54. L'anima che può parlare con gli occhi, può baciare con lo sguardo
Alex
Ci sono cascato con tutte le scarpe.
Sapevo che Melissa mi stava prendendo in giro, ma quando ho sentito le parole "la strada è un po' così..." dentro di me si è accesa una spia d'allarme. Ho cominciato a immaginare ogni possibile scenario dove, un qualsiasi malvivente le si avvicinava con intenzioni poco cavalleresche e, dopo queste assurde fantasie, non sono più stato in grado di lasciarla andare sola da nessuna parte.
Usciamo di casa, lei munita di zainetto, io insieme alle mie ansie che mi costringono sull'attenti come un cane da guardia. Mi conduce presso una fermata del bus e, poco dopo, saliamo sul mezzo pubblico stranamente in orario. Per tutto il tragitto, non faccio altro che guardarmi intorno, incenerendo con lo sguardo qualsiasi persona o animale fissi la mia accompagnatrice per più di dieci secondi consecutivi. Lei, ignara di tutto, continua a parlare, ma non seguo nemmeno una parola di quel che dice, troppo concentrato a comportarmi come un bodyguard mestruato.
Una volta scesi alla fermata, ci aspetta un pezzo a piedi, che percorriamo uno accanto all'altra. Da ieri, le nostre distanze si sono ridotte notevolmente e non posso fare meno di sentirmi compiaciuto, eppure una parte di me mi spinge a non abbassare la guardia e lasciami andare completamente. Inoltre stamattina è accaduto qualcosa di veramente strano, qualcosa che non mi accadeva da almeno dieci anni e che non sono sicuro di meritare.
La giornata dell'anniversario della morte di Diego, solitamente è la più terribile di tutti: negli anni passati mi è addirittura capitato di avere delle allucinazioni durante quella notte o degli episodi di sonnambulismo, dato che, mano a mano che quella maledetta data si avvicina, comincio a dormire sempre meno fino a perdere la testa. Quest'anno le cose sono andate diversamente però, per tutta la settimana si è ripetuta la consueta routine, concendendomi solo una o due ore di sonno per notte, ma stanotte, anziché dare di matto come al solito e beccarmi l'ennesima denuncia per disturbo della quiete pubblica, ho dormito. Mi sono svegliato da solo, senza urla o bagni di sudore, niente di niente... come se nemmeno mi fossi addormentato. Nessuna immagine mi ha tormentato, solo il nulla, un riposante e innocuo buio.
Ho cercato di non pensarci, altrimenti so già che mi sentirei come un ladro che l'ha fatta franca, consapevole che dovrebbe scontare la sua pena e non passeggiare tra le vie milanesi in compagnia di una bella ragazza. Il mio cervello, finalmente più riposato, ha ritrovato un po' di lucidità, ma fatica ancora a dare una spiegazione ragionevole a quanto avvenuto, oppure la motivazione è più semplice di quel che sembra, ma allo stesso tempo troppo complicata da ammettere.
«Siamo quasi arrivati!»
Melissa interrompe il flusso dei miei pensieri, indicandomi qualcosa poco più avanti. Oggi è più radiosa del solito, con indosso un abito colorato e un giubbino di jeans, le calze scure, gli stivaletti, i ricci scuri e il trucco appena accennato: in questa assolata giornata di primavera, sembra essere lei quella che riscalda tutto ciò che la circonda e non il sole.
«Eccoci!»
Entriamo in un enorme parco dove la natura è sovrana, piante di ogni tipo sono disposte lungo i sentieri che si ramificano per tutta l'area, al centro risalta all'occhio un laghetto e, disparati in ciascun punto cardinale, c'è un castello, un arco, un palazzo e addirittura una piccola arena. Rimango esterrefatto da ciò che mi circonda, non pensavo che in una città inquinata come Milano potesse esserci un tale polmone verde.
«Dai vieni!»
Melissa mi prende per mano e mi trascina in avanti, schiodandomi dopo essermi bloccato a osservare il panorama. Mi lascio trascinare lungo un sentiero, attraversiamo un ponticiattolo e infine ci fermiamo sotto un grande acero in uno spazio isolato dal resto della folla di persone che gioca, prende il sole o semplicemente si rilassa. La mia accompagnatrice mi lascia la mano, si sfila lo zaino dalle spalle e lo posa per terra, tira fuori una coperta stendendola sul prato, si lancia cadere sul tessuto e si distende a pancia in giù tirando fuori dei libri e degli appunti dal suo zainetto; quando si accorge che sono rimasto in piedi, si volta verso di me con aria stranita.
«Che fai ancora lì? Non vieni?» Chiede, lisciando la coperta accanto a sé.
Sospiro, contento di essere finalmente giunti a destinazione e di non dover più guardarmi intorno con inutile sospetto, mi distendo di schiena unendo le mani dietro alla nuca e chiudo gli occhi.
«Cosa siamo venuti a fare?» Domando, tentando di rimanere impassibile.
«Io devo studiare.» Ribatte come se fosse una cosa ovvia. «Tu sei qua da qualche settimana e non hai ancora visto niente della città, quindi goditi la pace e la tranquillità del Parco Sempione.» Conclude.
«E chi ti dice che io non preferisco godermi la pace e la tranquillità in casa mia?» Provoco, senza nemmeno guardala.
«Cosa avresti fatto a casa tutto solo? Farai la muffa dentro quelle quattro mura! Ti fa bene respirare un po' d'aria pulita.» Risponde prontamente.
«Chi ti dice che sarei stato solo?» Mi giro verso di lei e apro un occhio per osservare la sua reazione.
«Sei libero di andare quando vuoi.» Borbotta offesa, aprendo uno dei suoi libri e fingendo di seguire quello che c'è scritto.
«Bene, allora tolgo il disturbo.»
Con slancio mi metto seduto e sono quasi pronto ad alzarmi, ma mi sento tirare dalla maglietta verso il basso.
«Aspetta.»
Mi lascio cadere sulla schiena un po' troppo velocemente e Melissa, mettendoci più forza del necessario nel trattenermi, perde l'equilibrio crollandomi quasi addosso, i nostri visi si ritrovano più vicini di quanto non siano mai stati. Lusingato dal suo comportamento, mi scappa un mezzo sorriso sornione, lei in risposta aumenta risentita la distanza tra noi e mi colpisce con un buffetto sulla spalla.
«Stupido!» Farfuglia. «Smettila di distrarmi che devo studiare!»
«Vuoi che me ne vada?»
«No!»
Quasi urla e non appena se ne rende conto, evita di guardarmi negli occhi riportando la concentrazione sui suoi libri. Mi viene da ridere, ma cerco di trattenermi tornando a guardare dritto davanti a me, resto ipnotizzato dal movimento delle foglie cullate dal vento e dai raggi del sole che filtrano fra loro.
Devo dire che questo posto mi piace: l'aria, gli alberi, il fruscio del vento... tutto mi ricorda le giornate passate nella casa di campagna...
...
Un formicolio al braccio mi desta, cerco di muoverlo, ma non obbedisce a nessuno dei miei comandi. Apro lentamente gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per abituarmi alla luce, impiegandoci più di qualche minuto per capire dove mi trovi.
«Buongiorno!»
Metto lentamente a fuoco il viso di Melissa davanti a me, ha raccolto i capelli con uno chignon tenuto su da una matita e qualche riccio le ricade delicatamente sul viso. Le sue labbra si aprono in un sorriso adorabile e mi ritrovo a desiderare ardentemente di baciarle.
«Dormito bene?»
Distolgo lo sguardo e mi rendo conto di essere girato su un lato, con il braccio sotto il peso del mio corpo completamente intorpidito. Mi rimetto dritto, mugugnando qualcosa in risposta e chiudendo nuovamente gli occhi, mentre la sento ridacchiare.
«Smettila di studiare e concediti un po' di relax.» Asserisco assonnato.
«Non posso, mi piacerebbe davvero, ma...»
Non la faccio finire, con un scatto le tolgo il libro della mani e, afferrandola per la spalla, la faccio roteare su sé stessa per stenderla supina accanto a me.
«Visto, non era poi così difficile.» Esclamo, mentre lei ancora confusa, realizza cosa sia appena successo.
«Non era proprio questo che intendevo con "non posso"!» Scherza divertita.
È abituata a vedermi di cattivo umore e nervoso, reduce da notti insonni e pensieri negativi, deve essere strano avere a che fare con un tipo come me. Restiamo un po' in silenzio, poi Melissa si gira su sé stessa mettendosi a pancia in giù, punta i gomiti sulla coperta e si sostiene il viso con le mani, scrutandomi con eccessivo interesse.
«Come stai?» Domanda, improvvisamente seria.
«Bene.»
«No, davvero.»
Stavolta mi prendo qualche istante per rispondere, mi focalizzo sull'azzurro del cielo per non doverla guardare negli occhi, sicuro che potrebbe leggervi qualcosa di troppo.
«Bene, davvero.» Comincio lentamente. «E mi fa strano. Insomma... non dovrei stare bene. In questo momento, dieci anni fa, ero ricoverato in ospedale e avevo da poco scoperto che lui era...»
Non dovrei parlare con lei di queste cose, eppure non riesco a farne a meno.
«Uffa! Possibile che tu del tuo amico ricordi solo questo?» Sbuffa inaspettatamente, tornando stendersi sulla schiena per guardare in alto.
Sorpreso dalle sue parole, mi zittisco, le persone di solito mostrano dispiacere quando vengono a sapere che qualcuno ha perso una persona importante, di certo non esordiscono con "Uffa!". Rifletto qualche istante, sono stato insieme a lui fin dall'asilo, gli aneddoti da raccontare sono molti, eppure se non mi sforzo, sembrano rimanere sepolti nei meandri della mia mente senza vedere mai la luce.
«I genitori di Diego avevano una casa in campagna e, da bambini, spesso ci portavano là nei weekend.» La mia bocca si mette in moto da sola, guidata dalle reminiscenze che mi ha scaturito questo luogo. «C'erano dei campi di ciliegie vicino alla sua tenuta, spesso entravamo di nascosto per rubarle. Le adoravamo e ne facevamo una gran scorta riempiendoci tasche, calzini, cappucci o qualsiasi altra cosa potesse contenerle, tanto che alla fine ci ritrovavamo in bagno con il mal di pancia.»
Faccio una pausa e porto lo sguardo su di lei, che ora sorride appena, involontariamente anche gli angoli delle mie labbra si spostano verso l'alto.
«Sua madre ci sgridava, perchè nonostante finissimo sempre per stare male, facevamo la stessa cosa ogni volta che era stagione di ciliegie. Suo padre se la rideva di nascosto invece, poi andava dal coltivatore a scusarsi e a ripagare la frutta rubata, ne portava a casa delle altre gustandole davanti a noi che in quel momento non le potevamo nemmeno vedere.»
Melissa ridacchia, così io continuo a esporre tutto ciò che mi viene in mente. Le racconto della passione di Diego per i cavalli, di quando sono andato insieme a lui e mi sono messo a litigare con quella bestia perchè facesse quel che volevo (ovviamente fallii miseramente), di come suo padre ci costringeva ad andare ad aiutare il coltivatore di ciliegie dopo ogni furto e dei guai che combinavano durante il lavoro, dei bagni al lago e di ogni altra cosa potessero combinare due ragazzini eccessivamente vivaci.
Il momento idilliaco viene interrotto dalla suoneria del suo cellulare, si alza di scatto e comincia a rovistare nel suo zaino. Chiunque abbia deciso di chiamarla proprio in questo momento è un uomo o una donna morta. Per una volta che mi concedo un momento di rilassamento e di confidenza, qualcuno ha la brillante idea di intromettersi. Forse è il karma che mi vuole punire per essermi lasciato andare troppo, oppure mi sta aiutando consigliandomi di mantenere le distanze per non rischiare di causarmi altro dolore che non sarei in grado di sopportare.
«Pronto? Ciao Elia!»
Ecco, chi altro poteva essere se non il pinguino? Per qualche ora mi ero completamente scordato della sua esistenza e devo ammettere che si stava davvero molto bene.
«No, non sono a casa, ma tu non sei... ah, sei tornato prima da Genova. Certo, sono libera stasera... si. Ok, a dopo.»
Riattacca e mi fissa con aria di scuse.
«Ti spiace se torniamo a casa?»
E così facciamo, nel più gelido imbarazzo, almeno per me. Mi sento uno stupido ad aver fatto tutte queste confidenze a una ragazza che ora corre da un altro uomo, anzi, in realtà sono stato un vero idiota a credere di avere anche mezza possibilità con lei. Eppure andava tutto così bene... avrei dovuto immaginarlo, alla fine quello che rimane fregato sono sempre io.
Quando arriviamo davanti all'appartamento, il damerino del cazzo ci aspetta appoggiato alla sua BMW argentata, con le mani nelle tasche e gli occhiali da sole firmati, come un attore da quattro soldi che non si rassegna ad ammettere a sé stesso che il suo momento di gloria è terminato già da tempo.
Melissa accelera il passo raggiungendolo saltellando, mentre io rallento lasciando che quell'idiota si goda il leggero bacio sulle labbra che lei gli riserva come saluto, nonostante gli occhiali da sole però, vedo chiaramente che il suo sguardo truce è puntato su di me.
«Ti va di salire un attimo?» Domanda la ragazza, completamente rapita dalla visione di quel verme.
Lui si limita ad annuire e si lascia condurre su per le scale, seguito a ruota da me che resto alle loro spalle.
«Metto giù lo zaino e possiamo andare.»
Entriamo in casa e Melissa si precipita in camera sua, tornando un attimo dopo con un grande sorriso stampato in faccia. Prendo posto sul mio adorato divano e accendo la televisione nella speranza di distrarmi da questa situazione spiacevole, ma la voce del pinguino mi distoglie dal mio intento.
«Fai pure con calma. Mettiti qualcosa di carino, stasera ti porto in un bel posto.» Esordisce con aria professionale.
Mi volto appena per osservare meglio la scena, la ragazza lo guarda confusa, poi esamina i propri abiti perplessa.
«Possiamo andare anche a mangiarci una pizza qui vicino...»
«No!» La interrompe lui duro. «Vorrei farti provare un nuovo ristorante con specialità di pesce. So che ti piace molto.» Il suo tono si addolcisce improvvisamente, eppure più che una premura nei confronti di Melissa, a me sembra tanto una scusa.
Quel tipo è strano, ne sono sempre più convinto. Non capisco perchè voglia per forza che lei si tiri a lucido, in fondo è già bellissima così com'è.
«D'accordo.»
Tipica risposta che indica che non è per niente contenta di doversi cambiare, tuttavia decide di accontentarlo e sparisce nella zona notte senza aggiungere altro. Era così contenta di vederlo che probabilmente non voleva sprecare tempo in altro, se non stare con lui, ma evidentemente per il verme non è la stessa cosa: è più importante l'abito che la compagnia della persona.
Decido di tornare a guardare lo schermo, ignorando completamente l'intruso, peccato che lui non sia dello stesso avviso e si sieda proprio accanto a me, non prima di essersi sbottonato la giacca del completo elegante con quell'aria autoritaria che mi ricorda tanto mio padre.
«Alex, vero?» Chiede retoricamente, puntando le sue iridi scure su di me.
Se crede di intimorirmi con così poco, non ha capito con chi a che fare. Non rispondo alla sua domanda e, ignorandolo, continuo a saltare da un canale all'altro.
«Senti, te lo voglio dire con le buone. Melissa è una persona gentile e spesso le persone se ne approfittino, ma io tengo a lei e non mi piace quando questo accade.»
Un esemplare di quel genere di persone è proprio seduto accanto a me, stronzo.
«Quindi credo sia il caso che tu le stia alla larga.» Conclude risoluto.
Mi scappa un sorriso sghembo e non riesco più a ignorare le sue cazzate.
«Sarà un po' difficile, visto che viviamo entrambi qui e lavoriamo nello stesso bar.» Asserisco con tono di sfida.
Lui non ribatte subito, ma dopo qualche istante i suoi occhi si illuminano di malizia.
«Già, ma sono io quello che se la scopa.» Sussurra cospiratorio, in modo che possa sentirlo solo io.
Nonostante il tono della voce basso, nelle mie orecchie quelle parole sembrano delle urla strazianti. Serro le mani a pugno lungo i fianchi, per evitare di cadere nella tentazione di colpirlo dritto in faccia e fargli sparire una volta per tutte quell'espressione soddisfatta che mi sta mostrando.
«Sono contento che abbiamo chiarito.» Provoca compiaciuto, dandomi una pacca sulla spalla come vecchi amici.
Ora gli afferro quella mano sudicia e, una a una, gli spezzo tutte le dita, vediamo se ha ancora il coraggio anche solo di sfiorarmi.
«Possiamo andare, sono pronta.»
Melissa entra nella stanza, si è cambiata come richiesto dal suo stupido accompagnatore: ora indossa dei lunghi pantaloni neri, degli stivali col tacco alto, una camicia lasciata fin troppo sbottonata per i miei gusti e una giacca chiara sfiancata. Il trucco pesante e i ricci perfettamente in ordine la fanno sembrare molto più vecchia della sua reale età: una donna e non più la ragazzina spensierata che oggi pomeriggio era distesa su un prato accanto a me.
«Bene.»
Il verme si alza e, dall'ispezione che gli noto fare sul corpo della ragazza, convengo che non sia completamente appagato, nonostante indugi un po' troppo sulla scollatura. Non si permette di aggiungere altro però e, dopo averle messo una mano sul fondo della schiena tenta di guidarla verso l'uscita, ma la ragazza gli sguscia via e si avvicina a me apprensiva.
«Vuoi che ti prepari qualcosa prima di andare via? Non credo che Davide rientrerà per cena. Ci sono dei menù per il cibo da asporto, vuoi che te li prenda?»
Scuoto la testa e non posso fare a meno di sorridere compiaciuto per ciò che è appena avvenuto, crogiolandomi nello sguardo assassino di quel damerino che mi fissa rigido come se gli avessero appena infilato un palo su per il culo.
«Sicuro?»
«Sicurissimo, mi arrangio non preoccuparti.»
«Va bene, allora noi andiamo.»
Poco convinta, torna sui suoi passi e afferra il braccio che l'uomo le porge, sparendo poi insieme oltre l'uscio per la loro serata.
***
«"Già, ma sono io quello che se la scopa", ti ha detto proprio così ?» Barbie, la barista del locale che frequento di solito, commenta così il mio racconto della giornata.
Non è stata proprio un'ottima idea fiondarsi al bar a stomaco vuoto, sono bastati pochi bicchieri e la mia lingua si è sciolta come non mai. L'errore più grande è stato quando alla domanda "Come va? Come mai quel muso lungo, baby?" della ragazza dal ciuffo viola, mi sono lasciato andare a qualche parola di troppo, che mi ha portato, sorso dopo sorso, ad averle spiegato tutto.
«Già, si può essere più stronzi?»
«E tu non gli hai spaccato la faccia?» Chiede lei, che si approfitta del mio stato per scucire quanti più dettagli possibile.
«Avrei voluto credimi e lo voglio ancora! Ma non potevo dargli questa soddisfazione, dato che poi Melissa si sarebbe arrabbiata con me.»
«Baby, un uomo che dice a una donna come deve vestirsi o truccarsi non è normale, credimi!» Esclama, scuotendo la testa.
«Lo so, in più va sempre in giro in giacca e cravatta! Ma non lo sa che esistono i jeans o le tute?» Devo smetterla di bere.
«Comunque dovresti ritenerti soddisfatto, se ti ha fatto quei discorsi è perché in qualche modo si sente minacciato da te.» Spiega saccente.
«Da me? Qui si capisce quanto è stupido. Lui ha tutto quello che una donna potrebbe desiderare: soldi, un bella macchina, cene fuori nei posti chic, vestiti da pinguino e il modo di fare da uomo che non deve chiedere mai.» Elenco, con la faccia schifata al solo pensiero di quell'essere.
Barbie scoppia a ridere e si asciuga una lacrima con l'indice, prima di tornare a parlare.
«Stai generalizzando troppo il mondo femminile, non siamo tutte così, come voi uomini non siete tutti uguali. Chi ti dice che per la tua morettina siano queste le cose importanti?» Mi scruta indagatrice.
«Finora i fatti mi hanno dato ragione.» Concludo sconsolato.
In realtà non penso che Melissa sia una persona materialista, ma la gelosia mi porta a dire cose insensate, credo solo sia troppo ingenua e che si sia lasciata abbindolare da un uomo più grande che in qualche modo la fa sentire desiderata, anche se, per quanto ne ho capito io, è solo un desiderio fisico. Mi do una pacca sulla fronte per scordarmi immediatamente questo insulso pensiero, da quanto sono diventato una femminuccia? Ovvio che è desiderio fisico, anche io vorrei farla mia per lo stesso motivo.
«Sono sicura avrai la tua occasione per ribaltare la situazione.» Commenta lei, riempiendo nuovamente il bicchiere davanti a me.
«Forse dovrei lasciare le cose così come stanno... magari è la cosa migliore.» Mi lascio sfuggire sconsolato.
«Non dire cazzate! Nessuno ottiene quello che vuole standosene fermo in disparte. Bisogna provarci nella vita e, se proprio non va bene, pazienza! Almeno non avrai nessun rimpianto.»
Annuisco appena alle sue parole, ma in realtà le ho seguite per metà, non sono abituato a "fare" qualcosa di solito mi limito a subire quel che accade convinto di meritarmelo, in questo momento poi, l'alcool mi sta confondendo i pensieri e non riuscirei a prendere nessuna decisione sensata al riguardo.
«Sai cosa avresti dovuto rispondergli quanto ti ha detto che è lui quello che se la scopa?» Aggiunge, animata da una speranza che vorrei tanto avere io. «Ancora per poco, coglione!»
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