6. L'importante non è colpire, ma resistere ai colpi
Alex
Qui tutto è uno schifo.
Le mie giornate sono una merda.
Ormai si è creata una routine che mi ricorda molto la mia vita a Torino: senza obiettivi, nessuno scopo, niente di niente. Solo una voragine nel petto che si riapre ogni notte e il mio inutile tentativo di riempirla con frivolezze. Vorrei poter essere un corpo senz'anima, non provare nessun sentimento, nessuna emozione, invece vengo divorato costantemente dalla rabbia e dal rimorso.
Quando la televisione non riesce a distrarmi abbastanza, esco di casa e mi chiudo in qualche squallido locale della città; ultimamente sono diventato un assiduo frequentatore di un bar non molto distante per chi, come me, si muove esclusivamente a piedi, malgrado l'aspetto poco rassicurante, posso trovare tutto ciò di cui ho bisogno: alcool, un tavolo verde, slot machine, qualche donna quando sono fortunato e inoltre fanno credito ai clienti, caratteristica per il quale vince il mio personale premio fedeltà.
Benché mi rechi al suo interno nelle ore più disparate, trovo sempre qualcosa da fare, che sia una partita a carte o rimorchiare qualche ragazza, approfondendo poi la conoscenza in un bagno maleodorante sotto la luce intermittente di un neon guasto. In ogni caso, termino la mia serata davanti al bancone a consumare un drink dopo l'altro, finché vengo allontanato con la forza o per aver litigato con qualche altro cliente oppure quando la solita barista invadente, non decide che per me è giunta l'ora di tornarmene a casa e si rifiuta di servirmi dell'altro, nonostante le mie proteste.
Fino a oggi, mi sono comportato relativamente bene, non ho puntato grosse cifre e di conseguenza non ho riportato grandi perdite, ma questo ha limitato anche le mie vincite. La mia sicuramente non è cautela, malgrado sia stata la mia dipendenza dal gioco a costringermi ad allontanarmi da Torino, vorrei poter avere la possibilità di guadagnare qualche soldo extra con facilità, ma quell'idiota di mio fratello è più tirchio di quanto ricordassi. Inoltre quando sono concentrato sulla conta delle carte e a ingannare gli avversari, non penso ad altro che a vincere e tutto il resto scompare.
Quando mi ritrovo sull'asfalto all'esterno del bar, decido che è arrivatoil momento di barcollare verso casa e di buttarmi sul divano sperando che, tra alcool e stanchezza, io riesca finalmente ad avere un sonno senza sogni, prospettiva fin troppo positiva. Inevitabilmente mi ritrovo a rivivere il solito incubo, ogni volta con qualche dettaglio in più, ogni volta peggiore della precedente.
Mi sveglio sempre di soprassalto, sudato, agitato e con un terribile senso di colpa che mi attanaglia le viscere. A quel punto non mi resta altro da fare che uscire da quella casa che improvvisamente sento troppo stretta, con la speranza di cancellare le immagini passate e di tornare al presente.
Vado a correre.
Corro, finché non ho più fiato.
Corro, fino a quando le ginocchia non mi reggono più.
Corro, perché è l'unica cosa che posso fare per far smettere al mio cervello di pensare. Pensare sempre a quella maledetta sera che ha rovinato la mia vita e spezzato la sua per sempre. L'unica cosa che vorrei è spaccare qualsiasi cosa mi passi tra le mani, che esse siano persone od oggetti. In fondo è quello che so fare meglio: distruggere.
"Ha difficoltà a gestire la rabbia." mi sono sentito ripetere da ogni psicologo da cui sono stato costretto ad andare. "Con una costante psicoterapia e l'aiuto di qualche farmaco la situazione potrebbe migliorare." aggiungevano, assaporando il momento in cui i loro portafogli si riempiva con le banconote dei miei genitori.
Niente può migliorare. Non si torna indietro.
Quando sono sfinito e non riesco più a proseguire, posso finalmente tornare all'appartamento; da un paio di giorni, quello sfigato di mio fratello, mi ha fatto avere una copia delle chiavi, stufo di sentirmi bussare o suonare il citofono nel cuore della notte o alle prime luci dell'alba. Mi ha anche dato il suo vecchio cellulare, munito di un nuovo numero che posso usare, a suo dire, per chiamarlo in caso di emergenza. In realtà, per il momento è utile solo per ricordarmi di tanto in tanto che ore siano, giusto per non perdere completamente la cognizione del tempo.
Al mio rientro dalla corsa, trovo sempre "Cip e Ciop" intenti a fare colazione, come una coppietta felice. Il loro buonumore mi infastidisce considerevolmente, quindi cerco di starmene in disparte e mi godo un buon caffè accompagnato da un immancabile sigaretta. La stronza non ha più provato a cacciarmi su quel dannato poggiolo, mi lancia delle occhiatacce di nascosto, ma non proferisce parola. Spero che finalmente abbia capito che non l'avrà mai vinta come me, questa casa è anche mia e ho tutto il diritto di fare quello che mi pare: è lei l'intrusa.
Aspetto che se ne vadano entrambi e mi rilasso sotto doccia, prima di rituffarmi sul divano. Rimango in uno stato di dormiveglia, senza mai cedere completamente a un sonno ristoratore, ma quel tanto che basta per raccogliere un po' di energie. Mi risveglio, che è ormai pomeriggio inoltrato, di solito in casa c'è solo mio fratello che studia in camera sua; così posso stare per i fatti miei saltando da una sit-com all'altra e sgranocchiando qualsiasi cosa trovi di commestibile in cucina. Mi tengo occupato con il "niente", insomma, ma è giusto sia così.
Non ho mai creduto al fato o a tutte quelle stronzate sull'equilibrio dell'universo, eppure è l'unica giustificazione che sono riuscito a darmi finora. Ho fatto una scelta sbagliata, spinto da sentimenti futili e questa mi ha portato a essere la persona che sono ora. Sono stato artefice del mio, del suo destino e li ho rovinati entrambi irrimediabilmente.
Gli incubi sono la giusta punizione per le mie azioni, la terapia e i farmaci che mi avevano prescritto qualche anno fa riuscivano più o meno a tenerli a bada, ma a quale scopo? Ogni giorno mi ricordano che ciò che è accaduto è esclusivamente colpa mia, che sono vivo per un malsano scherzo del destino e che dovrei ringraziare la sorte per questo miracolo. Ma la mia esistenza è tutto fuorché miracolosa, considerando qual è stato il prezzo da pagare.
Non c'è niente che io voglia fare per mutare il mio stato, in molti hanno provato ad aiutarmi, ma non hanno capito che non mi è concesso il perdono e che crogiolarmi nei sensi di colpa è l'unica cosa che mi è dato fare. Sono un fallito, come hanno sempre sostenuto i miei genitori, non ho niente da poter offrire a questo mondo, al contrario di lui che, ne sono certo, sarebbe stato in grado di compiere grandi cose.
Era tutto ciò che io non sono e non sarò mai.
Dicono che ciò che ti segna, ti insegna. Io, per il momento, non ho ancora imparato un bel niente, so solo che questa è la mia vita... una vita di merda.
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