69. Imperturbable

EMBER

"Eppure fra di loro vi era un'intimità assoluta. L'intimità che nasce dall'aver frequentato per anni lo stesso sogno."
(Anonimo)

«Oh, Ember, sono così felice che tu sia tornata! Che bella sorpresa!» Katy mi stava stringendo, fino a soffocarmi.
«E che bel discorso!» intervenne Himari con un tono complice, mentre Tak mi riservò uno dei suoi sguardi pieni di orgoglio e benevolenza.
«Ti fermi a cena con noi, cara?» chiese Mari, tutta speranzosa.
«Perché invece non resti a dormire? La mia stanza è libera. Non vivo più dai miei. Puoi stare lì.» Mi incalzò la mia amica, lasciandomi a bocca aperta e con la fronte aggrottata.
Gli sguardi della famiglia Egawa passavano da me a Ian, che mi osservava con un'espressione pacifica. Il suo sguardo non trasmetteva insistenza, ma nemmeno distacco; Sul suo volto non non c'era traccia di speranza, ma nemmeno insofferenza. Ian aspettava semplicemente la mia risposta, con un interesse neutrale, ma comunque privo della freddezza che di solito lo contraddistingueva. Una lieve traccia di affetto emergeva nei suoi occhi, ma era la stessa che avrei potuto leggere negli occhi di sua madre o di suo padre.
Forse indugiai troppo a scrutare il suo volto, perché si sentì in dovere di intervenire.
«Amber, fai solo quello che ti senti, non pensare a me.»
Annuii, ringraziandolo un'altra volta.
«Non avevo previsto di fermarmi a dormire a Skyville; ho prenotato solo un hotel vicino all'aeroporto.»
«Non se ne parla, è troppo lontano! Ti fermerai a dormire dai miei!» sentenziò Katy.
Guardai ancora la mia amica un po' frastornata da quanto stava accadendo.
«Forza, allora! Ho prenotato un tavolo alla nuova Brasserie francese giù in paese. Vedrai, ti piacerà» concluse Tak. «Sei qui in macchina o ti è venuto a prendere qualcuno?»
Guardai ancora Ian, cercando un segnale di nervosismo all'idea che fossi lì con Marcus, ma lui rimase con la stessa espressione benevola di suo padre.
«Ho preso una macchina a noleggio, non ho detto a nessuno che sarei venuta.»
Ci fu qualche secondo di imbarazzo creato più dai volti perplessi di Himari e Katy, piuttosto che da Ian, il quale non aveva minimamente cambiato espressione e continuava a guardarmi con la stessa serenità.
Fu la mia amica a rompere infine quello strano momento.
«Vengo con te, allora! Ty è a casa per uno strappo muscolare, ci raggiungerà al ristorante. Così mi racconterai cosa diavolo hai cambiato in questo anno e perché sembri avere una abbronzatura caraibica!»
«Katy, non è un anno! Non ci vediamo da nove mesi.»
«Come se nove mesi fossero un tempo accettabile!»
Solo in quel momento ebbi l'impressione che Ian abbassasse la testa per nascondere una smorfia. Ma forse era solo una mia proiezione, perché Katy aveva ragione: nove mesi lontano da loro erano stati un'eternità, nonostante in Indonesia mi fossi trovata bene fin dall'inizio.
Ad ogni modo, i miei dubbi furono spazzati via dall'ennesima incitazione di Tak a muoverci. Scendemmo tutti insieme la pista che portava al piazzale della scuola. Quella discesa, in mezzo alla famiglia Egawa, mi diede un avvolgente senso di appartenenza, e una piccola lacrima di nostalgia scivolò via, ma venne subito assorbita dalla maschera. Ringraziai il cielo di indossarla, perché non volevo farmi vedere così sconvolta. Specialmente da Ian, che con il suo equilibrato distacco rendeva il lavoro fatto su me stessa nell'ultimo anno una fragile illusione.
A parte un po' di imbarazzo iniziale quando ci sedemmo a tavola, la cena si rivelò inaspettatamente piacevole. Ian non mi fece mai domande dirette, ma seguiva con attenzione tutte le risposte che davo ai mille quesiti di Katy e Mari sulla mia vita a Bali.
Anche io volli sapere tutto sulle novità della scuola, le feste organizzate da Himari, la carriera di Katy che sembrava procedere a gonfie vele e i progetti che aveva con Tyrone.
Non feci però mai domande a Ian, mantenendo quell'equilibrio confortevole che mi permetteva di godermi la serata con la famiglia Egawa senza che possibili tensioni tra noi due rovinassero quel momento.
Ian sembrava a suo completo agio, e piano piano mi rilassai anch'io, complice la grossa pinta di birra che Tak mi aveva ordinato.
Forse provai un pizzico di delusione e invidia di fronte alla sua imperturbabilità. Non ero pronta all'idea che Ian non provasse più alcun sentimento nei miei confronti. E se questo da una parte mi stava permettendo di trascorrere del tempo con gli Egawa, significava anche che la nostra storia fosse morta e sepolta.
Dopo cena mi sentii terribilmente frastornata, sia per l'alcol che per la felicità di aver trascorso una serata inaspettata con tutti loro. Una volta usciti nel piazzale e raggiunte le auto, Katy insistette per andare al pub.
«Eddai! Non può finire qui la tua serata!»
Ty fece una smorfia di dolore e io ebbi paura di rimanere da sola al pub con Ian ad un certo punto della serata. Senza capire come, ero già passata dal partecipare alla fiaccolata in incognita al dormire a casa di Tak e Mari. Per quanto fossi di casa, ero comunque un'ospite e non volevo presentarmi da loro a notte fonda.
«Sono davvero stanca, Katy. Credo sia meglio andare a smaltire un po' di jet lag.»
«E va bene! Però promettimi che domani passeremo la giornata insieme! Ti passo a prendere alle nove.»
Anche in quella circostanza, Ian non ebbe la più piccola reazione. Ci salutammo tutti e salimmo sulle rispettive macchine. Mi apprestai a seguire l'auto di Takashi, ma dallo specchietto retrovisore notai che l'auto di Ian rimase ferma nel parcheggio.
Quando arrivammo a casa, di lui non ci fu traccia. Fu allora che compresi il motivo di quel distacco benevolo e della sua serenità nel rapportarsi a me: Ian doveva avere una nuova relazione, e io ero definitivamente acqua passata.
Di fronte a quella consapevolezza provai una stilettata al cuore. Dovevo ammettere a me stessa che non avevo ancora superato la fine della nostra storia.
Fu così che piansi nella camera di Kathleen, consapevole che Ian non era più lì, a pochi passi, in quello che era stato il nostro letto, ma che era con tutta probabilità in quello di qualcun'altra. Non una qualsiasi altra, ma qualcuna con cui stava costruendo qualcosa e che gli aveva permesso di andare oltre. Esclusi Mandy per il fatto che avrebbe sicuramente sfruttato la cosa per fomentare i gossip, i quali per altro non parlavano di Ice da diversi mesi. No, Ian aveva una storia e la riteneva talmente preziosa da proteggerla dai media. Ne ero certa.
Piansi in silenzio per gran parte della notte finché in preda alla stanchezza non svenni.

La mattina seguente mi svegliai alle dieci e mezza. Tra il pianto della notte e i postumi del fuso orario, avevo dormito male e probabilmente non avevo sentito nemmeno la sveglia.
Ancora sconvolta, mi alzai e mi diressi verso la zona giorno della casa, da dove provenivano le risate di Ian e Katy.
Una volta arrivata in cucina, Ian mi fisso senza farmi sentire a disagio, mentre Katy iniziò a ridere sguaiatamente.
«Amica mia, sei sicura di non essere andata al pub ieri sera?»
Guardai il mio riflesso nello specchio del forno e capii il motivo della sua ilarità: avevo i capelli tutti arruffati, gli occhi gonfi e il pigiama di raso tutto stropicciato.
«Eppure, il mio letto ha un materasso super comodo, a quanto ricordo!»
Mi sedetti, affranta, sullo sgabello del bancone.
«Forse ho sottovalutato il jet lag...» mugugnai, mentre Ian mi porse un bicchiere di spremuta come se fosse la cosa più naturale del mondo. Quando si voltò verso il frigorifero, analizzai il suo abbigliamento.
Indossava un paio di short da corsa e una felpa con cappuccio nero, calze di spugna fino al polpaccio e delle Nike da trail, sempre nere. Il suo fisico scolpito si intravedeva anche sotto il tessuto tecnico, o forse ero io che riuscivo a immaginarmelo nei minimi dettagli perché conoscevo ogni singolo sfaccettatura della sua struttura muscolare.
Katy mi guardò di sottecchi, notando che i miei occhi erano fissi sul fondoschiena del fratello.
«Se vuoi rimanere qui a... dormire ancora un po', ti aspetto sulle piste nel primo pomeriggio.»
«No, dammi solo un po' di tempo per fare colazione e una doccia veloce» risposi, ignorando la malizia nella sua voce, mentre cercavo di sistemare  i capelli in due trecce.
Quando ebbi finito, Ian mi passò un bagel con formaggio spalmabile, avocado e salmone, e una tazza di caffellatte.
«Grazie» dissi titubante, e lui mi sorrise come se quella fosse la cosa più spontanea del mondo, un gesto intimo tra due persone che conoscono le abitudini l'uno dell'altra.
Come poteva aver passato la notte con un'altra e in quel momento essere lì, a prepararmi la colazione in tenuta da jogging come se nulla fosse?
Abbassai la testa, sentendo il volto andare a fuoco, sia per l'imbarazzo che per la gelosia. Così china, mangiai il mio bagel. Anche a Bali facevo spesso la stessa colazione. L'avocado che mangiavo lì era infinitamente più buono, il pane freschissimo e non confezionato, e lo accompagnavo sempre con un frullato di frutta fresca anziché solo con spremuta d'arancia. Ma quello che mi aveva preparato Ian sapeva di casa, di mattine lente e di dolci ricordi. Le emozioni alterarono il mio gusto, e mi ritrovai a gemere dal piacere.
A quel suono, Ian, che rivolto verso la vetrata, si bloccò senza voltarsi.
«Beh, direi che eri anche affamata, se la cucina di mio fratello ti sembra così buona» constatò Katy. «È inutile che ti dica che da quando te ne sei andata lui non ha più toccato la sua cucina, nemmeno per farsi un uovo sodo!»
«Disse quella che si fa consegnare la colazione dalla bakery tutte le mattine», la canzonò Ian, stemperando anche quel possibile momento di ricordi imbarazzanti.
«La mia è solo ottimizzazione del tempo, ho altro da fare la mattina che cucinare...» esclamò maliziosa.
«Non voglio sapere altro, Katy. Finiscila qui. Io vado a casa a farmi una doccia.»
«Vengo anch'io!» esclamai senza nemmeno rendermene conto. «Vado. Volevo dire vado anch'io...»
Non so cosa mi prese, forse la colazione, quella situazione così familiare, o forse il fatto che davvero avrei voluto farmi la doccia con lui. Una doccia lunga almeno due o tre ore.
Ian non si scompose. Mi sorrise senza malizia, come si può sorridere a una gaffe di un amico.
Katy invece mi analizzò con entrambi gli occhi stretti in una fessura.
«Io vado giù in garage a vedere se trovo una mia vecchia tavola, più decente di quella che ti hanno dato quelli del noleggio sci. Quella roba va bene giusto per fare una fiaccolata.»
«Dovrebbe esserci anche la sua della Artic Edge che gli aveva ricomprato Mandy», rispose alla sorella e poi si voltò verso di me. «Non c'è stata occasione per ridartela, e ho ritenuto che a Bali non ti servisse.»
Annuii in silenzio. Ancora una volta Ian mi aveva spiazzato. La sua diplomazia e il suo distacco, da un lato, mi stavano evitando non pochi imbarazzi, ma dall'altro faceva male sapere che nessun nostro ricordo lo destabilizzasse.

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