11. L'unica cosa che va secondo i piani è l'ascensore.

Melissa

Non posso che confermare il famoso detto "la notte porta consiglio", anche se devo ammettere che prima di avere l'illuminazione ho dovuto dar libero sfogo a tutte le mie lacrime, finché il senso di abbandono scatenato dalla partenza di Filippo, non si è affievolito. Oggi avrà inizio il mio grande piano: ho già avviato la prima parte, ma adesso arriva quella più difficile. Stamane Davide è partito presto per la sua breve vacanza a casa dei genitori, tuttavia prima di lasciarlo andare mi sono raccomandata che spegnesse il telefono o che, perlomeno, non rispondesse per nessun motivo al mondo alle chiamate di suo fratello. Sono più che sicura che questo accadrà e la difficoltà di Davide di non saper dire di no, potrebbe compromettere il mio operato. Spero solo di essere stata abbastanza convincente.

E' passata da poco l'ora di pranzo e, nonostante abbia fatto le pulizie di casa provocando più rumore possibile, il bel addormentato russa ancora beatamente sul divano. Sospiro, mentre assaporo il mio caffè e, come se mi avesse letto nel pensiero, Alex fa il suo ingresso in cucina attirato probabilmente dal profumo.

Diamo inizio ai giochi.

«Buongiorno!» Lo saluto pimpante, lui in risposta mugugna qualcosa di incomprensibile.

Si dirige verso la credenza, afferra una tazzina e la caffettiera rimasta sul fornello, versandosi la sua dose di caffè: peccato che non scenda niente. Fa un paio di tentativi e infine, non del tutto convinto, alza il coperchio per controllarne il contenuto.

E' vuota, piccolo genio.

Lo sento parlottare tra sé, immagino si tratti di qualche bestemmia, ma resto muta ad osservare la scena. Svita la caffettiera, sbuffando, comincia a rovistare nei mobiletti e nei casetti alla ricerca del macinato. Digrigna i denti e so che finalmente ha notato l'improvvisa mancanza di viveri in cucina: tutto ciò che non andava conservato in frigo, infatti, è stato nascosto in giro per la casa.

«Caffè.» Ringhia, voltandosi nella mia direzione, gli occhi ridotti a due fessure e la mascella contratta.

E' arrabbiato, molto bene.

«E' finito.» Rispondo noncurante con un'alzata di spalle.

Mi devo trattenere dal ridergli in faccia, quando mi rivolge uno sguardo sorpreso e so già cosa dirà ancora prima che lo pronunci.

«E vai a comprarlo, no?»

Ecco la domanda che mi aspettavo. Appoggio la tazzina sul piattino con estrema lentezza, facendo una pausa d'effetto.

«Perché?» Faccio l'innocente, guardandolo con finta curiosità.

Lo vedo aprire la bocca e richiuderla senza emettere nessun suono. Si guarda a destra e a sinistra e, quando i suoi occhi si posano sul frigorifero, sembra venirgli in mente qualcosa, così si avvicina per aprirlo.

«La birra.» Dice, mentre lo sento spostare quel poco che rimane della nostra spesa.

«Finita.» Azzardo, facendo roteare la tazzina con le dita.

Richiude il frigo sbattendo lo sportello e mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite. «E' inutile che fai quella faccia, nel giro di una settimana ti sei fatto fuori tutto. Birra, patatine, biscotti, ecc... Quello che vedi è ciò che rimane.» Aggiungo e non riesco a trattenermi dal fare un sorriso soddisfatto che, prontamente, camuffo con un colpo di tosse per tornare seria.

«Ascoltami bene, ragazzina.» Minaccia, riducendo drasticamente lo spazio fra noi con un'unica falcata.

Ora solo il tavolo ci divide. Sbatte i palmi su di esso ed avvicina il suo volto al mio.

«Ora tu alzi quel culo e vai a fare la spesa.» Conclude con tanto di occhiataccia.

Lascio passare qualche istante sostenendo il tuo sguardo truce.

«Altrimenti?» Lo schernisco e mi alzo dalla sedia, mettendomi nella sua stessa posizione.

Ora siamo alla pari, chi credi di spaventare?

Lo vedo farsi ancora più nero in volto, ma non ha idea di cosa ho in serbo per lui.

«Ti dico cosa farà il mio culo ora. Se ne andrà in camera e si metterà seduto sulla sedia davanti alla scrivania, così che io possa studiare. Se hai fame vai a farti la spesa da solo.» Ribatto, concentrandomi sulle sue iridi chiare.

«Dov'è Davide?» Mi domanda raddrizzandosi e togliendo le mani dal tavolo per stringerle a pugno lungo i fianchi.

«E' in vacanza. Te la dovrai cavare da solo.» Rispondo mettendomi dritta anche io e incrociando le braccia al petto.

«Ti hanno mai detto che sei una stronza?»

«Qualche volta.» Alzo le spalle per niente offesa.

Estrae il telefono dalla tasca dei pantaloni e lo porta all'orecchio. Rimango in attesa fissandolo e pregando mentalmente che almeno per questa volta Davide mi abbia dato ascolto. Quando parte la segreteria, gli rivolgo un sorriso beffardo.

Prendi e porta a casa.

«Ok.» Dice, rimettendo in tasca il telefono e facendo un sospiro frustrato.

Finalmente lo vedo in difficoltà, così decido di fare la mia uscita di scena. «Dove vai! Devi dirmi dove posso trovare i soldi per la spesa.» Mi urla dietro, sbattendo un pugno sul tavolo.

Mi fermo sulla porta e mi giro appena con la testa, quel tanto che basta per guardarlo con sufficienza.

«Trovati un lavoro. Vivi in questa casa e devi contribuire anche tu.» Sentenzio.

«Questa casa è dei miei genitori.»

«La casa, ma non quello che c'è all'interno del frigo.» Torno a dargli le spalle.

«E io cosa dovrei mangiare?»

Non vuole arrendersi il ragazzo.

«C'è dell'insalata.» Rispondo secca e mi avvio verso la mia camera.

«Le capre mangiano l'erba!» Ringhia dalla cucina, ma ormai sono giunta in camera e ho chiuso la porta.

Mi siedo alla mia scrivania e apro i libri, dopo nemmeno un minuto sento rumore di stoviglie che sbattono tra loro. Alzo gli occhi al cielo esasperata, sperando che più tardi non mi tocchi ripulire tutti i danni che procurerà. Ritorno a concentrarmi sullo studio, ma il suono del televisore a volume troppo alto mi fa sobbalzare. Se crede davvero di infastidirmi con così poco, non ha ancora capito con chi ha a che fare evidentemente. Apro il cassetto della scrivania e afferro i tappi per le orecchie che utilizzo nei casi di emergenza, li indosso e tutto intorno a me torna nella tranquillità più assoluta. Mi chino sulle pagine di economia e torno al mio lavoro.

Dopo un paio d'ore mi posso ritenere soddisfatta del mio operato, guardo il display del cellulare e scopro che è già l'ora di cena. Mi alzo, stiracchiandomi con poca grazia, esco dalla mia camera nello stesso momento in cui Alex esce dal bagno e per poco non ci scontriamo rovinosamente.

«Tu!» Mi punta il dito furioso.

Non rispondo subito, troppo distratta dalla visione che mi si para davanti. Il mio sguardo lo ispeziona salendo dai piedi fino ai suoi occhi pieni d'ira. Nonostante la posa minacciosa, non posso fare a meno di apprezzare il suo corpo avvolto solo da un asciugamano legato alla vita, deve aver messo su un po' di peso, visto che ora sembra più massiccio e, anche se non ha i muscoli pompati come quelli fissati con la palestra, posso comunque intravedere la loro forma sotto la pelle liscia. La corsa mattutina gli fa davvero bene. Anche il viso è meno scarno e gli è cresciuta un filo di barba che lo rende ancora più attraente.

«Io?» Balbetto per perdere tempo e incontro le sue iridi sempre più cupe.

«Dove sono i miei vestiti? Finiti anche quelli?»

Ha ancora i capelli scuri bagnati e qualche goccia cade sul viso, sulle spalle, sul petto... quanto vorrei essere quella goccia.

«Allora?» Mi riporta alla realtà e quasi mi spavento.

Ha ragione Keiko: ho bisogno urgentemente di un uomo, è troppo tempo che non esco con qualcuno di interessante.

«Sai, qui abbiamo una lavatrice.» La mia mente torna finalmente a funzionare in modo normale. «Quando si è coinquilini si dividono le spese della corrente e del detersivo. Entrambi servono per mettere in funzione una macchina utile a lavare i vestiti sporchi.» Spiego con ovvietà.

«Ho messo i miei vestiti sporchi insieme ai vostri nella cesta. I tuoi e quelli di mio fratello non ci sono più, i miei sì. Come lo spieghi questo?» Dice e sono impressionata che la nostra conversazione sia più lunga del solito.

Non credevo fosse in grado di articolare una frase così complessa, senza metterci nessun grugnito per giunta.

«Forse non hai capito. Presta attenzione ora: quanto si è coinquilini si dividono le spese...» Ripeto seccata, ma lui mi interrompe sbuffando sonoramente e alzando gli occhi al cielo esasperato.

Non è ancora finita: diamo inizio alla fase due.

«A ogni modo te ne devi andare questa sera.» Azzardo con un'alzata di spalle. Lui mi guarda impassibile con un sopracciglio inarcato. «Ho invitato degli amici per vedere un film. Non so se l'hai notato, ma abbiamo una sola televisione in salotto. Tanto per la cronaca, anche quella funziona a corrente e per avere quest'ultima bisogna pagare regolarmente delle bollette. Cosa che al momento facciamo io e Davide. Quindi mi serve il divano e, dato che ormai ci hai fatto le radici, sarebbe carino che te ne andassi a fare un giro.» Spiego.

In realtà non voglio che se ne vada. Davide mi ha chiesto di tenerlo d'occhio e in casa questo compito mi risulta più facile, ma il mio istinto mi suggerisce che se gli avessi chiesto di lasciarmi casa libera, lui pur di farmi dispetto, ci sarebbe rimasto volontariamente.

«Vuoi cacciarmi da casa mia?» Chiede con un sorriso beffardo.

«Inoltre i miei amici porteranno patatine e birra per la serata e non voglio avere scrocconi in giro.» Rincaro la dose e... Bingo!

Quando ha sentito la parola "birra" giurerei di aver visto un luccichio nei suoi occhi.

«Te lo puoi scordare ragazzina!» Sputa e un angolo della bocca si alza all'insù in quello che credo sia il suo sorriso malefico.

«Ma...» Cerco di ribattere, ma lui mi volta le spalle e si dirige verso il soggiorno. «Io stasera me ne starò sul mio divano. Tu e i tuoi amichetti sfigati potete fare quel cazzo che vi pare, ma io da lì non mi muovo. E' casa mia e faccio ciò che voglio.» Dice senza girarsi a guardarmi.

Quando è fuori dal mio campo visivo, sorrido soddisfatta e faccio una silenziosa danza della vittoria.

Uno a zero per me. 

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