58. Emptiness

EMBER

"La vita scorre come un'onda nell'oceano, a volte bassa, a volte alta. Giunta a riva appoggia sulla sabbia i suoi averi e si ritira in silenzio nella sua immensità"
(Dumitru Novac)

Aprii gli occhi prima ancora che suonasse la sveglia e, come tutte le mattine, quella sensazione di smarrimento mi colpì dolorosamente. Sapevo di essere a New York, ma non sapevo più chi fossi, cosa volessi, dove stessi andando e, soprattutto, perché fossi al mondo.
Avevo ottenuto tutto ciò che desideravo, alla fine. Ian non mi aveva più cercato, non voleva sapere più nulla di me. Allo stesso tempo, aveva ripreso in mano anche la sua carriera. Avevo quindi raggiunto quelli che credevo fossero i miei obiettivi, ma la cosa non mi aveva reso felice. Io, dall'altro canto, non ero riuscita ancora a ripartire con la mia vita. Per mesi mi ero raccontata che fosse meglio così, che le cose dovevano andare in quel modo tra noi e che, dopo la visita di Ian a New York, non avrei avuto comunque scelta.
Quel vuoto e quel senso di perdita mi stavano spegnendo lentamente, giorno dopo giorno.
Dopo tutto ciò che avevo superato e affrontato nella mia vita, ero stanca. Tremendamente stanca. Non avevo più le energie per reagire. Mi sentivo come se la mia vita non avesse più uno scopo. A volte volevo semplicemente richiudere gli occhi e non svegliarmi più. Altre volte mi costringevo a trascinarmi fuori dal letto, per quel rimasuglio di senso del dovere che avevo nei confronti dei miei datori di lavoro e dei miei colleghi. Un lavoro di cui non me ne fregava assolutamente nulla, ma che forse era l'unica ancora che mi impediva di scivolare nella depressione più nera. Mi concedevo il male di vivere solo la mattina presto, appena sveglia, o nei giorni liberi, quando non c'era Marcus.
Il mio amico veniva sempre più spesso a New York e si era creato un giro di conoscenze non indifferente, cosa che io non avevo mai fatto, nonostante vivessi lì. Anche se molti dei suoi contatti mi scrivevano spesso, io li frequentavo solo quando c'era lui a costringermi a uscire dal mio guscio.
Mi aveva anche proposto di seguire un atleta appena uscito dalla Peak Warm Academy, il quale avrebbe mosso i primi passi nelle gare mondiali di Slope Style la stagione seguente. Continuava a ripetermi che dovevo tornare al mio vecchio lavoro, che un impiego più manageriale e che richiedeva maggiori responsabilità e intraprendenza mi avrebbe aiutato. Ma io non ero assolutamente pronta, né a fare un lavoro autonomo, né a riprendere i vecchi contatti, né a bazzicare nei luoghi dove si tenevano le run di half pipe, e soprattutto, non ero pronta a tornare a Skyville.

Non dopo l'ultima volta. Dopo l'improvvisata di Ian nel mio appartamento, avevo provato a chiamarlo e a mandargli messaggi per due settimane, ma non mi aveva mai risposto. Così, non appena ebbi un weekend libero, salii sul primo volo subito dopo aver chiuso il negozio.
Katy mi venne a prendere in aeroporto e il viaggio verso Skyville fu denso di imbarazzo.
Dire che la mia amica era arrabbiata con me sarebbe stato dire poco. Dopo la valanga, non mi ero fatta più sentire nemmeno con lei. Ero sparita nel nulla anche dal suo radar e lei non l'aveva presa affatto bene. Solo quando Ian era comparso sulla mia porta di casa, fraintendendo la presenza di Marcus nel mio appartamento, l'avevo chiamata.
Ero preoccupata dello stato in cui avevano trovato suo fratello e il fatto che avesse pensato al peggio riguardo a me e Allen aveva peggiorato le cose. L'avevo chiamato per le scale, al telefono, e gli avevo mandato una quantità sconsiderata di messaggi, ma Ian era sparito proprio come avevo fatto io mesi prima. Avevo quindi pensato che sentire lei e Ty fosse una buona idea.
E lo era stata. Per diverse ore, Ian non aveva risposto nemmeno a loro, ma Katy, dal giorno dell'incidente, aveva insistito affinché la posizione del suo telefono fosse tracciata dal suo. Sapeva che non era in sé, prima ancora del disastro con Allen. Fu così che lo trovarono completamente ubriaco in un hotel a Manhattan e lo riportarono a Skyville.
Quando la chiamai in quell'occasione, Katy mi rispose con un tono gelido. Il suo distacco mi ferì, ma lo compresi. Avevo abbandonato anche lei dall'oggi al domani. In quell'occasione, cooperò con me mossa solo dalla preoccupazione per il fratello. Mi avvisò una volta trovato, ma dopo essere tornata a casa, anche lei smise di rispondere alle mie chiamate e ai miei messaggi. A tutti tranne uno. Quello in cui le comunicavo che sarei arrivata quella sera e in cui le chiedevo conferma che Ian si trovasse a Skyville.

Sì, è qui. Dammi il numero del volo che ti vengo a prendere.

In quelle righe avevo intuito che le cose non stessero andando molto bene e che la mia amica aveva deposto le armi per amore del fratello.
Fu così che mi ritrovai nell'abitacolo della sua macchina, nel silenzio più tombale. Mi aveva aspettato seduta in auto fuori dall'aeroporto. Con un semplice sguardo mi fece capire che non si sarebbe degnata di scendere. Caricai quindi il mio trolley nel bagagliaio e salii dal lato del passeggero.
Mi salutò con un semplice "ciao" e non mi disse più nulla. Dopo circa dieci lunghi minuti, decisi di rompere quel silenzio.
«Non sto con Allen.»
«Lo so.» Rispose secca, come se avessi detto una cosa scontata.
«Non ci sono mai andata a letto. Non ci siamo mai nemmeno baciati.»
«Lo so.»
«Katy, è solo un buon amico.»
Rise sarcastica.
«Sai, Ember, è proprio questo il problema. Pensi che mi faccia piacere sapere che tu abbia un amico con cui convivi, ti confidi e che, soprattutto, sapeva come diavolo stessi e dove cavolo fossi! A differenza della sottoscritta?»
«Katy...»
«No, no... vuoi parlare? Allora parliamo. Perché in tutta questa storia sei stata solo una mera egoista del cazzo. Dopo tutto quello che abbiamo fatto per te, sparire così è stato davvero ignobile. Eravamo preoccupati, dannazione! E Ian? Lo hai abbandonato in un cazzo di letto dell'ospedale! Ti rendi conto? Ha attraversato l'inferno per te! Non se lo meritava!»
«Io... ho scritto a Tak per dirgli che stavo bene, che ero a New York e per ringraziarli di tutto quello che hanno fatto. Non ti ho chiamato perché ero sicura che mi avresti convinta a tornare. E non potevo permetterlo. Mi dispiace molto.»
Katy strabuzzò gli occhi, si aggrappò al volante e si voltò verso di me, esterrefatta.
«Mio padre ha sempre saputo dove fossi?» Rimase con la bocca spalancata, come se volesse dire qualcosa, ma rimase in silenzio per un altro quarto d'ora.
Solo una volta parcheggiato davanti al pub, spense il motore e iniziò a parlare con una voce affranta.
«Non riesco davvero a capire, e io capisco sempre tutto delle persone, anche se non so davvero cosa sia successo nel dettaglio. La gente è come un libro aperto per me, e lo eri anche tu. Ma ti giuro che ora non riesco a comprendere. Come ti sei comportata non ha davvero alcun senso.»
«Lo so, Katy, e ti prometto che ti racconterò tutto. Ma devo prima risolvere le cose con Ian.»
L'amica sospirò e indicò il pub. «È là dentro. Non so in che condizioni lo troveremo. Ha ripreso ad allenarsi, ma nei giorni di riposo si sfoga tra pub a qualche party. Lo stiamo lasciando fare perché sembra che funzioni. Non è più decisamente dedito al rigore e alla disciplina, ma il lunedì mattina si dà una ripulita e rimane sobrio e concentrato sugli allenamenti per tutta la settimana.»
«E Tyrone è d'accordo con questo nuovo equilibrio
«Non molto, ma non è più il suo allenatore. È Martin, ora, e sembra essere perfetto per il nuovo Ian. Ty si limita a supervisionare e a concentrarsi sui risultati che raggiunge, mentre prepara me alle gare mondiali.»
«Katy, ma è stupendo! Congratulazioni!» mi sforzai di sorridere, non perché non fossi contenta per la mia amica. Lo ero eccome. Ma avevo la sensazione che tutti avessero svoltato.
Che fossero andati avanti. Ian compreso. A modo suo, certo, ma aveva proseguito la sua vita e la sua carriera, a differenza mia. Per un attimo un pensiero mi assalì: venire a Skyville non era stata una buona idea e probabilmente lui non aveva più bisogno di sapere perché me ne fossi andata. Forse era stato più semplice così. Credere che avessi una relazione con Marcus Allen gli aveva dato la forza di reagire. Katy mi strappò però dai miei ripensamenti.
«Andiamo, Ember! Entriamo ora.»
Il pub era nel pieno del fervore tipico del sabato sera. Un miscuglio di odori mi avvolse come un abbraccio familiare. Un leggero sentore di sudore su tessuti di lana e pile, un forte aroma di malto e il caldo profumo della legna del camino. Scandagliai con lo sguardo l'intero ambiente brulicante di vita, persone che ridevano, urlavano e ballavano. Generalmente Ian spiccava tra la folla per la sua stazza, ma di lui non c'era traccia.
«Di là» mi indicò Katy.
Ci dirigemmo verso il bancone del bar, dove Tyrone era seduto a gambe aperte su uno sgabello, mentre parlava con un tipetto più giovane e più basso di lui. Un biondino dallo sguardo astuto, e con una mano infilata nella tasca posteriore dei jeans di una avvenente mora sulla quarantina.
«Ember, ben tornata!» mi salutò con un abbraccio Ty. «Lui è Martin, il nuovo allenatore di Ice.»
Martin si svincolò dalla sua bella bruna e portò la sua attenzione su di me. Mi strinse la mano in modo energico e iniziò a squadrarmi e studiarmi talmente intensamente da farmi provare un profondo disagio.
«Mio fratello dov'è?» andò subito al punto Katy.
«È andato in bagno.»
«Non direi, Ty. Guarda. La porta del bagno è semiaperta. Non c'è nessuno.»
Ci voltammo tutti per vedere una biondina barcollante che spalancò la porta del bagno e si fiondò dentro, probabilmente per vomitare.
Ty si alzò allarmato dallo sgabello per cercarlo tra la folla, mentre Martin afferrò per un braccio un ragazzo che si stava allungando verso il bancone per ordinare da bere.
«Hei! Hai visto Ice?»
«Sì, è uscito un poco fa. È andato a casa. Ha trovato un passaggio, credo. Non si reggeva davvero in piedi...»
Katy fulminò con lo sguardo Ty, il quale aprì le braccia verso il cielo con fare innocente.
«Andiamo a casa!» ringhiò lei, afferrandomi per un braccio e trascinandomi fuori dal pub.
In macchina fui io a non proferire più parola. Non ero pronta a tornare a casa, o per lo meno nel luogo che avevo percepito come tale. La dimora di Ian era stata il mio posto sicuro, il mio rifugio e significava tutto per me. Tornare a Skyville era già stato difficile, ma sapevo che sarebbe stato straziante rimettere piede proprio lì, tra quelle quattro mura e poi dover andarmene di nuovo.
Katy scese dalla macchina con me e mi precedette camminando nervosamente verso l'appartamento di Ian. Non sapevo il motivo della sua inquietudine, ma pensai che fosse semplicemente arrabbiata perché Tyrone aveva perso di vista suo fratello mentre era ubriaco fradicio.
Già dal parcheggio notai che le luci dell'area living erano accese, segno che Ian fosse davvero a casa, ma una volta arrivate vicino alla porta di ingresso, Katy si bloccò e arretrò imprecando.
Poi si voltò di scatto con il volto congelato dal panico.
«Credo sia meglio se dormi in camera mia stanotte, o nella dependance... Ci parlerai domani mattina quando sarà più sobrio.» esclamò allarmata, spingendomi verso casa dei suoi genitori.
«Katy, lasciami!» Mi divincolai dalla sua presa con talmente tanta forza che la spinsi leggermente e poi la vidi, oltre la sua spalla, l'immagine che frantumò definitivamente il mio cuore in un milione di pezzi, talmente piccoli da non poter essere più ricomposti.
Di dolore ne avevo vissuto tanto nella mia vita. Prima la perdita dei miei, poi quella di mio fratello e infine tutto quello che mi avevano fatto Alan e Deamon, ma nulla fu come vedere che sul nostro divano, dove avevamo passato alcuni dei nostri momenti più dolorosi, intimi, felici e passionali, Ian era seduto con gli occhi chiusi, la bocca contorta dal piacere e i pantaloni abbassati. Ai suoi piedi una sconosciuta saliva e scendeva con la testa. Quella scena mi disintegrò totalmente l'anima. Qualcosa si ruppe irreparabilmente dentro di me e la mia vita finì lì, davanti a quella porta.
In quell'istante ebbi la certezza che Ian era andato avanti e che il luogo che avevo sentito come casa avesse definitivamente smesso di esistere.
Mi accasciai sulla giacca di Katy per un attimo per trattenere una lacrima di dolore, poi mi ritirai e mi allontanai barcollando.
«Mi dispiace, Ember. Sono sicura che non significhi nulla. Fa parte solo del pacchetto sfogo del weekend.»
«Certo, forse dovevo imaginarlo» dissi, iniziando a sentire la mia voce sempre più rotta.
«Se solo Ty non lo avesse perso di vista...»
«Non fa niente, Katy.» dissi ormai ansimando.
«Cosa vuoi fare ora? Vuoi fermarti a dormire nella dependance? Posso stare con te se vuoi, o preferisci che ti accompagni da Marcus?»
Mi soffermai per un istante e guardai i monti candidi di neve che ci circondavano. Se prima la loro presenza mi faceva sentire protetta, in quel momento iniziai a provare un senso di soffocamento. In preda a quel dolore opprimente, le lacrime iniziarono a rigarmi il volto.
«No, Katy. Non credo di riuscire a stare un secondo di più a Skyville. Ti prego, riaccompagnami in aeroporto.»

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