8. Gli unici che non cadono mai, sono quelli che strisciano
Alex
La serata non è stata delle migliori, non sono riuscito a resistere oltre e mi sono ritrovato seduto a un tavolo verde con delle carta in mano. Non mi è ancora ben chiaro come ci sia finito, ma ormai ciò che fatto è fatto e devo risolvere questa situazione di merda.
Devo aver fumato e bevuto più del dovuto, perché ho perso il conto delle carte quasi subito e, contemporaneamente, anche le mie fisches se ne sono andate una a una, inesorabilmente. A ogni puntata sentivo che la fortuna avrebbe ricominciato a girare dalla mia parte, così ho chiesto un prestito a uno dei miei tre avversari, che ha accettato quasi subito.
Prima pessima idea della serata.
I miei bluff non sono serviti a nulla e mi sono trovato sotto di qualche centinaia di euro, raddoppiati quando il vincitore ha capito che non li avevo con me e che il suo credito rischiava di andare perso.
Altro errore da parte mia.
Il mio buonsenso a un certo punto ha avuto la meglio e mi sono ritirato dal gioco, prima che il debito crescesse ancora. Anche se annebbiato, il mio cervello mi ha impedito di rifare gli stessi errori del passato.
Finita la partita, due scagnozzi in giacca e cravatta del mio nuovo creditore, più simili a degli armadi che a delle persone, mi hanno trascinato, con modi poco gentili, in un vicolo isolato. Mi hanno buttato a terra e, dopo avermi assestato qualche calcio nello stomaco, hanno cominciato a rovistare nelle tasche dei jeans e nel portafogli nella speranza di trovare qualcosa di valore che ovviamente non possedevo. Vedendo la loro frustrazione, non sono riuscito a trattenermi e mi sono messo a sogghignare azzardandomi pure a deriderli sfrontato.
Terza azione sbagliata.
Mi sono guadagnato altri calci e anche qualche pugno quando ho tentato di rialzarmi, fortunatamente lo stordimento dell'alcool non mi ha fatto sentire molto dolore e non sono nemmeno riuscito a capire le minacce che accompagnavano ogni colpo. Al termine della loro inutile perlustrazione, si sono resi conto che avevo con me solo un mazzo di chiavi e il cellulare, il più grosso dei due mi ha afferrato per la maglietta e, alzandomi da terra, mi ha sbattuto contro il muro del palazzo a lato del vicolo. Mi ha urlato contro parole senza senso, trattenendomi per il colletto con le sue luride mani, finché, dopo avermi sputato in faccia, non ho perso il controllo. Se fino a qualche secondo prima ero divertito dalla situazione e i loro colpi non mi facevano altro che il solletico, il momento dopo si è impossessata di me una furia omicida. Ho reagito colpendolo con una testata in pieno volto, che lo ha costretto a indietreggiare e a lasciare la sua presa su di me facendomi tornare con i piedi per terra.
Ennesima cazzata. A quanto sono arrivato? Ho perso il conto.
Ovviamente li ho fatti incazzare ancora di più e, dopo un iniziale vantaggio dovuto dall'effetto sorpresa, hanno preso il sopravvento, mentre uno mi teneva fermo da dietro, l'altro non faceva altro che infierire su di me. Si sono fermati solo nel momento in cui hanno ricevuto una chiamata, da quello che ho presupposto fosse il capo, e dopo avermi lasciato accasciare dolorante sull'asfalto, mi hanno lanciato il mazzo di chiavi addosso intimandomi di portarli a casa mia per vedere se almeno lì riuscivano a trovare qualcosa che potesse ripagare il debito: volevano i loro soldi e li volevano subito.
Per esperienza e buon senso, nonostante la poca lucidità, mi sono rifiutato categoricamente, aggiudicandomi altri colpi nei punti dolenti, come immaginavo i miei nuovi amici non avrebbero mai accettato un "no" come risposta. L'unica idea che mi è venuta in mente, ricordandomi che Davide stasera non si trova a casa, è stata quella di domandargli di poterlo raggiungere così da prendere in prestito i soldi per risolvere la situazione. Era chiaro che i due energumeni non mi avrebbero lasciato in pace finché non gli avessi dato ciò che volevano e tra l'ipotesi che venissero a conoscenza di dove abito e quella di raggiungere un posto neutrale, sicuramente quest'ultima mi era sembrata quella con meno ripercussioni negative. Così ho detto loro che se mi avessero dato un po' di tempo li avrei ripagati, ovviamente i due, mi hanno voluto accompagnare con la loro auto, avendo paura che potessi scappare.
Dopo aver avuto l'indirizzo da Davide, ora sono qui, barcollante e malconcio con gli abiti sgualciti, che percorro questo capannone nella direzione dell'unica persona che riconosco al suo interno: Melissa. Di Davide non sembra esserci traccia, ma lei sicuramente saprà dirmi dove trovarlo in mezzo a tutti questi ragazzini su di giri. La raggiungo e non posso far a meno di apprezzare la sua figura fasciata da un vestito blu come la notte, nonostante non abbia una corporatura snella, le sue curve sono esattamente dove dovrebbe averle ogni donna. I suoi occhi scuri mi scrutano; la ragazza si sposta un boccolo castano dietro all'orecchio scappato dal marasma di capelli ricci che le contornano il viso ovale. Per tutta la settimana l'ho vista girare per casa con dei jeans slavati e magliette larghe che nascondevano ogni sua forma, niente a che vedere con la ragazza dal seno prosperoso e il sedere tondo che mi ritrovo davanti.
«Che ci fai qui?» Mi domanda stranita.
Di fianco a lei, un uomo pettinato alla Elvis Presley mi guarda con interesse. Troppo interesse. Lo fisso in cagnesco per farlo smettere.
«Dov'è Davide?» Chiedo senza tanti preamboli.
Il ragazzo deve aver frainteso il mio sguardo, perché ammicca soddisfatto. Decido che è meglio tornare a concentrarmi su di lei per evitare di perdere ulteriore tempo.
«Cosa vuoi da lui?» Ribatte.
Digrigno i denti, mentre la mia pazienza va in fumo. Con la coda dell'occhio mi assicuro che i due scagnozzi del mio aguzzino siano ancora sulla porta e non mi stiano raggiungendo.
«Voglio sapere dov'è mio fratello.» Ripeto lentamente, cercando di mantenere la calma.
Ho fatto una semplice domanda, non penso sia così difficile dare una risposta.
«Ah, sei il fratello di Davide? E dove ti ha tenuto nascosto per tutto questo tempo? Piacere, io sono Filippo!» Si presenta il ragazzo vicino a lei, porgendomi la mano con fare affabile.
Lo squadro con disgusto, alternando lo sguardo dalla sua faccia al palmo della mano e viceversa. Il ragazzo lentamente ritrae l'arto, ma non sembra turbato, come speravo.
«Che vuoi da Davide?» Domanda ancora Cip, la quale sembra essersi offesa al posto dell'amico.
«Non sono affari tuoi. Dimmi solo dov'è.» Ordino.
«Sono con te quelli?» Chiede ancora, alzando il mento in direzione dell'ingresso.
Annuisco, sorpreso che li abbia notati poco fa, mentre li controllavo di soppiatto. Sembra valutare un attimo la situazione, guardandomi attentamente in viso, probabilmente sono evidenti i segni lasciati dalle percosse ricevute.
«Vieni.» Decide alla fine la vipera.
La vedo fare un cenno silenzioso al ragazzo per indurlo a non seguirci. Senza aggiungere altro, Melissa comincia a camminare con passo sicuro. La seguo, ma vengo distratto dall'ondeggiare dei suoi fianchi abbondanti, trattenendo a fatica l'impulso di stringerli e far aderire il mio corpo al suo. Usciamo da una porta secondaria che dà su un piccolo giardinetto, allestito con tavoli e divanetti appositamente per la serata. Scorgo Davide chiacchierare amabilmente con una rossa; mi dispiace rovinargli il suo momento di gloria, ma non mi è venuto in mente altro da fare in questa situazione. Quando l'avevo chiamato mi ero limitato a dire che volevo raggiungerlo, non ne ho specificato il motivo. Conoscendolo avrà pensato che avessi cambiato idea e che volessi passare la mia serata con lui e i suoi amici sfigati.
«Alex!» Esclama quando mi vede e ne sembra felicemente sorpreso.
"Ancora per poco", commento a me stesso. Si avvicina e la sua espressione muta lentamente, indugia prima sul mio stato e poi sui due scagnozzi che, mi rendo conto solo in quel momento, ci hanno seguito, diventando pura delusione, intuendo l'accaduto. Mi prende per un braccio e si allontana dalla rossa e da Melissa per avere un po' di privacy. «Davvero, Alex? Di nuovo? Anche qui?» Mi rimprovera sottovoce mio fratello, cercando di trattenersi per non dare nell'occhio.
«Senti, se mi vuoi aiutare bene. Altrimenti mi arrangerò.» Rispondo stizzito voltandomi.
Ovviamente non saprei come altro fare a tirarmi fuori dai guai, tuttavia la mia scenetta raggiunge lo scopo, infatti mi ferma afferrandomi per una spalla.
«Quanto?» Domanda in un sospiro.
«Cinquecento.» Rispondo freddo.
Sospira di nuovo sconsolato.
«Non li ho ora con me. Possono aspettare che vada a un bancomat?» Domanda non lasciando trapelare la sua delusione, ma si percepisce chiaramente attraverso le sue iridi azzurre, solitamente limpide.
«Fammici parlare.» Istruisco e, con uno strattone, mi libero dalla sua presa per informare i due uomini.
Quando spiego loro il dà farsi, anche se molto infastiditi, accettano di aspettare con me il ritorno di mio fratello con i contanti. Davide se ne va, non prima di aver confabulato con la sua compare, che mi guarda con disprezzo. Nel frattempo la rossa è sparita e, con lei, l'unica possibilità di mio fratello di perdere la verginità.
Io e i due uomini ci sediamo su un divanetto al margine del giardino. Mi fanno mettere in mezzo, nel timore che possa scappare. Come se avessi anche solo la forza di alzarmi: l'effetto dell'alcool e dell'hashish sono spariti lasciando posto a un malessere crescente. La testa mi gira e il senso di nausea aumenta sempre di più; cerco in tutti i modi di non muovermi per non peggiorare la situazione.
«Il ragazzo è pallido. Forse è meglio che uno di voi lo porti in bagno.» La voce di Melissa rimbomba nelle mie orecchie.
Realizzo solo ora che è seduta con le gambe accavallate a lato dell'uomo alla mia destra, intento a mangiarsela con gli occhi. Chissà da quanto tempo è qui, ma che lo faccia apposta o meno, il suo tentativo di seduzione sta distraendo entrambi gli scimmioni dal perdere completamente la pazienza nell'attesa e di farmi a fettine sottili.
«Credo che debba vomitare.» Ancora la sua voce, con un tono che non avevo mai sentito prima.
Preoccupazione? Impossibile, il mio giudizio è troppo offuscato. I due energumeni si guardano indecisi sul da farsi.
«Non credo sarebbe un bello spettacolo.» Civetta la ragazza, sbattendo le lunghe ciglia. «Potrebbe accompagnarlo uno di voi. Anche perché, come potrete notare, non è in grado di andare molto lontano da solo.» Aggiunge.
I due annuiscono in accordo con lei e cominciano a discutere tra loro su chi dei due dovrebbe accompagnarmi, in conflitto tra l'idea di farlo e fare bella figura con la fanciulla e di non farlo, per evitare che rimetta direttamente sulle loro costosissime scarpe appena lucidate.
«Vi siete già scomodati a venire fin qui, lasciate che ci pensi io a lui.» Capitola lei, sporgendosi verso quello più vicino per sistemargli la cravatta.
Essere pestati da uomini in giacca e cravatta mi mancava nella lista delle cose fatte. Se non stessi così male, riderei del suo ridicolo tentativo di filtrare con loro, ma l'uomo sembra compiaciuto di ricevere le attenzioni della ragazza e, inaspettatamente, acconsente all'idea di Melissa. Devo ammettere che la ragazzina è più intraprendente di quanto pensassi, non me lo aspettavo da un'amica di mio fratello.
Melissa viene verso di me, prende un mio braccio e se lo posizione intorno al collo, mentre sento una sua mano sul fianco.
«Cerca di contribuire, ok?» Sussurra, prima di alzarmi dal divano.
Resta immobile per un momento, mentre intorno a me tutto ruota a una velocità frenetica.
«Fai dei respiri profondi.»
Non so se sia il mio subconscio o lei a parlare. Con calma tutto rallenta e annuisco per incitarla a muoversi. In qualche maniera riesce a trascinarmi, io mi limito a tenere le gambe dritte e lei mi spinge in avanti, costringendomi a mettere un piede dopo l'altro. Tutto intorno a me è confuso, ma lentamente riesco comunque a raggiungere i servizi.
Entra con me nonostante sia riservato agli uomini. Un ragazzo sta per entrare nell'unico bagno a disposizione, ma lei gli urla qualcosa contro e lui sparisce. Quando intravedo la tazza, mi fiondo su essa e finalmente mi libero. Sento subito la sua mano fredda sulla fronte e l'altra sulla schiena che mi sostengono, ha un tocco delicato che mai mi sarei aspettato da una come lei.
Quando finalmente ho espulso ogni cosa, pure il pranzo del Natale scorso, mi aiuta ad alzarmi e ad avvicinarmi al lavandino. Mi sciacquo la bocca e mi lavo il viso con l'acqua fresca, provocandomi sollievo immediato. Appoggio i gomiti sulla porcellana e rimango con gli occhi chiusi per qualche minuto, respirando lentamente. Non so per quanto tempo io resti in quella posizione, ma improvvisamente sento la porta aprirsi e istintivamente guardo in quella direzione.
«Bevi.» Mi ordina porgendomi una bottiglia di plastica con dell'acqua.
Non mi ero reso conto che se ne fosse andata, afferro quello che mi porge e la scolo in poco tempo, accorgendomi solo in quel momento di quanto sia assetato.
«Sarà meglio tornare ora, prima che quei due vengano a cercarci.» Dice, senza tralasciare emozioni.
Non capisco se sia arrabbiata, delusa o semplicemente indifferente. I suoi occhi non mi perdono di vista, ma ora che riesco a stare in equilibrio da solo si tiene a una certa distanza da me. Annuisco trovandomi d'accordo e butto la bottiglia di plastica ormai vuota nella pattumiera.
Quando torniamo dai due scimmioni li troviamo a parlare con Davide. Vedo che porge delle banconote guardandosi intorno, preoccupato di non farsi vedere, pronuncia qualche parola di cui riesco a sentire solo la parte finale della frase: "Non succederà più." I due energumeni sembrano soddisfatti e, dopo aver ricontrollato il contante, entrambi se ne vanno.
Davide rivolge la sua attenzione su di me, che nel frattempo sono sprofondato esausto su un divanetto.
«Vuoi andare a casa?» Domanda impassibile.
Leggo nei suoi occhi la delusione e la consapevolezza che io abbia toccato il fondo.
Quanto ti sbagli fratello.
«No, tornate a fare quello che stavate facendo. Io me ne starò qui per un po'.» Ribatto prendendo dalla tasca dei jeans le sigarette e accendendomene una.
Oh, finalmente, ci voleva proprio.
Cip e Ciop mi osservano per un po', come fossi un animale da laboratorio.
«E' la festa di Filippo. Dovremo stare con lui.» Interviene Melissa seccata.
Davide resta a guardarmi valutando il da farsi.
«Resterai qui?» Chiede timoroso.
Per tutta riposta, annuisco e con una mano indico il paesaggio attorno a noi.
«Siamo nel mezzo del nulla, in una zona industriale. Anche volendo non saprei come andarmene da qui. Non so dove sono. In più non ho intenzione di muovermi per un bel po'.» Spiego, lanciando il mozzicone lontano.
Lascio cadere la testa oltre lo schienale e chiudo gli occhi: una bella dormita non guasterebbe. Li sento parlare ancora, ma non identifico le parole, la mia mente scivola lentamente in uno stato di incoscienza.
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