44. Agreement
EMBER
"Di tanto in tanto è bene fare una pausa nella nostra ricerca della felicità ed essere semplicemente felici."
(Guillaume Apollinaire)
Le settimane che trascorremmo in Svizzera ci catapultarono in una routine che era semplicemente un dolce anticipo della nostra vita assieme. Avevamo affittato uno chalet di medie dimensioni, in cui ci eravamo subito sentiti a casa. Posto su due livelli, aveva tre camere da letto al piano superiore, mentre il piano terra era composto da un open space con una cucina e un isola molto simile a quella di Ian, una zona pranzo degna di un ricevimento e un immenso salotto ribassato e pieno di cuscini in lana grezza.
Ultima chicca, uno spazioso studio che dava sul bosco, completamente attrezzato con schermo e stampante. Quello spazio sarebbe stata la mia postazione di lavoro per tutto il soggiorno. Avevo la netta sensazione che Ian avesse scelto quell'alloggio sapendo quanto avrei adorato lavorare con quella vista.
La casa era così grande che ci sarebbe stato spazio anche per Ty, ma lui si rifiutò categoricamente di stare con noi, alludendo al fatto che non voleva fare il terzo incomodo, anche se io avrei giurato che avesse più paura che Ian ascoltasse qualche chiamata con sua sorella.
Ad ogni modo, scelse di stare in un albergo vicino alla palestra che lui e Ian avevano scelto come base per gli allenamenti indoor. A noi due invece non ci restò che goderci una piacevolissima privacy serale, senza contare la tranquillità totale in cui regnava il mio accogliente studio durante la giornata.
Ian si concentrò a recuperare il tempo perso durante il processo e migliorò i suoi trick giorno dopo giorno. Passammo due settimane a Laax, prima delle gare mondiali. Si svegliava praticamente all'alba tutti i giorni, passava la mattinata nel superpipe e il pomeriggio in palestra. Sapevo che i suoi ritmi di allenamento erano straordinariamente disumani, ma non mi ero ancora abituata a vederlo in versione macchina da guerra. A Skyville si era sempre allenato duramente, ma non so perché, in quel frangente, mi sembrava tutto parte di una normale routine.
A Laax non lo vedevo praticamente per tutto il giorno, ma non potevo nemmeno dire che mi mancasse, perché anche io ero assorta nel lavoro e nel prepararmi all'udienza successiva. Oltre ai social media, Ian mi aveva chiesto di occuparmi dei rapporti con la stampa e di tutte le sue sponsorizzazioni, compresi gli aspetti contrattuali, cosa a cui non ero mai stata molto avvezza. Il risultato si tradusse in un numero sconsiderato di ore in videoconferenze con i consulenti dello studio di Lee.
Quando Ian rientrò nello chalet, l'ultimo giorno di allenamenti prima della sua pausa pre-gara, io stavo ancora rivedendo un nuovo contratto della Burton in videoconferenza.
Lee si accorse subito del suo arrivo, anche se la camera del computer era rivolta verso la parete opposta rispetto a quella dell'ingresso. Probabilmente era stato il luccichio del mio sguardo a tradirmi. Doveva essersi illuminato di fronte al volto di Ian, arrossato dal freddo e dalla felicità di avere finalmente ventiquattro ore, o quasi, tutte per noi. I programmi per la serata erano evidenti non solo dal suo sguardo malizioso, ma anche da quello che aveva tra le mani: una bottiglia di vino rosso e un sacchetto de La Stube, una rosticceria gourmet del paese, che preparava delle leccornie europee con i fiocchi. Quei due indizii suggerivano che avremmo trascorso a casa tutta la sera. Non c'erano feste in programma, nessuna cena con gli sponsor e nemmeno Ty o Kev da intrattenere. Un calore improvviso mi surriscaldò in mezzo alle cosce e, d'istinto, le strinsi sotto la scrivania.
«Mi sembra di capire che sia arrivato l'altro mio assistito...»
Mi schiarii la voce cercando di ricompormi, sperando che la risoluzione della videochiamata non fosse sufficientemente alta da far trapelare il mio colorito improvviso.
«Sì, Lee. È appena arrivato Ian. Vogliamo parlargli di quella clausola dell'intervista di Eurosport?»
«Eccomi!» esclamò Ian ancora sulla porta. Si tolse le scarpe velocemente facendo leva sui talloni e mi raggiunse. Mi diede un bacio in fronte, che io percepii tutt'altro che casto, e invase il mio schermo.
«Ehi Zio Tom! Che si dice?»
«Ian, ti ho già detto di non chiamarmi Zio Tom. Mi fai sentire un vecchio barbuto con la camicia di flanella, che fissa i monti sotto il portico di casa, in attesa che arrivi il suo ultimo giorno.»
Ian rise di gusto. Giorni tesi dell'udienza a parte, si divertiva sempre a pungolarlo.
«Recupero l'ultima versione di Eurosport e ve la mando se vogliamo vederla...»
«Assolutamente no. Basta lavoro per Ember ora. Ne parleremo domani. L'unico contratto di cui possiamo parlare al massimo è il suo. Lo avete già visto assieme?» chiese Ian voltandosi verso di me e riservandomi uno sguardo talmente intenso che sentii nuovamente il sangue risalirmi alle guance, come se fosse lava.
Tuttavia, la stranezza di quello che aveva appena detto mi distrasse dalle reazioni del mio corpo e aggrottai la fronte. «Quale contratto?»
Ian tornò a guardare lo schermo.
«Non glielo hai ancora fatto vedere, Tom?»
«Non ancora. Pensavo doveste parlarne prima tra di voi.»
«Ian, mi dici di che contratto stiamo parlando?»
«Il tuo contratto di lavoro con me, rivisto con le nuove mansioni.»
«Perché avrei bisogno di un contratto nuovo di lavoro?» chiesi sempre più confusa.
«Perché stai gestendo anche i miei sponsor.»
«E quindi?»
«Quindi, oltre al tuo compenso, ti spetta una commissione del 10% sul totale della somma sponsorizzata.» intervenne Lee prima di distrarsi e cercare qualcosa sul suo computer.
«Cosa? Ma non sono mica il tuo agente!»
«Ah no? Puoi ricordarmi cosa fa un agente sportivo?»
«Ian, ma è diverso, mi dici sempre anche tu che sono una di famiglia ormai.»
«Ok. Quindi preferisci un contratto matrimoniale?»
«Ian, smettila! Cosa vai dicendo?»
«Ve l'ho mandato.» ci interruppe nuovamente Lee.
Ian mi fregò quindi il mouse, aprì la mia posta e mandò in stampa l'allegato dell'ultima mail dello studio Lee & Associati.
«Ecco qui, ora puoi firmare.» mi esortò offrendomi una penna che avevo sulla scrivania.
«Non firmo proprio niente!»
«Ember, non ho nessuna intenzione di pagarti solo come social media manager, quando stai facendo davvero molto di più.»
«Ma non lo sto facendo per soldi. Lo faccio per te! Come fai a non capirlo?» dissi con una voce più alterata di quanto volessi.
Lo sguardo di Ian si incupì e le sue spalle si sollevarono per poi sgonfiarsi in un grosso sospiro, prima di rivolgersi nuovamente allo schermo.
«Hai ragione Lee, forse avremmo dovuto parlarne prima. Puoi scusarci per questa sera?»
«Certo ragazzi, fate con comodo, prendetevi i vostri tempi. Non c'è nessuna fretta. Possiamo anche retrodatarlo.»
«Grazie, Lee.» rispose, cliccando sul tasto Termina senza darmi il tempo di reagire e salutare il nostro avvocato.
«Cosa ti è saltato in mente? Un nuovo contratto? Davvero?»
«Ember, la stai prendendo nel modo sbagliato.»
«Come dovrei prenderla?»
«Sto solo cercando di tutelarti.»
«Tutelarmi? Non sapevo avessi bisogno di tutelarmi da te.»
«Ember, cazzo! Sei una professionista, molto qualificata. Conosci il settore e stai dando un apporto incredibile da quando hai iniziato a seguire la mia comunicazione.»
«Ma io lo faccio con piacere. Mi piace dare il mio contributo alla tua carriera.»
«Alla mia carriera. E alla tua?»
«Mi pare stiano coincidendo ultimamente.»
«Per l'appunto. Coincidono ma non economicamente.»
«E allora? Stiamo insieme! Non ti chiederei mai una percentuale sui tuoi guadagni!»
Ian sospirò con un pizzico di tenera esasperazione e mi prese le mani tra le sue.
«Piccola, vorrei semplicemente che dessi il giusto valore a tutto quello che stai facendo. Inoltre è opportuno che il tuo lavoro sia certificato. Io non farò l'atleta professionista per sempre. Lo sai che noi atleti abbiamo tutti una data di scadenza e tu potresti voler continuare invece a fare quello che stai facendo ora, con qualcun altro. Anche se devo essere sincero, per me sarebbe meglio qualcun'altra...»
Rise, fingendosi geloso alla sola idea di un mio rapporto stretto con un suo successore.
«Quello che ti sto dicendo è che non puoi farlo passare come un favore. A maggior ragione se sei solo la mia fidanzata e non mia moglie. Ma se preferisci possiamo porre rimedio anche a questo. Stracciamo questo contratto, ti infilo un anello al dito e puoi farmi tutti i favori che vuoi avendo accesso a metà del mio patrimonio.»
«Ian!»
«Che c'è? Lo sto dicendo solo per farti capire che un contratto è giusto. Non è una proposta. Credimi, non mi sognerei mai di fartela così. E so anche che se te la facessi ora scapperesti a gambe levate.»
Ignorai l'argomento insidioso del matrimonio.
«È che non lo so. Mi fa sentire a disagio. Non mi sembra di aver dato un così grande contributo.»
«Ah no? Allora facciamo così. Domani mi consegnerai un report con gli incrementi degli sponsor, le migliorie dei contratti, e l'andamento dei follower negli ultimi sei mesi e me li paragonerai a quelli dei mesi invernali dell'anno precedente. Se ci sarà solo un incremento, anche solo del 10%, firmerai quel contratto. Così stasera chiudiamo l'argomento e pensiamo ad altro!»
«D'accordo...» concordai titubante, sentendomi messa all'angolo, ma soprattutto impaziente di passare oltre quello spinoso argomento.
«Benissimo! Ora...» mi schioccò un bacio a stampo prendendomi il viso tra le mani. «Posso mandare a casa la mia bellissima agente e responsabile della comunicazione e iniziare la serata con quella bomba sexy della mia ragazza?»
Gli diedi un piccolo pugno sul torace come rimprovero, ma lui si finse ferito, mi sollevò dalla sedia prendendomi in braccio e mi lasciò cadere sul profondo divano dell'area lounge.
Inutile dire che la fantastica cena gourmet de La Stube rimase ancora nel sacchetto per più di un'ora e io non pensai più al contratto fino al giorno dopo.
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