53. Deadlock
ICE
L'amore sincero è qualcosa che si sacrifica, non qualcosa che si concede. L'amore sincero è responsabile. Non farebbe mai male consapevolmente, ma guarirebbe.
(Richard L. Evans)
Riemersi dalle sue gambe mentre il suo corpo stava ancora tremando.
Era appena esplosa in un orgasmo forte e violento. L'avevo sentita contorcersi sulle mia dita e la mia bocca era stata inondata dai suoi umori, ma Ember sembrava non averne abbastanza.
Mi attiro a sè aggrappandosi al mio collo e mi implorò «Ti prego, ho bisogno di te. Ancora.»
«Ci speravo, piccola.» Le risposi.
In effetti sentirla gridare così forte mi aveva fatto venire il cazzo ancora più duro, talmente tanto che mi stava causando dolore. Avevo una dannata necessità di sprofondare in lei, di sentire che eravamo ancora legati, che non potevamo fare più a meno l'uno dell'altra. Questo perché sapevo bene che tutta l'intensità della nostra relazione sarebbe presto scemata una volta usciti dalla camera da letto.
Già, erano tre settimane che la mia scoiattolina faceva l'amore con me con disperazione, urgenza e con una voracità che mi davano sempre più alla testa. Si comportava come se ogni dannato amplesso fosse l'ultimo. Come se dovessimo perderci subito dopo, e in certo senso era proprio così.
Se a letto mi permetteva di sentirla sotto la pelle, di leggerle negli occhi tutto quello che voleva e che provava, o più semplicemente, si lasciava amare, fuori dalle lenzuola cambiava tutto.
Si chiudeva in se stessa, dietro mura alte e spesse che non riuscivo in nessun modo a combattere. E di pareti alte, verticali e ghiacciate, ne sapevo qualcosa, ma quelle di Ember mi facevano sempre più paura.
La distanza che riusciva a mettere tra noi in pochi istanti, non appena fuori dalla camera da letto, mi stava dilaniano ogni giorno di più. Un sottofondo di agoscia mi attanagliava le budella per tutto il giorno, finché la sera non tornavamo in camera e facevamo l'amore come se nulla fosse.
Dormiva avvinghiata a me tutte le notti e tutte le mattine ci ritrovavamo uno dentro l'altro senza nemmeno essere ancora del tutto svegli. Una volta in cucina invece non c'era verso che io potessi avvicinarla, sia con il corpo, che con la mente.
Come sempre quella mattina, stavo sorseggiando pigramente un caffè, mentre Ember evitava il mio sguardo concentrandosi sul farcire il suo bagel. Quando si sedette al bancone affianco a me, tirò fuori il cellulare per controllare le mail e io cercai invano un punto di dialogo con la scusa del lavoro.
«È tutto pronto per la conferenza stampa giù all'hotel?»
«Sì.»
«Dobbiamo essere lì mezz'ora prima?»
«Sì.»
«Ci sarà anche Bill?»
«Sì.»
«Ha confermato anche il Times.»
«Sì.»
«Torneremo come prima una volta finito questo evento?»
Ember aprì la bocca per esalare un'altro secco sì, senza nemmeno guardami in faccia, ma qualche frazione di secondo dopo, una volta elaborata quella domanda inaspettata, si bloccò.
Alzò gli occhi e finalmente riuscii ad incrociare il suo sguardo. Durò pochi istantanti, ma furono sufficienti per intravedere un mare di tristezza e rammarico. Poi abbassò la testa tornando a schiacchiare l' avocado sul bagel e rialzò quelle maledette mura, come se non le avessi appena letto nell'animo.
«Non capisco a cosa ti riferisci.»
«Oh andiamo, Ember! Sono settimane che non riusciamo a parlare!»
«Mi sembra che stiamo parlando ora, no?»
«Non è così. Non riesci a guardami nemmeno in faccia.»
Sospirò, alzò lo sguardo con esasperazione, ma non riuscì comunque portalo verso di me. Lo rivolse verso la finestra, verso la cima della montagna e per un attimo i suoi occhi mi sembrarono quasi lucidi.
«Ember, piccola...» la implorai ancora di voltarsi verso di me.
Ma non lo fece. Strinse le labbra e incrociò le braccia.
«Ehi, non ti riconosco più. Io non riesco a capire... Sei sempre stata così professionale sul lavoro o in situazioni critiche che ti riguardavano direttamente. Non ci credo che ora per una piccola divergenza di opinioni su un evento siamo arrivati a questi punti.»
«Mi sembra di essere professionale anche ora. Sto facendo tutto quello che c'è da fare. La tua domanda dopotutto non riguardava il lavoro.»
«Ember, Cristo... non prendiamoci in giro.»
Riportò il suo sguardo sul begal e sospiró ancora.
«Senti, Ian, ho solo bisogno di tenere la nostra relazione ben separata dal lavoro per il momento. Questo è l'unico modo che ho di riuscire ad essere professionale in questa situazione. Non chiedermi di più, ti prego.»
«Quindi è un sì? Finita la discesa sul Divil tornerai a guardami in faccia?»
«Sì, credo di sì.» Mi rispose con un filo di voce e con un tono triste, ma sincero.
Attesi qualche istante sperando che mi guardasse di nuovi. Ma non accadde.
Quando avvicinai la mano al suo braccio, mollò il begal nel piatto e sia alzò di scatto.
«Io scendo, vado con la mia macchina. Voglio controllare che sia tutto a posto.»
Si diresse verso l'ingresso, aprì il guardaroba e una volta vestita si dileguò verso il garage senza salutarmi.
Rimasi lì, inerme e in silenzio.
Avevo sottovalutato il disappunto di Ember riguardo quella discesa estrema. Non mi ero reso conto che la cosa poteva portarci ai ferri corti. Ma io avevo avuto bisogno di quell'evento più dell'aria, dopo quello che era successo con Ty e mia sorella. Dovevo concentrarmi su qualcosa per evitare di affrontarli apertamente. Ero ancora troppo arrabbiato per farlo. Senza contare che l'organizzazione e le riprese della serie mi avevano dato la possibilità di tagliare fuori il mio allenatore, stando lontano dall'half pipe. Avevamo stabilito un periodo di ferie e guarda caso il giorno seguente, mia mamma mi comunicò che Katy si sarebbe recata sulle Alpi con una amica. Per due settimane.
Dall'altro lato però, non vedevo l'ora che le riprese di quel dannato short film finissero. Ember ovviamente non volle comparire né in veste di mia ragazza, né in veste di manager, ma nonostante tutto, eravamo arrivati quasi alla fine.
Il giorno seguente l'elicottero mi avrebbe portato in cima. Le condizioni meteo previste erano perfette. La neve era ben compatta, le temperature erano sufficientemente basse e il vento sarebbe stato completamente assente, agevolando così le riprese aeree.
Avevo controllato la traccia con Bill e con i tecnici non so quante volte quella settimana. Era tutto sotto controllo. Ma il comportamento di Ember non mi rendeva tranquillo.
La conferenza stampa era stata organizzata alla perfezione, grazie a lei e agli addetti delle Firewings. Quella sera, invece, ci sarebbe stato un party presso il Grand Hotel di Skyville.
Dopo la conferenza, non vidi Ember per tutto il resto del giorno e nel pomeriggio mi inviò un messaggio dicendomi che ci saremmo visti direttamente alla festa.
Non appena entrai nella sala, la notai immediatamente. Indossava un paio di pantaloni in pelle larghi in basso, ma che le fasciavano il sedere alla perfezione, e una morbida camicia di seta nera che non vedevo l'ora le scivolasse via dai suoi seni. I capelli erano sciolti e le ricadevano in morbide onde come se fosse appena uscita dal parrucchiere. Avvicinandomi notai che era anche truccata. Se mia sorella non fosse stata oltreoceano, avrei giurato che ci fosse il suo zampino dietro quell'outfit così elegante e sensuale.
Preferivo sempre la mia scoiattolina in versione acqua e sapone, spettinata tra le lenzuola, ma quella sera Ember era raggiante e sembrava anche più rilassata, mentre sorrideva e chiacchierava con Mike Gillis, il regista dello short film.
Solo una volta raggiunti, sentendo una sua risata, mi resi conto che il suo atteggiamento disteso non era dato da una semplice rilassamento, ma piuttosto da qualche bicchiere di troppo.
«Eccola qui la nostra Star!» esordì Mike. «Splendido come sempre! Oggi però hai concorrenza, Ice! Hai visto le ragazze come hanno reso ancora più bella la tua dolce metà?»
«Già, ho notato.» Dissi mangiandomi Ember con gli occhi e lei ricambiò il mio sguardo con un sorriso malizioso. Fui felice di constatare che era rilassata anche con il sottoscritto. Talmente tanto che si avvicinò e mi diede un bacio sulle labbra all'apparenza casto, per lo meno per tutti gli occhi indiscreti, ma io sapevo bene quanto valesse quel gesto lontano dalla nostra camera da letto.
«Mi dispiace dirtelo Ice, ma stasera abbiamo vinto, dove tu hai fallito! Abbiamo convinto Ember a comparire nelle riprese.»
«Davvero?» Le sorrisi inzialmente meravigliato da quel cambio di atteggiamento. Ember voleva prender parte davvero al progetto? Presi a studiarla mentre faceva oscillare il calice di vino e mentre gesticolava chiacchierando. Ero sicuro che gli altri non stavano notando il suo stato di ebrezza. Stava mentendo un atteggiamento normale, educato e professionale, ma per me è era evidente a cosa era dovuto il suo insolito atteggiamento.
Quando Mike venne rapito dall'assistente del sindaco di Skyville. Rimasi da solo con Ember, la quale non smise di sorridermi.
«Sei bella da mozzare il fiato, piccola. Questi pantaloni sono un attentato alla mia salute mentale, ma la cosa che indossi ancora meglio è il tuo sorriso.»
Non rispose, ma non distolse nemmeno lo sguardo. Solo il suo mordersi il labbro inferiore tradì il nervosismo dovuto a quanto era celato nel mio complimento.
«Mi dispiace, Ian, per come mi sono comportata in questo periodo. Non sapevo come affrontare questa situazione.»
Rimasi in silenzio e non risposi con la speranza che continuasse ad aprirsi.
«Mi dispiace anche che ci è voluta quasi una bottiglia di vino per chiederti scusa e parlarti a cuore aperto. Ma vedi, io non sono arrabbiata con te, come pensi. La mia è solo paura.»
Abbassò la testa e mi negò nuovamente il suo sguardo non appena la sua voce si incrinò e i suoi occhi si fecero lucidi.
«Una paura fottuta per domani.» Ripetè fissando il bicchiere e facendo passare nervosamente l'indice sul bordo.
Non appena fece per portarselo alla bocca, lo afferrai e lo posai assieme al mio su un vassoio di un cameriere che passava di lì in quel momento. Poi tornai vicino a lei, le sollevai il mento costringendola a guardami negli occhi. Non oppose resistenza. Era tornata la mia scoiattolina dolce e mansueta.
«Non vado da nessuna parte Ember. Domani non sarà così diverso da qualsiasi altra gara che faccio normalmente.»
«Lo so.» Mi rispose con un a voce piena di rammarico. Sapevo che non c'erano parole che potessero rassicurarla, perché le sue paure erano infondate. Così mi limitai a stemperare quella tensione.
Mi avvicinai alla sue labbra e iniziai a sussurrarle.
«Dietro al fatto che hai ripreso a parlarmi, c'è una bottiglia di vino. E dietro alla tua decisone di firmare per comparire nella serie, cosa c'è?»
Ember allargò le labbra in un sorriso teso e aspirò l'aria. «Uni. O forse due mojiti?»
«Quindi se ti baciassi qui davanti a tutti e le telecamere ci riprendessero non sarebbe molto corretto?»
Di tutta risposta la mia scoiattolina colmò la poca distanza rimasta, si arrampicò sul mio torace e mi baciò appassionatamente.
Mi feci trasportare in quel vortice dolce, rude e spontaneo che stavano creando le sue labbra e la sua lingua. Feci passare le mani dietro la sua schiena e la strinsi ancora di più a me. Per qualche istante il mondo intorno a noi sembrò scomparire. Sentivo solo il sollievo per quello che stava accadendo. Ember non stava più scappando, ma le era bastato rilassarsi un attimo per aprirsi e tornare da me.
Tuttavia, come avevo previsto, pochi istanti dopo la luce led di un faretto della videocamera mi accecò. Mi staccai per un breve istante, giusto per capire se anche Ember fosse coscia che qualcuno stavano riprendendo un nostro momento intimo, ma quando mi rispose con un sorriso malizioso, ricomincia a baciarla ancora con più urgenza di prima.
Mi stavo prendendo quello che desideravo da settimane, stavo dando a Ember quello di cui aveva bisogno e stavo regalando anche alla produzione ciò che volevano spasmodicamente, ma che non avevano mai avuto il coraggio di chiederci in modo diretto.
«Ehi, Ice! Vacci piano o ci guadagneremo qualche bollino rosso vietato ai minori!»
Bill interruppe il nostro bacio, ormai troppo al centro dell'attenzione.
«E poi niente sesso ragazzi sta notte, questa regola fa parte delle procedure di sicurezza!»
Ember si fece passare un indice sulle labbra per sistemarsi il rossetto e rispose con un sorriso tirato a quella battuta che probabilmente aveva appena rivangato tutte le sue paure. Prima di staccarmi del tutto da lei e venire risucchiati nel turbine del party, mi avvicina al suo orecchio e le sussurrai la promessa di cui pensavo avesse tanto bisogno.
«Non mi succederà niente piccola, te lo prometto.»
Contrariamente e quanto avevo pensato, a quelle parole il volto di Ember si rabbuiò nuovamente. Mi guardò come se l'avessi appena pugnalata, poi mi diede le spalle e sparì verso il bar.
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