50. Anger and Fear

EMBER

"Se non puoi dire la verità alle persone a cui tieni di più, alla fine non riesci a dirla neanche a te stesso."
(Cassandra Clare)

Sedici ore. Bastarono solo sedici ore per spazzare via tutte le mura che avevo eretto da quando, quella mattina a Laax, Ty ci aveva preannunciato l'inizio di quella catastrofe. Poco importava che ne era scaturito uno dei movimenti più positivi e costruttivi riguardante gli abusi sessuali. Così come non mi era importato di vincere la causa.
Certo, sapere che Alan e Deamon non avrebbero fatto più del male a me o a qualsiasi altra ragazza era un risultato a cui non ero di certo indifferente, ma ero arrivata in fondo al processo completamente svuotata.
Era come se fossi entrata in modalità riserva. Non avevano più le forze per qualsiasi emozione, bella o brutta che fosse. Qualsiasi interezione, anche quelle con Ian, mi costava delle energie che non possedevo. Mi sentivo uno sacchetto malconcio e abbandonato, che fluttuava nell'aria ovunque lo portasse quel vento soffiato dalle persone che mi erano vicine.
Così avevo pensato che passare una serata da sola mi avrebbe aiutato a tornare in contatto con me stessa, e in effetti mi era servito. Non festeggiare l'esito del processo era stato un po' come sottrarmi da quel turbine spiacevole in cui ero piombata durante la nostra permanenza in Svizzera.
Tuttavia non era stato abbastanza. Avevo ritrovato me stessa solo unicamente una volta lì, su quel tappeto, davanti al camino, avvolta dal mio plaid preferito e sopratutto avvolta nuovamente dal corpo di Ian. Tra le mura della sua dimora avevo ritrovato anche lui e soprautto noi.
Ero finalmente tornata a sentirmi del tutto a casa.
Avevamo fatto l'amore in un modo che non avevamo mai sperimentato prima. Le nostre anime si erano unite, così come i nostri corpi. In una danza tenera, ma allo stesso tempo disperata. Avevamo curato tutte le ferite che ci eravamo inferti l'un l'altro negli ultimi mesi.
O almeno così avevo pensato quella mattina, dopo quella dolcissima prima notte a casa.

Anche se non avevamo appuntamenti di lavoro e davanti a noi ci aspettava una giornata di meritato riposo, il risveglio a Skyville era stato meravigliosamente simile alla nostra routine,
prima della partenza di Ian per Park City.
Era stato tutto così confortante e mi aveva ricordato che nonostante tutto quello che poteva succedere, noi potevamo sempre ritrovarci. A casa.
Avevamo fatto l'amore a letto, poi sotto la doccia e poi avevamo improvvisato una colazione con quello che avevamo trovato in cucina. Avremmo potuto andare da Tak e Mari, ma Ian sembrava aver capito che avevo bisogno della nostra bolla ancora per un po'. O forse, più semplicemente, ne aveva bisogno anche lui.

Ma come tutte le bolle, bastò davvero poco per farla scoppiare.
Mentre parlavamo del più e del meno riguardo il lavoro, caddi dalle nuvole proprio su una questione che la mia mente aveva rimosso, in quanto non ero stata in grado di affrontarla a ridosso del processo.
«Piccola, mentre eri sotto la doccia, ho mandato quel contratto alla Firewings. Non volevo darti ulteriori pensieri settimana scorsa, così l'ho rivisto io con Lee.»
«Quale contratto? Mi sembrava di aver già chiuso tutto riguardo la sponsorizzazione.»

«No, non sto parlando della sponsorizzazione sul casco. Quella della discesa sul monte Divil. Bill mi ha messo fretta per poterla girare quest'anno. Dovremmo iniziare tra tre settimane.»
La mia mente rifiutò inizialmente quello che le mie orecchie avevano appena sentito.
«Credo di non riuscire a seguirti...»
«Mi dispiace, piccola. È successo tutto proprio nei giorni più complicati. Forse non te lo ricordi, è comprensibile...»
«Non riesco a capire di cosa tu stia parlando, Ian.» Ribadii spazientita.
«Ti ricordi Bill, Bill Mayer? Mi ha detto che vi siete incontrati al rifugio su al Corvatsch e che ti aveva parlato del progetto di Backcountry. Ti aveva anche mandato una mail in cui mi aveva messo in copia, ricordi? Abbiamo parlato un po' in seggiovia e gli ho spiegato che non eri in un buon momento. Così ho portato avanti io la cosa direttamente...»
Smisi di respirare e come spesso accade nelle cadute dolorose, un moto di rabbia devastante mi pervase, distruggendo tutto quello che avevamo ricostruito nelle ultime ore.
«Scusami Ian, credo di avere ancora qualche difficoltà a comprendere. Mi stai dicendo che ti sei permesso di dire ad un resposabile media della Firewings che non ero in grado di fare il mio lavoro? E non contento sei andato avanti con lui senza nemmeno accennarmi nulla?»
Ian mi stava fissando sbigottito.
«È che... Beh, insomma... non era molto semplice comunicare con te settimana scorsa... mi spiace, non avevo intenzione di scavalcarti, pensavo solo di alleggerirti.»
«Oh, scusami tanto se non ero in vena di parlare, sopratutto di certe stronzate! Non sarà che forse mi hai invece bypassato perché avevi paura che ti dicessi che era un progetto davvero di merda?»
«Ehi... cosa ti prende? Non è un progetto di merda. È una cosa che ho sempre voluto fare. Mi piace l'idea di parlare di sicurezza nella mia professione e allo stesso tempo promuovere il territorio con delle immagini mozzafiato.»
«Promuvoere la sicur... Dio mio, Ian! Ti senti quando parli? Eppure non sei un ingenuo! Non c'è niente di sicuro in quel progetto! Niente! Men che meno ora che l'innalzamento delle temperature è alle porte! Il pericolo di valanga è troppo alto per non parlare di quello di un infortunio. Un solo piccolo errore e ti sfracellaresti sulle rocce dimenticandoti l'half pipe per sempre! O peggio ancora ci rimetteresti la pelle.»
«Hei, piccola, calmati. Ti prometto che faremo le cose a modo. Non è detto poi che farà così caldo fra tre settimane .»
«Sono cazzate! Pensi che si tireranno indietro per due gradi in più dopo che avranno messo in piedi tutto? Elicotteri, video operatori, autori, medici, altri sponsor? Hai idea di cosa c'è dietro una produzione simile?»
«Sì, Ember, certo che ce l'ho. Non sono diventato uno rider professionista l'altro ieri. So bene come funzionano queste cose!»
«Oh certo! Giusto...E sopratutto non hai bisogno di me, a quanto pare. Erano tutte cazzate. Delle stupide e inutili cazzate quando volevi farmi firmare il contratto di agente, dicendo di valorizzare il mio lavoro. È così che lo valorizzi? Agendo alle mie spalle senza dirmi nulla quando divento scomoda?»
La sua espressione passò dall'irritato all'affranto.
«Ember, davvero, ora calmanti. Non capisco cosa ti stia prendendo. Non voglio litigare con te. Ti giuro che pensavo davvero di farti un favore occupandomene personalmente. Non volevo bypassarri, te lo ripeto. Capisco le tue preoccupazioni, ma ci tengo davvero a questo progetto e le basi erano già state gettate l'anno scorso.»
«Benissimo. Quindi farai di testa tua anche questa volta?»
Il suo volto sbiancò e si indurì improvvisamente come se gli avessi tirato una schiaffo in pieno volto.
«Questa volta?» mi chiese tra lo sconcertato e l'incredulo.
«Beh...dopotutto non è la prima volta che ti chiedo di non fare qualcosa e tu la fai comunque, no? Almeno la prossima volta non dipingermi come tua agente, se non hai intenzione di ascoltarmi nemmeno su questioni lavorative.»
«Quindi alla fine è di questo che si tratta? Del fatto che ho spaccato la faccia ad Alan Ross gettandoti in una situazione che non volevi affrontare?»
Il suo tono era diventato duro, quasi rabbioso, e io rimasi in silenzio. Sospirò e si passò una mano tra i capelli in preda alla frustrazione. In quell'istante i suoi occhi mi sembrarono improvvisamente tristi e stanchi.
«Cavolo, Ember. A quanto pare sei tu a non essere stata sincera. Non dovevi reprimere la tua rabbia così, per poi esplodermi contro alla prima occasione. Ho fatto un errore. Un errore gigantesco, ma ero pronto a pagarne le conseguenze anche a costo di rinunciare alla mia carriera per sempre. Non mi fraintendere. Io ti sono infinitamente grato per tutto quello che hai dovuto affrontare. Mi hai davvero salvato, ma se il processo non era quello che volevi anche tu, nemmeno in piccola parte; se è stata una cosa che ti ha distrutto e ferito ancora di più di quello che ti hanno fatto loro due; se tutto quello che è successo nelle ultime settimane ha irremidiabilmente rotto quello che c'era tra noi, io....»
La sua voce si incrinò per un istante e dovette deglutire prima di poter continuare.
«...Io avrei scelto mille volte di non toccare più una tavola per il resto della mia vita. Almeno così non ti avrei perso, come sembra stia davvero accadendo...»
L'ultima frase fu quasi un soffio e Ian si alzò dallo sgabello facendo guizzare la mascella. Aveva gli occhi lucidi e la sua postura incerta tradiva nervosismo.
Non volevo che Ian pensasse che provavo rancore nei suoi confronti per via dell'aggressione ad Alan e di tutto quello che ne era conseguito. Non era così. Ero arrabbiata sì, ma semplicemente perché ero spaventata a morte dalla storia della discesa dal monte Divil.
Aprii la bocca per dire qualcosa, anche se non sapevo bene cosa, ma lui mi ignorò.
Si avviò verso la porta di ingresso e quando la spalancò, si trovò davanti suo padre.
Lo fece entrare senza dire una parola e poi proseguì la sua fuga all'esterno.
Rimasi lì senza parole, davanti a Tak che faceva correre lo sguardo tra me e lui. Mi stava guardando con un aria preoccupata e una tacita speranza di non aver intuito il motivo della nostra discussione.

«Va tutto bene, Ember?» mi chiese una volta riamasti soli.
Scossi la testa.
«Ti prego dimmi che non riguarda quello che penso...»
Sospirai e abbassai gli occhi in una ammissione.
«Gliene hai parlato?»
Scossi la testa. «Non ancora, ma ho dato di matto. Nei giorni scorsi ha firmato un accordo con la Firewings per una discesa di Backcountry. Non ne sapevo nulla.»
«E? Non ti sembra che sia organizzato seriamente?»
«Non credo io possa essere molto obbiettiva a riguardo...»
«E' comprensibile. E lo comprenderebbe anche lui, se sapesse tutta la verità.»
«Non lo so Tak, sembra tenerci molto a questo progetto e ci sono state molte altre incomprensioni tra di noi nelle ultime settimane. Forse dovrei solo fare un passo indietro e cercare di gestire le mie fobie.»
Takashi mi fissò per un lungo istante. Sembrava soppesare quello che stavo dicendo. Stava cercando di capire se ci fosse un fondo di fattibilità in quello che avevo appena sostenuto.
«Pensi davvero di poterlo fare? Insomma, voglio dire, immagino sia già difficile l'idea di stare con qualcuno che rischia l'osso del collo sull'half pipe. Ma la stessa identica cosa...»
«Non lo so. Ma glielo devo, Tak. Avrebbe davvero appeso la tavola al chiodo per me,
se glielo avessi permesso. Il minimo che possa fare è non permettere a miei blocchi mentali di interferire negativamente sulla sua carriera.»
Per un lungo istante si limitò a guardami in modo penetrante, dritto negli occhi.
Nelle sue pupille leggevo apprensione, scetticismo, insofferenze e tanta preoccupazione.
«Ember, come hai detto tu, ci sono state tante incomprensioni. La cosa migliore in queste situazioni è sempre la verità.»
Sapevo che Takashi aveva ragione, ma io non lo ascoltai comunque.

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