50. Non si guarisce mai da ciò che ci manca, ci si adatta

Un altro anno è trascorso. La terra ha fatto un intero giro attorno al sole, prima di tornare nella posizione in cui si trova ora. Da allora, questo è avvenuto per ben dieci volte. Le stagioni si sono susseguite, i giorni e le notti alternati, tutto è stato un continuo mutamento... tranne me. Io sono la costante in questo mondo che ancora non sono riuscito a capire fino in fondo. Io, che da quel giorno mi sono fermato. Io, che non ho fatto altro che pensare e ripensare a quella dannata sera, fino allo sfinimento. Contare il tempo che è passato dall'ultima volta, è la dimostrazione di quanto quel tempo non stia passando.

Da un periodo indefinito, fisso l'acqua del canale che scorre davanti a me, seduto sull'erba umida adiacente alla strada che percorro quasi ogni mattina. Vorrei correre, prendere a pugni la prima cosa che mi capita a tiro, vorrei urlare e insultare chiunque osi anche solo guardarmi per sbaglio, ma resto immobile. Le poche ore di sonno degli ultimi giorni mi hanno spossato completamente, inoltre il dolore lancinante alla testa non mi lascia pensare con lucidità.

Tutti dicono che il tempo guarisce tutto, allora perché più tempo passa e più fa male?

Inoltre, ciliegina sulla torta, quando sono uscito di casa stamattina, ho assistito alla scena di Melissa che veniva divorata da quel pinguino del cazzo. Sono sicuro che anche lui mi abbia visto e che di proposito ci abbia messo tutta quell'enfasi completamente fuori luogo.

Melissa... «E ti prometto che ogni volta che avrai un incubo io sarò lì per svegliarti... sarò lì per te.»

La morsa al mio stomaco si fa ogni secondo più stretta. Non so se mi sento più arrabbiato con lei per essere andata a letto con quel damerino da quattro soldi o più deluso per avermi fatto una promessa che non ha esitato a infrangere alla prima occasione. La verità è che l'unica persona con cui dovrei prendermela è quella riflessa sullo specchio dell'acqua. Stare a Milano mi ha reso un debole: persino una ragazzina è riuscita a prendermi per il culo.

«Eccoti, finalmente!»

Non sono più tanto sicuro che la mia decisione di trasferirmi qui, sia stata una buona idea. Forse dovrei fare la valigia e andarmene di nuovo, l'unico problema è che non conosco più nessuno da cui poter essere ospitato. Non sono mai stato bravo a fare amicizia, figuriamoci a preservarla.

«Sapevo di trovarti qui!»

Se solo ieri sera non avessi speso tutti i soldi guadagnati lavorando, al tavolo da poker, potrei andare in qualche bar e bere fino a dimenticarmi persino il mio nome. Però dubito di trovarne uno che mi faccia ancora credito, quindi sono costretto a rimanere davanti questo canale inquinato finché questa giornata di merda non sarà finita e domani mi preparerò ad affrontarne un'altra.

«Ehi?»

A quest'ora, dieci anni fa, stavo ancora dormendo nel mio comodo letto. Non potevo nemmeno immaginare cosa sarebbe accaduto da lì a qualche ora. Ero uno stupido adolescente, egoista e arrogante, l'unica cosa a cui pensavo era correre dietro a quel dannato pallone. Non che ora io sia riuscito a smussare il mio caratteraccio, anzi i miei difetti sono addirittura peggiorati, ma almeno allora, nonostante tutto, avevo degli amici... avevo Diego.

«Alex?»

E' solo colpa mia.

«Senti, lo capisco che sei arrabbiato con me, ma fingere che io non sia qui non migliorerà le cose.»

Mi manca... vorrei aver avuto la possibilità di chiedergli...

«Scusa.»

Sobbalzo sorpreso. Devo aver esternato i miei pensieri senza rendermene conto, ma mi rendo conto che la voce che ho sentito non appartiene a me, bensì a lei.

«Mi stai ascoltando?»

Mi volto alla mia destra e ci trovo Melissa, seduta per terra accanto a me con le gambe incrociate. Mi osserva in attesa, nei suoi occhi leggo un misto tra le preoccupazione e il sentirsi terribilmente in fallo. La scruto per qualche secondo, si deve essere cambiata quando è arrivata a casa, ora indossa una comoda tuta grigia e non più quell'abito che ha messo a dura prova il mio autocontrollo quando l'ho vista uscire dalla porta la sera precedente. Con uno scatto, mi rigiro verso l'acqua: non voglio parlare con lei.

«Vattene.» Ordino a denti stretti.

Lei sbuffa sonoramente, ma non si smuove di un millimetro.

«Non me ne vado prima di averti detto ciò per cui sono venuta qui.» Esclama risoluta.

Attende una mia risposta che non arriva. Potrei alzarmi e andarmene, ma sono sicuro che, conoscendo la sua cocciutaggine, mi correrebbe dietro senza demordere nel suo intento.

«Sono venuta a cercarti per chiederti di perdonarmi. Non era mia intenzione rimanere a dormire fuori casa. Quando mi sono presa l'impegno di aiutarti con i tuoi incubi, dicevo sul serio.»

Involontariamente la interrompo con un verso di disapprovazione, ma lei non sembra perdersi d'animo e continua con il suo inutile monologo.

«Ho sbagliato, me ne prendo tutte le responsabilità. Non mi sono comportata bene con te, avrei dovuto esserci, invece ho perso la cognizione del tempo. Credimi, appena me ne sono resa conto sono subita corsa a casa, ma era troppo tardi.»

Il tono con cui termina la frase mi costringe a girarmi. Non dovrei farmi intenerire così, eppure la sua supplica non riesce a essermi indifferente.

«Dammi l'opportunità di farmi perdonare... ti prego...»

La fisso dritta negli occhi e lei si lascia leggere da me senza timore. Lo vedo che è sincera, ma ha fatto troppo male la delusione che ho provato e se mi fidassi di nuovo, questo potrebbe ripetersi.

«Come facevi a sapere dove trovarmi?» Chiedo, invece, senza battere ciglio.

Lei sorride appena, ma non vedo gioia nei suoi occhi. Perché mi rattrista così tanto vederla afflitta?

«Quando hai un incubo peggiore del solito, veniamo a correre sempre qui.» Risponde lentamente.

Ragiono sulle sue parole, rendendomi conto di quanto siano veritiere e di come lei abbia notato questo dettaglio a cui non avevo mai pensato. Forse mi conosce meglio di quel che credevo.

«Non c'è niente da farsi perdonare. Non sei la mia babysitter, non ti ho mai chiesto di svegliarmi, non hai nessun obbligo nei miei confronti. Io e te non siamo niente, se non due sconosciuti che si sono trovati a condividere lo stesso tetto per caso.» Ribatto, scappando al suo sguardo ferito.

«Non dire così! Noi siamo molto di più di questo! Se ho deciso di fare quello che faccio è perché voglio! Non puoi impedirmi di volerti bene!»

La suo voce trema, sopraffatta dalle emozioni. Questo fatto mi colpisce, ma cerco di non darlo a vedere, sbuffando infastidito.

«Non dire stronzate! Mi conosci appena...» Se sapessi cosa ho fatto, penseresti che me lo merito tutto questo e saresti rimasta sotto le lenzuola di quel pinguino.

«Ti conosco abbastanza. Siamo coinquilini, colleghi e corriamo insieme tutte le mattine. Quando ho avuto bisogno del tuo aiuto tu me lo hai dato e io sto cercando di fare lo stesso per te.» La sua voce è tornata decisa e si sposta leggermente verso di me, ora le nostre spalle si sfiorano. «E' vero, non conosco tutto di te, ma mi baso su quello che ho visto. Non me ne frega niente di quello che eri prima di venire qui, io ho conosciuto questo Alex, l'altro può andare a farsi fottere per quel che mi riguarda.» Conclude, cercando il mio sguardo.

«Sono sempre lo stesso Alex, non c'è un prima o un dopo a...» Involontariamente do voce ai miei pensieri, ma un nodo alla gola mi costringe a interrompermi.

«Sono pronta ad ascoltarti, se tu sei pronto a parlare con me.» Scandisce lentamente, osservando cauta la mia reazione

Il suo tono è talmente serio che quasi non lo riconosco. Distolgo la mia attenzione dall'acqua e la riporto su di lei. Per avvalorare ulteriormente le sue parole, posa una mano sulla mia spalla e la stringe leggermente. Il suo tocco mi rincuora, ma non so se sono pronto ad aprirmi con qualcuno.

«Non è questione di essere pronti... tu non puoi capire... »

«Mettimi alla prova.»

Non ho mai sentito Melissa così risoluta e convinta come in questo momento. La sua non è semplice curiosità, non percepisco invadenza nei suoi modi. Non vuole conoscere i miei peccati per giudicarmi, vuole che io glieli dica per il solo scopo di sfogarmi.

Crede che parlandone io possa sentirmi meglio? La solita illusa! Vuole essere messa alla prova? Sarà accontentata! Forse finalmente crescerà, vedrà che il mondo non è quello che pensava e che non si risolve tutto con una chiacchierata. Lo so già come andrà a finire. Lei mi dirà che le dispiace, che sono cose che capitano e le solite frasi fatte che si dicono quando a qualcuno accade qualcosa di spiacevole. Inizialmente mi compatirà e si sentirà in pena per me, non mi guarderà più con gli stessi occhi di prima. Poi capirà che sono una cattiva persona, un fallito egoista che sa solo rovinare la vita a chi gli sta intorno. Alla fine deciderà che con quelle poche parole di cortesia ha fatto il suo dovere e che ora può tornare alla sua esistenza perfetta, decidendo di escludermi definitivamente, data la mia propensione autodistruttiva. Non mi darà più le attenzioni che mi riserva ora e io finalmente potrò tornare alla mia insulsa quotidianità dove non mi importava di niente e di nessuno.

«Se ci tieni così tanto, ti racconterò tutto.» Esordisco, lei annuisce lievemente, ma mantiene ancora un'espressione seria.

Non ho mai raccontato l'accaduto sin dall'inizio a qualcuno, ma oggi non ometterò nemmeno una virgola. Se tutto va come ho previsto, sarò finalmente libero di non torturami più quando so che lei e il damerino sono insieme chissà dove.

«Quando avevo diciassette anni il calcio era la mia più grande passione. Ero anche abbastanza bravo, tanto che un talent scuot mi notò e mi convocò per un provino per entrare a far parte della primavera della Juventus. Oltre a me, anche il mio migliore amico era stato scelto. Non potevo essere più felice, l'idea di entrare a far parte della società proprietaria della squadra per la quale avevo tifato sin da bambino, era un sogno che si avverava, inoltre avrei avuto accanto l'amico di sempre.» Faccio una breve pausa per riprendere fiato.

Melissa resta immobile, gli occhi da gatta ancora puntati nei miei. Non emette un suono, lasciandomi il tempo di trovare le parole. Apprezzo non mi metta fretta, ma se già ora sono in difficoltà, non so come potrò arrivare alla conclusione.

«Io e Diego ci siamo conosciuti sui banchi di scuola. Era l'esatto opposto di me, altruista, estroverso, gentile... a scuola siamo sempre stati tra i più popolari, nessuno batteva il suo carisma e la sua simpatia, per quel che riguarda me invece... beh, non so esattamente cosa avessi di speciale, probabilmente vivevo della sua luce riflessa.» Deglutisco faticosamente.

A metà del mio racconto sono tornato a fissare un punto indefinito dinanzi a me, gli occhi annebbiati dai ricordi, non ero più in grado di reggere lo sguardo di Melissa, so per certo che avrebbe letto tutto il mio dolore.

«Questo pensiero era diventato un tarlo per me. A casa poi la situazione non era facile. L'unica cosa che mi riusciva bene era lo sport, peccato che per i miei genitori non fosse qualcosa per cui andare fieri, anzi... così mi ritrovavo sempre a essere paragonato a Davide, lui era il figlio perfetto, sempre impeccabile e io solo un ragazzino ribelle. Per non sentirli, passavo tutto il mio tempo libero a casa di Diego. Lì mi sentivo ben accetto, sua madre e suo padre mi trattavano come uno di famiglia, ero il secondo figlio che tanto avevano cercato, ma che non era mai arrivato. Però era solo una mia illusione: era Diego il loro unico figlio e io solo l'intruso in cerca di affetto. Mi portavano sempre in ferie con loro, evitando così che fossi mandato in qualche collegio per delle vacanze-studio come Davide. E' solo grazie a loro che ho scoperto il calore che dovrebbe avere una famiglia.» Mi schiarisco la voce, cercando di mantenerla quanto più possibile ferma e atona.

«Andava tutto bene, facemmo entrambi il provino per la squadra e lui fu preso al primo colpo. Ero sempre stato molto competitivo nei suoi confronti, quindi nel momento in cui mi richiamarono per un secondo provino per capire se andavo bene o meno, mi impegnai al massimo e riuscii con molta fatica a superarlo. Quando mi mettevo in testa qualcosa, era difficile farmi cambiare idea... comunque la sera che mi comunicarono la bella notizia corsi a casa di Diego per condividerla con lui e la sua famiglia, dato che per la mia era stata una disgrazia il mio successo. Essendo ancora minorenne mio padre mi disse che non mi avrebbe permesso di giocare a calcio a quei livelli, avrei dovuto impegnarmi di più nello studio e lasciare le sciocchezze agli altri: io ero un Dalmasso e dovevo comportarmi come tale. Il padre e la madre di Diego invece, mi fecero tanti complimenti e mi rassicurarono promettendomi di parlare con i miei genitori per fargli cambiare idea. Mi convinsero, ma dentro di me ero arrabbiatissimo per la reazione di mio padre e soprattutto ero geloso di non essere nato in una famiglia come quella del mio amico.» Mi interrompo improvvisamente.

Ricordo ancora l'invidia che provai quel giorno e di come Diego invece mi guardasse felice che potessimo essere ancora una volta nella stessa squadra. E' sempre stata una persona buona, mentre io già da allora, ero marcio dentro.

«Mi propose di andare a festeggiare con degli amici. Acconsentii, non volevo tornare a casa mia da dove ero stato costretto a scappare a causa del litigio avuto con mio padre. I suoi insulti mi rimbombavano ancora nelle orecchie... purtroppo, quanto per tutta la vita ti dicono che non vali niente e che quello che fai non è mai abbastanza, alla fine cominci a crederci sul serio...» Divago, mentre vecchie sensazioni poco piacevoli tornano a galla.

«Quando raggiungemmo gli altri ragazzi tutti si complimentarono con noi. Elogiarono Diego per essere passato al primo provino e dissero che invece io ero stato fortunato ad aver avuto un'altra possibilità. In quel momento scattò qualcosa... ero arrivato secondo un'altra volta e non potevo tollerarlo oltre. Durante la serata ebbi però un illuminazione: c'era qualcosa che io avevo e Diego no. C'era una biondina nella nostra stessa classe, non ricordo come si chiamasse, ma Diego ne era follemente innamorato da qualche anno. Non si era mai dichiarato a lei, per paura di non essere ricambiato, ma spesso me ne parlava con sguardo sognante. Quella ragazza però era palesemente interessata a me, io lo sapevo, ma la tenevo lontana per rispetto del mio amico... fino a quel giorno almeno. La portai sul retro, dove nessuno ci poteva vedere. Volevo prendermi una mia soddisfazione personale, non era mia intenzione far soffrire nessuno, ma solo dimostrare a me stesso che per qualcuno io era la prima scelta. Anche se si trattava di piacere a un'adolescente in piena crisi ormonale. La baciai, ma non mi ero reso conto che Diego ci aveva seguito. Ci vide e... non ne fu per niente felice.»

Non posso dimenticare lo sguardo pieno di delusione che mi riservò. Si sentì pugnalato alle spalle, lui che mi aveva trattato come un fratello, veniva ripagato con tutt'altra moneta. Il mio comportamento fu meschino, ma me ne resi conto solo quando incrociai i suoi occhi lucidi.

«Scappò. Uscì dal locale e corse in sella al suo motorino.... io gli corsi dietro... volevo fermarlo... non credevo... non volevo...» Farfuglio.

Un dolore lancinante al centro del petto mi impedisce di incamerare aria nei polmoni, così faccio dei respiri profondi per tranquillizzarmi. Il mio tentativo fallisce miseramente e mi accorgo che le mie mani hanno iniziato a tremare. Le nascondo nelle tasche della felpa, ma a Melissa non sfugge nulla, invade le mie tasche con le sue lunghe dita affusolate e mi afferra entrambe gli arti con una presa salda. Le sue mani sono piacevolmente calde e la sua pelle è morbida come al solito. Da questa vicinanza posso sentire anche il suo profumo invadermi le narici, così decido di chiudere gli occhi e concentrarmi solo su quello. Lentamente smetto di tremare e il respiro si fa di nuovo regolare così da permettermi di finire questo supplizio una volta per tutte.

«Lo raggiunsi. Ci fermammo a un semaforo rosso in un incrocio. Tentai di convincerlo ad accostare e a parlare con me, ma lui era troppo scosso. Scattò il verde e lui partì a razzo... io qualche secondo dopo.» Mi fermo di nuovo, mi sembra di essere tornato a quella sera, vedo le immagini a rallentatore dietro le mie palpebre chiuse.

«Dall'altra parte arrivò un camion. In seguito si scoprì che il guidatore era passato con il rosso appena scattato, ma lui non aveva fatto in tempo a vederlo. Aveva fretta, perché in ritardo per una consegna e se fosse accaduto di nuovo lo avrebbero licenziato. Accelerò quando vide l'arancione e poi...»

Due fanali accecanti. Il suono di un clacson. Diego qualche metro più a destra e avanti a me. Lo stridio delle gomme. Il rumore sordo dello scontro tra il camion e il suo motorino. Il corpo di Diego che viene sbalzato in aria. Io che urlo. Il camionista con gli occhi spalancati, colmi di terrore. Un altro impatto. Il dolore, il sangue, il bruciore. 

«L'uomo tentò di frenare, ma a quella velocità non riuscì a rallentare abbastanza celermente.... investì prima lui, che si trovava proprio nella sua traiettoria, e poi me.»

Io che alzo la testa e che lo vedo a qualche metro da me. L'odore dell'asfalto. Il suo corpo a terra in una posizione innaturale. Io che non riesco a mettermi in piedi. Io che striscio con i gomiti verso di lui. L'uomo con la canottiera alla guida del TIR che grida preso dal panico. Io che mi avvicino a quello che una volta era il mio migliore amico. Il suo viso pieno di graffi voltato verso di me. Macchie di olio. Macchie di sangue. Quel che ne rimane del casco giace lontano da noi. Gli occhi di Diego sbarrati, completamente bianchi e non nocciola come al solito. Il silenzio assordante. Il buio.

«Ho ucciso il mio migliore amico.»

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