41. Ogni riccio un capriccio
Alex
«Perché mi fai pena.»
Sono queste le ultime parole che ho rivolto a Melissa prima di uscire di casa e che ancora mi tormentano. Mano a mano che ho percorso metri di corsa, la rabbia ha lasciato spazio a una sensazione spiacevole che non riesco a identificare. Sono convinto di aver fatto bene a dire quelle cose, eppure anziché sentirmi libero da un peso, mi sento sempre più oppresso.
Nonostante tentasse in tutti i modi di nasconderlo, i suoi occhi diventavano sempre più tristi a ogni mia parola, tuttavia non sono stato molto duro con lei, francamente avrei potuto fare anche di peggio, ma l'espressione del suo viso me lo ha impedito. Spero solo che ora lei sia arrabbiata con me, tanto quanto io lo sono con lei.
E' stata tutta colpa sua! Se lei non mi si fosse conficcata sotto la pelle per poi andarsene da un altro lasciandomi a terra con una ferita aperta, questo non sarebbe successo. L'immagine del suo bacio con quel pinguino mi tormenta ancora, ma la cosa che più mi fa infuriare è che, prima o poi, quello se la scopa e io non posso fare niente per impedirlo.
Deve starmi lontana, ha già fatto abbastanza danni. Inoltre in questo periodo dell'anno i miei incubi peggiorano sempre e non voglio che si ostini a svegliarmi. Potrei farle veramente male, come è accaduto nove anni fa a Davide, che stava tentando di fare la stessa cosa e si è ritrovato al pronto soccorso con un braccio fratturato.
La scelta migliore sarebbe quella di andarsene da qui, ma non ci riesco. Non so più dove rifugiarmi e in alcuni momenti sento di essere esattamente dove dovrei essere. Era da anni che non mi capitava di sentirmi così, come non mi capitava di affezionarmi a qualcuno. Mi ero ripromesso che non avrei più permesso accadesse, così da evitare di rovinare la vita a qualcun altro, ma come è risaputo non sono bravo a mantenere le promesse. Sono ancora in tempo per rimediare però, forse il tempismo di quel damerino potrebbe essere un bene e aiutarmi a non pensare più a Melissa una volta per tutte. Questo però significa che dovrò rassegnarmi all'idea di vederli insieme, senza riversare la mia frustrazione su di lei ogni volta che accade.
Posso farcela. Manterrò la calma e continuerò a vivere la mia vita. Cerco di riportare alla memoria gli esercizi di respirazione che mi aveva insegnato lo psicologo durante una delle svariate sedute seguite per il controllo della rabbia, ma poi ricordo che erano state completamente inutili, anzi non facevano altro che innervosirmi ancora di più.
Dopo quelle che mi sembrano ore interminabili, rientro zoppicando a casa. Sono giunto alla conclusione che la cosa migliore è quella di rimanere indifferente ad ogni cosa. Davide ancora non mi parla, ora anche Melissa non vorrà più rivolgermi la parola, così finalmente verrò lasciato in pace. Non potrei chiedere di meglio.
Appena apro la porta un profumo di cibo mi stuzzica le narici, il mio stomaco brontola, ricordandomi che la sera precedente non ho cenato. Lasciandomi guidare dall'odore, mi avvicino alla cucina, spiando al suo interno.
Melissa mi da le spalle, percorrendo la lunghezza della cucina da destra a sinistra, intenta a preparare qualcosa ai fornelli. Entro nella stanza, lei è talmente occupata da quello che sta facendo che non mi nota minimamente. La mia attenzione viene catturata da una torta posta al centro del tavolo di legno. Mi avvicino con il mio stomaco che ne reclama assolutamente una fetta: è completamente ricoperta di cioccolato e non riesco a resistente oltre. Allungo una mano per prenderne un pezzo, ma viene colpita da qualcosa e istintivamente la ritraggo voltandomi verso il mio assalitore.
«Non è per te!»
Melissa mi fissa con aria di rimprovero e un cucchiaio di legno in mano. Mi massaggio la mano dolorante, mentre mi fermo a osservarla. Il suo sguardo è deciso e non c'è traccia della tristezza di qualche ora fa, sembra solo più stanca del solito. Ha ancora i capelli lisci dalla sera precedente, legati in una coda alta, che non la fanno sembrare nemmeno lei.
«Sai che giorno è oggi?» Mi domanda seria.
«Il 6 aprile.» Rispondo secco.
Lei annuisce, in attesa di qualcosa che però non arriva. Cosa c'entra il 6 Aprile con la torta al cioccolato??? Forse...
«Oggi è il compleanno di Davide.» Sospira rassegnata dalla mia ignoranza.
«E allora?»
«E allora quella è per lui! Per pranzo ci saranno tutti i suoi piatti preferiti e questa è per dopo!» Spiega risoluta.
Non rispondo. Non credo che mio fratello meriti tutte queste attenzioni. Anche dai miei genitori ha sempre ricevuto lo stesso trattamento: a ogni traguardo veniva ricoperto di regali, pacche sulle spalle e complimenti. Diverso è stato il trattamento che hanno riservato a me.
«Comunque...» Riprende titubante. «Anche se ti tiene ancora il muso, potresti lo stesso fargli gli auguri. Faresti il primo passo verso di lui e magari la smetterete entrambi con questo mutismo!» Aggiunge.
La guardo stupito dalla sua uscita. Secondo lei dovrei prendere io l'iniziativa con mio fratello per sistemare le cose? Non se ne parla proprio, sarebbe come ammettere di avere torto o di aver sbagliato. E' lui quello che è talmente sfigato da non riuscire nemmeno a trovarsi una ragazza che ci stia e pur di non ammetterlo preferisce dare la colpa a me.
«Perché dovrei? Sto così bene senza sentire la sua fastidiosa voce.» Ammetto
Il mio stomaco brontola ancora facendo cadere la mia attenzione nuovamente sulla torta. Inoltre tutti i profumi di cibo che invadono la cucina non sono d'aiuto.
«Perchè è tuo fratello! Vivete sotto lo stesso tetto!» Esclama esasperata.
Faccio spallucce senza nemmeno guardarla, non mi sembra un'argomentazione valida.
«Alex.» Mi chiama e il tono sfinito della sua voce attira improvvisamente tutta la mia attenzione. «Te lo chiedo per favore. Non ti costa niente fargli gli auguri... ti prego... »
Rimango interdetto dallo sguardo di supplica che mi riserva. Vorrei dirle di no, ma non voglio che ci resti male ancora di più: penso di averla delusa abbastanza per oggi.
«Ci penserò.» Mi limito a rispondere senza sbilanciarmi.
Lei sembra soddisfatta delle mie parole e mi riserva uno sguardo complice.
«Vuoi una fetta di torta?» Domanda sorridendo furba.
Il mio stomaco risponde per me, facendola scoppiare a ridere. La sua solita risata cristallina e leggermente isterica che tanto mi piace.
«Quella non puoi toccarla però. Ne ho preparato una versione più piccola se vuoi.» Dice, dirigendosi verso il frigo e tirando fuori lo stesso dolce al cioccolato in miniatura. «Immaginavo saresti tornato affamato dalla corsa, così ho preparato questa per te.»
Appoggia il dessert sul tavolo e recupera una forchetta dalla cucina, mentre io resto immobile.
«Buon appetito.» Mi augura, tornando poi davanti ai fornelli.
Resto ancora immobile.
Questa proprio non me l'aspettavo: sono completamente spiazzato. E' la prima volta, da quando ne ho ricordi, che qualcuno fa qualcosa per me. Che sia anche una stupida torta!
Ritrovo il controllo di me e mi siedo lentamente davanti a quella dolcezza. Comincio a mangiarne boccone dopo boccone e ho l'impressione sia la torta più buona che abbia mai assaggiato, e non perché abbia qualche gusto particolare, ma per le sensazioni positive che provoca in me.
Fisso la ragazza davanti a me, la sua coda di cavallo che ondeggia a ogni suo movimento. Cosa diavolo mi fai Melissa Russo?
«Melissa.» La chiamo e lei si volta appena. «Ti preferisco con i capelli ricci.»
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