48. Corvatsch
EMBER
"La violenza contro le donne non è solo fisica. Talvolta, un titolo o un articolo possono avere un impatto psicologico sulle donne e aumentare il senso di isolamento che spinge le vittime a ritirare le denunce"
(Marina Castellaneta)
Arrivai in vetta solo in tarda mattinata. Ordinai una cioccolata calda e sistemai il portatile su uno dei tavoli rialzati che dava verso la vetrata.
Mi persi per qualche istante ad ammirare la distesa ghiacciata del lago di Saint Moritz e l'intera valle dell'Engadina. Completamente innevata, con i monti che circondavano il lago, sembrava un paesaggio fatto interamente di cristallo. Un piccolo gioielllo maestoso che sprigionava lusso e ricercatezza anche nella semplicità della sua natura.
La nostra seconda tappa Svizzera si era rivelata tuttavia molto diversa da quello che mi ero immaginata.
Non ero mai stata a Saint Moritz. Alan non mi aveva mai portato nelle tappe Europee. Fortunatamente, avevo pensato con il senno di poi. Mi ero illusa infatti che avrei vissuto con Ian una esperienza dolce, romantica e del tutto inedita in quella località tanto blasonata, ma le cose non andarono così.
Qualcosa in me si era rotto, nonostante le parole di Ian alla conferenza stampa fossero state un successo senza precedenti e sotto diversi fronti.
Il suoi profili social erano esplosi ancora di più, guadagnando follower anche tra chi non era appassionato di snowboard. La cosa incredibile però, non era stato quel risvolto di carattere commerciale, ma bensì qualcosa di più elevato, sul piano sociale.
Il suo discorso aveva fatto talmente tanto breccia nei media, da aver creato infatti un tam tam mediatico con tanto di hashtag #unbroken, con cui migliaia di vittime di abusi in tutto il mondo erano uscite allo scoperto, postando la foto di un loro momento pieno di gioia e felicità, a testimonianza del fatto che si poteva avere una vita piena e felice anche dopo un violenza.
Si erano esposte in prima linea anche attrici e altre persone del mondo dello spettacolo, dello sport e della politica.
Eravamo stati felici che da una nostra situazione così spiacevole fosse scaturito un messaggio positivo e di così forte impatto. Allo stesso tempo però, la nostra felicità, probabilmente perché appesa ad un filo troppo sottile, si era infranta, strappandoci dalla nostra pausa serena e facendoci ripiombare nell'incubo del processo in corso.
Se tutte le vittime nel mondo ora inneggiavano e spronavano a non permettere che gli effetti dell'abuso si protrassero nel tempo, io ero rimasta senza più le forze di reagire e tutelare la felicità che io e Ian avevamo raggiunto così a fatica.
Anche se il movimento #unbroken aveva preso piede e aveva catalizzato l'attenzione, c'era stato comunque un lento e constante scavare riguardo la nostra relazione e il mio passato con Alan. La cosa mi aveva snervato molto di più di quanto potessi immaginare.
Non essendoci atti pubblici e non avendo più rilasciato ulteriori dichiarazioni, le voci erano inoltre state tra le più disparate e infondate che avessi mai letto.
Non erano bastate le rassicurazioni di Thomas Lee o i continui rimproveri di Ian ogni volta che monitoravo cosa i media stessero dicendo sul processo. Mi ero inevitabilmente piano piano chiusa in me stessa.
Ne avevo parlato a lungo sia con la psicologa di New York in videochiamata, che con Ian.
Avevo espresso il desiderio di rimanere sotto tono almeno fino al processo ed entrambi avevano compreso e leggettimato il mio bisogno, a patto che fosse appunto per un periodo ben definito.
Non avevo quindi presenziato alla gare quella settimana e nemmeno agli eventi. Non c'era nemmeno stato bisogno di festeggiare perché Ian era arrivato solmente quarto alla prima edizione dell'European Cup, volta ad inaugurare il nuovissimo Super Pipe del Corvatsch.
Per quando non volesse darlo a vedere, tutta quella storia aveva turbato anche lui e la sua concentrazione ne aveva immancabilmente risentito.
Ad ogni modo la settimana era giunta al termine ed io ero riuscita a starmene nel mio guscio senza partecipare ad eventi pubblici.
Avevamo tuttavia ancora qualche giorno da trascorrere in quella meravigliosa prigione ghiacciata, prima di rientrare negli Stati Uniti per il processo e Ian e Ty investirono quelle giornate per compensare il fermo di allenamenti che avrebbero subito durante i nostri gironi a Denver.
Ian però aveva insistito per avere qualche ora tutta per noi, ma anche io volevo portarmi avanti con il calendario editoriale in programma, così aveva lasciato che mi rintanassi in albergo a lavorare, ad eccezione di quell'ultimo girono.
Mi aveva fatto promettere di raggiungerlo al rifugio in vetta al Corvatsch per pranzare assieme e fare qualche discesa con lui. Aveva insistito in quell'unico caso perché sosteneva che mi sarei pentita di non aver fatto nemmeno una pista in quel ben di Dio di comprensorio.
Così avevo accettato quando la sera prima si era presentato a casa con tavola e scarponi a noleggio, e delle tute da snowboard, caschi e maschere di un frachaising di abbigliamento sportivo low cost, sostenendo che i completi erano talmente anonimi che saremmo passati completamente inosservati.
Non mi ero resa conto di quanto il trascorrere del tempo sulla neve mi manchesse fino a quella mattina, quando mi ero svelgiata con una strana frenesia. Non riuscivo nemmeno a concentrarmi sul lavoro perché fremevo per andare all'aria aperta.
Alla fine cedetti e uscii dalla mia tana con largo anticipo rispetto al nostro appuntamento. Feci qualche pista da sola e poi mi fermai al rifugio per finire il lavoro che mi ero prefissata per quel giorno.
Erroneamente mi ero illusa che all'interno del locale un cappellino e dei grandi occhiali da sole potessero garantirmi lo stesso anonimato che Ian aveva predisposto così bene con i nostri outfit, quando una voce maschile interruppe il mio flusso di lavoro.
«Signorina Sullivan, è stato maledettamente difficile riuscire a trovarla questa settimana.»
Mi voltai verso un signore dai capelli brizzolanti, gli occhi azzurri e la tipica abbronzatura scura da neve. Aveva un aria familiare, ma non riuscivo a richiamare alla memoria come lo conoscessi. Lo guardai per un attimo senza proferire verbo e lui squadrò il mio outfit da capo a piedi.
«Oh, mi scusi. Non volevo essere indiscreto. È evidente che stia ricercando l'anonimato.» Disse posando nuovamente lo sguardo sul marchio posto sul fronte del mio pile.
Non risposi ancora. Ero infastidita da quell'incontro e allo stesso tempo mi sentivo confusa.
Comprendendo il mio disorientamento, mi tese la mano.
«Forse è meglio ripresentarci. Sono Bill Mayer, nuovo direttore della Firewings Team Media. Ci hanno presentati durante la festa al Rocket Resort la settimana scorsa.»
«Oh mio Dio mi scusi! È che è stata una serata molto confusa.»
«Non c'è assolutamente bisogno di scusarsi, era un momento di giusti e sacrosanti festeggiamenti, non di relazioni pubbliche. Tral'altro ci tengo a cogliere l'occasione per dirle che mi spiace molto per quello che è successo il giorno successivo. Spero che questa storia si concluda davvero presto nel migliore dei modi.»
«Già... La ringrazio molto per le sue parole.»
«Oh ti prego, diamoci del tu.»
«Certamente. Cosa posso fare per te, Bill?»
«Vedi, so che ora sei praticamente l'agente di Ice e che ti occupi tu di tutta la sua comunicazione e dei rapporti con gli sponsor. L'ho incrociato diverse volte sulle piste questa settimana, ma ci tenevo a parlare prima con te.»
«Ti ringrazio molto per l' accortezza, ma come puoi immaginare abbiamo dei ruoli molto trasversali data la natura del nostro rapporto privato.» Spiegai ancora a disagio per la mia posizione ambigua.
«Beh ad ogni modo, visto che ormai ti ho disturbato vorrei esporti brevemente la mia proposta.»
«Certo! Sono molto felice di sentirla.» Mentii fingendo entusiasmo, mentre in realtà ero ancora in preda al mio stato di orso in letargo. Dal'altra parte però era il mio lavoro e Bill sembrava un tipo davvero a posto.
«Vedi, sono anni che La Firewings media ha in mente un progetto per Ice e ora che Skyville è stata riposizionata come meta esclusiva, pensiamo sia il momento perfetto sia per lui come atleta, che per il territorio.»
«Mi sembra perfetto! Sono tutta orecchie.»
«Abbiamo pensato ad una discesa backcountry sul monte Divil, sponsorizzata interamente da Firewing con relativo party a seguire. Verrà girato un documentario di tre puntate. Uno sulla preparazione atletica, una sulla logistica e una su tutte le operazione di sicurezza. So che Ian tiene molto a questo aspetto... »
Bill continuò a parlare per non so quanto altri minuti, ma il mio cervello si era bloccato alla prima frase. Alla parola "backcountry" . Non avevo sentito più altro. Il cuore aveva iniziato a battermi all'impazzata e avevo smesso di respirare. La mia mente era tornata a Chamonix, a quindici anni prima. Nelle mie orecchie avevano iniziato a sentire il ronzio dell'elicottero dei soccorsi e le urla dei ricercatori. Sulle mia braccia sentivo impresse le mani di qualcuno che cercava di impedirmi di raggiungere il sito della valanga.
«Ember, cosa ne pensi?» la voce leggermente sconcertata di Bill mi destò da quel viaggio fatto di terribili ricordi. Risucchiai l'aria e cercai in tutti i modi ricompormi.
«Ti ringrazio molto Bill, ma non credo sia un progetto che a Ice interessi. Le discese di questo tipo non sono per lui.»
«Davvero? Veramente mi hanno detto che l'anno scorso sembrava interessato, con l'unico appunto di creare sensibilità sulla sicurezza.»
Cercai di soffocare una risata sarcastica per non sembrare scortese.
«Bill, sappiamo entrambi che non c'è niente di sicuro nelle imprese di backcountry, ma ti prometto che gliene parlerò più tardi.» Dissi più per interrompere quell'incontro, che per altro.
Di fronte al suo volto perplesso dovetti rincarare la dose. Dopotutto avevamo all'attivo diversi contratti con il marchio della Firewings e non potevo essere così lapidaria con una loro proposta.
«Mandami tutti i dettagli via mail», aggiunsi porgendogli il mio biglietto da visita elettronico. «Così sarà più semplice esporgli il tutto.»
«Perfetto, consideralo già fatto.» Rispose appoggiando il suo cellulare sulla mia carta.
Bill si confermò rispettoso e gentile, congedandosi e lasciandomi al mio lavoro dopo un paio di convenevoli. Non appena mi lasciò sola, però,richiusi il pc. La mia testa era nel pallone e non potevo farmi trovare in quella condizioni da Ian. Non ero ancora pronta a raccontagli tutto. Potevo affrontare solo un trauma per volta.
Così uscii dal rifugio e mi concessi ancora qualche discesa prima di incontrarlo.
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