Capitolo 13

Valentina

Una luce tenue e silenzio.
Aprii lentamente gli occhi con fatica estrema.
Un mal di testa pazzesco mi strappò un debole gemito.
Mi accorsi di non essere sola quando una mano mi toccò la fronte per poi alzarmi la palpebra dell'occhio sinistro.
Quando un fascio di luce mi colpì la pupilla, cercai di spostarmi non ottenendo risultati.

- Valentina non preoccuparti, non ti faccio male - la voce di Manuel mi tranquillizzò un poco.

Mi sentivo uno straccio, per la prima volta in tutta la mia vita avevo esaurito completamente le forze.
Le fitte di mal di testa non aiutavano di certo.

Senza saperne il motivo, mi salirono alla mente le immagini dell'incidente che mi aveva rovinato la vita.
Cercai di mettermi seduta per osservare dove mi trovavo ma a stento riuscii ad alzare la testa.

- Tranquilla, va tutto bene Vale. Sei a casa tua nella camera da letto al piano terra. Stai calma - come se mi avesse letto nel pensiero Manuel mi spiegò che ero svenuta, mentre con una mano appoggiata sulla mia spalla mi impedii di alzarmi.

Chiusi gli occhi odiando il mal di testa che mi stava distruggendo.

Da quanto tempo non stavo così male?

- In casa ci siamo io e Stefano, non ti devi preoccupare di nulla, è tutto sistemato. -

Lo guardai negli occhi cercando di scacciare la figura di mio padre che si sovrapponeva a quella di Manuel.

- A cosa pensi? - ricambiò lo sguardo, con dolcezza.

- Mi manca il papà... tanto - non so perché ma parlai senza controllo in preda alla disperazione più totale.

- Lo so piccola, lo so. Ti assicuro che anche se non lo puoi vedere il tuo papà è sempre al tuo fianco, non ti lascia mai. -

Non mi accorsi nemmeno che nel frattempo Manuel mi aveva misurato la febbre.

- Devi cercare di dormire adesso. Ci sono io con te Valentina, rilassati -

Respirai profondamente provando a ignorare il mal di testa. Con la coda dell'occhio vidi Manuel fare una smorfia mentre osservava il termometro ed alzarsi un momento dallo sgabello accanto al letto.

Chiusi gli occhi concentrandomi sul buio.
Fu Manuel a distrarmi che mi prese il polso con delicatezza, stendendomi il braccio lungo il fianco.
Controvoglia alzai le palpebre scoprendo che in mano teneva una siringa. Inutile dire che mi spaventai a morte.
Non avevo però le forze di sottrarmi alla sua presa.
Al contrario di quello che mi aspettavo, invece di approfittare della mia debolezza, lo vidi appoggiare la siringa sul comodino.
Prese la mia mano ghiacciata tra le sue.

- Ti garantisco che non sentirai nulla. Se per caso dovessi farti male giuro che ti pulisco le stalle ogni giorno per tutta l'estate. - mi fece l'occhiolino, sorridendo in modo buffo.

Chiusi gli occhi per far passare l'ennesima fitta di mal di testa. Non prestai attenzione a Manuel.

- Puoi ricominciare a respirare -

Quando lo guardai di nuovo lo vidi togliere l'ago alla siringa. Non mi ero effettivamente accorta di nulla e nemmeno di aver trattenuto il respiro.

- Quindi? Mi assumi come stalliere o posso continuare a fare il medico? -

D'istinto sorrisi debolmente sentendomi però distrutta.

- Dormi ora, adesso ti lascio in pace, Valentina. Per qualsiasi cosa sai che sia io che Stefano siamo qui -

Appena prima che arrivasse ad alzarsi, appoggiai una mano sulla sua per fare in modo che mi guardasse.
Di nuovo l'immagine di mio padre si sovrappose alla sua.

- Grazie - sussurrai con fatica, temendo che non mi avesse sentito.

- Figurati piccola di nulla - mi accarezzò una guancia prima di uscire dalla stanza.

*

Mi svegliai a causa del mal di testa che mi uccideva.
Cercai di dormire di nuovo ma la cosa risultò impossibile.
Pensai ai miei animali, all'enorme lavoro che aveva Stefano essendo solo.

Non so quanto tempo rimasi a letto con gli occhi socchiusi a riflettere, ma ad un tratto una rabbia incontrollabile si impossessò di me. Mi alzai dal letto, con molta fatica.
Mi servivano le cuffie, avevo un disperato bisogno di un po' di musica.
Non arrivai ad oltrepassare la sala adibita a libreria che mi scontrai con Enrico.
Che cavolo ci faceva in casa mia?

Scambiammo qualche parola velenosa finché non notai un cambiamento nella sua espressione e poco dopo mi sentii tanto sfinita e senza forze da lasciare che mi accompagnasse nuovamente in camera da letto.
Tutto mi sarei aspettata tranne desiderare che non se ne andasse, che rimanesse con me.
Lo osservai tornare sui suoi passi e sedersi vicino a dove ero sdraiata, lasciai che mi prendesse la testa e la appoggiasse sulle sue gambe.
Volevo piangere in quel momento ma cercai di non farlo. In compenso non riuscivo a smettere di tremare, non so se per il freddo, per l'ansia o per entrambe le cose messe insieme.
Poco dopo, mentre Enrico mi accarezzava i capelli, finalmete il sonno ebbe la meglio.

*

Un violino. Il suono dolce di un violino.
Aprii piano gli occhi credendo di essermelo immaginato.
Il mal di testa c'era ancora, non se ne era andato.
Mi misi a sedere sul letto e cercai di capire che ore fossero dopo aver passato la notte insonne, tormentata dagli incubi.
Una cascata di note ruppe la quiete di casa mia.

- Follia - mormorai strofinando gli occhi con il dorso della mano.

- Di Vivaldi, hai indovinato -

Enrico comparve nel mio campo visivo. Jeans strappati neri, felpone nero con il logo rosso degli slipknot, il violino appoggiato sulla spalla.
Senza smettere di guardarmi negli occhi suonò per metà un preludio di Bach.

- Ma che ore sono? -

- Le dieci e un quarto. Come stai Valentina? -

- I cani... chi ha dato da mangiare ai cani?! E tu... che fai qua? Non dovresti essere al liceo?- mi alzai dal letto, un po' barcollante, per andare a controllare che tutto fosse in ordine.

- Dovrei appunto ma non mi andava di andare a scuola. Ai cani ci ha pensato Stefano. Certo che quella cagna lì, quella bianca... è aggressiva -

Enrico mi afferrò un braccio mentre gli passavo davanti, cercando di domare le vertigini causate dal mal di testa.

Mi bloccai vedendo che con la stessa mano reggeva anche l'archetto del violino. Mi condusse verso il divano.

- Luna? Con gli sconosciuti è diffidente, non aggressiva - precisai.

Mi misi sul divano con un paio di coperte addosso.
Chiusi gli occhi mormorando maledizioni contro il mal di testa.

Enrico camminava per il salotto suonando.
Tempesta di Vivaldi, un'arietta di Grieg, qualche pezzo de Il Carnevale degli Animali di Schubert, il secondo movimento dell'Estate di Vivalti.
Concluse la sua passeggiata con la Romanza op.50 n.2 di Beethoven.

Socchiusi un occhio.
- Beethoven... ho finito da pochi giorni di studiare l'accompagnamento al pianoforte -

- Lo so, ho visto lo spartito sul leggio ieri sera -

- Suona Bach, un suo brano qualsiasi, ti prego -

In risposta alla mia richiesta, il violino di Enrico.
Allungai le gambe sul divano e quando tornai a prestare attenzione al violinista, trovai i suoi occhi fissi su di me.
Lui suonava e i nostri sguardi non si staccavano.
Quando l'ultima nota riempì l'aria della stanza, chiusi gli occhi.
Un brano che non conoscevo si sprigionò nuovamente dallo strumento, facendomi cadere in un dormiveglia rilassante.




Anima Ferita continua...

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