24. A tutta velocità sento meno lo shock
*Alex*
«Perché ti sei messa in mezzo?» Domando, cercando di mantenere il controllo. Avrei voluto prendere a pugni quella faccia da cazzo di Frankenstein, ma questa ragazzina impicciona si è messa a fare il mio avvocato difensore, senza che nessuno le chiedesse niente. «Non l'ho fatto per te, non preoccuparti.» Asserisce, incrociando le braccia al petto offesa. Digrigno i denti per non bestemmiarle in faccia. «Non dovevi prendere le mie parti, so difendermi da solo.» Dico squadrandola. Lei sbuffa sonoramente scuotendo la testa. «Certo, una rissa è un ottimo modo per risolvere le questioni.» Commenta sarcastica. Stavolta sono io a sbuffare, discutere con lei non serve a nulla, capisce sempre e solo quello che le fa più comodo. «Comunque prego, è questo che fanno gli amici...» Sussurra appena, ma faccio finta di non sentirla. "Amici", io non ho amici.
La supero dandole una spallata e mi avvicino al cassetto dove tengo i vestiti. «Piove fuori.» Mi comunica lei. «E allora?» «Ci bagneremo. Prendo dei...» Comincia, ma la interrompo voltandomi di scatto. «Non parlare al plurale. Io e te non siamo niente, ok?» Lei mi guarda incredula. «Per una volta tieni la tua invadenza per te e lasciami in pace.» Concludo. Melissa non dice niente, comincio a cambiarmi e sento i suoi passi che si allontanano in corridoio. Forse per una volta mi darà retta.
Mi cambio velocemente e sono già sulla porta quando sento nuovamente la sua voce dietro di me. «Mettiti questo.» Ordina. Mi giro per guardarla, si è cambiata e mi porge quello che credo sia uno spolverino, uguale a quello che indossa lei. «Lo vuoi capire che non voglio avere niente a che fare con te? Mi piace stare da solo e tu rovini tutto!» Ringhio furioso, ma dalla sua espressione serafica capisco di non aver avuto l'effetto desiderato. «E tu non hai ancora capito che non me ne frega niente di quello che dici? Io verrò con te, che tu lo voglia o no. Inoltre a nessuno piace stare solo.» Spiega con una semplicità disarmante.
Questo è troppo!
«A me sì!» Urlo, varcando la porta e richiudendola con un tonfo assordante. Faccio gli scalini due alla volta e, quando esco dal portone, la pioggia mi colpisce in pieno viso. Comincio a correre come se niente fosse, pozzanghera dopo pozzanghera. Accelero al massimo senza guardami indietro. Dopo pochi metri sono fradicio e le scarpe di tela sono completamente zuppe. Il dolore al ginocchio si fa sentire prima del previsto, non so se sia a causa del tempo o dello sforzo che sto facendo a correre in queste condizioni.
«ALEX!» Alle mie spalle la voce di Melissa arriva chiara alla mie orecchie. Possibile che quella ragazza sia così testarda? Cosa vuole da me? Mi raggiunge poco dopo con ancora lo spolverino tra le mani. Strano sia riuscita a prendermi, devo aver rallentato senza rendermene conto. «Sei... un... idiota...» Dice in affanno, ma rimane al mio fianco. Cerco di accelerare, ma le mie gambe sembrano non obbedire ai miei ordini come vorrei. Riesco miracolosamente a distanziarmi da lei, ma la fatica mi provoca delle fitte lancinanti al ginocchio. Stringo i denti e proseguo senza sosta. Melissa è ancora dietro di me, riesco a percepire la sua presenza anche senza voltarmi.
Invece di prendere la solita strada che porta al parco della salute, svolto e mi dirigo verso il canale, nella speranza di far perdere le mie tracce. Percorro il marciapiede lungo il corso d'acqua senza incontrare ostacoli, per fortuna non c'è nessuno in giro visto il tempo di merda.
Comincio ad inciampare sui miei stessi passi, segnale che il mio ginocchio non reggerà ancora per molto. Mi volto appena e, fortunatamente, della mia inseguitrice non c'è nessuna traccia. Nel fare questa semplice azione però, non riesco a coordinare bene i movimenti e per poco non finisco con la faccia contro l'asfalto. Mi aggrappo ad un lampione appena in tempo, le gambe ormai non mi sostengono più, così mi giro appoggiando la schiena al palo e scivolando lentamente a terra. Alzo la testa e chiudo gli occhi lasciando che la pioggia mi colpisca dritto in faccia, lavando via l'odio che provo.
Odio dover fermarmi e non poter continuare a correre come vorrei. Odio quella maledetta ed inutile operazione. Odio il fatto di essere qui, quando non me lo merito. Odio che lui...
«Lo ribadisco... Sei un idiota!» Melissa è di fronte a me. Piegata a metà con le mani sulle ginocchia, mentre annaspa in cerca di ossigeno. Mi sorprendo sempre di come, nonostante il fiatone, trovi sempre il modo di avere l'ossigeno per dire qualcosa.
Apro gli occhi e la guardo cercando di essere minaccioso. «Vattene.» Sputo acido. Lei in risposta alza le spalle menefreghista, come al solito. Noto il suo sguardo finire sulla cicatrice del mio ginocchio. Generalmente sono sempre attento che i pantaloncini siano abbastanza lunghi da coprirmela, ma in questa posizione il bordo deve essersi alzato troppo. Ho la sensazione di sentire nella sua testa, le mille domande che vorrebbe pormi, a cui non ho nessuna voglia di rispondere in questo momento. Apre la bocca per dire qualcosa... ecco che ora arriverà l'interrogatorio: tre, due, uno...
«So che ormai non servirà più a molto, ma tieni, mettiti questo.» Asserisce raddrizzandosi e porgendomi lo spolverino. «Almeno non ho fatto tutta questa fatica per niente.» Conclude con un'alzata di spalle. Guardo prima l'indumento e poi lei impassibile. La sua capacità di spiazzarmi è notevole, lo devo ammettere. Non rispondo nemmeno e lei sospira, ma ho l'impressione che si aspettasse questa reazione da parte mia. Si avvicina e, con un gesto veloce, mi infila il cappuccio dello spolverino in testa mentre il resto mi si accartoccia sulle spalle.
«Ma cosa?» Mi lamento, colto alla sprovvista staccandomi leggermente dal palo in appoggio alla mia schiena. Lei approfitta del mio gesto e tira i bordi dell'indumento finché non mi ricopre fino alla vita.
«Ecco fatto.» Esclama soddisfatta del suo operato. La fisso in cagnesco, mi ha preso per una bambola da vestire? «Oh, andiamo! Non fare quella faccia, è solo uno spolverino.» Mi riprende saccente. Adesso si mette pure a fare la maestrina come me?
Involontariamente rabbrividisco. Ora che sono fermo, sento il freddo scuotermi le ossa. «Dovresti andare a casa a cambiarti.» Asserisce lei ovvia e nei suoi occhi noto un velo di preoccupazione. «Ce la fai a camminare?» Aggiunge dubbiosa.
"No, non ce la faccio." Vorrei rispondergli sinceramente, ma il mio orgoglio me lo impedisce e tento faticosamente di alzarmi aiutandomi con il lampione. Cerco di spostare tutto il peso sulla gamba sinistra, ma barcollo pericolosamente. In pochi istanti, la ragazza è sul mio fianco destro, mi prende il braccio e se lo passa intorno alle spalle. «Andiamo.» Asserisce, ma punto i piedi a terra immobilizzandomi. Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno, quantomeno del suo. Un'altra folata d'aria mi colpisce e vengo scosso da un altro brivido.
«Forza muoviti.» Ordina lei e con il braccio sinistro mi cinge la vita costringendomi a spostarmi. Mi trascina lentamente, mentre ad ogni passo sono costretto a sorreggermi sempre più a lei per non cadere.
Rimaniamo in silenzio per metà del percorso verso casa, fortunatamente la pioggia ha smesso di cadere dandoci un po' di tregue e le prime luci dell'alba fanno capolino in un nuovo giorno. Nonostante l'atmosfera esprima solo che serenità, io mi sento nervoso. Vorrei che questo momento finisse il prima possibile, odio dover appoggiarmi a qualcun altro, sono abituato da sempre a contare solo sulle mie forze e aver bisogno degli altri mi irrita notevolmente. Senza contare il fatto che Melissa è stranamente silenziosa e questo mi infastidisce ancora di più.
«Non mi chiedi niente?» Domando cogliendola di sorpresa. Sobbalza come sempre e vacilliamo entrambi. «Cosa dovrei chiederti?» Ribatte, una volta che ha ritrovato l'equilibrio. «Il perché.» Rispondo e mi rendo conto che la mia spiegazione non è molto esaustiva, ma dovrà farsela bastare. «Se ti chiedessi il perché di ogni tuo strano comportamento a quest'ora sarei diventata pazza.» Ridacchia con leggerezza. Resto in attesa mi dica altro, ma sembra aver concluso. Bene, se lei non vuole chiedermi niente, vorrà dire che sarò io a farlo.
«Perché mi hai difeso con Frankenstein?» Sbotto, cercando di non far trapelare la mia curiosità. Lei alza le spalle e mi guarda con la coda dell'occhio. «Non aveva il diritto di dirti quelle cose.» Risponde con ovvietà. «Hai detto di non averlo fatto per me.» Rincaro, ricordando le sue parole. Annuisce e torna a concentrarsi sulla strada. «Perlopiù è così.» Dice. Che razza di risposta è? «Cosa vuol dire?» Chiedo seriamente perplesso. Lei ragiona un attimo sulle parole da usare, come se dovesse riflettere su come spiegare una cosa estremamente complicata. «Diciamo che l'ho fatto anche per me.» Conclude. «Volevi sbarazzarti di lui dopo una notte di sesso scadente?» Domando, facendola arrossire alla parola "sesso". «No... cosa dici! E comunque non è successo niente.» Farfuglia, girandosi dalla mia parte. La fisso scettico facendola imbarazzare ancora di più. «E' vero! Era ubriaco e si è addormentato sul letto di Davide, mentre io ho dormito nel mio letto.» Continua con voce stridula, ma non vedendomi ancora convinto, comincia a raccontarmi tutto da quando abbiamo lasciato il bar in poi. La scenetta dell'aver perso le chiavi di casa, solo per poter entrare sotto le lenzuola di una donna, è davvero ridicola. «Davvero gli hai creduto? Non hai pensato che la sua potesse essere solo una scusa per provare a scoparti?» Le chiedo, stupito da quanto possa essere ingenua questa ragazzina. «Certo che no! Non è quel tipo di persona.» «Ne sei sicura?» Lei annuisce convinta, eppure credo di notare una leggera esitazione. «Hai verificato? Hai provato a chiamare il suo coinquilino per sapere se era vero?» Aggiungo e lei scuote la testa. «Passiamo da casa loro. Scommetto che lo troviamo lì.» Propongo. Ho freddo e non mi reggo in piedi, ma la soddisfazione di mostrarle che quel ragazzo è un gran pezzo di merda, mi fa già sentire molto meglio. Lei sospira combattuta sul da farsi. «Facciamo una scommessa.» Cerco di convincerla. «Chi avrà ragione farà fare all'altro qualcosa.» Mi sento un po' stupido, ma voglio smerdare quell'idiota. Il suo sguardo cade titubante sulla cicatrice del ginocchio destro. «Ce la faccio.» Mi sorprendo a rispondere per rassicurarla. Non sembra convinta, ma alla fine annuisce e ci dirigiamo verso la casa di Frankenstein.
«Non ci credo che quello sfigato non ci abbia nemmeno provato ad infilarsi nel tuo letto.» Do voce ai miei pensieri. «Beh... anche se avesse voluto, avevo chiuso la porta a chiave.» Mi confessa colpevole. Quindi nemmeno lei si fidava di lui, strano da una sprovveduta come lei, forse qualcosa le ha fatto scattare qualche campanello d'allarme. «Ci ha provato, non è vero?» Chiedo, leggermente infastidito al pensiero. «Non proprio...» Farfuglia. «Voleva restassi con lui nel letto di Davide, mi ha tenuto lì per un po', ma alla fine si è addormentato.» Conclude, dando poco peso alla cosa.
Ecco un motivo in più per spaccare la faccia a quello sfigato dalla fronte spaziosa. Se c'è una cosa che non sopporto è quando un uomo deve ricorrere a trucchetti subdoli, od addirittura costringere una donna, per stare insieme a lui. Che razza di uomo è? Il solo pensiero che Melissa, la notte precedente, sia stata in casa da sola con un soggetto del genere, pure mezzo ubriaco, mi infastidisce notevolmente. Se almeno ci fossi stato io avrei potuto impedirgli di costringerla a fare qualsiasi cosa non le andasse di fare. Anche se si è trattato del semplice dormire insieme. E se avesse voluto di più, cosa avrebbe fatto?
«Comunque mi ha solo abbracciato. E' un bravo ragazzo, non farebbe mai nulla del genere.» Asserisce e deve aver notato che mi sono irrigidito. Cerco di tranquillizzarmi e decido di cambiare discorso.
«Prima hai detto che mi hai difeso contro di lui non tanto per me, ma anche per te. Era per questo? Perché avevi paura ti si potesse infilare in camera?» Chiedo, ma alla fine l'argomento di conversazione non è variato. «No, non è per quello. Cioè, ero un po' delusa dal suo comportamento. Insomma non si invita una ragazza a cena ed al cinema per poi ubriacarsi, far guidare lei e perdere le chiavi di casa. A quell'ora della notte chi altro poteva andare se non da me?» Divaga lei. «Non hai risposto alla mia domanda.» Preciso serio. Lei sospira e socchiude appena gli occhi senza staccarli dalla strada davanti a noi. «Non sopporto le ingiustizie e ho promesso a me stessa che ogni volta che me ne ritroverò una davanti devo fare qualcosa.» Confessa, tutto d'un fiato. Resto muto assimilando le sue parole, mentre nella mia testa si insinua una domanda. «Che ingiustizie hai subito?» Melissa spalanca gli occhi sorpresa dal mio quesito. Stavolta l'ho spiazzata io. «Non ho detto di aver subito ingiustizie, ho detto...» Cerca di giustificarsi, ma la interrompo. «Lo so cosa hai detto.»
Ci fermiamo e si volta verso di me per controllare che io sia serio. Sostengo il suo sguardo in attesa che prosegua. Di solito non mi interessa molto delle persone che mi stanno intorno, ma con lei è diverso, mi incuriosisce capire i motivi dei suoi comportamenti.
«Qualcuna da piccola, ma niente di che. Ormai è acqua passata.» Tronca il discorso velocemente e torna a guardare dritto davanti a se. «Siamo arrivati.» Annuncia e nella sua voce non è rimasta nemmeno una goccia dell'ilarità che la contraddistingue. Decido di lasciar perdere, infondo lei non ha fatto domande sulle mia cicatrice, almeno questo glielo devo.
«Vedi la sua auto?» Domando. Si guarda intorno e mi indica con un cenno della testa una macchina poco distante. «Quindi è qui. Vai a suonare al campanello.» Propongo mentre sento già il profumo della vittoria. Lei annuisce e mi accompagna ad una panchina a qualche passo dall'ingresso. Mi aiuta a sedermi e poi va verso il portoncino. Si gira un'ultima volta verso di me e con il mento la incoraggio a suonare il campanello. Sospira rassegnata e preme il pulsante. La voce metallica di Frankeinstein esce forte e chiara dall'apparecchio: «Chi è?». Bingo, la mia supposizione era esatta. Osservo la ragazza davanti al portoncino, anche se girata di spalle, so che è arrabbiata. Le mani lungo i fianchi sono chiuse a pugno e vibrano leggermente. «Sei un bugiardo, Sam!» Urla contro il citofono, prima di girarsi tutta impettita e raggiungermi con ampie falcate. «Hai vinto! Ora andiamocene!» Esclama furiosa. Ci rimettiamo nella stessa posizione di poco fa e riprendiamo a camminare, stavolta più spediti di prima. Sto per farle una battuta per prenderla in giro e chiederle di rallentare, ma quando mi giro verso di lei noto che i suoi occhi sono lucidi.
Decido di non dire niente, visto che le uniche parole che mi vengono in mente sono: "Te l'avevo detto" e non mi sembra il caso di infierire ulteriormente. Spero solo che gli serva da lezione e capisca che le persone non sempre sono come le si crede, a volte possono essere meschine. Dovrà imparare che non bisogna mai fidarsi completamente di nessuno, perché prima o poi, ti deluderà. E più ci terrai, più ti farai male.
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