66. Run
ICE
In quel momento ho capito che le parole più crudeli dell'universo sono "Se soltanto".
(Mercedes Lackey)
Ci impiegai un istante, lungo come un'eternità, per mettere insieme tutti i pezzi che mi aveva appena fornito Marcus. Ancora di più a farli combaciare con ogni comportamento insolito che Ember aveva assunto nell'ultimo anno. All'improvviso, mi fu vergognosamente chiaro quanto mi fossi comportato da stronzo e quanto l'avessi fatta soffrire.
Da quando mi ero presentato alla sua porta a New York, Ember non aveva fatto altro che cercarmi. Aveva detto che voleva dirmi qualcosa di importante, e io avevo ignorato tutte le sue chiamate, i suoi messaggi, finché il mio telefono cessò da un giorno all'altro di visualizzare il suo nome. Quando Ember smise di rincorrermi, la mia rabbia aumentò, anche se era difficile credere che fosse possibile.
In quei mesi, il rancore fermentò dentro di me come un veleno, anche se tentavo di incanalarlo nella preparazione atletica e in alcuni eccessi, alla fine esplose nel peggiore dei modi quando me la ritrovai all'arrivo dell'Half Pipe del Mottolino.
Avrei dovuto capire che dietro i suoi comportamenti strani non c'era un tradimento, ma solo la sua solita dannata volontà di mettere da parte la propria felicità, pensando di disturbare quella degli altri. Alla luce di tutto questo, mi resi conto che ero io ad aver buttato nel cesso la nostra relazione e che lo avevo fatto in modo terribilmente squallido.
Di fronte a questa nuova consapevolezza, mi destai di colpo. Diedi un'ultima occhiata ad Allen e alla sua presunta fidanzata, mentre con il pugno schiacciavo ripetutamente il tasto di chiamata dell'ascensore. Il tempo di attesa sembrò eterno, così diedi un'ultima manata al pulsante e mi guardai intorno in cerca delle scale.
Marcus me le indicò alle mie spalle, accennando un inaspettato sguardo di comprensione.
Scesi nove piani in un lampo e in pochi secondi mi ritrovai nel pieno fermento della hall.
Mi guardai intorno, ma non la vidi.
Trovai invece i miei genitori seduti nell'area living con un'aria affranta. Davanti a loro mia sorella camminava nervosamente avanti e indietro guardando fuori dalla vetrata panoramica, mentre Ty era appoggiato con le spalle a una colonna, le mani in tasca, fissando un punto indefinito sul pavimento.
Quando mi avvicinai, notai che mio padre mi stava fissando con uno sguardo deluso e affranto. Non mi stava guardando come un campione olimpionico che aveva appena vinto l'oro, ma come qualcuno che aveva appena perso tutto.
«Dov'è lei?» chiesi brusco. Mia sorella bloccò il suo andi e rivieni e si voltò di scattò verso di me.
«Se n'è andata, razza d'imbecille! Cosa pensi sarebbe successo con i tuoi teatrini squallidi?»
«Dove è andata?» insistetti ignorando gli insulti.
«È andata via!» ripeté esasperata.
«Cristo, Katy! Non puoi essere più precisa? Dove era diretta? In un altro albergo? A Milano? A New York?»
Mia sorella sbuffò, esterrefatta e Ty le fece un gesto per calmarla. Poi si avvicinò a me con cautela e iniziai a intuire che quello che stava per dirmi non mi sarebbe per niente piaciuto.
«Non lo sappiamo, Ice. Ha preso la navetta dell'hotel per l'aeroporto dicendo che aveva un volo tra quattro ore, ma non ci ha voluto dire per dove. Ha solo detto che ha bisogno di staccare definitivamente da te, e di conseguenza anche da noi.»
«E non l'avete fermata?» dissi passando lo sguardo su tutti loro. Mia madre aveva l'aria sconvolta ed era in lacrime; anche mia sorella, ma nel suo caso era palese che volesse mettermi le mani al collo e strozzarmi. Mio padre, invece, continuava a guardarmi con compassione.
«Prima infili due metri di lingua nella gola alla prima che ti passa accanto per ferirla, dopo che ha attraversato l'oceano per stare con te e spiegarti tutto, e la colpa sarebbe nostra?»
Osservai di nuovo ognuno di loro. «Voi lo sapevate?» Mia madre prese a dimenarsi sulla poltrona, Ty spostò il peso da un piede all'altro e mise di nuovo le mani in tasca, mentre mia sorella si morse il labbro guardando fuori dalla finestra. L'unico che rimase imperturbabile fu mio padre.
«Lo sapevo solo io, a loro l'ho detto pochi istanti fa, con il benestare di Amber.»
Il suono di quel nome, così simile, ma anche così dolorosamente diverso, mi fece perdere la testa, e mi scaraventai contro mio padre.
«E hai lasciato che succedesse tutto questo senza dirmi niente?»
Ty mi raggiunse velocemente alle spalle, mi afferrò per le braccia e mi trattenne a un passo dal mettergli le mani addosso. Nello stesso istante mio padre si alzò dal divanetto, portando il volto a pochi centimetri dal mio.
«Sentiamo, ragazzo, cosa avrei dovuto fare? Eh? Ledere la sua privacy ancora? Ember ha sbagliato a non parlartene subito, ma quando se ne è resa conto ha provato a farlo in tutti i modi, ma tu eri troppo preso a passare da una donna all'altra. Sono andato a prenderla a New York due giorni fa e te l'ho portata qui. Ed è molto più di quanto mi piaccia intromettermi nei tuoi affari.»
Mentre parlava, il mio volto si contorse dal dolore per tutte le verità che mi stava scagliando addosso. «Potevi vincere le Olimpiadi con lei al tuo fianco, come avevi sempre sognato. Ma hai esagerato, e temo non ci sia più niente da fare questa volta. Le ho letto troppa determinazione negli occhi.»
«No, no, no! Non può andarsene ancora! Ho bisogno di un'auto. Devo raggiungerla, subito!»
Mi guardarono tutti spaesati senza muovere un dito.
«Datemi una cazzo di auto!» urlai nuovamente.
«Andiamo, ti accompagno io. Sei troppo sconvolto per guidare.» Rispose Ty, afferrandomi ancora per le braccia e trascinandomi via dallo sguardo di mio padre, che trasudava un doloroso "ormai l'hai persa."
Seguii il mio amico nel garage e recuperammo il van che avevamo noleggiato.
Pochi istanti dopo, eravamo sulla strada per Sondrio.
«Cazzo, Ty. Non puoi sorpassare? Se andiamo avanti così, a breve sarà già su un maledettissimo aereo!»
«Questo è il motivo per cui non stai guidando tu. Per avere una cazzo di possibilità devi rimanere vivo, coglione!»
Ringhia dalla frustrazione.
«Non posso farla scappare di nuovo. Lo capisci che se Ember era venuta a Livigno era perché ci aveva ripensato? Per lei la nostra storia non era finita.»
«Sì, ma questo era prima che scopassi con la lingua la prima hostess di passaggio per ben due volte in meno di due ore.»
«Non sei di aiuto, cazzo!»
«Me lo dici sempre, ma sbatterti davanti la realtà ti ha portato in cima a qualsiasi competizione.»
«È diverso...»
Ty sbuffò e diede un'occhiata al suo telefono.
«Tieni, Katy mi ha appena girato il suo numero. Chiamala dal mio, non credo che dal tuo ti risponderà.»
Fu così che scaricai la batteria del suo cellulare, chiamando compulsivamente il telefono di Ember. Prima lo trovai occupato, poi spento. Quando non diede più segnali, lo gettai sul cruscotto del van e rimasi in silenzio fino all'aeroporto per evitare di andare ulteriormente in escandescenza.
Una volta arrivati, corremmo per tutti i banchi dei check-in, ma di Ember non c'era traccia. Comprai quindi un biglietto low-cost per la Georgia solamente per accedere all'area degli imbarchi, ma anche lì non ebbi fortuna.
Mi accasciai quindi su una delle panchine davanti al tabellone delle partenze e aprii l'app di Airbnb per verificare ciò che più temevo: l'appartamento di Ember era disponibile e ciò significava solo una cosa. Non avevo la più pallida idea di dove fosse diretta.
La miriade di destinazioni che si stagliavano sul monitor davanti a me mi gettò nello sconforto per un attimo, ma cercai di non demordere. Prenotai tre giorni a New York nel suo appartamento, sperando di trovare qualche indizio su dove potesse essere diretta e fotografai il tabellone per prendere nota di tutte le destinazioni possibili. In quell'istante mi promisi che l'avrei cercata anche in capo al mondo.
E fu proprio quello che dovetti fare.
Le mie ricerche a New York non produssero alcun risultato; Ember non si era fatta sentire nemmeno con Katy o Marcus. Così, dopo una settimana a barcollare nel buio, decisi di ingaggiare un investigatore privato. Dopo cinque mesi di indagini in cui aveva vagliato tutte le combinazioni possibili di voli, ne assunsi un secondo ancora più caro e strutturato, ma nemmeno quello servì.
Fu così che, per la terza volta, feci qualcosa di illegale e pagai un hacker per entrare nel cellulare della property manager che aveva gestito il mio check-in.
Il pirata informatico individuò l'indirizzo dove l'agente aveva fatto recapitare alcuni effetti personali di Ember e dove aveva spedito alcuni documenti di recente.
Ember era davvero scappata dall'altra parte del mondo. Come avevo sempre sospettato, aveva usato l'aeroporto di Orio al Serio per raggiungere un hub aeroportuale maggiore, invece che una semplice meta europea.
Tre ore dopo aver ricevuto la sua posizione, ero già in aereoporto per raggiungere Bali.
Un viaggio di ventisette ore interminabili e ben tre scali ci separavano.
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