alle sue, palmo contro palmo sulla piccola porzione di materasso in mezzo a loro. Scorpius non si ritrasse.
«Ne riparleremo», disse soltanto Albus. «Oggi sono esausto anch'io.»
Si sentì stringere la mano per un istante, poi l'amico provò a lasciarlo andare. «Va' a riposare.»
Albus si oppose, trattenendolo. «Sto bene qui.»
Un sospiro, una resa silenziosa, poi Scorpius si limitò a chiudere gli occhi, le dita ancora allacciate alle sue. «Buonanotte.»
Lo osservò cercare di rilassarsi per concedersi la pace del sonno. La verità era che Scorpius era spezzato e appariva intero solo grazie allo sforzo con cui teneva insieme i frammenti di sé. Albus lo sapeva, lo vedeva nelle incrinature invisibili che gli percorrevano la pelle, nel peso che portava sulle spalle – sempre e comunque dritte. Avrebbe voluto abbracciarlo e sussurrargli di lasciarsi andare, che ci avrebbe pensato lui a tenere insieme i suoi pezzi per tutto il tempo necessario. E invece era lì, perfettamente inutile, seduto sul pavimento di fianco a lui che dormiva. Se avesse potuto farsi carico del suo dolore lo avrebbe fatto senza esitare, eppure era incapace di dargli anche solo un po' di conforto.
Spinse indietro la testa, appoggiandola contro il comodino, e distese le gambe davanti a sé. Non sapeva cosa fare per aiutarlo, né era in grado di rassegnarsi a guardarlo soffrire. Ma il vero motivo per cui gli stava così vicino, nonostante si sentisse egoista ad ammetterlo, era che ne aveva bisogno lui per primo, esattamente come gli aveva detto.
Chiuse gli occhi. Sarebbe rimasto accanto a lui ancora un po'.
***
«Potresti mostrare un po' di entusiasmo in più, visto che è l'ultimo giorno di lezioni», lo redarguì Albus, mentre emergeva dall'armadio e lanciava sul suo letto una camicia pulita.
Scorpius grugnì una protesta, il braccio premuto contro gli occhi per proteggerli dalla luce e il corpo scosso dai brividi – perché gli erano state strappate via di dosso le coperte e non aveva avuto la forza di recuperarle.
«Ti ho portato la colazione», proseguì Albus, in tono pratico. «Non perdere tempo a ringraziarmi, tirati su e vestiti.»
Se si fosse trattato di chiunque altro, Scorpius gli avrebbe lanciato contro qualcosa per zittirlo. Lo sentì avvicinarsi e avvertì il suo sguardo su di sé anche senza vederlo, quindi scostò leggermente il braccio per fronteggiarlo con un occhio solo.
«Devi alzarti e mangiare qualcosa», ordinò Albus, i pugni sui fianchi per dare più autorevolezza alla propria ramanzina. Somigliava un po' alla madre, tanto nella posa quanto nella fissazione per il suo nutrimento.
«È inutile che mi guardi così, sono pronto a infilarti il cibo in bocca con la forza.»
Si lasciò sfuggire un sorriso.
«Ultimo giorno di lezioni», ripeté Albus, a mo' di incoraggiamento. «Poi avremo le vacanze tutte per noi.»
Scorpius sospirò, ma un'altra occhiataccia dell'amico lo fece capitolare: si mise in piedi e si costrinse ad affrontare un'altra giornata.
Avere lezione di Storia della Magia di prima mattina per due giorni consecutivi a fine settimana doveva essere una forma di tortura all'avanguardia escogitata dal folle che aveva predisposto gli orari degli studenti del quinto anno.
Scorpius faceva del proprio meglio per non sbadigliare apertamente e resistere alla tentazione di poggiare la testa sul banco e schiacciare un pisolino: se avesse cominciato a russare in classe nemmeno l'indulgenza che in quei giorni i professori erano soliti mostrargli lo avrebbe salvato da una punizione. Perciò si accontentava di sonnecchiare a occhi aperti, spostando di tanto in tanto lo sguardo su Albus che, accanto a lui, sembrava ugualmente annoiato.
«Chi lo avrebbe detto che avremmo rimpianto le lezione di Corner?»
Scorpius ridacchiò. «Lui non è così male, solo che a te sta antipatico.»
«E nonostante ciò vorrei che fosse qui a infastidirmi con il suo tono arrogante. Ma di che accidenti sta parlando Ruf?»
«Per saperlo dovrei aver ascoltato almeno una parola di quello che ha detto», mormorò Scorpius.
Albus sospirò. «Dopo questa, le altre lezioni voleranno via.»
«Ottimista.»
«Guastafeste.»
Come tutto ciò che precede i momenti di vera libertà, la mattinata fu interminabile. A volare via fu soltanto il tempo del pranzo, durante il quale i Serpeverde radunati al proprio tavolo condivisero i programmi per le imminenti vacanze di Natale e dibatterono sulla partita che si sarebbe giocata l'indomani.
Len chiacchierava allegramente con Karen, Neil e Tom smettevano di parlare di Quidditch solo quando qualcuno faceva loro domande sul viaggio in Romania che li aspettava. Scorpius sorrideva e annuiva quando veniva coinvolto in una conversazione, ma perlopiù cercava di starsene tranquillo. Mandava giù qualche boccone di cibo ogni volta che Albus si girava a guardarlo, tra una contemplazione e l'altra degli addobbi natalizi che adornavano la Sala.
Scorpius seguì il suo sguardo mentre abbracciava l'intero ambiente, dalle ghirlande d'agrifoglio lungo le pareti, al pungitopo che circondava i camini accesi, fino ai giganteschi alberi tutti diversi. Albus guardava con preoccupazione a quello decorato con centinaia di candeline accese, come se potesse prendere fuoco da un momento all'altro; si soffermava con più piacere su quello pieno di bacche che cambiavano colore a seconda del meteo. Ma il suo preferito, Scorpius lo aveva capito dal luccichio che gli aveva scorto negli occhi quando lo aveva visto per la prima volta, era un albero completamente innevato, decorato da cristalli di ghiaccio e piccole stalattiti scintillanti che pendevano dai rami più grossi.
«Pensi che ti mancherà casa?», domandò Scorpius, mentre l'amico era ancora incantato.
Albus scosse la testa, poi puntò gli occhi nei suoi. «Mi sento a casa comunque.»
Alla fine, anche l'ultima lezione pomeridiana passò. L'entusiasmo per l'arrivo delle vacanze era già nell'aria e tutti sembravano decisi a godersi gli ultimi momenti a Hogwarts.
Oliver propose di fare un giro a Hogsmeade e fermarsi a prendere una Burrobirra ai Tre Manici di Scopa. Karen fu la prima ad accettare e la sua allegria contagiò anche Len e i gemelli. Quando Scorpius rifiutò, Albus fece altrettanto.
«Vai pure», gli disse piano. «Non c'è bisogno che resti per me.»
Lui scrollò le spalle. «Sto facendo quello che mi va di più.»
La sua replica bastò a chiudere il discorso, così, quando i loro amici furono andati via e Albus gli suggerì di approfittare della serata tranquilla per starsene in cortile, Scorpius si limitò a seguirlo.
Il sole stava tramontando e faceva piuttosto freddo, ma non c'era vento né una sola nuvola all'orizzonte. Forse, alla fine, la partita non si sarebbe giocata sotto la pioggia.
Albus scelse l'albero sotto cui si erano seduti tante volte e si lasciò cadere con la schiena contro il tronco. Scorpius si sistemò al suo fianco, abbandonando lo zaino poco distante.
«Penso che domani ci sarà il tempo ideale per volare», esordì Albus, lo sguardo sereno rivolto al cielo.
Lui annuì, sorridendo per aver avuto lo stesso pensiero un attimo prima. «È una bella fortuna. La visibilità scarsa avrebbe danneggiato più noi che i Grifondoro.»
«Soprattutto per quanto riguarda la cattura del Boccino.»
Non lo disse, ma Scorpius sapeva che si stava chiedendo se sarebbe stato in grado di tenere testa al fratello.
«Andrai alla grande.»
Albus annuì, fingendo una fiducia in se stesso che non aveva affatto. «Tu ci sarai?»
Aveva posto quella domanda soltanto per avere conferma di un pensiero di cui era già sicuro. «No.»
«Gli altri si aspetteranno di vederti a bordo campo, o almeno sugli spalti.»
«Ve la caverete anche senza di me.»
Non insisté. «Sai, sono un po' nervoso.»
«Per la partita?»
«Sì.»
«Non devi.» Scorpius credeva fermamente nelle capacità dei suoi compagni di squadra. Grifondoro era nettamente superiore, ma la grinta dei Serpeverde avrebbe sicuramente permesso loro di giocarsela.
«Mi sento come se dovessi dimostrare qualcosa a qualcuno», ammise Albus, senza incrociare il suo sguardo. «Come se dovessi continuamente provare di essere all'altezza.»
«All'altezza di cosa?»
Scrollò le spalle.
«Non c'è una sola persona in squadra che pensa che tu non lo sia.»
«Lo so.»
«E non devi continuare a paragonarti a tuo fratello.»
Era il vero punto della questione, lo sapevano entrambi. Albus rimase in silenzio, Scorpius gli lasciò qualche momento per elaborare le sue parole.
«Non so se ne sono in grado», sussurrò alla fine.
«Lo saresti se iniziassi a riconoscere in te le qualità che lui non ha, invece di cercare di emularlo in ambiti che non ti appartengono.»
Albus si decise finalmente a guardarlo. Aveva le guance leggermente arrossate e gli occhi carichi di emozione. Scorpius conosceva il valore che l'amico dava alla sua stima, ma non gli piacque la gratitudine che lesse sul suo viso, quasi credesse che quel pensiero fosse soltanto una sua opinione e non una verità assoluta.
«Non hai idea di quanto tu valga», disse deciso, mentre si stendeva e poggiava la testa sulle sue gambe, in una posizione che avevano assunto tante volte.
Albus gli infilò le dita tra i capelli. «Ma mi rende felice che tu ce l'abbia.»
***
Restarono in quella posizione tanto a lungo che scese la sera. Albus continuava ad accarezzare Scorpius mentre cercava il modo migliore di aprire un discorso che non sapeva bene come affrontare.
L'amico si sistemò meglio sulle sue gambe, chiudendo gli occhi.
«Ora non pensi più a starmi lontano?», lo canzonò pentendosene subito.
Aveva creduto che si sarebbe ritratto, invece, con sua sorpresa, Scorpius non si mosse. Si era rilassato sotto il suo tocco fin quasi ad addormentarsi, ma riaprì gli occhi in reazione a quella domanda provocatoria.
«Oggi non ne ho la forza. Se in questo momento si presentasse tuo fratello e cercasse di attaccare briga probabilmente lascerei correre.»
L'espressione di Albus si addolcì. «Sai, ancora non so perché avete fatto a pugni la settimana scorsa.»
Sette giorni. Sembrava passata una vita, eppure erano trascorsi soltanto sette giorni da quando uno dei gemelli Scamander gli aveva detto che suo fratello e il suo migliore amico si erano picchiati.
«Non ha più importanza», replicò Scorpius. «Ma devi sapere che in quell'occasione non è stata colpa sua, me la sono cercata.»
«Non mi è mai interessato chi avesse ragione. Sono sempre stato dalla tua parte a prescindere da tutto, sebbene non mi piaccia ammettere che la mia lealtà è così cieca.»
«Mi dispiace essere motivo di tensione tra te e James», ammise per la prima volta. «Vorrei che le cose tra voi andassero meglio.»
Albus sospirò, mentre con l'indice seguiva la traccia dei suoi capelli dietro l'orecchio fino al collo e poi tornava indietro. «Voglio bene a James, anche se litighiamo di continuo. Tanto quanto ne voglio a Lily. E anche a Rose e Hugo. Loro sono la mia famiglia.»
«Lo so. È molto bello.»
«Ma tu», proseguì, perché il punto del discorso era un altro, «tu sei la persona che ho scelto. Non tengo a te perché sei la mia famiglia, ma sei la mia famiglia perché tengo a te.»
Scorpius rimase senza parole.
«Avrei dovuto dirtelo una settimana fa», aggiunse, approfittando del suo silenzio e dello slancio di quanto aveva appena ammesso. «Quello che ho detto ieri, intendo. Ci pensavo da giorni, volevo farlo, ma poi sono andato a prendere la pozione per te e al mio ritorno non ti ho più trovato.»
Scorpius si mise a sedere, senza staccare gli occhi dai suoi. In quella posizione lo superava di qualche centimetro, ma Albus si sforzò di mantenere il controllo sulla propria voce.
«Non so se l'ho sempre saputo senza mai rendermene conto o se si tratta di qualcosa che è cresciuto nel tempo, ma ciò di cui sono sicuro è come mi sento adesso. Avrei dovuto dirtelo una settimana fa», ripeté, «quando mi è stato chiaro. Se l'avessi fatto non avresti mai pensato a un gesto di compassione da parte mia. Comunque non lo era.»
Lui fece per dire qualcosa, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Albus vide la confusione attraversargli il volto e nei suoi occhi lesse i ragionamenti che si stavano mettendo in moto nel suo cervello. Immaginò con chiarezza quali fossero gli elementi che non gli quadravano più – il tremolio della sua voce tipico di quando si metteva a nudo, le tempistiche di cui parlava, la risolutezza con cui continuava ad affrontare l'argomento – e pregò che questa volta gli credesse davvero.
«Una settimana fa?», gli fece eco Scorpius.
«Sì.»
«Dici sul serio?»
«Ti ho spiegato come mi sento, ti ho detto la verità», insisté Albus. «Ora sta a te decidere cosa farne.»
Lui rimase ancora in silenzio. Aveva i capelli leggermente in disordine per effetto del passaggio delle sue dita. Albus provò l'impulso di sistemarglieli, ma si trattenne.
«Non so cosa dire.»
«Dimmi che mi credi», lo pregò, perché non avrebbe sopportato di sentire di nuovo che era confuso, che non sapeva ciò che voleva o che si era aperto in quel modo soltanto per compassione.
«Ti credo», rispose Scorpius, e parve farlo davvero solo nell'istante in cui pronunciò quelle parole. «Ma non sono io che devo prendere una decisione.»
Era così vicino che sentiva il calore del suo corpo. Albus sapeva che se gli avesse preso una mano avrebbe avvertito sotto le dita il contrasto tra il tepore del palmo e il freddo dei polpastrelli.
«Tu sai benissimo quello che provo», gli rammentò Scorpius.
Era vero. Dopo averglieli tenuti segreti per quasi un anno, gli aveva rivelato i propri sentimenti e, nonostante si sforzasse di non farglieli pesare, non aveva mai davvero nascosto la portata del proprio desiderio. Per Albus credergli era stato molto più semplice quando il suo migliore amico lo aveva guardato negli occhi e gli aveva spiegato che lo voleva.
Avrebbe potuto sporgersi e annullare la distanza tra loro. Non sapeva bene come, ma avrebbe potuto affidarsi all'istinto e fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ma mentre lo fissava, sperando che tutte le emozioni che gli affollavano il cuore gli giungessero chiaramente attraverso lo sguardo, Albus divenne dolorosamente consapevole della presenza di altre persone.
Nessuno li stava guardando, ma non erano soli. Erano in uno spazio aperto, con studenti che andavano e venivano e che da un momento all'altro avrebbero potuto voltarsi verso di loro e violare quella bolla di intimità che si erano costruiti attorno.
Scorpius sorrise amaro. «Va tutto bene.»
Non andava bene per niente, ma Albus non riuscì a dirlo.
«Nessuna pressione», dichiarò l'amico, sfiorandogli il braccio in un gesto distratto mentre si metteva in piedi. «Cerca di non pensarci troppo.»
Gli tese una mano e Albus la afferrò per alzarsi a sua volta, poi la tenne stretta qualche istante più del necessario.
«Io torno al dormitorio.»
«Non vieni a cena?», riuscì soltanto a replicare.
Scorpius scosse il capo. «Passerò per le cucine a prendere qualcosa da mangiare», promise per mettere a tacere ogni sua protesta. «Ma preferisco mettermi a letto e riposare un po'.»
Albus si rassegnò ad annuire, riconoscendo che l'amico si stava ritagliando il proprio spazio.
Un altro sorriso, meno convinto del precedente. «Ci vediamo domani.»
***
Albus salì le scale sovrappensiero, senza preoccuparsi troppo della direzione che aveva preso. Soltanto quando si fermò davanti a una porta chiusa realizzò che l'istinto lo aveva portato in un luogo in cui non gli era concesso entrare.
«Parola d'ordine?»
La Signora Grassa lo scrutò dalla testa ai piedi, considerando la divisa dai colori sbagliati e l'espressione smarrita che doveva avere in volto.
Albus si schiarì la voce, ma in realtà non aveva niente da dire. Se l'avesse avuta, i colori che indossava non avrebbero avuto alcuna importanza: il quadro si sarebbe fatto da parte e gli avrebbe permesso di trovare rifugio in un posto che avrebbe potuto essere la sua casa, se solo avesse voluto. Ma lui, la parola d'ordine, non la conosceva.
Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse immediatamente. Non avrebbe ottenuto di entrare chiedendolo alla Signora Grassa con gentilezza, quindi preferì tacere. Stava per voltarsi e andare via quando il quadro si staccò dalla parete, muovendosi lentamente fino a rivelare un'apertura.
Sulla soglia, Lily sembrava minuscola nonostante le braccia aperte verso di lui. «Eccoti qui!», esclamò allegra. «Rose è quasi pronta, gli altri sono già in Sala Grande. Vieni!»
Albus si accigliò mentre la seguiva all'interno. Aveva già visto la Sala Comune di Grifondoro in fotografia o nelle illustrazioni dell'ultima edizione di Storia di Hogwarts, ma non vi era mai entrato. Tutto – dai tappeti, alle poltrone, fino agli stendardi sui muri – richiamava i colori della Casa; i bagliori del fuoco nel camino acceso donavano sfumature particolari al velluto rosso delle tende e si riflettevano nel luccichio delle rifiniture dorate delle torce sulle pareti.
«Mi aspettavi?», domandò Albus, lasciandosi catturare dallo spettacolo di quell'ambiente per lui nuovo. Si chiese se la sua Sala Comune, che nonostante i colori più freddi era altrettanto accogliente, risultasse impressionante allo stesso modo per chi non l'aveva mai vista.
«Ma certo! Ceni con noi, no?», replicò sua sorella, senza aspettarsi davvero una risposta. «Domani, comunque vada la partita, non credo che Grifondoro e Serpeverde saranno dell'umore adatto a condividere la tavola. E il giorno dopo noi torneremo a casa, quindi dobbiamo assolutamente passare un po' di tempo insieme stasera!» Lo guardò dritto negli occhi con un grande sorriso a curvarle le labbra. «Come un Natale anticipato.»
Albus non poté fare a meno di lasciarsi coinvolgere dal suo entusiasmo. «Per me va bene. Ero giusto venuto a cercar...»
«Perfetto, perché James e Hugo ci aspettano in Sala Grande con Luke, Cassidy, Lorcan e Lysander. E... oh, ecco Rosie!»
Sua cugina scese le scale di corsa, mentre ancora stava legando i capelli in una coda alta. «Ci sono!», dichiarò precipitandosi ad abbracciarlo. «Scusate il ritardo, stavo finendo di studiare.»
Albus le rivolse un'occhiata interrogativa. «Cos'avevi da studiare?»
Lei parve altrettanto confusa. «Voi non avete avuto compiti delle vacanze?»
Lily ridacchiò, mentre lui restava a bocca aperta. «Ma le vacanze non sono neanche iniziate!»
Rose liquidò la sua obiezione con un gesto della mano. «Chi ben comincia è a metà dell'opera.» Poi sorrise della sua espressione sgomenta. «Andiamo a cena?»
***
«Finalmente!», esordì James, vedendolo arrivare. Non era seduto vicino a Luke come al solito, ma gli stava di fronte e aveva dei posti liberi accanto a sé. Gli fece cenno di accomodarsi al suo fianco.
«Mi aspettavi?», domandò Albus, per la seconda volta quella sera.
Suo fratello si accigliò. «Certo. Lily mi aveva detto che avresti cenato con noi.»
Si chiese se l'avesse anche convinto che era stato lui ad avere l'idea di passare del tempo insieme o se si fosse limitata a preannunciare una cena di famiglia come se fosse la cosa più naturale del mondo – lo sarebbe stata a casa, dove i colori delle divise non avevano più alcun significato.
«Scusate il ritardo», si limitò a replicare, mentre Rose, che si era seduta dopo di lui, ammetteva che in realtà era stata lei a farsi attendere.
«C'è la zuppa di piselli», commentò James, trattenendo a stento un sorriso sarcastico.
Uno dei ricordi più vecchi che Albus aveva sulla sua ribellione nei confronti del fratello riguardava una sera d'autunno in cui James lo stava prendendo in giro durante la cena e un cucchiaio della zuppa di piselli amorevolmente preparata dalla mamma gli era andato di traverso fino a farlo quasi soffocare. Non seppero mai se fosse stato un incidente o se la magia di Albus si fosse spontaneamente manifestata come accade spesso ai bambini nei momenti di forte emotività. In ogni caso, da quel giorno James rifiutò categoricamente di mangiarla ancora, mentre Albus, per puro spirito di contraddizione, lo elesse a suo piatto preferito e riuscì a ottenere che gli fosse preparato a ogni compleanno e ogni qualvolta aveva la possibilità di scegliere cosa mangiare.
«Attento, allora», scherzò di rimando. «Non vorrai restarci secco a un passo dalla partita più importante dell'anno.»
«Non intendo correre rischi. La mia squadra ha bisogno di me, quindi niente zuppa.»
«Anche la mia squadra ha bisogno di me», fece Albus, iniziando a mangiare. «Preferibilmente nutrito e in forze.»
James scosse la testa, trattenendo un sorriso.
«Amico, se domani ti farai soffiare il Boccino da tuo fratello non ti salverà la scusa di una cena poco sostanziosa», intervenne Luke in tono di avvertimento.
«C'è un sacco di attesa per la partita», disse Cassidy, che sedeva proprio di fronte ad Albus. «Non si parla di altro da giorni, forse da settimane. Sarebbe stato meglio se non fosse stata rimandata.»
«Se solo non avessero affatturato Jordan poco prima dell'incontro», commentò Luke a voce abbastanza alta da suscitare un lamento del diretto interessato, che si trovava qualche metro più in là.
Cassidy scrollò le spalle. «Chiunque sia stato avrà avuto le sue ragioni. Validissime ragioni», precisò in risposta all'occhiataccia del Caposcuola. «Comunque ora sta fin troppo bene. Tutta la squadra si allena regolarmente da quasi un mese e...»
«Cerchiamo di non rivelare informazioni riservate agli avversari», la ammonì James.
«Ops.»
Albus ridacchiò. «Anche al nostro tavolo si parla solo di Quidditch. Tutti non vediamo l'ora di giocare.»
Al di là di qualche battuta su strategie sportive segrete, nessuno sembrava trovare particolarmente strano che un Serpeverde sedesse in mezzo ai Grifondoro e scherzasse sullo scontro dell'indomani.
Albus si guardò intorno. James aveva preso a parlare con Luke dei Caerphilly Catapults e dei loro recenti successi in campionato. Poco distante, Jordan Kirke, il Portiere dei Grifondoro, doveva aver detto qualcosa di particolarmente divertente, perché Dominique stava ridendo a crepapelle e sembrava incapace di fermarsi. Dall'altro lato, Rose chiacchierava con Lily e Lorcan (o Lysander) dell'imminente rientro a casa, mentre Lysander (o Lorcan) offriva un Dolce Singhiozzino a una compagna ignara.
Per la prima volta pensò che quei ragazzi avrebbero potuto essere i suoi compagni di Casa e l'idea lo fece sorridere. Gli sembrava passata una vita dal giorno del suo Smistamento: aveva pregato il Cappello Parlante di non finire tra i Serpeverde, convinto che il suo desiderio sarebbe stato tenuto in considerazione, come gli aveva promesso suo padre. Le cose erano andate in modo molto diverso da come si era aspettato, tuttavia, a distanza di cinque anni, non riusciva a non esserne comunque grato.
«Tutto bene?», gli domandò sua cugina.
Albus annuì. «Pensavo che mi sento sorprendentemente a mio agio.»
Rose gli strinse un braccio con fare affettuoso.
«Dove sono i tuoi compagni di Casa?», domandò Cassidy. «Il quinto anno Serpeverde sembra aver disertato la cena.»
Pur sapendo che avrebbe visto soltanto i posti vuoti lasciati dai suoi amici, Albus si gettò un'occhiata alle spalle, in direzione del tavolo al quale avrebbe dovuto sedere. «Sono andati quasi tutti a Hogsmeade per festeggiare l'ultimo giorno di lezioni.»
«Merlino, perché noi non ci abbiamo pensato?», si lamentò Cassidy, protestando per l'occasione persa. «Non facciamo mai niente di divertente!»
«Festeggeremo domani sera», intervenne James, rivolgendo al fratello un sorriso di sfida, «dopo la nostra vittoria.»
Luke alzò gli occhi al cielo, troppo cauto per approvare quello sfoggio di sicurezza da parte del suo Cercatore.
Albus scrollò le spalle. «Sempre se riuscirai a sopravvivere alla zuppa di piselli.»
Scoppiarono tutti a ridere.
La cena proseguì nel buonumore generale, tra provocazioni scherzose sulla partita e la spontanea allegria che la sospensione delle lezioni portava con sé, poi lasciarono la Sala Grande tutti insieme. Albus si rese conto che stava seguendo i Grifondoro verso la loro Sala Comune, ma prima di poter salutare e muoversi in direzione opposta, suo fratello gli gettò un braccio intorno al collo.
«Per Godric, tu mi abbandonerai!», si lamentò all'improvviso, come se solo in quel momento avesse realizzato che non sarebbe tornato a casa per Natale. «Chi prenderà in giro Teddy e Victoire con me?»
«Forse sarebbe il caso di piantarla, James», lo rimproverò Rose. «Sono innamorati.»
Lui e Albus si scambiarono un'espressione ugualmente disgustata. C'erano poche cose che li accomunavano e una di queste era l'incapacità di tollerare le continue effusioni tra i due ragazzi nelle occasioni in cui si riuniva la famiglia. «Hai la mia solidarietà, fratello.»
«Vedremo come sarete quando toccherà a voi», insisté Rose. «Secondo me tu saresti stucchevole in maniera insopportabile, James.»
«Non a quei livelli», protestò lui, indignato. «E tu cos'hai da ridere?», aggiunse rivolto a Luke, poi lasciò andare il fratello per inseguire il suo migliore amico che tentava di sfuggirgli mentre lo prendeva in giro, allungando il passo per i corridoi.
Albus sorrise e si disse che in fondo poteva anche restare con loro finché non avessero raggiunto la Sala Comune, prima di andarsene.
«Posso farti una domanda?»
Rose spostò lo sguardo su Albus, leggermente sorpresa. «Certo.»
«Com'è innamorarsi?»
Non sapeva cosa lo avesse spinto a chiederglielo, ma se c'era una persona con cui sentiva di poter parlare dell'argomento quella era di certo Rose.
Lei sembrò pensarci per qualche secondo. «È un po' come perdersi», tentò di spiegare. «Sapere esattamente dove sei, ma ritrovarti al buio. Essere certo che basti a te stesso e sei completo da solo, ma cercare comunque a tentoni quella persona che può darti di più.»
Albus annuì, ma una leggera inquietudine si impadronì di lui. «Sembra spaventoso.»
«Lo è», ammise lei. «Ma è anche bellissimo.»
«Pensi che si possa scegliere di chi innamorarsi?»
Rose si accigliò. «Non lo so. Io non ho potuto.»
Albus esitò. «Riusciresti a perdonarmi se la mia scelta ti ferisse?»
Aveva parlato senza riflettere e quando se ne rese conto sua cugina aveva già smesso di camminare e lo stava osservando con attenzione. Poteva quasi vederle nello sguardo i collegamenti che stava facendo dopo ciò che aveva appena sentito.
«Mi dispiace, non so perché l'ho detto», si affrettò a spiegare lui. «Non pensarci, va bene?» Si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia. «È meglio che ora vada, si sta facendo tardi. Salutami gli altri.»
«Aspetta», lo interruppe lei, trattenendolo per un braccio arrestando il fiume di parole con cui aveva aperto la sua fuga. «Albus, aspetta.»
«Va tutto bene», la rassicurò, sperando che lasciasse correre. «Per favore.»
Lei esitò, ma parve comprendere il suo disagio, perché si limitò ad annuire. Lo lasciò andare, ma subito lo strinse in un abbraccio. «Non ci sarebbe niente da perdonare», gli sussurrò a un orecchio. «Ti voglio bene.»
Albus ricambiò la stretta. «Anch'io te ne voglio.» Si allontanò per tornare a guardarla negli occhi e le rivolse un sorriso incerto. «Buonanotte.»
***
«Stai bene?»
Sembrava sempre sorpresa quando le faceva quella domanda, sebbene accadesse piuttosto spesso.
Rose si era fermata a metà di un corridoio e Luke non era più riuscito a prestare attenzione a James, perché troppo distratto da lei e dalla sua espressione improvvisamente indecifrabile. Aveva abbracciato Albus, poi lui si era allontanato e lei aveva ripreso a camminare con tutti gli altri.
Luke aveva rallentato per affiancarla, perché qualunque cosa le avesse detto il cugino doveva averla turbata, nonostante si sforzasse evidentemente di nasconderlo.
«Sì, io... direi di sì.»
Pensò che doveva trattarsi di Scorpius Malfoy, perché soltanto lui riusciva a farle cambiare umore in maniera tanto repentina. Perciò non avrebbe insistito. Le rivolse un sorriso che non nascondeva affatto quanto poco le credesse, ma che allo stesso tempo era abbastanza educato da non farlo risultare invadente.
«Davvero», aggiunse lei, come se si sentisse in dovere di giustificarsi. «Albus mi ha detto una cosa che probabilmente non ho capito.»
Luke si accigliò, ma non disse nulla, sperando che il proprio silenzio la invitasse a proseguire.
«Sono confusa», riconobbe, «ma non ferita. Forse... sto meglio di quanto pensassi.»
«Mi sembra una buona cosa, no?»
Rose annuì. «Ma mi confonde ancora di più.»
Luke mosse una mano per sfiorarla, ma subito corresse il gesto fingendo di doversi sistemare il colletto della camicia. «Meglio confusa che ferita», disse soltanto.
Lei gli rivolse un'espressione carica di gratitudine. «Sai, non ti ho ancora sentito fare pronostici sulla partita. James continua a ripetere che vinceremo, ma tu non ti sei mai sbilanciato.»
«Lascio a tuo cugino l'eccesso di sicurezza. Qualcuno deve pur restare con i piedi per terra.»
«Spero non tu», scherzò. «Dovrai volare e sarà meglio che tu lo faccia bene, domani.»
«Farò del mio meglio», promise lui. «E tu? Farai il tifo?»
«Ovviamente.»
«Per noi?»
Avevano rallentato tanto da perdersi il resto del gruppo. In lontananza, sulle scale che portavano alla Torre di Grifondoro, sentivano ancora le voci degli altri, ma in quel momento era come se fossero soli. Luke realizzò di colpo che la sua domanda suonava come un'accusa e l'argomento in questione riguardava vicende che non solo non aveva il diritto di giudicare, ma in cui non era nemmeno giusto intromettersi.
«Oh, sì», rispose lei tranquilla, prima che lui potesse rimangiarsi la domanda infelice. «Non ho più alcun conflitto di interessi da tempo. Anche se mi piacerebbe che Albus facesse una bella partita, gli farebbe bene. Credi che la sua presenza cambierà gli equilibri in squadra?»
«Sicuramente», le confermò Luke, rassicurato dalla sua replica. «Soprattutto se sarà Deverill a giocare come Cacciatore e non Malfoy.»
Avevano raggiunto l'ingresso dei dormitori, ma erano fermi di fronte al ritratto della Signora Grassa come due che aspettano di finire una conversazione prima di salutarsi, nonostante la direzione comune.
«Perché dovrebbe giocare Pete e non Scorpius?», domandò Rose, perplessa. «Non ha senso.»
«Non sono certo che Malfoy sia in grande forma.»
«Oh.»
«Già», confermò Luke, mentre con un angolo della mente registrava che sembrava non averci pensato affatto. Sentì un sorriso affiorargli alle labbra, ma si sforzò di reprimerlo. Fece un cenno con la testa in direzione della Sala Comune. «Entriamo?»
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Note
La mappa magica menzionata all'inizio del capitolo è la Mappa del Malandrino, che in questa fanfiction Harry dà a James al suo sesto anno, quando lo ritiene abbastanza grande da usarla in maniera responsabile (cioè non come aveva fatto lui quando era a scuola). Una volta finiti gli studi di James, la mappa passerà ad Abus, che la terrà per i suoi ultimi due anni come il fratello, e poi a Lily, anche a lei per gli ultimi due anni di scuola.
L'edizione illustrata di Storia di Hogwarts a cui fa riferimento Albus è di mia invenzione: mi sembrava plausibile che dopo tanti anni di ristampe il testo fosse riproposto in edizioni diverse.
Il dialogo tra Scorpius e Albus sui sentimenti di quest'ultimo completa, in questo capitolo, il confronto tra i due ragazzi. Non sono un'amante del trope della miscommunication, e per come immagino questi personaggi non avrei trovato coerente che andassero avanti a lungo trascinandosi il malumore derivante da una discussione in cui, evidentemente, non si erano capiti. I "miei" Scorpius e Albus, cercheranno sempre il confronto per fare la pace!
Come al solito, ringrazio chi continua a seguire questa storia, sia chi la recensisce che i lettori silenziosi: è davvero bello scoprire che ci siete! ♥
Alla prossima!
Futeki
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