32. Carpediem
*Melissa*
Quando rientro nel locale, la differenza di temperatura mi stordisce per qualche secondo. Una volta ripresa, mi dirigo con passo svelto verso Davide. Come descritto da Alex, ritrovo il fratello sdraiato in modo scomposto sul divano, completamente solo.
«Dade?» Lo chiamo una volta che gli sono vicino. Non dando nessun segno di vita, lo scuoto leggermente ed in risposta lui mugugna qualcosa di incomprensibile.
«Che succede?» La voce preoccupata di Keiko sopraggiunge da dietro le mie spalle.
«Aiutami, lo portiamo a casa.» Istruisco facendole segno di avvicinarsi.
Lei ubbidisce senza aggiungere una parola. In maniera un po' goffa, riusciamo a rimetterlo in piedi posizionandoci ai lati del ragazzo e facendo leva mettendo le sue braccia intorno alle nostre spalle. A causa della differenza di statura, barcolliamo leggermente, inoltre Davide sembra non voler contribuire e continua a farfugliare frasi sconnesse.
Con non poca fatica, riusciamo a raggiungere prima il guardaroba per recuperare i cappotti e poi l'uscita del locale. Una volta arrivate all'auto di Davide, mentre io sostengo il ragazzo, Keiko cerca nelle sue tasche le chiavi del mezzo e una volta trovate fa scattare la serratura.
«Dove andiamo?» Borbotta Davide, mentre lo riponiamo con poca delicatezza disteso nei sedili posteriori.
«A casa Spugna.» Lo schernisce Keiko infastidita.
Non piace nemmeno a lei vedere Davide in queste condizioni, non è da lui.
«Non voglio andare a casa.» Si lui lamenta biascicando le parole, cerca anche di tirarsi su a sedere, ma la mia amica con uno spintone lo fa tornare nella posizione di prima.
«Non ti muovere.» Lo minaccia.
«Non sono io che mi muovo è tutto il resto che non vuole stare fermo.» Brontola Davide guardandosi intorno sconvolto.
«Andiamocene.» Ordina Keiko richiudendo la portiera con forza. «Che idiota!» Aggiunge tra sé e sé irritata.
«Aspetta.» La blocco. «Siamo riuscite a malapena a portarlo fin qui, come faremo a trascinarlo su per tre piani di scale?» Concludo fissandola.
Lei mi fissa di rimando riflettendo sulla veridicità delle mie parole.
«Vado a chiamare Alex, lui ci potrà aiutare.» Propongo e senza aspettare una sua risposta giro i tacchi e torno verso l'entrata.
In realtà il principale motivo per cui voglio che venga con noi a casa è che ho lo strano presentimento che abbia in mente qualcosa di brutto. Le sue risposte evasive e la sua reazione al racconto del mio bacio con Sam mi hanno lasciato molto perplessa. Per quanto cercasse di rimanere impassibile, i suoi occhi si sono fatti più scuri mano a mano che parlavo e non mi è nemmeno sfuggito il tremore alle mani. Anche se il suo viso era freddo e distaccato, tutto il resto mi dava l'idea che fosse arrabbiato. Mi sento rincuorata all'idea che non sia insensibile come credevo, sotto sotto forse anche lui ha un cuore e si affeziona a chi gli sta intorno.
La mia tesi ha avuto ulteriore conferma quando mi ha detto di prendere Davide e di andarmene. Tra le righe, ho capito che voleva che portassi suo fratello a casa sano e salvo e che io evitassi di avere ancora a che fare con Samuele. Alex non è così male come vuol far credere alla gente. Ho come l'impressione che, per qualche ignoto motivo, voglia tenere tutti lontano da lui rendendosi di proposito insopportabile. Ma finora non aveva ancora avuto a che fare con la sottoscritta, che di secondo nome fa "insistenza". Spero solo che, la faccenda che ha detto di voler sbrigare prima di tornare a casa, non sia quella di prendere a pugni Samuele che, per quanto mi piacerebbe avvenisse, non risolverebbe proprio nulla; inoltre so difendermi tranquillamente da sola, non ho bisogno di lui che si improvvisa cavaliere senza macchia e senza paura.
Arrivo all'entrata e comincio a discutere con il bodyguard all'ingresso per fargli capire di essere appena uscita e di dover rientrare solo per chiamare una persona. Fortunatamente il suo collega mi riconosce come l'amica di Ricky e finalmente mi fanno passare. Una volta dentro mi dirigo velocemente verso l'area fumatori, sperando di trovare Alex ancora lì, ma una mano mi afferra per il polso bloccandomi.
«Melissa.»
Sam con uno strattone mi obbliga a girarmi per guardarlo in faccia. Il segno delle mie cinque dita sono ancora visibili sulla sua guancia.
«Lasciami.» Mi libero dalla sua presa e mi massaggio il polso indolenzito.
«Mel, scusami per prima, non so cosa mi è preso...» Farfuglia facendo un passo verso di me, ma io d'istinto indietreggio.
«Mi sembrava di essere stata chiara. Non voglio avere più niente a che fare con te!» Sputo acida.
Il ricordo della sensazione di impotenza mi invade facendomi fare altri passi indietro.
«Ti prego, almeno ascoltami.» Insiste lui raggiungendomi in una falcata. Cerca di posarmi le mani sulle spalle, ma io riesco a spostarmi appena in tempo.
«Non toccarmi!» Ringhio isterica.
«Non fare l'esagerata, non è successo niente di che.» Minimizza facendo un sorriso sbilenco. Io resto seria e le sue labbra tornano a formare una linea dritta. «Davvero Mel, stai esagerando.» Aggiunge leggermente offeso.
«Ascoltami bene Sam, forse starò pure esagerando come dici tu, ma non voglio più che ti avvicini a me. Lasciami stare una volta per tutte.» Ribatto risoluta.
Mi volto di scatto e sono pronta ad allontanarmi, ma la sua mano mi afferra un braccio e mi trattiene sul posto.
«Lasciami!» Mi divincolo ancora, ma la sua presa è salda e mi fissa con irritazione crescente.
«Mi pare che la signorina non sia d'accordo. Perché insiste giovanotto?»
Una voce risoluta e completamente sconosciuta arriva dalle nostre spalle. Approfitto della titubanza di Samuele per scappare dalle sue grinfie e mettere tra di noi una distanza di sicurezza. Indirizzo il mio sguardo verso la persona da cui proviene quella voce e ci metto un attimo a capire di chi si tratti.
L'uomo che aveva offerto da bere a me e Keiko poco prima, ora sta fissando Samuele con uno sguardo per niente amichevole. Con eleganza ed una mano infilata nella tasca dei pantaloni perfettamente bianchi, aggira il ragazzo e si affianca a me. I miei occhi non riescono a staccarsi dalla sua figura slanciata e quando è abbastanza vicino il suo profumo di dopobarba mi inebria. Il suo portamento esprime una risolutezza che mai avevo visto in nessun ragazzo di mia conoscenza, probabilmente è anche frutto dell'esperienza, dato che ad occhio e croce credo abbia una decina d'anni più di me.
«Perché non si fa gli affari suoi giovanotto?» Ribatte Samuele scimmiottandolo sull'ultima parola.
Lo sconosciuto si lascia scappare una risata senza divertimento.
«Ho notato la sua insistenza con la signorina, credo che se chiamassi un addetto alla sicurezza sarebbe ben felice di accompagnarla all'uscita. Dubito poi che la prossima volta la farebbero rientrare.» Spiega l'uomo.
Anche se le sue parole sono educate, il tono della voce nasconde ben altro. Sam fa vagare lo sguardo da me allo sconosciuto e viceversa così, per fargli capire da che parte sto, faccio un passo laterale verso l'uomo accanto a me.
Il ragazzo ci lancia un'ultima occhiataccia ricca di risentimento, poi, senza aggiungere altro, gira i tacchi e si allontana tra la folla. Resto qualche istante ad osservare le sue spalle che spariscono e finalmente tiro un sospiro di sollievo.
«Tutto bene?» Mi domanda l'uomo rivolgendo i suoi occhi scuri e profondi verso i miei. Annuisco imbarazzata in cerca delle parole giuste per ringraziarlo, ma quanto mi sorride, mostrando una serie di denti bianchi e perfetti, rimango abbagliata.
«Se permette non dovrebbe frequentare quel genere di ragazzi.» Mi rimprovera dolcemente.
Hai ragione dovrei frequentare quelli come te.
«Ad ogni modo, mi presento: mi chiamo Elia.» Mi porge la mano con fare affabile.
Ci metto qualche secondo di troppo a rimettere in funzione il cervello. Gli stringo la mano sforzandomi di dire presentarmi a mia volta.
Elia, che bel nome, gli calza a pennello.
«Elia.» Farfuglio incantata.
Lui aggrotta la fronte e mi guarda perplesso.
«Melissa! Mi chiamo Melissa!» Aggiungo velocemente e gli stringo la mano con troppo entusiasmo.
Un piccolo sorriso si fa strada sulle sue labbra perfette e mi rendo conto di essere arrossita fino alla punta dei capelli.
«Melissa è un bellissimo nome.» Si complimenta lui con garbo.
«Anche tu sei bellissimo.» Ribatto istintivamente. «Cioè anche Elia è un bel nome.» Mi correggo, ma ormai la frittata è fatta.
Lui mi sorride divertito e non sembra fare caso alla mio corpo che sta andando in autocombustione. Mi fisso la punta delle scarpe e cerco di ritrovare la concentrazione per fare conversazione senza incappare in altre figuracce.
«Elia, non so davvero come ringraziarti per quello che hai fatto.» Riesco finalmente a dire una frase sensata.
Rimango con la testa leggermente china, ma alzo lo sguardo verso di lui.
«Dovere.» Risponde con semplicità.
«Davvero, voglio sdebitarmi.» Insisto convinta.
Più che sdebitarmi, in realtà voglio prolungare la nostra conversazione. Non posso farmi sfuggire questa occasione.
«Non c'è bisogno davvero, non si preoccupi.» Continua lui rispettoso.
Sto per ribattere, tenendo a mente di dargli anche io del "Lei", ma il suono del mio cellulare mi interrompe. Controllo l'apparecchio e vedo una sfilza di messaggi di Keiko che mi ordina di tornare all'auto prima che Davide sporchi tutti i sedili con la cena di questa sera.
«La lascio ai suoi impegni.» Si congeda con un sorriso Elia, notando il mio sguardo preoccupato. Fa un piccolo inchino e si gira per andarsene.
«Aspetta!» Quasi urlo e lui si gira di nuovo verso di me.
Forza Melissa, pensa... pensa a qualcosa! Non puoi lasciarlo andare via così! Ricorda: Carpediem!
«Conosci l'Hooney Bar in Via Manzoni?» Improvviso lasciandolo perplesso.
Annuisce titubante.
«Io lavoro lì. Passi uno di questi giorni dalle due alle sette, Le offro qualcosa per ringraziarLa.» Concludo speranzosa.
Lui mi fissa senza fiatare, riflettendo per qualche minuto. Fa scorrere lo sguardo lungo tutto il mio corpo e mi sento come sotto esame. Quando credo che stia per rifiutare, sfodero la mia espressione supplicante.
«La prego, lasci che mi sdebiti.» Dico mesta sbattendo più volte le ciglia.
Lui in risposta sorride scuotendo la testa divertito.
«Ci penserò, Melissa.» Il modo in cui la sua lingua accarezza il mio nome mi provoca una serie di brividi lungo la schiena.
Mi regala un ultimo sorriso prima di allontanarsi definitivamente con passo sicuro. Rimango imbambolata anche dopo che è sparito dalla mia vista ed il suo profumo è ormai un ricordo lontano. Il telefono squilla di nuovo facendomi sobbalzare e mi fa tornare in mente il motivo per cui sono rientrata. Devo muovermi.
Avanzo cercando tra la folla Alex, da lontano scorgo il gruppo dei nostri amici seduti al tavolo che ci ha riservato Riccardo. Tra loro, come immaginavo, lui non c'è, valuto se informare gli altri della nostra dipartita, ma quando inquadro Samuele decido di lasciar perdere e di avvisarli successivamente tramite messaggio.
Faccio vagare lo sguardo tutto intorno a me e finalmente, vicino al bancone delle bibite, vedo il ragazzo moro dagli occhi smeraldini. Sta sorseggiando una birra e guarda fisso un punto davanti a sé. Seguo il suo sguardo e finalmente capisco di quale "cosa" si doveva occupare prima di tornare a casa.
Che illusa sono stata a credere che volesse difendere il mio "onore" con Samuele. Evidentemente l'ho sopravvalutato. Giro i tacchi e, con passo spedito, mi inoltro nella folla senza voltarmi a guardare indietro.
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