66. Peace
ICE
Non puoi perdere ciò che mai hai avuto
e non puoi avere ciò che fugge costantemente via.
Se tu ci sei e lei non c'è,
lasciala andare in un altrove a te precluso,
in un mondo dove altri e non te sono legittimati ad averla.
(Fabrizio Caramagna)
Arrivai a Denpasar a notte fonda, noleggiai un'auto e mi diressi nell'entroterra di Kuta.
L'indirizzo che mi aveva fornito l'hacker corrispondeva a una porzione di una villetta di recente costruzione divisa in quattro appartamenti.
Erano ancora le cinque di notte. Troppo presto per fare irruzione a casa sua, ma anche troppo tardi per darmi una rinfrescata nell'hotel che avevo prenotato, con la speranza di non doverci nemmeno mettere piede.
Decisi quindi di parcheggiare nella via e farmi un pisolino in auto, in modo da essere già lì non appena si sarebbe alzata.
Tirai fuori dalla tasca quel cofanetto che mi ero portato con me e lo feci roteare tra le mani una infinità di volte, come se fosse troppo incandescente da stringere.
Inutile dire che non riuscii a chiudere occhio. Come quando l'avevo raggiunta a New York, iniziarono ad assalirmi mille dubbi.
E se Ember non fosse stata sola? Cosa avrei fatto? Se avesse già voltato pagina e avesse una relazione?
Il sangue iniziò a ribollirmi nelle vene al solo pensiero, e dovetti abbassare ulteriormente il finestrino in cerca d'aria fresca.
Dopo tutto quello che avevo combinato, non avrei avuto il diritto di fare scenate di gelosia. Non sarebbe stata una mossa geniale, considerando tutto quello per cui dovevo scusarmi. Avrei dovuto tenere a bada la rabbia per avere qualche chance di riportarla a Skyville. Di riportala a casa.
Iniziai a prepararmi mille discorsi, battute, argomentazioni per convincerla a mollare la sua nuova vita e tornare con me.
Avevo fatto mille ipotesi, mi ero figurato mille scenari, ma non mi ero preparato a quello che vidi all'alba. Se dal suo appartamento fosse uscito un altro, forse avrei avuto qualche chance. Ma non così. Non avrei mai potuto competere con quello che mi trovai davanti.
Non appena la vidi sulla porta, nel mio cuore si insinuò subito la consapevolezza di aver fatto un viaggio a vuoto.
Ember uscì di casa alle sei e mezza. Era ancora molto magra, ma sembrava aver recuperato qualche chilo rispetto a quell'ammasso di ossa che avevo notato a Livigno, nonostante si fosse nascosta dentro una giacca di qualche misura in più. Indossava un costume a triangolo che le incorniciava il seno in modo sensuale, un paio di shorts strappati, uno zaino in tela di medie dimensioni e un sorriso smagliante che non le avevo mai visto.
Le sue movenze avevano un sapore nuovo, disinvolto e spontaneo. Come se fosse più a suo agio con il suo corpo.
Ovviamente a Skyville non girava in costume da bagno, ma probabilmente per quello che aveva subito, aveva sempre avuto la tendenza a vestirsi in modo molto casto e quando Katy forzava la mano costringendola ad indossare qualcosa di audace, era sempre bellissima, ma tra le righe avevo sempre captato una nota di disagio. Mentre il quel momento, quasi mezza nuda sul ciglio della strada, era completamente a suo agio.
La vidi inspirare profondamente sulla soglia del cancello, godendosi un raggio di sole che le aveva appena colpito il volto. Si guardò intorno con un'aria pacifica e serena, finché il clacson di un piccolo pick-up giallo non attirò la sua attenzione.
Sì allungò per salutare e lo stesso fece il suo sorriso, sprizzando un entusiasmo così insolito per il suo volto. Rientrò velocemente nel giardino per poi riemergere con una tavola da surf sotto braccio.
I passeggeri del pick-up, un biondino e un moro dai capelli lunghi, la salutarono chiamandola "principessa" con una confidenza che mi innervosì già oltre ogni limite. Ancora di più quando mi resi conto che quel semplice scambio di saluti fece brillare il suo sorriso di una gioia ancora più intensa. Dal sedile posteriore scese una ragazza di colore che l'abbracciò stretta, seguita da un ragazzo ricciolino a torso nudo. Dovetti sforzarmi di respirare quando vidi le sue mani posarsi sulla vita di Ember, mentre la salutava con un bacio sulla guancia. Poi le prese dalle mani la tavola e la infilò nel pianale del pick-up insieme alle altre.
Ember salì a bordo saltellando e io non potei fare altro che mettere in moto e seguirli.
Mi sentii davvero un cazzo di stalker quella volta, ma non potevo fare altro. Ero frastornato dal fatto che la persona uscita dalla villetta non sembrasse nemmeno più la mia scoiattolina.
Pochi minuti dopo il pick up raggiunse la spiaggia di Padma, dove un altro gruppetto di amici la stava aspettando. Rimasi a una distanza di sicurezza, scesi dall'auto e rimasi nascosto tra la vegetazione per osservarla.
Mentre Ember si infilava un poncho da surf per cambiarsi, continuava a sorridere, a fare battute e colpire scherzosamente i bicipiti dei suoi amici. Il ricciolino l'aiutò a passare la paraffina sulla tavola, ma a un certo punto lui disse qualcosa che la fece ridere a crepapelle. Gli saltò al collo e lui la issò sulle spalle, iniziando a correre per tutta la spiaggia.
Ero tentato di alzarmi e palesarmi per far sì che la smettessero. Non ce la facevo più a vedere le braccia di le cingergli il collo e i pettorali, le mani di lui sorreggerla per le cosce e la sua schiena aderirle ai i seni. Smisi di respirare e serrai i pungi in preda al terrore che da un momento all'altro lui la rimettesse a terra e la baciasse.
Ma a un certo punto, invece, Ember gli disse qualcosa all'orecchio, indicando una ragazza che stava aprendo un chiosco poco lontano, e lui si diresse verso di lei. La riportò a terra solo una volta davanti al bancone del bar. Ember si presentò alla ragazza, diede una pacca sulla spalla al ricciolino, il quale rimase a provarci con quella che doveva essere la cameriera del locale sulla spiaggia. Quando tornò dagli altri, risero tutti insieme, guardando nella direzione dei due "piccioncini".
Mi sentii subito sollevato dal fatto che l'interesse del ricciolino fosse rivolto altrove e che la confidenza con Amber fosse solo amicale. Fu così che ripresi a respirare normalmente e l'ondata di ossigeno che arrivo al mio cervello mi permise di ammettere una constatazione abbastanza ovvia.
Ember sembrava davvero felice con il suo gruppetto di amici, e questo a ben vedere mi alleggerì in parte l'animo. Me l'ero sempre immaginata sola e chiusa in se stessa, come era sempre stata, forse anche per via dei racconti che Katy, in preda ad una delle tante ramanzine, mi aveva vomitato addosso riguardo il periodo che aveva trascorso a New York. Invece, a Bali, Ember sembrava circondata da una buona rete di amicizie che la facevano stare bene.
Quando entrarono in mare, rimasi ammaliato dalla sua bravura sulla tavola da surf. Mi aveva detto che sapeva andarci, ma come suo solito aveva sminuito la cosa, non dicendomi che il suo livello di bravura era piuttosto alto.
Rimasero in acqua più di un'ora e mezza, poi tornarono a riva e fecero colazione al chiosco che aveva aperto da poco. Sorrisi, quando vidi una cameriera servirle un bagel tagliato a metà con formaggio, salmone e avocado, tutto accompagnato da un frullato di frutta fresca.
Una volta terminata la colazione, risalirono tutti sul pick up e portarono Ember a casa. Si fece la doccia in giardino e rimase nell'appartamento per poco meno di dieci minuti.
Ma quando mi decisi a scendere e andare da lei, uscì di casa. Non si accorse della mia presenza e salì velocemente a bordo di uno scooter bianco che richiamava tanto la forma di una Vespa.
Rimasi immobile a vederla mettersi il casco, mentre decidevo se chiamarla o risalire in macchina, ma persi l'attimo nella mia indecisione e seguii anche quella volta.
Si fermò davanti a un edificio basso dalle linee minimali, che, a giudicare dal brulicare di nanetti con delle polo arancioni, doveva essere un istituto privato. Rimase al suo interno per tre interminabili ore, poi uscì in giardino attorniata da una quarantina di bambini.
Anche in quella situazione, mi accorsi che sul suo volto era dipinta una pace e una serenità a me sconosciute.
La consapevolezza che Ember fosse più felice in quel luogo che con me altrove, iniziò a farsi sempre più tangibile, prepotente e impossibile da ignorare.
Finita quella che doveva essere la ricreazione, Ember uscì dalla scuola, montò nuovamente sullo scooter e si diresse verso il mercato, dove io la seguii mischiandomi alla gente.
Con il sorriso stampato in faccia, passava di bancarella in bancarella. I vari venditori la chiamavano per nome e le mostravano un fare affettuoso. Lei si fermava a fare quattro chiacchiere con ognuno di loro. A molti stringeva la mano, ad altri dava qualche leggera stretta sul braccio.
La mia scoiattolina era in sintonia con la gente del posto, con la natura, con i suoi nuovi amici e con il suo corpo. L'idea che portarla via da quella dimensione non fosse il suo bene si faceva sempre più pressante, facendo a pugni con la voglia che avevo di riavere la nostra vita assieme.
A costo di rischiare una denuncia per stalking, decisi quindi di temporeggiare e osservarla ancora.
La seguii ancora a casa, dove, dopo mangiato, si mise a lavorare al computer in veranda. Nel tardo pomeriggio prese parte a una lezione di yoga che teneva la vicina di casa nel giardino confinante, mentre verso l'ora di cena prese nuovamente lo scooter e si recò in un beach restaurant, dove una tavolata di amici la stava aspettando.
Rimasi a osservarla ancora fino al tramonto, stringendo tra le mani quel piccolo cofanetto, che da incandescente, nel corso di quella giornata, era diventato pesante come un macigno.
Per tutto il giorno mi ero sentito un ladro che aveva saccheggiato la sua pace a sua insaputa. Ogni volta che una parte di me aveva provato una voglia dirompente di abbracciarla, di scusarmi e di dirle che l'amavo, un altra parte mi aveva bloccato.
Ember era davvero felice. Lo era senza di me e io non avevo nessun diritto di turbarla e riportarla indietro ai brutti ricordi.
Presi la decisione più difficile della mia vita. Una decisone che andava totalmente contro la mia natura. Perdere e non prendermi ciò che volevo, non era mai stato da me, ma il mio amore per Ember era più importante di qualsiasi cosa e decisi quindi di non andare oltre. La lasciai alla sua serata mondana e mi recai all'hotel. Mi feci una doccia e prenotai il volo di ritorno per il giorno seguente.
Non ero davvero pronto a tornarmene a casa senza di lei, senza dirle che l'avevo cercata in tutto il mondo, senza dirle quello che l'amavo e che, ma non l'avevo mai vista così, nemmeno nei pochissimi attimi sereni che avevamo condiviso. Anche nelle nostre piccole bolle di felicità c'era sempre stata qualche ombra oscura che incombeva.
La verità che era scaturita da quella giornata era che per quanto l'amassi, io non ero in grado di farla sorridere in quel modo; senza contare tutte le sofferenze che le avevo causato negli ultimi due anni. L'avevo prima forzata ad avere una relazione con me quando forse non era ancora pronta. L'avevo costretta ad affrontare il processo quando era tutto ciò che non voleva, l'avevo gettata in una bufera mediatica e poi, ancora, nel suo peggior incubo con la storia della valanga. Il caos che ne seguì dopo la nostra rottura non poteva che averle fatto toccare il fondo. In quel luogo così lontano dal suo habitat abituale, però, era tornata a sorridere e stava dannatamente bene. Chiederle di lasciare quel posto e la sua serenità sarebbe stato egoistico. Ciò che c'era tra noi era forte, e forse lei mi avrebbe ascoltato e seguito a Skyville, ma non ero sicuro di poterle donare la pace che sembrava aver raggiunto e Dio solo sapeva quanto meritasse.
Mi gettai sul letto e cercai l'articolo di debutto con cui Amber Keller era uscita allo scoperto pochi giorni dopo la sua fuga da Livigno.
"Una nuova vita, una nuova rubrica.
Ed eccomi qui, a presentare un nuovo appuntamento su Sport Beat, ma prima di tutto credo sia doveroso presentarmi.
Chi sono io, quindi? Ho molti nomi. Qualcuno di voi mi conosce come Susie Bishop, un semplice pseudonimo che ho usato per firmare alcuni articoli su questa rivista. Altri mi conoscono come Ember Sullivan, il nome che ho utilizzato negli ultimi dieci anni.
È probabile che qualcuno mi ricordi per qualche notizia di cronaca rosa, ma ahimè, anche di cronaca nera. Questo nome potrebbe evocarvi l'immagine di un campione olimpico di snowboard, oppure, e lo spero davvero, potrebbe non ricordarvi nulla. In questo caso sarà più facile spiegarvi chi sono davvero.
Il mio vero nome è Amber Keller, e sono davvero stanca di tenerlo nascosto.
Anche questo nome è legato a un altro campione di snowboard, in particolare a Chris Keller, deceduto sotto una valanga a Chamonix, sulle Alpi francesi, più di quindici anni fa.
Chris era un talento in ciò che faceva. Ai suoi tempi, era uno degli snowboarder più pagati della storia, subito dopo Shaun White, e proprio il suo patrimonio gli aveva permesso di chiedere l'affidamento della sua sorellina, quando i nostri genitori erano venuti a mancare. Perché sí, quella bambina ero proprio io.
Sono cresciuta sulle piste da sci, sempre circondata dai monti e con la tavola ai piedi. La neve è stata una costante nella mia vita, un richiamo magnetico a cui non ho mai potuto resistere. Ma c'è un'altra cosa nella mia intera esistenza che ha continuato a ripetersi come una maledizione: la perdita.
Ho perso così tanto. Prima i miei genitori, poi mio fratello e in seguito me stessa. Infine, ho rischiato di perdere anche l'uomo che amavo, proprio sotto un altra maledettissima valanga.
Posso quindi definirmi esperta in entrambi gli ambiti: l'amore per la neve e i rischi che si corrono inseguendo le proprie passioni.
Perché, se amate i monti più della vostra stessa vita, in modo quasi accecante; se quella polvere ghiacciata scorre nelle vostre vene come lava, facendovi vivere solo per essa, chiedetevi sempre se c'è qualcuno che vi aspetta a valle, che vi ami con la stessa intensità.
Io sarò qui con questa rubrica per aiutarvi a farvi vivere le vostre passioni in totale sicurezza, proteggendo la vostra incolumità e i sentimenti di chi tiene a voi.
Perché la sicurezza può salvarvi la vita sotto molti aspetti, limitando anche le insicurezze di chi vi sta accanto.
È facile essere coraggiosi quando non si ama nessuno, perché non si ha nulla da perdere. Quelli che si credono dei duri diranno che una vita sicura non è vita, ma qui vi chiedo: una vita senza amore invece lo è?"
Di Amber Keller
Lo rilessi e rilessi ancora per la milionesima volta. La provocazione con cui aveva chiuso l'articolo mi aveva sempre dato l'idea che fosse rivolta anche a se stessa, considerando che mi aveva lasciato per mettersi in una sorta di posizione sicura.
Conoscevo quell'articolo a memoria, eppure mi era sfuggita una cosa molto importante. Amber Keller si era riferita a me come "l'uomo che amava". Al passato.
Quello che Ember aveva scritto non era una riflessione su ciò che aveva perso, ma simboleggiava davvero un cambiamento radicale di vita. Una vita in cui io rimanevo chiuso nel passato, lontano dal suo mondo, mentre lei usciva allo scoperto, con il sole ad illuminarle il volto.
Fu così che ebbi abbastanza coraggio da salire su quell'aereo senza farle sapere che l'avevo trovata, senza darle quello che volevo e senza chiederle di tornare a casa con me. Per sempre.
La verità era che ero pronto a perdere tutto per lei, ma non ero pronto a perdere quel sorriso che le avevo visto sul volto per tutto il giorno, anche se non avrei potuto goderne ogni singolo giorno.
Non ebbi però abbastanza fegato da aspettarla a Skyville senza fare nulla.
Sapevo che prima, probabilmente in un futuro non molto immediato, sarebbe tornata a far visita ai miei.
Non appena rientrai a casa organizzai una riunione con Edmund Miller e il Sindaco affinché la commemorazione successiva di Chris Keller si tenesse a Skyville, così che fosse lei a tornare, e non io a costringerla.
L'amavo sopra ogni cosa, e l'unico mio desiderio era renderla felice, anche se questo significava rimanere nel buio del suo passato, nella speranza che ad un certo punto si guardasse indietro e trovasse anche lì qualche raggio di sole.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top