43. Ciò che voglio non è ciò di cui ho bisogno.

Alex

Devo essere impazzito, non c'è altra spiegazione. Prima ho fatto gli auguri di buon compleanno a Davide poi, come se non bastasse, dopo che lui mi ha chiesto di andare alla sua festa di sfigati, io anziché rifiutare come avrebbe fatto una persona normale di mente, ho risposto che ci avrei pensato. Peccato che non ci sia niente da pensare, ho già fatto abbastanza cazzate per oggi e, fosse l'ultima cosa che faccio, io stasera con lui non ci esco.

Melissa rientra in casa nel tardo pomeriggio, mentre fingo di dormire sul divano. Non ho voglia di parlare con nessuno, tanto meno con lei.

«Mel.» La voce di Davide la chiama dalla sua camera.

«Si, Dade sono io.» Bisbiglia l'altra, preoccupata di non svegliarmi.

«Puoi venire un attimo, dovrei parlarti di una cosa.»

Nella mia testa scatta un campanello d'allarme, il tono di mio fratello è lo stesso di quando da bambino voleva nascondermi qualcosa. Nemmeno allora riusciva a farmela, figuriamoci adesso.

Aspetto che i passi di Melissa spariscano nel corridoio e che la porta della camera di Davide si richiuda nuovamente, prima di alzarmi dal divano. Cercando di fare meno rumore possibile, mi avvicino alla porta di mio fratello e resto in ascolto.

«C'è qualche problema?» La voce di lei è preoccupata.

«Nessun problema, volevo solo avvisarti che domani avremo degli ospiti a pranzo.» Spiega lui.

Lei non risponde, ma immagino la sua espressione incuriosita per capire di chi si tratti.

«Lo so che questa mattina sei stata tutto il tempo dietro ai fornelli per preparare i miei piatti preferiti e che ne avremo sicuramente per il prossimo mese, ma per domani mi piacerebbe cucinassi qualcosa che appartenga alla tradizione partenopea.» Continua lui.

Mio fratello non ha alcuna vergogna: con che coraggio fa una richiesta simile a Melissa, non vede quanto è stanca? Non le può lasciare un po' di tregua e portare i suoi misteriosi ospiti al ristorante?

«Sai ho parlato molto di te a loro e sanno che sei un'ottima cuoca, quindi sono curiosi di sapere se è vero o meno. Inoltre vogliono conoscere la ragazza con cui vivo. Lo farai?» Aggiunge, terminando con il suo solito tono da cane bastonato.

Melissa esita qualche istante, non la sento emettere alcun suono eppure ho l'impressione che non voglia accettare la richiesta assurda di mio fratello.

«D'accordo.» Risponde dopo un po' e ho la certezza che abbia acconsentito solo perché si sente in dovere di farlo.

«Grazie Mel, ne saranno felicissimi!»

«Posso sapere chi sono?» Domanda lei.

Già Davide, perché non ci dici chi sono?

«Sono i miei genitori.»

Cosa? No!

«I tuoi genitori?»

«Si, sono in zona e vogliono passare a farmi gli auguri per il compleanno di persona.»

La rabbia comincia a montarmi da dentro fino ad arrivare alle punte delle dita. No, loro qui non li voglio.

«Alex lo sa?» Domanda lei titubante.

Mio fratello non risponde, ma posso immaginarlo scuotere la testa.

Questo è troppo! Io stamattina sono stato gentile con lui facendogli gli auguri e lui mi ripaga nascondendomi che domani ci saranno i nostri genitori qui? Sa perfettamente che non voglio più avere niente a che fare con loro: quando mi hanno cacciato di casa ero stato chiaro urlandogli contro che non mi avrebbero più rivisto, eppure domani si presenteranno qui.

«Forse è il caso che lo sappia.» La voce di Melissa è un sussurro, ma non ho intenzione di ascoltare oltre.

Spalanco la porta e varco la soglia in poche falcate. Entrambi si voltano di scatto guardandomi sorpresi. Incateno i miei occhi a quelli di mio fratello e lo vedo fremere nel sentirsi colto in flagrante. Cerca di blaterare qualcosa, ma non gliene do il tempo.

«Sei sempre stato uno stronzo!» Esordisco riversando la mia ira contro di lui.

Lui deglutisce rumorosamente prima di cercare conforto nello sguardo di Melissa, quest'ultima però è concentrata su di me passandosi le mani fra i capelli scoraggiata: tutta la sua fatica di farci riappacificare è andata in fumo in pochi attimi.

«Sono anche i tuoi genitori, vogliono vedere come stai!» Si giustifica, alzandosi per venirmi incontro.

«Stavo bene senza di loro.» Sputo acido.

«Sei il solito egoista, Alex! Loro ti hanno sempre aiutato e questo è il tuo ringraziamento?» Accusa mio fratello.

Non riesco più a trattenermi, in men che non si dica gli sono addosso e con una spinta lo faccio cadere all'indietro, peccato che ci sia il materasso a fermare il suo incontro con il pavimento.

«Loro cosa?» Urlo contro di lui.

Loro non c'erano mai. Troppo impegnati con il lavoro, il golf, il club, ecc... Sono quel genere di persone che quando hanno un problema lo ignorano sperando che sparisca e se questo non accade pagano fior fior di quattrini qualcuno perché se ne occupi. Non posso credere che mio fratello non se ne renda conto. Probabilmente con lui si sono sempre comportati diversamente essendo il ragazzo perfetto, con la vita perfetta, i voti perfetti. Nessuna complicazione lo ha mai disturbato finora, vuole pure seguire le orme di nostro padre, il figlio che tutti vorrebbero insomma.

«Non essere ingrato. Hanno cercato di darti tutto ciò che volevi e tu non hai mai apprezzato, né i miei né i loro sforzi.» Davide non demorde e torna alla carica.

Improvvisamente mi calmo. Prendermela con lui non servirà a niente, ormai il danno è fatto. Non mi ha mai capito e non lo farà di certo oggi. Scuoto la testa rassegnato, l'unica cosa di cui avevo bisogno nessuno è mai stato in grado di comprenderla, forse nemmeno io.

Giro i tacchi e accenno ad andarmene, ma Davide mi blocca per un braccio. Me lo scrollo di dosso bruscamente sperando inutilmente che demorda.

«Non scappare sempre, resta qui. Pranzeremo come una vera famiglia.» Mi supplica lui.

«Puoi scordartelo.» Ribatto.

Gli riservo un sorriso di scherno ed evito di guardare Melissa negli occhi per timore di scorgere la sua delusione. Torno sui miei passi e mi avvio verso la porta d'ingresso. L'ultima cosa che sento prima di sbattermi l'uscio alle spalle è la voce stridula di quello stronzo di mio fratello.

Salto gli scalini due alla volta e in pochi istanti sono all'esterno dell'edificio. Il mio unico pensiero è quello di rintanarmi nel solito bar e rimanerci finché non avrò la certezza che tra me e i miei genitori non siano tornati chilometri a separarci. Mentre proseguo a passo spedito sento una presenza affannata alla mie spalle, non ho nemmeno bisogno di girarmi per capire di chi si tratti. Questa storia che io me ne esco di casa per starmene per i fatti miei e lei mi deve sempre correre dietro deve finire.

«Alex, fermati!»

Melissa riesce a raggiungermi, vorrei accelerare, ma dopo la corsa stremante di questa mattina il mio ginocchio reclama solo riposo.

«Dai Alex, non esagerare come al solito, non è successo niente!» Aggiunge.

Mi blocco talmente di scatto che lei, per imitarmi, rischia di inciampare sui suoi stessi piedi.

«Io ti ho ascoltato stamattina e lui cosa fa? Mi pugnala alle spalle!» Sbotto riversando la mia rabbia su di lei, anche se non sembra esserne intimidita.

«Te lo avrebbe detto!» Cerca di difenderlo, ma si guadagna solo un'occhiataccia da parte mia. «Ok, avrei fatto in modo te lo dicesse.» Si corregge.

«Non importa.» Scuoto la testa. «Non cambia il fatto che non voglio vederli, quindi fammi sapere quando se ne andranno così posso tornare a casa.» Concludo ricominciando a camminare.

«No!» Esclama contrariata, tornando a rincorrermi.

«Si, invece e tu smettila di impicciarti negli affari che non ti riguardano.» Borbotto infastidito.

Lei sembra pronta a controbattere, ma una bambina in lacrime ci si para davanti bloccandoci la strada.

«Signori, aiutatemi!» Piagnucola.

Le lancio un'occhiata in tralice per intimidirla a spostarsi, sono già abbastanza infastidito di mio, non ho bisogno di una mocciosa, che avrà si o no dodici anni, che si rivolge a me dandomi del "Signore".

«Cosa è successo, piccola?»

Melissa si mette tra il mio sguardo assassino e la bambina chinandosi verso di lei e parlandole dolcemente. La mocciosa tira su con il naso e indica un albero dall'altra parte della strada.

«Il mio gattino stava inseguendo un insetto ed è salito su un ramo, ma ora non riesce più a scendere.» Spiega disperata.

Borbotto la mia disapprovazione. Stupida bambina, non ti hanno insegnato che non si parla con gli sconosciuti? Soprattutto per uno stupido micio fifone?

«Ti aiuteremo noi, non preoccuparti.» Asserisce Melissa rassicurante.

Perché parla al plurale? Non ho intenzione di perdere tempo con queste stronzate.

«Tu fai pure la buona Samaritana, io ho da fare.» Esclamo senza ammettere repliche.

Il mio tono non deve essere chiaro però alle due ragazze, perché Melissa mi afferra per un braccio e mi trascina dall'altra parte della strada inseguendo la bimba.

«Sei forse sorda?» Domando irritato.

Mi darà mai retta, prima o poi, questa ragazza cocciuta?

«Non fare l'antipatico!» Mi rimprovera.

Raggiungiamo l'arbusto e la mocciosa ci indica il punto in cui si trova la sua bestiolina, anche se non è necessario visto il miagolare incessante che emette. Il gattino rosso ci fissa impaurito qualche ramo più in su, con le unghie ben piantate nel legno.

«Adesso ci penso io.» Esclama la ragazza, lasciando finalmente libero il mio braccio.

Sono pronto ad andarmene, ma la curiosità di osservare quello che vuole fare mi fa restare con i piedi ben piantati sul posto. Si avvicina al tronco e, dopo aver ragionato sul da farsi, comincia ad arrampicarsi. Non fa nemmeno in tempo a raggiungere il secondo ramo, che subito ricade pesantemente con i piedi per terra. Ci prova, ancora e ancora, ma il risultato non rimane invariato, solo il suo viso cambia diventando paonazzo per lo sforzo.

«Lascia, faccio io.» Intervengo esasperato.

La sposto malamente prima che si faccia del male e comincio ad arrampicarmi sulla pianta usando la sua ramificazione e i solchi naturali come punti di appoggio. In poco tempo raggiungo il gatto e mi allungo sul ramo sul quale è ancorato.

«Forza micio mao, avvicinati.» Lo incito sottovoce, ma lui non fa altro che guardare a terra e miagolare impazzito. «Stupido animale.» Borbotto incrociando le gambe al ceppo e avvicinandomi sempre di più.

Con la punta delle dita gli sfioro la coda e con un ultimo sforzo riesco ad afferrarla e a tirarlo verso di me. Pessima idea. L'animale, spaventato lascia la presa dal legno e si aggrappa al mio braccio conficcandomi le unghie nella pelle.

Istintivamente cerco di allontanarlo con l'altra mano, ma questo mi fa lasciare la presa e i miei movimenti bruschi, per allontanare la bestiola, mi fanno perdere l'equilibrio.

Non faccio in tempo a capire come impedirlo, ma mi rigiro sulla schiena, le gambe cedono sotto il mio peso e precipito verso il basso. Il vuoto, un tonfo e poi il buio.


N/A

Lo so, sono in ritardissimo, ma le giornate di 24 ore sono troppo corte XD

A parte ciò, fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo!

A prestissimo.

Bye, Rey <3

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