1. In mezzo a una folla di numeri, qualcuno c'è, di uguale a te
Melissa
Le luci della città scorrono veloci attorno a me. Appoggio la fronte al finestrino freddo dell'auto e mi lascio incantare da quel turbine di colori indefinito. Il mio respiro caldo lascia un alone sul vetro, annebbiando la visuale. Sovrappensiero disegno, con la punta dell'indice, un piccolo cuore, ridacchiando da sola immaginando la faccia indispettita della proprietaria del mezzo quando lo scoprirà al prossimo sbalzo di temperatura.
«Russo, perché ridi da sola?» Keiko, la mia migliore amica, mi guarda con la coda dell'occhio, mentre continua a guidare la sua Fiat 500 rigorosamente rosa shocking, per le vie milanesi.
Mi giro verso di lei e osservo il suo profilo ormai familiare. Alzo le spalle sorridendo spensierata, lei si volta leggermente senza distogliere l'attenzione dalla strada. I suoi capelli neri ondeggiano appena sopra le spalle, mi scruta di sfuggita con gli occhi scuri a mandorla ereditati dalla madre giapponese. Un sorriso di scherno prende forma sulle sue labbra sottili, il viso ancora perfettamente truccato, nonostante le ore passate a ballare nel locale che abbiamo lasciato da poco.
«Cooper, sono felice, niente di che.» Ribatto sorniona.
Lei scuote la testa rassegnata, conscia di avere un'amica poco normale come me. Sorrido, mentre ricordo il nostro primo incontro avvenuto circa tre anni fa in un'aula universitaria come tante, ma che per noi è diventata speciale. Mi ero appena trasferita a Milano per frequentare Economia, a quei tempi anche lei era iscritta alla stessa facoltà e, il caso ha voluto, che ci trovassimo sedute vicine alla nostra prima lezione.
Sono stata io a fare il primo passo verso di lei, presentandomi: "Ciao, io sono Melissa Russo" le avevo detto entusiasta. Lei, per tutta risposta, mi aveva riservato un'espressione annoiata e allo stesso tempo schifata che mi aveva portato a etichettarla come una snob con la puzza sotto il naso. Ammetto di essere stata alquanto prevenuta nei suoi confronti, ma non mi erano sfuggiti gli abiti firmati e all'ultima moda che indossava, senza contare che, come assodai in seguito, giorno dopo giorno dava l'impressione di essere appena uscita da un salone di bellezza. Inoltre aveva il brutto vizio di squadrare le persone dall'alto al basso e questo non l'aiutava sicuramente a risultare meno antipatica.
La rividi durante le lezioni per l'intera settimana e lei, stranamente, prendeva sempre posto accanto a me, come se niente fosse. Ogni qualvolta tentassi di intavolare una conversazione però, lei mi rispondeva a monosillabi, così decisi di rinunciarvi. Finché una mattina, dopo quasi un mese che faceva scena muta con tutti, si avvicinò alle mie spalle con passo felpato.
«Melissa.» Mi chiamò, facendomi sobbalzare dallo spavento.
Sorpresa che si ricordasse il mio nome, l'avevo guardata confusa.
«Senti, io odio stare qui, okay? Non ho scelto io questa facoltà, ma tu mi sembri simpatica. Quindi ho deciso che saremo amiche.» Aveva aggiunto, accomodandosi sulla sedia di fianco alla mia e sfoderando il primo sorriso sincero che le avessi mai visto fare fino a quel momento.
Aveva deciso che saremmo state amiche e così è stato.
Abbiamo avuto anche noi negli anni alti e bassi, ma siamo sempre tornate più unite di prima, grazie ai nostri caratteri così contrapposti per certi aspetti e simili per altri. Lei è la persona più decisa e razionale che conosca, è particolarmente drastica in quello che fa o dice e, nella sua testa, è sempre o tutto bianco oppure tutto nero: non esistono mezze misure. Spesso esprime le sue idee con talmente tanta sincerità, da risultare quasi offensiva per chi non la conosce bene. Inoltre, come ho potuto testare io stessa al nostro primo incontro, è molto diffidente nei confronti degli estranei, fatica a lasciarsi andare e a fidarsi delle persone; questo l'ha portata a essere un'ottima osservatrice. Dote di cui ovviamente io sono carente purtroppo. Ma non è l'unica cosa che ci differenzia, infatti sono famosa per la mia eterna indecisione, mi faccio sempre riguardo quando parlo per non offendere o ferire nessuno e al contrario di lei faccio amicizia molto facilmente; probabilmente riuscirei a intavolare una conversazione anche con i muri, se solo potessero rispondermi.
Sfortunatamente non frequentiamo più la stessa facoltà. A metà del primo anno, Keiko, ha deciso di seguire la sua vera ispirazione: la moda. Ha lasciato Economia, che era stata costretta a frequentare dal padre, un imprenditore americano amministratore delegato di un'azienda di importazioni della zona, e si è iscritta in Accademia per inseguire il suo sogno. Sono molto orgogliosa della sua scelta ed è innegabile che il talento non le manchi. Una prova inconfutabile è costituita dal mio guardaroba, formato per la maggior parte delle sue creazioni, come l'abito che indosso questa sera, mi sfrutta come manichino ambulante, dato che come ragazza sono abbastanza alta con il mio metro e settantasette, mentre lei, almeno venti centimetri in meno di me, non fa altro che prendermi in giro dicendo che, a causa delle mie gambe da giraffa, farò fatica a trovare un uomo che mi superi in altezza. Devo dire che, anche su questo frangente, ha perfettamente ragione.
Diventa fastidiosa una persona che ha torto raramente.
Keiko accosta la sua auto davanti al condominio del mio appartamento. «Domani sera ci sei anche tu all'aperitivo in centro?» Le domando, mentre recupero tutto ciò che mi appartiene ed estraggo dalla borsa il mazzo di chiavi di casa.
«Pensavo di andarci, ma solo se ci sei anche tu.» Mi risponde.
Annuisco, confermandole la mia presenza. Anche se non frequentiamo più gli stessi corsi, abitiamo comunque nella stessa città e bazzichiamo con il medesimo gruppo di amici.
«A domani allora!» La saluto, schioccandole velocemente un bacio sulla guancia a tradimento.
Non ama le dimostrazioni d'affetto gratuite, preferisce i fatti alle parole, conseguenza presumo, dell'educazione severa dei genitori. Scendo dall'auto ridacchiando, mentre lei borbotta qualcosa indispettita.
Poche volte ho sentito pronunciare dalle labbra di Keiko frasi simili a: "Ti voglio bene" e in altrettanto rare occasioni, mi ha regalato un abbraccio spontaneo, ma quando è avvenuto i suoi gesti e le sue parole era davvero sincere e sentite. Preferisco questo genere di persone che, anche se possono sembrare fredde e distaccate, in realtà sono di gran lunga migliori di chi ti riempie di smancerie tutti i giorni e, non appena ti volti, ne approfitta per pugnalarti alle spalle.
Infilo la chiave nella serratura del portone facendolo aprire, mi volto appena per salutare un'ultima volta la mia amica che, con un cenno di risposta, mette in moto e sgomma verso casa.
Le prime luci del mattino si fanno strada dietro ad alcuni edifici davanti ai miei occhi, resto incantata dallo spettacolo nonostante, essendo in città, il sorgere del sole non renda sicuramente come seduti sulla spiaggia.
L'alba ha sempre avuto un sapore dolce e amaro per me.
Diciotto anni fa, mia nonna mi portò in riva al mare alle prime luci del mattino. Rimasi estasiata da quell'immagine, non ero abituata a quel senso di libertà e tranquillità che mi infondeva e, per la prima volta in vita mia, ne stavo assaporando l'essenza. Si avvicinò a me e mi indicò il sole che spuntava dall'acqua, illuminando sia il cielo che il mare di una varietà di colori caldi e freddi in un connubio perfetto.
Nella mia mente, ancora oggi, sono ben impresse le parole che pronunciò: "Il momento più bello della giornata è quello dell'alba, quando la notte aleggia ancora nell'aria e il giorno non è ancora pieno. Quando la distinzione fra tenebra e luce non è ancora netta e per qualche momento, se si vuole e si fa attenzione, si può intuire che tutto ciò che nella vita appare in contrasto, il buio e la luce, il falso e il vero, non sono che due lati della stessa moneta*".
La mia rinascita cominciò da quelle semplici parole, allora incomprensibili per una bambina di cinque anni, ma che giorno dopo giorno, alba dopo alba, mi hanno aiutato a dare un senso a tutto
* [estratto cit. Tiziano Terzani]
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