17. Si vive d'istinti e d'istanti, non distinti e distanti
*Melissa*
Sono un'idiota. Ho voluto strafare e adesso non mi sento per niente bene. Stamattina la reazione di Alex al suo incubo, mi ha proprio spaventato. Se non mi fossi spostata in tempo quella lampada si sarebbe rotta sulla mia testa. Devo stare più attenta, la prossima volta che cercherò di svegliarlo userò il manico di una scopa così da tenermi a distanza di sicurezza.
Ovviamente Alex mi ha seminato quasi subito, nonostante mi sia impegnata al massimo, non riesco mai a tenere il suo ritmo. Fortunatamente lo vedo entrare nel portone del nostro appartamento. Meno male, non ce la facevo più. Ho l'impressione però che questa mattina lui mi abbia in qualche modo aspettato. Siamo andati, infatti, al parco del percorso della salute e ad ogni step lui si è fermato per fare gli esercizi previsti e fatalità il tempo che ci impiegava ero lo stesso di cui avevo bisogno per raggiungerlo e riprendere un minimo di fiato. Me lo conferma anche il fatto che non zoppica come sempre dopo la corsa. L'ho già notato altre volte, ma non ho ancora avuto modo di chiedergli spiegazioni considerando che non è un ragazzo particolarmente loquace.
Entro nel portone rallentando al primo scalino. Un senso di spossatezza mi assale e mi appoggio al muro con una mano per sostenermi. Ho il fiato corto, ma se mi fermo ho paura di non muovermi più. Lentamente, uno scalino alla volta, sempre sostenuta dal muro raggiungo il pianerottolo del secondo piano. Una rampa di scale più in alto, Alex mi attende sbuffando e lamentandosi della mia lentezza. Vorrei muovermi, ma le mie gambe non vogliono collaborare. Sento il mio corpo scosso da dei tremori che non controllo. Che mi sta succedendo? Faccio dei respiri profondi, mentre mi guardo i piedi. Non è stata un'ottima idea andare a correre avendo saltato colazione e la cena del giorno precedente.
«Ehi.» La voce di Alex mi fa perdere la concentrazione e barcollo leggermente. Lo sento percorrere le scale che ci sperano in pochi salti. «Tutto bene?» Domanda perplesso. Ora si trova affianco a me e posso sentire i suoi occhi che mi scrutano. «Si... ho, solo, bisogno, di un, minuto...» Farfuglio separando ogni parola con un respiro. Cerco di fare un passo avanti, ma le ginocchia mi cedono. Il mio compagno di corse mi afferra al volo. «Sei pallida.» Commenta e credo di sentire nel suo tono una punta di preoccupazione.
Allora, hai anche tu un cuore Alex Dalmasso. Prende un mio braccio e se lo passa intorno al collo. Mi trascina su per le scale, prende le chiavi dalla mia tasca dei pantaloni ed entriamo nell'interno sette.
Mi fa sedere sul divano e io mi lascio andare appoggiando la testa allo schienale e chiudendo gli occhi. Mi serve solo un minuto e sarò come nuova. «Tieni.» Ordina. Apro un occhio e me lo ritrovo davanti che mi porge un bicchiere. «E' acqua e zucchero.» Mi comunica. Afferro il bicchiere e lo bevo lentamente. «Pensavo volessi avvelenarmi per libertati di me.» Asserisco sarcastica. Lui però non sorride. E' immobile davanti a me, la mascella rigida ed uno sguardo che mi trapassa da una parte all'altra. «Sto bene davvero, non c'è bisogno che fai quella faccia.» Lo schernisco terminando l'acqua. Borbotta qualcosa di incomprensibile e si alza sparendo dietro la porta della cucina.
Meglio così, il suo sguardo truce non era per niente d'aiuto. Chiudo nuovamente entrambi gli occhi e mi concentro sul mio respiro. Mi sento meglio ora, non sono più scossa dai tremori ed ho smesso di sudare freddo.
«Ho preparato la colazione.» Arriva inaspettata la voce di Alex facendomi sobbalzare. Mi metto seduta dritta e riapro gli occhi. «Ok..» Farfuglio sorpresa dalla sua premura. Mi porge la mano e mi aiuta ad alzarmi. La sua presa è salda ed una volta tornata in piedi resto qualche istante in attesa che tutto intorno a me smetta di girare. La sua mano resta lì, nella mia.
Non appena muovo decisa i primi passi ritrae le dita per metterle in tasca e mi lascia passare per andare in cucina. Resta dietro di me e sento il suo sguardo attento sulle spalle. Fingo di barcollare, lo vedo fare un passo verso di me allarmato con le braccia allargate pronto ad afferrarmi. Ridacchio riprendendo l'equilibrio e lui capisce di essere stato preso in giro.
«Non è divertente.» Scandisce indispettito. «Che serioso che sei! Fattela una risata ogni tanto!» Lo schernisco sedendomi davanti al mio caffellatte. Lui, ancora imbronciato, prende posto davanti a me ed entrambi iniziamo a fare colazione.
«Sai.» Intervengo all'improvviso posando la tazza sul tavolo. «Questa colazione mi fa venire un po' nostalgia di casa... Solo a casa di mia nonna non ero io a preparare la colazione, ma lei.» Gli confido guardando l'interno della mia tazza ormai vuoto. Lui mi fissa da sopra la sua tazzina da caffè, rigorosamente amaro, ma non commenta. «Grazie.» Continuo e lui alza un sopracciglio interrogativo. «Per prima.» Preciso con un gesto della mano. Lui annuisce e torna a concentrarsi sul liquido nero. Fantastico, siamo tornati ad Alex il muto. «Oh, non c'è di che Melissa. E' questo che fanno i gentiluomini!» Scimmiotto la sua voce rispondendomi da sola.
«Mi vuoi spiegare che ti è preso?» Domanda lui senza guardarmi. «Sei già venuta a correre senza aver fatto colazione e non ti eri sentita male.» Dice e dalla sua voce sembra più un rimprovero. «E' che...» Comincio, ma mi sento stupida nel spiegare il motivo che presumo abbia causato quel mancamento momentaneo. «Allora?» Incita lui. Sospiro rassegnata, mi sento come una bambina che non ha fatto tutti i compiti assegnati. «Ieri sera, ti aspettavo per la cena sul divano.... Solo che poi mi sono addormentata.» Ammetto tutto d'un fiato. Lui riporta le sue iridi chiare su di me. «Perché?» Domanda senza far trapelare la sua curiosità. «Ero stanca, e sono crollata...» Rispondo, ma lui scuote la testa. «No, intendo perché mi stavi aspettando?» «Beh...» Farfuglio e sento le guance colorarsi. «E' così che si fa, no? O per lo meno è così che lo hanno insegnato a me. Non ci si mette a tavola finché tutta la famiglia non è presente.» Spiego giocando con una ciocca di capelli.
Alzo lo sguardo nel sentire Alex che tossisce preso alla sprovvista. Mi guarda sconvolto, come se avessi detto chissà quale blasfemia. «Non fissarmi in quel modo! Sei tu piuttosto che avresti dovuto avvertirmi che non cenavi a casa!» Lo accuso impettita incrociando le braccia al petto. «Perché?» Domanda quando si riprende. «Perché si fa così, è una questione di educazione tra coinquilini.» Sbuffo acida. Lui mi fissa aggrottando le sopracciglia, non sembra convinto della mia risposta. «E ti pregherei la prossima volta di farmelo sapere.» Rincaro la dose per chiudere il discorso.
Io sono seria e lui cosa fa? Sorride. Le sue labbra si incurvano verso l'alto formando delle piccole fossette ai lati delle guance. «Si, mammina.» scuote la testa divertito, guardandomi di soppiatto. Rimango imbambolata a fissare il suo volto divertito. Devo ammettere che non è così male questo usurpatore di divani, preso ovviamente quando è così ben disposto.
«Comunque sei stata una stupida.» Il suo momento di ilarità si conclude con questa frase. Meglio di niente. Alzo le spalle indifferente, solitamente non mi farei offendere da lui, ma dietro quel tono da duro ho percepito la sua inquietudine. Inoltre il suo sorriso mi ha messo di buonumore e non voglio rischiare di rovinare tutto. Mi alzo e sparecchio canticchiando. Guardo l'orologio e, constatando di essere in ritardo, mi fiondo in bagno. Nel giro di meno di un quarto d'ora sono pronta per andare a lezione. Recupero tutte le mie cose e mi avvio verso la porta d'ingresso.
«Non dovresti riposarti?» Mi domanda Alex ancora seduto al tavolo della cucina. «Perché?» Domando cercando qualcosa nella tracolla. Sento i suoi occhi ammonitori puntati su di me. «Oh, per stamattina. E' tutto a posto ora.» Ribatto alla sua precisazione inespressa. «Ti ricordo che stavi per spaccarti il naso sulle scale un'ora fa.» Mi biasima freddo. Possibile che diventi loquace quando meno serve? «Devo stare seduta in un aula. Mica fare la maratona di New York.» Sancisco prendendo le chiavi di casa dal mobiletto all'ingresso. «Vai in macchina.» Decido di pendere la sua esclamazione come una domanda. «Non ho la macchina. Vado a piedi, come tutte le mattina in cui Davide non c'è. Ora se non ti dispiace, sono già abbastanza in ritardo.» Asserisco ferma.
Lo vedo indugiare con lo sguardo sul mobiletto dove teniamo tutte le chiavi. Sono rimaste solo quelle dell'autorimessa e lui le fissa con un'espressione indecifrabile. «C'è la moto di mio padre in garage. Potresti prendere quella.» Propone impassibile. «Certo.» Rispondo in tono sarcastico. «Quella moto pesa più di me. Non voglio rischiare di morire solo per non fare quattro passi a piedi. E se anche sopravvivessi ci penserebbe tuo padre a farmi fuori poi.» Aggiungo.
Mi accorgo subito di aver detto qualcosa di sbagliato, perché Alex sposta immediatamente lo sguardo su di me e m fissa con due occhi verdi pieni di collera. «Fai un po' come ti pare.» Esclama furente. Poi si allontana ed entra in bagno sbattendo la porta con forza.
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