47. In vino veritas, in vodka figuriamocis

Alex

Sbatto con un fianco lungo la ringhiera delle scale, riprendo a camminare e colpisco il muro dalla parte opposta. Sogghigno da solo. Perché? Non lo so, ma sembra tutto così buffo. Arrivo finalmente alla porta che non fa altro che ondeggiare.

Come si apre una porta? Sono davanti alla porta giusta almeno?

Perdo l'equilibrio e barcollo all'indietro. Per fortuna riesco a non cadere. Cerco di rimanere concentrato, ma la mia mente è un turbine di pensieri senza un nesso logico. Infilo una mano nella tasca dei jeans e ne estraggo un mazzo di chiavi. Lo avvicino agli occhi per poter mettere meglio a fuoco ogni singola chiave.

Devo trovare la più grande. E' sempre la più grande.

Finalmente la vedo e cerco di infilarla della toppa. Peccato che la serratura non faccia altro che rimpicciolirsi e ingrandirsi davanti ai miei occhi.

Fermati, dannato buco!

Non so come, ma riesco ad aprire l'uscio e finalmente entro nell'appartamento. Per lo meno è quello che vorrei fare, ma vado a sbattere contro un mobiletto sulla destra. Per ritrovare l'equilibrio sposto tutto il peso del corpo sulla sinistra e con una spalla colpisco con violenza la parete libera dall'altra parte. Per mia fortuna, l'alcool non mi fa sentire nessun dolore, ma sono sicuro che quando la sbornia mi sarà passata mi ritroverò un bell'ematoma come promemoria.

Mi lascio scivolare lungo il muro e ci appoggio la schiena. Mi sento completamente svuotato da ogni energia. La stanchezza si impadronisce di me e sento le palpebre pesanti, vorrei solo dormire un po'... sono così esausto.

Potrei chiudere gli occhi solo per qualche istante... No, non posso. Non voglio dormire, devo rimanere vigile.

«Alex.»

Riapro gli occhi e mi ritrovo davanti il viso di Melissa, si è inginocchiata e mi scruta preoccupata. Non posso far a meno di pensare che è la cosa più bella che abbia mai visto. Indossa uno dei suoi soliti pigiamoni informi, i capelli ricci raccolti sulla testa assomigliano a un nido d'uccelli e profonde borse sotto gli occhi risaltano sulla faccia stanca. Inclina la testa per osservarmi meglio e arriccia il naso per esprimere il suo disgusto al mio odore.

«Quanto hai bevuto?»

Mi viene di nuovo da ridere e lo faccio, ma lei non sembra avere la mia stessa allegria.

«Dai vieni, ti aiuto ad alzarti.» Asserisce alzandosi e prendendomi per un braccio per tentare di tirarmi su verso di lei.

I suoi sforzi sono completamente inutili, finché non decido di collaborare. Mi rimetto in piedi vacillando pericolosamente, ma lei è al mio fianco e in qualche modo riesce a sostenermi. Mi guida fino al divano, dopodiché mi aiuta a sedermi. Appoggio i gomiti sulle ginocchia e mi prendo la testa fra le mani.

«Forse una bella dormita ti farebbe bene.» La voce di Melissa arriva alle mie orecchie ovattata.

«No!» Scatto urlando.

Lei indietreggia leggermente, confusa dalla mia reazione.

«Va bene, allora non dormire.» Ribatte, con lo stesso tono che userebbe per parlare con un bambino capriccioso.

Infastidito mi rialzo, traballo leggermente, ma riesco a non cadere. Cammino verso la cucina oscillando un po' a destra e un po' a sinistra, sbatto contro lo stipite della porta, ma finalmente entro nella stanza.

Un forte odore di cibo mi invade le narici e devo far fondo a tutta la mia forza di volontà per non rimettere in questo preciso momento sul pavimento. Mi aggrappo allo schienale della sedia per darmi maggiore stabilità e comincio a respirare con la bocca.

«Non è presto per mettersi a cucinare?» Domando a Melissa che durante tutti i miei spostamenti mi è venuta dietro.

«Devo preparare il pranzo per la tua famiglia.» Risponde con un'alzata di spalle.

La mia famiglia. Lentamente mi torna in mente la discussione avuta la sera prima con Davide: i nostri genitori saranno qui fra qualche ora. Devo riprendermi velocemente e svignarmela finchè posso. Riporto la mia attenzione sugli occhi stanchi della ragazza di fronte a me, scorro la sua figura fino ad arrivare alla sua mano destra, il polso non è più fasciato, ma è ancora evidente il leggero gonfiore.

«Dov'è Davide?» Chiedo, mentre sento la rabbia impadronirsi di ogni cellula del mio corpo.

Dov'è mio fratello? Si approfitta degli altri per i suoi sporchi comodi, ma nel mentre lui che fa?

«Sta dormendo.» Risponde perplessa.

Lo sapevo, è il solito egoista e lei la solita stupita. In uno scatto d'ira faccio cadere la sedia per terra.

«Tu stai qui a fare tutto il lavoro e lui dorme?» Urlo fuori di me.

Lei mi fissa sorpresa, non capendo i motivi della mia reazione. Eppure è così chiaro.

«Si può sapere perché ti lasci usare così da lui? Ti senti in debito per cosa? Perché è il tuo padrone di casa? Tu paghi per stare qui e non ti viene regalato niente, non devi niente a nessuno. Non sei la sua baby-sitter, devi smetterla di comportarti come....»

«Shhh...»

Melissa mi tappa la bocca con una mano e riesce a zittirmi. E' pericolosamente vicina, l'altra mano è posizionata dietro al mio collo per evitare che sfugga alla sua presa. I nostri nasi sono a pochi millimetri l'uno dall'altro.

Restiamo immobili, lei in ascolto di qualche rumore per accertarsi di non aver svegliato Davide, io in completa balia dei miei ormoni. Quando è sicura che mio fratello non abbia sentito niente, si rilassa e riporta gli occhi su di me incontrando i miei che la stanno fissando languidamente.

La mia pelle è diventata improvvisamente ipersensibile, le sue dita dietro alla nuca, nonostante siano immobili, mi provocano una scarica di brividi lungo tutto il corpo, la sua gamba tra le mie, mi fa fare pensieri poco casti e infine le sue labbra color fragola, anche se rovinate e mangiucchiate, mi attirano verso esse invitandomi ad assaporarle.

Non sono ancora completamente lucido e, nonostante cerchi in tutti i modi di reprimere i miei istinti, le mie mani si muovono da sole e stringono i suoi fianchi lasciati leggermente scoperti dalla maglietta. Il contatto la fa sobbalzare e io non posso fare a meno di pensare che, forse sotto quest'orribile pigiama, non indossa il reggiseno. Il mio amico là sotto, reclama di essere liberato, le mie mani vogliono risalire il suo corpo e le mia bocca vuole esplorare la sua. Sto quasi per cedere alla tentazione di mettere in pratica i miei pensieri, ma lei prende in mano la situazione e si allontana di scatto, come se l'avessi bruciata.

La lascio andare controvoglia, ma mi rendo conto di aver superato il limite, anche lei deve essersene resa conto perché mi fissa turbata mentre la distanza fra noi aumenta.

«Mi faccio un caffè.» Scappo dal suo sguardo indagatore dandole le spalle.

Mi avvicino al fornello, prendo la macchinetta posizionata su uno dei fuochi, la apro e la trovo ancora piena per metà. Mi verso tutto il liquido in una tazza grande, fortunatamente è ancora tiepido e torno a sedermi aiutandomi con i vari mobili o pareti che trovo al mio passaggio. Sprofondo sulla prima sedia che incontro davanti al tavolo e chino la testa concentrandomi sulla mia tazza. Non ho il coraggio di guardarla.

Lei non dice niente e sento che torna a spadellare davanti al cucinino dandomi le spalle. Non so cosa mi sia preso, probabilmente è tutta colpa dell'alcool, anzi sicuramente è così. Eppure un po' ci sono rimasto male, se lei avesse esitato qualche secondo di più sarei riuscito almeno a baciarla, ma ho visto chiaramente la sua espressione preoccupata quando ha capito le mie intenzioni e la celerità con la quale si è allontanata da me.

Lei non mi vuole. Io non sono abbastanza.

Sorseggio il caffè in silenzio, restiamo entrambi in cucina ognuno immerso nei propri pensieri. Spero solo che la mia cazzata non la faccia allontanare. Non potrei sopportarlo.

Vorrei aiutarla nei preparativi, tuttavia non ho le forze per restare in piedi troppo a lungo. Sono esausto, eppure non voglio andare a dormire. Riesco a farmi un'altro caffè sotto il suo sguardo pieno di disapprovazione, ma almeno ha il buonsenso di non dire niente.

Devo avere un aspetto orribile, mi sento uno straccio. Uno straccio che è appena stato rifiutato da una ragazza bellissima.

***

Rimango in uno stato di trance a lungo, finché non mi sento abbastanza sicuro per infilarmi in bagno e farmi una doccia ghiacciata. L'acqua fredda risveglia le mie sinapsi e finalmente il mio cervello dolorante comincia a ingranare. Dopo essermi vestito, mi rendo conto di avere una sete pazzesca, così torno in cucina e apro il frigorifero. Prendo una bottiglia d'acqua e la scolo direttamente a canna. Quando rimetto tutto al suo posto, mi ritrovo Melissa accanto a me. Si è cambiata, ora indossa un abito giallo con un gonna morbida ben oltre le ginocchia. Le maniche lunghe e il collo stretto la fanno sembrare una di quelle ragazza appena uscite da messa la domenica.

Porge una mano verso di me e apre il palmo mostrandomi il contenuto: un flacone di pastiglie contro il mal di testa. Allungo un arto per afferrarle, ma lei richiude le dita negandomele.

«Si prendono a stomaco pieno.» Istruisce imperterrita. «E non di caffè.» Conclude.

Provo ad afferrarle di nuovo, ma lei si scansa velocemente e per poco non perdo l'equilibrio.

«Dammele.» Ringhio.

Lei scuote la testa decisa, sta davvero cominciando a darmi sui nervi.

«Siediti, mangia qualcosa e poi te le darò.» Contratta indicando la tavola già apparecchiata per cinque.

Ho la testa che mi scoppia e non riesco a coordinare bene i movimenti, altrimenti a quest'ora me le sarei già prese quelle dannate pastiglie. Anche se non sono ancora nel pieno delle mie facoltà mentali, ho capito perfettamente dove vuole andare a parare. Spera che io pranzi insieme a lei e la mia famiglia.

Il campanello suona in quell'esatto istante. Parli del diavolo...

«Vado io!» Annuncia Davide dalla sua camera.

Lo intravedo passare davanti alla porta della cucina, con la sua camicia candida perfettamente stirata e degli orribili pantaloni gessati. Risponde entusiasta al citofono e apre il portone delle scale, dopo diversi minuti suonano di nuovo. Stavolta sono davanti alla porta d'ingresso.

«Dai, andiamo a salutare.» Melissa si sposta velocemente dietro di me e mi spinge fino a costringermi a varcare la porta che dalla cucina porta in sala.

Metto piede nell'altra stanza nello stesso momento in cui Davide apre la porta mostrando le figure rigide e composte dei miei genitori.

La prima che entra nel mio campo visivo è mia madre, una donna minuta, di una magrezza quasi scheletrica, dovuta sia allo stress che alla sua smania di perfezione. Indossa uno dei suoi numerosi tailleur di qualche stilista famoso, ha i capelli castano chiaro raccolti in un'acconciatura elaborata e il trucco pesante e perfetto come se fosse appena uscita da un rinomato salone di bellezza. I suoi occhi sono dello stesso azzurro limpido di Davide, ma al contrario di quest'ultimo i suoi lineamenti sono duri e spigolosi.

Mio padre è al suo fianco, in giacca e cravatta come se dovesse tenere un incontro d'affari piuttosto che un pranzo in famiglia. I suoi capelli un tempo scuri come i miei ora sono brizzolati, lunghi fino alla nuca e tirati indietro con del gel. E' un uomo atletico per la sua età, lo possono confermare anche le sue giovani segretarie, inoltre dal modo in cui tiene la schiena, le spalle, la testa, fa subito capire chi comanda, trasuda sicurezza e autorevolezza da ogni poro e la gente si sente intimorita e allo stesso tempo ammaliata da uno come lui. 

Davide si avvicina a nostra mamma e fa il gesto di darle due baci sulla guancia, ovviamente non la sfiora nemmeno per non rovinarle il trucco, poi si volta verso mio padre e gli stringe la mano. Questo è il massimo dell'affetto che possono dimostrare i miei genitori.

«Madre, padre, benvenuti.»

Ecco un'altra loro piccola fissazione, non hanno mai voluto li chiamassimo "mamma" e "papà" come tutti i bambini, ma "madre" e "padre" che, a detta loro, esprime meglio il rispetto che dovremmo riservargli.

«Buon compleanno, tesoro.» Mia madre sorride.

Uno di quei sorrisi finti che le ho sempre visto fare: la bocca si incurva, ma gli occhi rimangono freddi. Dopo un po' li punta verso di me, insieme a quelli scuri di mio padre.

«Ciao Alex, siamo felici di vedere che stai bene.» Esclama lui glaciale.

Faccio un sorriso di scherno. Visto che ormai sono qui tanto vale rimanere e farli pentire di essere venuti.

«Franco, Barbara.» Guardo prima uno e poi l'altro. «Non posso dire altrettanto.» Concludo sostenendo lo sguardo di mio padre.

L'uomo serra la mascella squadrata e riduce gli occhi a due fessure. Non hanno mai sopportato che li chiamassi per nome, né che non rispondessi adeguatamente alle loro frasi di circostanza per rispettare le loro stupide convenzioni sociali.

«Buongiorno Signori Dalmasso, è un piacere conoscervi.» Melissa prende in mano la situazione.

Si avvicina ai miei genitori sfoderando uno dei suoi sorrisi migliori e si presenta educatamente. Davide li fa accomodare e li invita a mostrargli come si è sistemato. La sua coinquilina si affianca a mia madre e tenta di farle qualche complimento per la sua eleganza, ma anche se la donna in risposta sorride, so di per certo che ha già preso in odio la ragazza: troppo esuberante per i suoi gusti.

«Vedo che hai cambiato un po' di cose, vicino al divano non c'era una lampada? E sono spariti anche dei soprammobili.»

Come previsto, all'occhio attento di Barbara non sfugge nulla.

«Ehm... Sì... Diciamo che essendo ora in tre, abbiamo dovuto riadattare l'appartamento alle nuove esigenze.» Farfuglia Davide in risposta.

In altre parole sono stato io a distruggere tutto, durante una delle mie "parasonnie violente", di cui anche loro sono ben a conoscenza.

I miei si guardano complici e mio padre sussurra un "Capisco" senza sbilanciarsi.

Decido di mettermi a sedere in cucina in attesa del pranzo e, dopo aver terminato il tour, finalmente prendono posto anche loro. Mio padre ovviamente è seduto a capotavola, per rimarcare il suo status di capo famiglia, mia madre alla sua destra da brava mogliettina qual è, che nonostante si a conoscenza degli innumerevoli tradimenti del marito finge che vada tutto bene, per non perdere la faccia davanti alle sue amiche del golf club, mio fratello alla sinistra di mio padre, da bravo figlio prediletto che non ha mai sospettato niente, convinto che i nostri genitori siano perfetti e che quindi non possano sbagliare o cadere in tentazione. A fianco a mio fratello prende posto Melissa, dopo che ha servito a tutti come fosse la domestica e non una coinquilina, e accanto a lei ci sono io, a capotavola a mia volta per sfidare l'autorità di mio padre.

Franco mi fissa per qualche secondo in cagnesco, so che vorrebbe mi sedessi accanto a mia madre, ma se lo può scordare. Non è con un posto a sedere attorno a un tavolo che uno si guadagna il rispetto delle persone. Sfortunatamente per me, distoglie lo sguardo senza dirmi niente, speravo di poter ravvivare la giornata con qualche bella discussione, ma lui non mi da soddisfazione, anzi comincia a ignorarmi completamente imitato a ruota da mia madre e mio fratello.

Mio padre si comporta da galantuomo e include nelle loro conversazioni anche Melissa, le chiede dei suoi studi, dei suoi progetti e dei suoi risultati accademici. Tutto molto noioso insomma, ma lei sembra felice del suo interessamento e risponde con entusiasmo, cosa che irrita ancora di più mia madre che non fa altro che fissarla in tralice.

«E dimmi, i tuoi genitori che lavoro fanno?» Chiede mio padre fingendo che la cosa gli importi.

Melissa non risponde subito, abbassa la testa e si fissa le mani chiuse a pugno sulle ginocchia, perdendo ogni briciola di entusiasmo. Il suo comportamento anomalo mi fa riscuotere improvvisamente, se fino a un istante prima stavo sbadigliando, ora sono attento e vigile.

«Beh...» Farfuglia. «Purtroppo sono morti in un'incidente quando ero piccola.»

Rimango di sasso, non mi aspettavo fosse orfana. Ripensandoci l'ho sempre sentita parlare di sua nonna, ma non mi era mai nemmeno passato per l'anticamera del cervello che potesse essere questo il motivo. Mi rendo conto di conoscere così poco di lei, finora ho visto solo quello che ha voluto mostrarmi.

La osservo preoccupato, in questo momento mi sembra così piccola e fragile che vorrei allungare una mano sotto il tavolo e stringere la sua. Non sopporto di vederla così triste, ma non so cosa fare per rimediare.

«Mi dispiace.» Mio padre cerca di risollevare la situazione, ma nel suo tono non c'è alcun rimorso.

«Nessun problema, ero piccola e me li ricordo appena. Gradite del caffè?» Melissa si alza di scatto e comincia a sparecchiare la tavola.

Cerco più volte i suoi occhi per capire come stia, ma riesce sempre a negarmeli con destrezza. Prepara il caffè e lo porta in tavola a tutti tranne che a me, in compenso mi ritrovo davanti un bicchiere d'acqua e le pillole per il mal di testa che mi aveva promesso.

Quando viene servito il dolce, Davide riceve il suo regalo di compleanno da parte dei nostri genitori: un orologio. Dopodiché il fantastico trio decide di andare a farsi una passeggiata per le vie milanesi, lasciando a Melissa l'onore di risistemare tutto. Decido di darle una mano e in poco tempo sistemiamo tutto.

«Ti va di guardare un film?» Mi propone lei.

Annuisco appena, ma in realtà sono felice che me lo abbia chiesto, significa che la mia cazzata di questa mattina non l'ha minimamente influenzata, inoltre posso passare dell'altro tempo in sua compagnia.

Mi butto sul divano e, dopo aver scelto il film per entrambi, lei siede accanto a me. Mano a mano che il film prosegue, continua a cambiare posizione, tira su le gambe, le incrocia, poi le distende di lato, finché a un certo punto non la sento più muoversi. Mi giro verso di lei e la ritrovo addormentata con la bocca aperta e una guancia sul suo braccio, appoggiato allo schienale.

Agisco d'istinto, le cingo le spalle con un braccio e l'avvicino a me. Lentamente, le faccio posare la testa sul mio petto e la circondo con le braccia. Lei si accoccola meglio senza mai aprire gli occhi, trovando la posizione ideale per entrambi.

Mi concentro sulla televisione, cercando di rimanere vigile. Se mi addormentassi anche io e avessi un incubo, potrei farle del male e questo non deve assolutamente succedere. Le palpebre però cominciano a farsi sempre più pesanti e il suo respiro tranquillo, rilassa anche me. Inesorabilmente scivolo nell'oscurità senza possibilità di ritorno.

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N/A

Buonasera, 

ecco a voi un'altro capitolo bello luuuuungo (scusate l'ora).

Volevo informarvi che sono alla ricerca di una Beta per cominciare a revisionare la storia, perché credo ci sia qualcosa che non va. Mi ritrovo un numero di stelline almeno la metà, della metà rispetto alle letture e questo mi fa pensare che ci sia qualcosa che non piaccia.-

Se qualcuno può assistermi in questa ricerca o segnalarmi i punti da migliorare ne sarei davvero grata! 

A presto.

Rey

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