28. Vale la pena di porre una domanda, ma non sempre di dare la risposta

*Melissa*

Ho notato subito che c'era qualcosa che non andava in Alex e non me la sono sentita di lasciarlo da solo; così ho comunicato a Davide che oggi non sarei andata a lezione. Stranamente non mi ha fatto molte domande sul perché di questa mia decisione, ma ultimamente l'ho visto un po' perso. So che sta avendo dei problemi con Ashley, che tra l'altro ieri non si è nemmeno presentata all'aperitivo, solo che non ho ancora capito di che genere siano.

Non appena il mio coinquilino esce di casa mi avvicino ad Alex che dorme profondamente sul divano. Mi accorgo che sta tremando, così lo copro con una trapunta, nonostante in casa la temperatura sia ideale. Istintivamente gli sfioro la fronte con la mano, ma essendo le mie mani gelide, sento la sua pelle bollente.

«Cosa stai facendo?» Farfuglia tra un tremore e l'altro tenendo gli occhi chiusi. Incredibile: per svegliarlo normalmente devo faticare all'inverosimile, ora che voglio lasciarlo dormire si desta all'istante. «Shhhh.» Lo zittisco e poggio delicatamente le labbra sulla sua fronte. Si irrigidisce, ma resta immobile e mi permette di appurare che effettivamente scotta. «Credo tu abbia la febbre.» Sancisco, ma Alex è già tornato nel mondo dei sogni.

Sono indecisa se svegliarlo nuovamente per dargli del paracetamolo, oppure lasciarlo riposare. Decido che sarà il termometro a stabilire il da farsi, così lo recupero dal mobiletto in cui teniamo tutti i medicinali e, non con poca fatica, riesco a posizionarlo vicino all'ascella, attendendo poi che faccia il suo dovere. Quando l'apparecchio suona Alex apre nuovamente gli occhi.

«Cosa stai facendo?» Domanda nuovamente, stavolta con più decisione. «Ti misuro la febbre.» Mi giustifico.

«Non dovresti essere a lezione.» Dice ancora, ma più che una domanda sembra un rimprovero.

«Volevo prima vedere come stai.»

«Sto bene, vattene.» Richiude le palpebre e io ne approfitto per riprendere il termometro.

Il display indica la cifra "39.5", convincendomi definitivamente che sia meglio dargli qualcosa per fargli abbassare la temperatura. Vado in cucina e riempio un bicchiere d'acqua, poi torno in sala e recupero dal mobiletto infermeria un pastiglia.

«Forza sveglia!» Lo incito una volta tornata davanti a lui. Ovviamente ora che mi serve, lui non mi sente. Appoggio tutto sul tavolino e lo afferro per le spalle, con un sforzo sovrumano tento di metterlo seduto. I miei buoni propositi falliscono miseramente, ma fortunatamente si ridesta e mi asseconda mettendosi nella posizione desiderata.

«Si può sapere cosa stai facendo?» Sta diventando monotono, ma finché ha gli occhi aperti mi conviene approfittarne. Gli metto in una mano il bicchiere e la pastiglia nell'altra, il tutto senza dargli nemmeno il tempo di controbattere.

«Bevi.» Ordino ferma. Lui mi fissa per qualche istante, faccio lo stesso con i sui suoi occhi lucidi. Poi sospira e, con un gesto fluido, prima mette la medicina in bocca e poi ingoia aiutandosi con l'acqua.

Bravo bambino. Sorrido soddisfatta e lui mi lancia un'occhiataccia, mentre mi restituisce il bicchiere ormai vuoto. Si toglie la felpa rimanendo solo con la t-shirt e con un gesto di stizza lancia lontano le scarpe.

«Ora te ne puoi andare.» Sancisce acido, mentre si rimette sotto le coperte. Dopo pochi istanti sento il suo respiro farsi più lento e profondo.

Vado in camera mia a recuperare il libro di economia insieme ad i miei appunti, poi torno in sala e mi accomodo sulla poltrona vicino al divano. Resto lì a lungo, studio ed ogni tanto osservo da sopra il libro Alex che dorme. Ad un certo punto comincia ad agitarsi nel sonno, segnale che ormai ho imparato a riconoscere: è giunta l'ora di svegliarsi. Appoggio il libro sul bracciolo e mi avvicino a lui.

«No... ti prego... non farlo...» Farfuglia. Resto impietrita dell'udire una tale disperazione nella sua voce. «E' colpa mia. E' colpa mia.» Continua e non posso tollerare oltre il suo dolore, così comincio a scuoterlo ed a chiamarlo. Spalanca gli occhi quasi subito e come sempre, dopo uno dei suoi incubi, la paura deturpa il suo volto.

«A-acqua.» Balbetta, guardando un punto indefinito alla mie spalle. Mi alzo e vado a prendergli una bottiglia d'acqua, non aspetta nemmeno che gliela versi nel bicchiere e se la scola direttamente a canna.

«Grazie...» Sussurra con il fiatone.

Aspetta un attimo. Alex mi ha appena ringraziato? Non è possibile, forse sto sognando.

Mi do un pizzicotto per verificare la realtà, ma ci metto troppa enfasi e mi faccio quasi male. Lui non nota niente, troppo perso nei suoi pensieri, devo distrarlo così smetterà di rimuginare sull'incubo appena avuto.

«Se per sentire un grazie da te devi avere la febbre quasi a quaranta, spero che ti ammalerai più spesso.» Esordisco stupidamente, ma basta ad attirare la sua attenzione.

«Sei ancora qui?» Domanda freddo.

«Ci vivo.» Ribatto con un'alzata di spalle. Prendo il termometro che ho tenuto sul tavolino e glielo porgo. Lui guarda me e poi l'apparecchio senza fiatare. Lo incito a prenderlo con espressione impaziente del viso e dopo un'imprecazione poco carina, lui ubbidisce. Bravo bambino.

Quando suona è lui stesso a controllare la temperatura.

«Trentasette.» Comunica impassibile e torna a stendersi chiudendo gli occhi.

Rimango immobile a fissarlo per qualche minuto. Ho una gran voglia di fargli delle domande. Vorrei sapere cosa sogna, chi supplica e soprattutto perché si sente in colpa. Mi piacerebbe conoscere anche da dove deriva la cicatrice che ha sul ginocchio destro e come mai, nonostante ogni volta torni zoppicando, lui vada comunque a correre. La curiosità mi sta consumando, ma se pongo anche solo uno di questi quesiti, oltre a non ottenere nessuna risposta, lo renderei indisponente, più di quanto non lo sia già.

«Smettila di guardarmi.» Ringhia a denti stretti. Mi desto dal mio stato di trance con un mezzo spavento e torno a sedermi sulla poltrona lentamente. Riapro il libro da dove lo avevo lasciato, ma non riesco a seguire niente: il mio sguardo ricade sempre sul ragazzo steso sul divano. Sbuffa sonoramente ed io fingo di tornare a concentrami sull'analisi di bilancio davanti a me.

«Perché non studi in camera tua?» Domanda indispettito.

«Perché sono più comoda qui.» Mento e lui riapre gli occhi esasperato.

«Sei una bugiarda.» Accusa mettendosi seduto e spostando la coperta da un lato. Probabilmente gli è venuto caldo, ottimo direi, significa che la febbre se ne sta andando. «Vuoi sapere qualcosa.» Conclude riducendo gli occhi a due fessure e scrutandomi indagatore.

«Può darsi...» Blatero fingendo indifferenza, ma dentro di me muoio dalla voglia di scoprire cosa nasconda.

«Va bene, allora facciamo così: io risponderò ad una tua domanda se prima tu risponderai ad una mia.» Propone. Rimango stupita dall'occasione ghiotta che mi sta offrendo. Richiudo il libro incredula e annuisco come un ebete.

«Bene, allora prima tocca a me.» Comincia, mentre nella mia testa cerco di selezionare la domanda più opportuna da fargli. Devo essere arguta e deciderne una sulla quale può darmi più informazioni possibili.

«Perché hai fatto pace con Frankeinstein ieri?» Chiede fissandomi con rimprovero.

Rimango basita, mai mi sarei aspettata una domanda del genere, insomma... è una vera e propria cagata. Meglio per me, così mi semplifica le cose.

«Abbiamo chiarito, mi ha chiesto scusa e mi ha spiegato la sua situazione. Tutto è sistemato, basta appuntamenti, l'ho convinto che stiamo meglio come amici.» Spiego velocemente. Lui mi fissa indecifrabile senza fiatare, nel mentre che un dubbio mi assale.

«Perché me lo hai chiesto?» Lo interrogo perplessa. Sul suo viso prende forma lentamente un sorriso derisorio.

«Perché vi ho visto parlottare ieri. Pensavo fossi più furba e avessi capito che dalle persone come lui è meglio stare alla larga. Credevo volessi chiudere definitivamente ogni tipo di rapporto per evitare altri problemi, invece, a quanto pare, ti piace farti prendere in giro dalle persone.» Risponde saccente. Vorrei controbattere le sue parole, ma sono troppo impegnata a pensare a quale domanda porgli, visto che ora tocca a me.

«E' inutile che ti sforzi tanto, la tua occasione l'hai avuto e non te ne sei nemmeno accorta.» Commenta acido tornando a stendersi. Spalanco gli occhi non capendo a cosa si riferisca, forse è solo un modo per distrarmi e non lasciare a me il turno di questo strano gioco che lui stesso ha proposto.

«Perché me lo hai chiesto?» Imita la mia voce con fare stridulo. «Era la tua domanda a cui ho risposto. Direi che siamo pari.» Conclude.

Merda. Sono una vera e propria idiota, mi sono fatta fregare da uno come lui.

«Non vale!» Protesto, ma non mi da retta. Chiude gli occhi e torna a riposare pacifico, è evidente che per lui la conversazione è chiusa. Stringo il libro che tengo ancora tra le mani e mi colpisco la fronte un paio di volte con la copertina. "Stupida, stupida, stupida!" Mi rimproverò mentalmente e lo sento sogghignare soddisfatto.

Me la pagherai Alex Dalmasso, troverò il modo di farti sputare il rospo.  

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