5. La pazienza è la virtù dei forti

Melissa

Non so esattamente che ora siano, quando vengo svegliata dal rumore della porta che si apre, poi sbatte e infine, per concludere in bellezza, riecheggia un tonfo sul divano.

A quanto pare, lo scroccone si è degnato di tornare a casa: peccato, per un momento mi ero illusa che non lo avrei rivisto mai più. Mi rigiro nel letto alla ricerca di una posizione più comoda, nonostante il sonno leggero riesco per fortuna a riaddormentarmi all'istante.

...

«Noooo!»

Un urlo squarcia il silenzio, destandomi di soprassalto; con il cuore che mi batte all'impazzata per lo spavento, mi sollevo dal letto e poggio i piedi scalzi sul pavimento freddo.

«Fermo!»

E' la voce di Alex, lo sento muoversi accompagnato da un fruscio di coperte e borbottare qualcosa che non riesco a decifrare. Consulto la sveglia sul comodino: cinque e trentasei.

Incuriosita da tutti questi rumori, mi alzo per andare a vedere cosa stia accadendo in sala, mi nascondo dietro alla porta del corridoio e spio all'interno della stanza: Alex si rigira senza sosta sul divano, farfugliando frasi sconnesse che suonano come suppliche. Lo osservo per un po', indecisa sul da farsi, poi repentinamente, si drizza con uno scatto fulmineo.

Fuori comincia ad albeggiando e, alla tenue luce del primo sole, riesco a scorgerlo mentre appoggia pesantemente i piedi sul pavimento mettendosi a sedere con i gomiti sulle ginocchia, il volto coperto dalle mani e il petto che si alza e si abbassa freneticamente.

Per la prima volta riesco a scorgere la fragilità di Alex, che non si addice minimamente al ragazzo strafottente che ho conosciuto solo la notte prima. Sembra così vulnerabile che reprimo a fatica l'istinto di consolarlo e correre ad abbracciarlo; si tratta solo di un attimo però, perché inaspettatamente si alza e con un calcio ribalta il tavolino davanti a sé per poi prendersela con i ninnoli sopra alla mensola che, con una manata, fa cadere tutti a terra, facendomi sobbalzare.

Ma guarda un po' tu questo! Ora mi sente!

Sul piede di guerra faccio un passo in avanti, ma un fascio di luce illumina il suo viso sudato: mi blocco colta alla sprovvista da tutto il dolore che vi è dipinto. Ora che nessuno lo può vedere, non ha più la solita maschera impassibile che sfoggia ogni giorno, appare così... indifeso.

La sua reazione mi sembra esagerata, tutti abbiamo degli incubi ogni tanto, ma il suo deve essere stato proprio terribile per averlo angosciato in questo modo. Istintivamente mi celo nuovamente nell'oscurità del corridoio e, persa nella mie riflessioni su di lui, non mi rendo nemmeno conto che si è cambiato indossando dei pantaloni della tuta, una felpa e un paio di scarpe sportive, tutti regali del fratello ovviamente. Senza darmi il tempo di trovare una motivazione al suo bizzarro comportamento, si precipita fuori di casa spinto da un incomprensibile urgenza, un po' come se gli mancasse l'aria. Sempre più basita, mi avvicino alla finestra della sala, affacciata sulla strada davanti al portone, e riconosco una figura incappucciata uscire di corsa e fuggire a tutta velocità sparendo nella foschia mattutina.

***

Il lunedì mattina, come è risaputo dalla maggior parte della popolazione, è particolarmente traumatico, soprattutto il risveglio. Quando la sveglia comincia a strillare senza pietà, mi sembra di aver dormito solo qualche minuto, il mio cervello, dopo aver assistito alla scena di Alex, non ha fatto altro che analizzare più e più volte la situazione alla ricerca di qualche spiegazione plausibile, senza successo.

Mi alzo per preparare la colazione, passando per la sala butto un'occhiata in direzione del divano, ma è ancora vuoto e non c'è nessuna traccia di lui per la casa.

Come ormai assodato in questi tre anni di vita milanese, inizi la nostra routine mattutina con la preparazione della colazione e della caffettiera più grande a disposizione: perché senza un buon caffè non si può iniziare la giornata, figuriamoci un'intera settimana. Terminato in cucina, mi reco davanti alla camera di Davide andando in soccorso alla sua povera sveglia, che sta suonando senza sosta da ormai più di dieci minuti, ma che viene completamente ignorata. Provo con le buone maniere, bussando alla porta e chiamandolo ripetutamente: niente, nessun segno di vita. Non che avessi fede in ciò, ma come si suol dire: "la speranza è l'ultima a morire."

Mi precipito in camera mia vestendomi al volo, corro poi in cucina a spegnere il caffè ormai pronto e infine torno da Davide che, come sempre, non mi lascia altra scelta che tentare con le cattive: entro come una furia, riavvolgo le tapparelle inondando la stanza della luce del mattino, apro le finestre per cambiare l'aria e, prima che se ne renda conto, gli tiro via coperte e cuscino. La luce e la fresca brezza mattutina che prorompono nella stanza, lo fanno destare bruscamente.

«Buongiorno, caro coinquilino! Muoviti che è tardi e il caffè è già pronto!» Gli dico, prima che possa criticare i miei metodi poco delicati.

«Ok, fammi prima andare in bagno.» Risponde, con la bocca ancora impastata dal sonno.

Gli sorrido e mi avvicino per scompigliargli i capelli affettuosamente, so che lo infastidisce, così scappo in cucina ad attenderlo. Nel medesimo istante qualcuno bussa alla porta d'ingresso. Che sia tornato? Verifico dallo spioncino avvalorando la mia ipotesi.

«Buongiorno!» Saluto allegra Alex.

Il ragazzo, con una faccia da funerale, non mi degna nemmeno di uno sguardo e si dirige in cucina attirato sicuramente dall'odore di caffeina. Il tragitto è breve, ma ho l'impressione che stia leggermente zoppicando, appoggiandosi a ogni superficie disponibile in cerca di stabilità.

«Ho appena fatto il caffè.» Comunico alle sue spalle, mantenendo un tono allegro e vivace, invitandolo a sedersi.

Mi sento un po' in imbarazzo nei suoi confronti, conseguenza di ciò che è avvenuto all'alba, non vorrei essere così gentile, non se lo meriterebbe, ma il suo viso così pieno di sofferenza mi torna prepotentemente in mente facendomi cambiare atteggiamento. Alex, per essere coerente con se stesso, non mi risponde, si prende una tazzina e si siede al tavolo sorseggiandola lentamente .

Dopo poco veniamo raggiunti da Davide e, insieme a lui, inizio a gustarmi la colazione chiacchierando su argomenti di Economia. Ogni tanto, osservo di sottecchi il nuovo arrivato, essendo seduto proprio di fronte a me, mentre esamina pensieroso qualcosa al di fuori della portafinestra alla propria destra.

«Cosa cazzo hai da guardare?» Ringhia, girandosi di scatto.

Colta in flagrante, tossisco mentre la colazione mi fa quasi di traverso per il colpo, capisco che non si dovrebbero fissare le persone, ma dovrebbe darsi una calmata e bere una camomilla, altrochè caffè!

«Niente.» Mento in tono vago.

Avrei almeno un milione e mezzo di domande da fargli, per riuscire a dare un senso ai suoi comportamenti inverosimili, ma mi mordo la lingua per evitare di irritarlo ulteriormente, essendo, come appurato, già abbastanza suscettibile di suo.

«E allora smettila di fissarmi!» Sancisce autoritario.

Appoggia la tazzina sul tavolo ed estrae, dalla tasca dei pantaloni, un pacchetto di sigarette nuovo, lo apre con noncuranza e se ne posiziona una tra le labbra fini.

«Si fuma in poggiolo.» Istruisco, indicando con la testa la portafinestra che conduce al nostro piccolo balcone.

Lui mi mostra un ghigno di scherno, si alza e va verso il fornello accendendosi la sigaretta con la fiamma di una corona e torna a sedersi al suo posto davanti a me, senza perdere la sua solita aria di sfida. Con assoluta beatitudine aspira il fumo e dopo qualche istante, lo fa finire dritto sulla mia faccia.

La mia pazienza esaurisce in un istante, il vaso trabocca a causa dell'ultima goccia, ma non voglio dargli nessun soddisfazione, così mantengo la calma e con la stessa tranquillità mi verso un bicchiere di spremuta d'arancia, mi volto dalla sua parte e gli sorrido affabile. Non fa in tempo a intuire le mie intenzioni che gli verso addosso il contenuto del mio bicchiere, bagnandogli quella faccia da schiaffi che si ritrova e spegnendo la sigaretta in un colpo solo.

«Si fuma sul poggiolo.» Ripeto nuovamente, senza riuscire a trattenermi dal ridere: ha avuto quel che meritava.

Sento Davide deglutire rumorosamente, colto da un inspiegabile panico, mentre fissa la faccia scura e gocciolante del fratello mentre sputa l'oggetto del nostro diverbio per terra. Alex afferra un tovagliolo e si asciuga meticolosamente, una volta terminato punta i suoi occhi verdi su di me, digrigna i denti e poggia i gomiti sul tavolo, unendo le mani con fare minaccioso. In tutta risposta alzo un sopracciglio con aria superiorità, se crede di farmi paura, sbaglia di grosso.

Rimaniamo lì a fissarci a lungo, senza che nessuno dei due abbassi lo sguardo. Non ho nessuna intenzione di dargliela vinta, deve abbassare la cresta e cominciare a rispettare chi gli sta intorno.

«Meli, è tardi, dovremmo andare.» Davide ci interrompe con voce flebile.

A malincuore, decido di cedere e annuisco guardando il mio amico: non arriverò in ritardo a lezione per colpa di un individuo del genere, ma se vuole la guerra, può essere certo che l'avrà.

***

In università posso finalmente concentrarmi su qualcosa che non sia quel maleducato lunatico che occupa il divano di casa e, tra una lezione e l'altra la mattinata scorre veloce e senza intoppi.

«Meli, lo so che mio fratello è uno stronzo, ma ti prego di avere pazienza con lui.» Mi supplica il mio amico, mentre torniamo a casa con la sua auto.

«Mi ha mancato di rispetto, Dade!» Ribatto infastidita, ricordando quanto accaduto durante la colazione.

«Lo so e ti chiedo scusa.»

«Non sei tu a doverti scusare.» Preciso scuotendo la testa.

Cala il silenzio nell'abitacolo, finchè, una volta raggiunto il condominio, Davide si volta verso di me preoccupato.

«Senti Melissa, lo so che ti chiedo molto, ma sto cercando di aiutarlo e ho bisogno della tua collaborazione.» Esordisce, appellandosi al mio buon cuore.

Lo guardo confusa, l'unica cosa che potrebbe essere utile a quell'individuo, è un esorcismo.

«Te lo chiedo come favore personale: lascia che ci parli io, tu cerca di non considerarlo e continua la tua vita come se niente fosse.» Aggiunge gesticolando nervoso.

Giustamente vuole tenermi fuori dalle sue questioni familiari, ma in quell'appartamento ci vivo anche io e dal momento che ho a che fare con lui, non posso semplicemente starmene zitta e buona quando assisto ai suoi comportamenti oltraggiosi.

«Come faccio a non considerarlo se è lui che mi provoca?» Ribatto, cercando di mantenere un tono calmo.

Lui mi lancia un'occhiata strana che mi fa intuire che è proprio quello che vuole che io faccia. Non credo che la mia indifferenza possa aiutare suo fratello, ma non voglio nemmeno mettermi a discutere con Davide e rischiare di litigare con lui per qualcosa che non dovrebbe riguardarmi.

«Ti chiedo solo di portare pazienza per un po'. Se si comporta male lascia che sia io a occuparmene.» Spiega, indicandosi con una mano.

Non mi va. Non mi va per niente bene questa sua idea. Tuttavia mi sta guardando con quegli occhi da cucciolo smarrito e so già che non riuscirò a dirgli di no; dovrò mettere da parte il mio orgoglio in nome della nostra amicizia e per sdebitarmi di tutto quello che ha fatto per me da quando ci conosciamo.

«D'accordo.»

So già che sarà dura e che passerò la maggior parte del tempo a mordermi la lingua. Sul suo viso angelico si fa strada un sorriso che illumina l'abitacolo, anche se la sua proposta non ha nulla di celestiale.

«Grazie, sapevo che mi avresti sostenuto!» Mi abbraccia e ricambio volentieri mentre prego mentalmente di non dovermene pentire.

Una volta saliti in casa troviamo il nuovo inquilino addormentato sul divano. Lo lasciamo lì e pranziamo velocemente, Davide mi invita a preparare anche qualcosa per il bell'addormentato, richiesta assai discutibile dato che, secondo il nostro accordo, non dovrei nemmeno considerare la presenza di una terza persona in casa. Decido di lasciar correre e assecondare il suo desiderio e dopo aver sistemato la cucina e mi precipito al lavoro.

Non sono mai stata così contenta di uscire di casa per andare al bar, che fortunatamente non dista molto da dove abito, così posso andare a piedi e non sono costretta a usare i mezzi pubblici.

Entro nel locale che da tre anni a questa parte è stata la mia fonte di sostentamento economica. La paga è buona, non posso lamentarmi, e inoltre gli orari sono perfetti per una studentessa: dal lunedì al venerdì nella fascia pomeridiana. Non potrei chiedere di meglio: così la mattina posso frequentare le lezioni, la sera studiare e nel weekend svagarmi.

«Ciao dolcezza!» Saluta Filippo, il mio collega, accompagnando il tutto da un sorriso accecante.

Mi avvicino a lui dietro al bancone indossando il mio grembiule nero.

«Ciao Pippo!» Ricambio con lo stesso entusiasmo.

«Sei in anticipo oggi!» Aggiungo perplessa, considerando il suo disturbo di ritardo cronico. Lui annuisce soddisfatto di sé.

«E' la mia ultima settimana di lavoro e volevo sperimentare cosa si prova ad arrivare puntuali!» Ribatte, poi si volta verso il microonde al suo fianco per controllarsi l'acconciatura.

«Sei perfetto!» Lo prendo in giro, esasperata.

Per tutto il tempo che abbiamo lavorato fianco a fianco, sono giunta alla conclusione che i suoi ritardi siano dovuti al troppo tempo che passa a sistemarmi quel dannato ciuffo.

«Come sempre, dolcezza!» Risponde lui, soddisfatto.

«Melissa!» Mi volto al richiamo e vedo la mia titolare, la signora Carola, raggiungerci.

Nel bar funziona così: la mattina c'è lei e un dipendente che si occupano delle colazioni e dei pranzi di lavoro; nel primo pomeriggio subentriamo noi che arriviamo fino all'ora dell'aperitivo e, per concludere la serata, arriva il marito seguito da altri due dipendenti. Solo per eventi particolari organizzati dal bar, sia io che Pippo ci siamo dovuti fermare anche per il turno serale, ma è capitato sporadicamente.

«Buongiorno!» Rispondo al saluto della donna.

«Volevo semplicemente avvertirti che ho messo un annuncio per trovare il sostituto di Filippo. Quindi c'è la possibilità che si presenti qualcuno a consegnare il curriculum. Ti prego di tenermeli da parte, così io e mio marito possiamo valutare le varie candidature.» Mi spiega e io annuisco in risposta. «A meno che, il mio dipendente più vanitoso, non ci ripensi e invece di partire per la Spagna per il suo anno sabbatico, non resti qui con noi!» Aggiunge provocatoria, guardando il diretto interessato.

«Io, vanitoso?» Chiede lui teatralmente.

Non posso far a meno di ridere della sua espressione innocente, del tutto malcelata.

«A parte gli scherzi! Non lasciarti troppi cuori infranti alle spalle!» Lo prende in giro lei.

«Non credo di poter nascondere il mio fascino e poi sarebbe un insulto all'umanità se non mostrassi tutto questo ben di Dio!» Ribatte, facendo una piccola sfilata.

Fortunatamente non c'è nessuno al bar che ci può vedere, altrimenti ci prenderebbero per matti. Anche Carola ride insieme a me; mancherà a entrambe questo ragazzo stravagante.

«Fate i bravi e non combinate casini!» Si raccomanda la donna, prima di lasciarci al nostro lavoro.

«Non voglio che tu te ne vada.» Confesso al mio amico, in uno slancio di nostalgia.

«Oh, cucciola, non preoccuparti. Potrai venire a trovarmi quando vuoi!» Mi abbraccia e lo lascio fare, beandomi di questi ultimi momenti con lui.

«Come farò senza di te?» Domando più a me stessa che a lui.

«Vedrai che il prossimo collega sarà un figo pazzesco. Quasi, quasi sono un po' geloso.»

«Più figo di te?» Lo sfido e lui mi risponde con uno sguardo accattivante e un sorriso obliquo.

«Non essere sciocca. Lo sai che è scientificamente impossibile.»

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