69. Le persone non cambiano, si rivelano.

Alex

La mia pazienza non è mai stata messa a dura prova come stasera: prima con quell'attaccabrighe ubriaco che mi ha quasi spaccato il setto nasale e poi da quel damerino maledetto che non fa altro che riapparire quando meno me lo aspetto. Devo dire che l'essere rimasto in disparte in quest'ultimo caso, mi è costato davvero un notevole sforzo, ma temevo che Melissa si arrabbiasse con me, più di quando non lo sia già.

"Odio i bugiardi!", le sue parole riecheggiano ancora nella mia testa e, come schegge affilate, non fanno altro che infilarsi sempre più in profondità, rendo ogni momento più consapevole che un giorno la perderò per sempre. Prima o poi la verità verrà a galla, si renderà conto della mia ipocrisia, mi odierà, mi guarderà con quei suoi occhi scuri e profondi pieni di disprezzo e mi allontanerà per sempre.

A peggiorare ulteriormente il mio umore è aver appena scoperto di aver qualcosa in comune con quel pinguino, quando l'ho sentito dire che per lui, Melissa, è come l'ossigeno, non ho potuto far altro che ritrovarmi nelle sue affermazioni, anche se la prigione in cui mi trovavo io era molto diversa dalla sua. L'unica nota positiva di questa serata da dimenticare è che ora finalmente non dovrò mai più avere a che fare con lui.

Melissa si avvicina fissandomi ancora imbronciata, richiudo la porta alle mie spalle bloccando il passaggio con il mio corpo: non posso sopportare oltre questa tensione, voglio che ascolti quello che ho da dirle, anche se non ho la più pallida idea da dove cominciare.

«Non credi che per stasera abbiamo perso già abbastanza tempo?» Esordisce irritata, cercando di scostarmi.

Rimango esattamente dove sono, perfettamente immobile nonostante la tempesta che impervia dentro di me. Era da molto tempo che non mi trovavo costretto a fare i conti con le mie emozioni, ho sempre trovato difficile esprimere a parole quello che sento ed ero abituato a vivere in una sorta di nebbia, nella più completa indifferenza nei confronti di quello che mi circondava, rivivendo costantemente il passato. Ora invece, sono completamente lucido, Melissa mi ha riportato al presente e, volente o nolente, devo fare i conti con me stesso.

«Davvero Alex, non ho voglia di discutere ancora.» Sbuffa esausta e cerca di afferrare la maniglia nascosta dietro la mia schiena.

«No, prima devi ascoltarmi.» Sbotto, bloccandola per le spalle.

Mi fissa perplessa, mentre cerco di riordinare i pensieri messi ancora più in subbuglio dal fastidio che provo nel constatare come abbia dato retta, fino qualche minuto fa, a quel bastardo e di come invece cerchi di liquidare me.

«Vuoi nuovamente ribadire come io sia incapace di badare a me stessa?» Azzarda sulla difensiva.

«No, maledizione! Possibile che tu non l'abbia ancora capito?» Sbotto, mandando al diavolo tutti i buoni propositi di essere diplomatico.

«Cosa avrei dovuto capire?» Domanda sarcastica, incatenando i miei occhi ai suoi.

«Mi dispiace se quello che ho fatto ti ha fatto soffrire, ma non mi scuserò per aver provato a impedire che quell'idiota ti facesse penare ancora.» Lei prova a interrompermi, tuttavia si ammutolisce davanti alla mia decisione. «E questo non è perché penso che tu sia una debole, anzi... sei la persona più forte che io conosca, l'unica che, nonostante i miei tentativi di respingerla e il mio carattere di merda, ha avuto il coraggio di rimanere al mio fianco.» Aggiungo, distogliendo lo sguardo da lei, timoroso della sua reazione. «Non ti chiederò di perdonarmi per volerti proteggere, per aver voluto tenere al sicuro la persona più vicino a me, l'unica di cui mi importi qualcosa e non posso nemmeno prometterti che non ricapiterà, perché lo farò ogni volta che qualcuno minaccerà di toglierti il sorriso.» Concludo, rendendomi conto solo alla fine di quel che è uscito dalle mie labbra.

In imbarazzo, mi volto pronto per riaprire la porta e tornare al lavoro, anche se l'unica cosa che desidererei fare in questo momento è quella di andare a nascondermi da qualche parte. Non faccio in tempo a fare il primo passo che Melissa mi circonda il busto con le braccia, bloccando la mia avanzata.

«Quanto sei scemo, Alex.» Sussurra e nella sua voce credo di percepire della commozione.

Mi irrigidisco, quando appoggia la guancia alla mia schiena, preso alla sprovvista dall'improvviso contatto.

«L'ho capito che credevi di aiutarmi, ma quello che mi ha deluso è stato che per farlo hai preferito mentirmi. Anche per me tu sei importante.»

Sento qualcosa martellarmi nel petto, mentre combatto contro la voglia di voltarmi, prenderla tra le braccia e baciarla. L'unica gesto che mi concedo è quello di appoggiare le mani sulle sue, così piccole e morbide in confronto alle mie.

«Promettimi solo che d'ora in poi sarai sincero con me.» Supplica, senza perdere la presa.

Faccio un leggero cenno di assenso che sembra bastarle, tuttavia la verità è che nemmeno in questo momento sono del tutto onesto. Se un giorno le pessime decisioni che ho preso in passato verranno a presentarmi il conto, sarò costretto a pagarlo e dubito che stavolta Melissa resterà al mio fianco, probabilmente si renderà conto che finora ha avuto a che fare con qualcuno che in realtà non conosce affatto.

***

Mi sono bastati solo pochi minuti, per capire che il lavoro come magazziniere non fa per me. Non mi riferisco allo sforzo fisico o al mio ginocchio che a ogni sollevamento scricchiola allarmante, bensì a quello stronzo di Omar, il mio responsabile, che non fa altro che urlare minacce e insulti convinto che questo aumenti la nostra produttività. Se lo avessi incontrato qualche mese fa, a quest'ora lo avrei già rinchiuso dentro la cella frigorifera e me ne sarei andato buttando all'aria tutto il magazzino. Tuttavia, con un notevole sforzo, sono riuscito a resistere tenendo a bada i miei impulsi omicidi e continuando a sgobbare con quell'idiota che mi sbraitava nelle orecchie.

I miei sforzi però, vengono ripagati al mio rientro a casa, quando Melissa mi chiede, con occhi pieni di orgoglio, com'è andata la giornata. Così, se fino a qualche secondo prima pensavo di mandare tutto all'aria e non presentarmi il giorno dopo, cambio idea sforzandomi di farle credere che vada tutto bene.

Il giorno in cui sono stato costretto ad aprire il mio primo conto in banca, Melissa è voluta venire con me, mi ha mostrato come utilizzare i servizi online e, sempre insieme, abbiamo versato quel poco che ero riuscito a racimolare. Devo ammettere però che, nonostante l'esiguo importo, il primo pensiero che ho avuto vedendolo è stato quello di correre al bar di Barbie e provare a raddoppiare la somma con una partita a poker. Riunendo le persone giuste, avrei portato a casa più di un trimestre di lavoro e avrei potuto così mandare a cagare Omar e le sue scenate da uomo sessualmente frustrato, inoltre, se fossi stato abbastanza bravo, magari sarei riuscito persino a comprare un regalo per Melissa.

Il mio piano però, è svanito mano a mano che la ragazza mi mostrava i costi del corso che avevo deciso di frequentare; mentre eseguiva online la preiscrizione per ottobre e mi spiegava che se avessi continuato con entrambi i lavori avrei potuto mantenermi senza problemi. Il rischio di perdere tutto, dopo qualche mano sfortunata, è troppo alto per non considerarlo, inoltre la paura di fallire mi ha fatto desistere dai miei loschi intenti, portandomi a ripromettermi di stare il più lontano possibile da qualsiasi tentazione del gioco d'azzardo.

Non sono sicuro che, l'idea di iscrivermi a un corso di laurea triennale online, sia la soluzione adatta a me, d'altronde se sono riuscito a concludere la scuole superiori è stato solo grazie alle ingenti donazioni dei miei genitori all'istituto privato al quale mi avevano iscritto. Ciò nonostante Melissa è convinta che la mia creatività possa portarmi a qualcosa di buono e togliermi qualche soddisfazione e sinceramente non me la sono sentito di contraddirla.

Malgrado ritenga la sua visione del mondo alquanto utopistica, devo ammettere che la sua fiducia è contagiosa e, il solo pensiero di poterla deludere, mi affligge.

Purtroppo però, gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo e nel mio caso hanno le sembianze di un ginocchio dalle dimensioni di una noce di cocco. Sebbene abbia tentato in tutti i modi di camminare in modo normale, Melissa ha notato immediatamente il mio malessere. Giunta alla conclusione che temevo, ha cercato di convincermi a lasciare il lavoro di magazziniere e trovare qualcosa di più adatto alla mia condizione, utilizzando queste stesse parole che mi hanno punto sul vivo. Lei è stata l'unica che abbia creduto in me e ora, sapere che mi ritiene un debole che non è in grado di sopportare un po' di fatica, mi offende. Me ne sarei andato sbattendo la porta se non mi avesse immobilizzato sul divano con un quintale di ghiaccio premuto sulla gamba.

Una piccola parte di me, quella sempre alla ricerca della sua attenzione, era lusingata dalla preoccupazione che mostrava, ma l'altra parte, quella più razionale, cercava in tutti i modi di tranquillizzarla per non doverle dare ulteriori pensieri, considerata la mole che è già costretta a sopportare. Oltre a studiare per i suoi esami infatti, aiuta anche Davide a preparare i propri che, a causa della sua patologica insicurezza, è rimasto indietro.

In questo modo però passa molto tempo nella camera di Davide, togliendone a sé stessa e riducendosi a studiare in ogni momento disponibile: nei momenti morti al lavoro con il libro sotto al bancone del bar, durante i pasti e nelle ore che dovrebbe passare a riposare.

Fin troppo spesso, quando mi svegliavo prima dell'alba per recarmi al magazzino, mi accorgevo della luce che arrivava dalla sua stanza, andavo così a controllare e la ritrovavo addormentata con il viso immerso nei libri e sulla scrivania almeno un paio di tazze di caffè, ormai vuote. Ho tentato di convincerla a smettere di sfinirsi per quell'idiota di Davide, ma, come era prevedibile, lei non mi ha mai dato retta, anzi ha persino provato a trattare dicendo che se io avessi lasciato il lavoro al magazzino, lei non avrebbe più aiutato mio fratello con lo studio.

Alla fine, quindi, le cose sono rimaste invariate: io con la mia noce di cocco al posto del ginocchio e lei con le borse sotto gli occhi.

Quello che però lei non riesce a capire è che, a differenza sua, io tutto questo dolore lo merito e provarlo ogni giorno mi aiuta a tenere a bada gli incubi notturni che, da quando ho ripreso in mano la mia vita, hanno ripreso a tormentarmi più vividi che mai.

Crollo sul divano, chiudendo gli occhi sfinito. E' un sabato pomeriggio e, anche se non avrei dovuto lavorare, sono da poco rientrato dal magazzino. Omar oggi è stato più stronzo del solito, nonostante il caldo asfissiante delle ore centrali, ha avuto il coraggio di cronometrarci mentre scaricavamo la merce, convinto che dandoci un tempo da superare al prossimo carico ci avrebbe motivato a essere più celeri. L'unica motivazione che ho sentito è stata quella di spaccargli la faccia; gli avrei persino permesso di cronometrarmi mentre lo facevo. Dopo aver sudato anche l'anima, sono finalmente tornato a casa, mi sono fatto una lunga doccia gelata e, dopo aver indossato solo un paio di pantaloni corti comodi, mi godo il mio meritato riposo.

«Alex, non puoi andare avanti così!»

Il rimprovero di Melissa mi riporta alla realtà. Apro un occhio e la vedo davanti a me con le braccia puntate sui fianchi, sul viso un'espressione arrabbiata che presumo sia convinta serva per intimorirmi. In realtà l'unica cosa su cui sono concentrato è il modo in cui la canottiera che indossa mette in risalto il suo seno e come quei pantaloncini lascino in bella mostra le sue gambe. Nonostante non mi piaccia l'estate a causa dell'afa, soprattutto vivendo in città, devo ammettere che vederla gironzolare per casa così non mi dispiace affatto.

«Ascoltami quando parlo!» Si lamenta impettita.

«Tu smettila di dire sempre le stesse cose.» Ribatto, esausto dalle sue continue ramanzine.

Nemmeno mia madre è mai stata così apprensiva con me, il massimo delle sue premure erano chiedere alla tata se mi fossi comportato bene e il più delle volte, non le interessava nemmeno la risposta. In realtà, non aveva mai voluto avere dei figli, infatti non le è mai importato molto di me e mio fratello, l'unica cosa che le interessava era l'amore di mio padre che invece riteneva essenziale avere degli eredi... che poi solo uno di questi si è rivelato all'altezza, è un altro paio di maniche.

«Sembra che hai aperto una farmacia!» Borbotta frustata, indicando i medicinali e le creme antinfiammatorie sul tavolino davanti al divano. «Dovresti dimetterti, non puoi continuare a imbottirti di antidolorifici.» Conclude.

«Devo solo arrivare alla scadenza del contratto a fine luglio.»

«Manca ancora troppo tempo, dovresti metterti in malattia fino ad allora.» Istruisce seria.

«Certo, come no!» Scatto, cominciando a innervosirmi. «Ho firmato un contratto di due mesi e uno di questi lo passo spacciandomi per malato.»

«Non ti stai spacciando per malato! Avrebbero dovuto verificare che tu fossi idoneo alla mansione prima di assumerti!»

«Quindi stai dicendo che sono un incapace?» Lo sapevo che avremo finito per discutere ancora di questa faccenda, ormai sembra che non siamo in grado di parlare d'altro.

«Sto dicendo che dubito che il dottore che ha operato il tuo ginocchio abbia messo tra le attività consigliate quella di alzare pesi per più ore al giorno.» Asserisce, lasciando cadere le braccia lungo ai fianchi. «Davvero Alex, non devi dimostrare niente a nessuno.» Aggiunge apprensiva.

«Se mi comporto bene, magari quando riapriranno a settembre mi chiameranno nuovamente a lavorare per loro.» Mi lascio sfuggire accidentalmente e la sua espressione diventa improvvisamente dura.

«Non vorrai tornare a lavorare per loro?! Deve cercarti qualcos'altro, maledizione! Qualcosa che non riduca il tuo ginocchio a una mongolfiera!» Si scalda, gesticolando fuori di sé.

La sua reazione esagerata mi fa sorridere e lei non la prende per niente bene, anzi sembra che stavolta non voglia lasciar cadere il discorso.

«Cerca di essere realista, Melissa. Se vuoi che frequenti quel corso a cui mi hai voluto iscrivere devo per forza avere un'occupazione e, considerato che non è stato per niente facile trovare quel lavoro, figurati trovarne uno migliore.»

Mi fissa pensierosa, mentre la sua rabbia lascia il posto al senso di colpa facendomi subito pentire delle mie parole.

«Meli?» Mio fratello ci raggiunge in sala con un'aria afflitta.

Poco prima che la ragazza si volti verso di lui, mi pare di vedere un lampo nei suoi occhi, come se le fosse venuto in mente un'idea e, anche se la faccenda un po' mi spaventa, decido di non indagare.

«Ho deciso che nella prossima sessione non darò l'esame di Statistica!» Piagnucola e, anche se conosco già come andrà a finire questa scenetta, gli sono grato per averci interrotto.

«Non dire cavolate, sei preparato!»

«No, non ce la posso fare.»

Gne, gne, gne...

La commedia va avanti per qualche minuto, finché non si giunge alla consueta conclusione: «Non preoccuparti Dade, non è poi così difficile... ti aiuterò io.»

Mio fratello, come da copione, prima finge di rifiutare dicendo che non vuole rubarle tempo alla preparazione dei suoi di esami, infine accetta ringraziandola quasi con le lacrime agli occhi. Patetico.

«Aspettami in camera tua, arrivo subito.» Pontifica Melissa sorridendogli rassicurante.

Davide annuisce contento, poi porta il suo sguardo azzurro su di me e increspa le sopracciglia bionde perplesso.

«Ti senti bene, Alex? Hai un pessimo aspetto...»

Ecco, ci mancava anche lui ora.

«Sto bene. Vai a studiare.» Taglio corto, portandomi un braccio sulla fronte e chiudendo gli occhi nella speranza di essere lasciato finalmente in pace.

Li sento sussurrare concitati qualcosa tra di loro, prima che la stanza cada finalmente nel silenzio. Lentamente comincio a rilassare tutti i muscoli del corpo, quando improvvisamente, il tocco di Melissa sulla spalla nuda, mi fa sussultare facendomi sollevare sui gomiti. Spalanco le palpebre e trovo il viso della ragazza pericolosamente vicino al mio.

«Scusa, non volevo spaventarti.» Farfuglia stranamente in imbarazzo. «Tieni, bevi questo prima di riposare.» Aggiunge, mettendo il giusto distacco tra noi e porgendomi un bicchiere con disciolti i sali minerali.

Mi metto a sedere e lo afferro, lei annuisce impacciata e scappa via in tutta fretta, lasciandomi interdetto dalla sua reazione: di solito sono io quello che deve prendere le distanze per non commettere cazzate, non lei.

***

Il mio riposo, se così si può chiamare lo stato catatonico in cui ero caduto, viene disturbato dal suono del campanello. Lo ignoro, nella speranza che qualcun altro presente in casa si muova e vada ad aprire la porta, oppure, ancora meglio, che la persona che ha deciso di incollare il proprio indice al pulsante, se ne vada via. Dopo quelli che mi sembrano attimi interminabili, giungo alla conclusione che entrambi gli studenti presenti in questa casa abbiano bisogno di una visita dell'udito. Rassegnato mi alzo a fatica dal divano e, senza smettere di imprecare sottovoce, spalanco l'uscio di casa pronto a insultare chiunque mi si presenti davanti. Peccato che oltre alla porta non ci sia nessuno. Sto quasi per richiudere, maledendo gli stupidi scherzi dei ragazzini, quando sento qualcuno schiarirsi la voce.

Abbasso la testa e scorgo il viso lentigginoso della fidanzatina di mio fratello che mi fissa indispettita.

«Devo parlare con Davide.» Sancisce seccata con quell'insopportabile accendo inglese, superandomi poi con sdegno.

Ma stiamo scherzando? Lei fa quella arrabbiata? E io cosa dovrei dire che sono stato svegliato dal trillo di un campanello?

«Non ce l'hai una maglietta?» Sputa stizzita e con un cenno della testa indica il mio petto. «Dov'è Davide?» Aggiunge guardandosi intorno.

Ma come fa mio fratello a stare insieme a una stronza del genere? Se non fossi così stanco, la lancerei dalla finestre in questo preciso istante.

«In camera.» Grugnisco irritato.

«Da solo?»

«No.» Ma che razza di domande sono?

L'inglesina sbarra gli occhi sconvolta e senza dire una parola corre con urgenza verso la camera di mio fratello. Preso alla sprovvista dalla sua reazione, opto per seguirla e capire che cavolo le stia passando per la testa, arrivando giusto in tempo per assistere al momento in cui apre la porta.

Davanti a noi, Davide e Melissa, stanno studiando seduti l'uno accanto all'altro sulla scrivania, entrambi si voltano stupiti nella nostra direzione. Sinceramente è esattamente ciò che mi sarei aspettato di vedere, eppure il viso della ragazza dai capelli rossi si deforma sempre di più, facendola assomigliare alla bambina dell'esorcista.

«Ashley, che sorpresa!» Esordisce mio fratello, nella sua voce si percepisce un pizzico di colpa.

«Vedo che hai deciso di darmi buca per...» L'espressione schifata che rivolge a Melissa mi fa ribollire il sangue nelle vene. «...lei.»

Il sorriso della diretta interessata le si spegne sulle labbra, non proferisce parola, fissando l'inglesina con aria perplessa.

«No, ma cosa dici? Ti avevo detto che dovevo preparare un esame.» Davide si alza e va incontro alla sua ragazza, le mette le mani sulle spalle rigide come a volerla tranquillizzare.

«Glielo hai comunicato?» Domanda la rossa gelida.

Mio fratello balbetta qualcosa di incomprensibile in evidente difficoltà e la stronza gli pone nuovamente il quesito con maggiore veleno nella voce.

«Cosa devi dirmi, Davide?» Melissa subentra nella discussione tra gli innamorati, il suo tono è calmo, ma i suoi occhi sembrano quelli di una tigre pronta ad attaccare.

«Ehm...»

«Forza, diglielo.» La stronza incita il fidanzato con una spintarella, già pregustando quello che accadrà.

Davide sospira rassegnato, poi finalmente comincia a parlare con lo sguardo puntato al pavimento per la vergogna.

«Avrei voluto parlartene dopo la sessione d'esami per non darti altre preoccupazioni, ma visto che ci siamo.... Credo sia meglio che la tua camera sia ceduta ad Alex, visto che ora vive in pianta stabile qui, quindi è il caso che cominci a cercare un'altro posto dove trasferirti...» Lo dice tutto d'un fiato, facendo salire la tensione nella stanza alle stelle.

La rossa malefica sorride soddisfatta e, approfittando della nostra esitazione, dovuta più che altro all'assurdità delle parole di Davide, decide di togliersi qualche sassolino dalla scarpa.

«E' un bene anche per te, Meli. Non è appropriato che una ragazza viva con due uomini, qualcuno potrebbe farsi delle strane idee...»

«Melissa.»

«Come?»

«Meli, mi chiamano gli amici. Tu chiamami Melissa.»

Ashley rimane stupita e sinceramente lo sono anche io, avrei trovato più "appropriato" mandarla a quel paese piuttosto che imputarsi sul proprio nome. Melissa porta la sua attenzione su Davide, la sua espressione è impassibile, eppure sono certo sia solo una calma apparente.

«Davvero, Davide? Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, mi stai cacciando solo perché te lo ha detto questa stronza?»

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