40. Upside down
EMBER
"Dalla paura al panico la distanza è breve. Ma si tratta di un netto peggioramento poiché il dio Pan, da cui origina la parola panico, era cattivo, con il volto gaudente e sarcastico."
(Vittorino Andreoli)
Allisciai la giacca del tallieur tre pezzi color panna e feci risalire lo sguardo dalle mie decoltè fino al mio volto riflesso nello specchio della camera del nostro albergo di Denver.
Sospirai affranta sentendomi tremendamente insicura della scelta di quel completo.
Una consulente di Thomas Lee, l'avvocato amico di Takashi che aveva accettato di seguire il mio caso, mi aveva suggerito di vestirmi con colori chiari, per rimarcare nella mente della giuria, il fatto che fossi trasparente e senza colpe.
Sapevo che erano accortezze da prendere, tuttavia mi sembrava assurdo dover curare le mia immagine per difendermi da eventuali cattivi pensieri, quando la vittima ero io. Avevo scelto quel completo seguendo il mio solito gusto. Lo trovavano elegante, classico e allo stesso tempo femminile. Ma una volta indossato la mattina del processo il gilet mi era sembrato improvvisamente troppo sensuale, nonostante la scollatura non fosse così profonda.
Lee era molto fiducioso riguardo l'esito del processo considerato tutte le prove archiviate dalla SANE, tuttavia mi aveva preparata al peggio e io non ero per nulla pronta ad essere giudicata. Non mi aveva nascosto che avrei dovuto incassare colpi molto bassi da parte dei legali della difesa e dalle deposizioni degli imputati.
Secondo lui Alan e Demon avrebbero sostenuto che ero solita ad avere rapporti a tre con loro, così come era mia abitudine assumere droghe in quelle circostanze. Questo gli avrebbe dato una chance di far sembrare tutte le prove forensi una semplice situazione uscita fuori controllo per colpa a degli eccessi di tutti e tre. Secondo la loro tesi, avendo concorso di colpa in quanto cosenziente e partecipe all'assunzione di stupefacenti, non li avrei denunciati nell'immediato, salvo poi farlo solamente un anno dopo con il solo scopo di salvare la carriera di Ice.
Questo in buona sostanza era lo scenario a cui lo studio di Lee mi aveva preparata con tanto di simulazioni, ma sapevo che non per questo la posizione della difesa sarebbe stata meno dolorosa e difficile da accettare.
Ogni singola bugia sarebbe stata solo l'ennesima violenza che avrei subito da quei due mostri schifosi. Anche se le probabilità di vincita erano molto alte, sapevo che il percorso sarebbe stato davvero crudele.
Dimostrare tuttavia che non avevo assunto droghe di mia spontanea volontà non era proprio semplice.
Per questo Lee aveva alzato la posta in gioco depositando le riprese della telecamera del'albergo, non solo di quella notte, dove si vedeva la mia fuga disperata, ma anche di quelle successive e precedenti. Questo a testimonianza del fatto che la famosa storia della valigetta di contanti che Alan e Demon avevano messo in giro, era falsa ed era stato solo uno strumento per screditarmi in quanto avevano paura di essere denunciati.
Aveva quindi aggiunto alle accuse di violenza sessuale e fisica, al sequestro di persona e somministrazione di stupefacenti e sostanze psicotrope a soggetto inconsapevole e non consenziente, anche il reato di diffamazione e intimidazione.
Per farlo avrebbe chiamato a testimoniare diverse nostre conoscenze del mondo dello snowboard. Scavando per cercare testimoni della diffamazione, i legali si erano imbattuti anche in due ragazze, una hostess degli X games e una fisioterapista che si era occupata della riabilitazione di Alan. Entrambe si erano trovate in situazioni vagamente simili alle mie, ma che tuttavia erano ancora molto restiee a testimoniare e denunciare a loro volta .
Non potevo biasimarle, sapevo benissimo come si sentivano, ma il fatto di sapere che il mio non era stato un caso isolato e che avrebbe potuto ripetersi, mi diede la forza di affrontare le udienze, non solo per Ian, ma anche per me stessa e per tutte le possibili future vittime.
Ripensando a quelle due ragazze, vidi i mie occhi riflessi nello specchio tingersi di un amaro senso di colpa per non averli denunciati prima. Proprio quando la determinazione stava lasciando posto allo sconforto, due braccia forti mi circondarono la vita e due labbra calde e morbide si posarono sul collo, baciando le catenine che Ian mi aveva regalato a Natale.
Alcune goccioline umide mi solleticarono l'orecchio, ma non mi infastidirono perché ero di nuovo avvolta nella mia bolla felice.
Proprio quell'abbraccio rappresentava infatti la forza che mi avrebbe fatto affrontare l'itero processo.
«Sei bellisima, piccola...» mi sussurrò la voce roca e ancora assonata di Ice. «Andrai alla grande non ti preoccupare, e nel caso avessi paura ti basterà voltarti. Io sarò lì, solo ad un paio di metri da te.»
Non gli risposi, mi rigirai nel suo abbraccio per baciarlo, desiderando di ributtarmi a letto con lui per spazzare via tutto quel senso di insicurezza che mi attanagliava le budella, come se non avessimo finito di fare l'amore sotto la doccia un manciata di minuti prima.
Quando mi aveva raggiunto a Skyville, Io e Ian ci eravamo riappacificati numerose volte , diciamo pure per un intero week end senza mai uscire di casa.
Avevamo fatto l'amore dimenticandoci di tutta la disperazione che avevamo provato durante il nostro scontro. Qurantotto ore all'insegna di sesso lento, dolce e languido costellato da una miriade di sensazioni profonde che avevano riempito i nostri cuori fino a farli esplodere. Gli stessi cuori che tra un amplesso e l'altro si erano aperti per parlare di come ci eravamo sentiti in quelle ultime settimane.
Quella domenica pomeriggio sul divano, dopo un profondo e rilassante pisolino post orgasmico sotto il mio plaid preferito, avevo aperto gli occhi e mi ero trovata davanti i miei due trolley viola. Ian era sceso nella dependance mentre dormivo e aveva recuperato tutti i miei effetti e io decisi semplicemente di non disfarle. Almeno non in quel momento.
Il giorno seguente ero infatti partita con lui alla volta di Park City, dopo aver prenotato i voli da Salt Lake City a Denver per il processo e organizzato gli allenamenti con la squadra nazionale e altri piccoli eventi in base alle date delle udienze.
Lo stesso avevamo fatto poi con le gare europee, le quali fortunatamente non si erano mai sovrapposte alle convocazioni in tribunale, permettendo così a Ian di essere sempre presente al mio fianco. Questo probabilmente anche grazie allo zampino di Thomas Lee.
«Ehi... andrà bene. E se sarà troppo pesante ti prometto di spazzare via tutte le nuvole non appena rimarremo soli...» la voce avvolgente di Ian mi strappò dai miei pensieri.
«Lo so che lo farai campione. È che ho paura che in qualche modo feriranno anche te nel disperato tentativo di salvarsi.»
«Non ti devi preoccupare per me, l'unico modo per ferirmi e che ti separino da me. E questo ora non è più possibile, giusto?» mi chiese Ian con un velo di insicurezza negli occhi.
Annuii mentendo. La mia paura più grande non era quella che gli avevo dichiarato. In verità ero terrorizzata che nel rivedere Alan sarei ricaduta nel baratro in cui avevo navigato fino a prima del mio arrivo a Skyville. Avevo paura di perdere tutto quello che avevo costruito con lui. Avevo paura di perdere la nostra bolla felice.
Una volta in tribunale, non appena vidi entrare Alan in aula, seppi che tutti i miei timori erano più che fondati.
Il cuore inziò a martellarmi nel petto. Non sentivo altro che i miei battiti. Non capivo una parola tra tutti i bisbigli che l'avvocato e la sua assistente mi stavano rivolgendo. Mi sembrava che il giudice stesse parlando un'altra lingua anche quando si rivolgeva direttamente a me. Quando mi voltai verso Ian non riuscii a leggerli il labiale. Nemmeno i suoi sorrisi rincuoranti sortirono effetto.
«Ember.... Ember tocca a te! Devi andare a testimoniare!»
Lee mi scosse per un braccio destandomi da tutta quella confusione che affannava la mia mente.
Come mosse da vita propria, le mi gambe mi fecero alzare e attraversare la sala. Il flebile vociare del pubblico e della giuria sembrò un rumore assordante. Il suono dei miei respiri e dei mie battiti erano diventati ancora più insopportabili, così come la sensazione di avere tutti gli occhi addosso. Di tutti sì, ma erano gli sguardi di quattro occhi in particolare che pesavano come una zavorra che mi stava trascinando a fondo.
Mi sedetti frastornata. Quando alzai lo sguardo e mi trovai di fronte al ghigno beffardo di Alan e all'odio feroce di Deamon, iniziai a faticare a respirare.
Il loro avvocato inziò ad incalzarmi, così come il giudice mi esortava a rispondere almeno con dei sì e dei no.
«Signorina Sullivan, conferma di aver assunto droghe quella sera?»
Riuscii solo ad accennare un debole sì con la testa, mentre la sensazione cruda di Alan che mi prendeva per i capelli e mi tappava la bocca spingendomi con il naso dentro un sacchetto di coca, mi attraversò le ossa.
«Signorina Sullivan, conferma di aver chiesto al suo fidanzato di voler avere un rapporto a tre come era solita fare?»
Sobbalzati sulla sedia e improvvisamente mi sembrò di avere ancora lo scotch sulla bocca e le mani legate dietro la schiena. Deamon stava affondando in me con cattiveria mentre Alan si godeva la scena masturbandosi con una mano e fumando una sigaretta con l'altra.
«Signorina Sullivan è vero che è avvezza a pratiche di BDSM?»
Una lacrima mi scese sul volto e non riuscii ancora a rispondere perché fu come sé quelle parole mia avessero preso a pugni nell'addome.»
«Obiezione, vostro onore!»
«Accolta! Signorina Sullivan si sente bene? Ha bisogno di qualcosa?» La voce del giudice mi arrivò dolce e ovatatata, ma non seppi replicare nemmeno a quella domanda.
«Portatele un bicchiere d'acqua!» ordinò a qualcuno alla sua destra.
«Vostro onore, mentre la teste si riprende... dalla visibile agitazione, suggerirei si ascoaltare in collegamento video la testimonianza di un suo ex fidanzato.»
Sullo schermo comparve il volto di Matt Macload, con il quale avevo avuto una storia di qualche mese all'università.
Era stata una delle mie prime esperienze sessuali. Avevamo sperimentato molto, e compresi di essere stata fragaata quando la mia mente fu invasa dal ricordo del video che aveva fatto girare tra i suoi amici, in cui si vedeva me legata al letto del suo dormitorio con la cintura del suo accappatoio da piscina. Con quella bravata idiota non si era giocato solo la relazione con me, ma anche l'espulsione della Columbus university.
Quando Matt alzò il telefono per mostrare il video Lee intervenne subito.
«Obiezione vostro onore, la prova non era stata depositata.»
«Accolta, interrompete il video.» Lo schermo si spense, ma dal ghigno Vittorioso di Alan e Deamon compresi che quel piccolo lasso di tempo era stato sufficiente per mostrare la me ragazzina, con le mani legate e maliziosamente sorridente.
Un groppo in gola iniziò ad impedirmi di respirare ed aumentò alle parole del giudice.
«La difesa è pregata di riprendere a interrogare la teste. Vi sollecito però a proseguire con il dovuto rispetto. Non sono molto contento di come stiamo procedendo, vi avverto.»
L'avvocato dei miei due aguzzini si avvicinò al banco sovrastandomi con la sua imponente figura e io mi sentii ancora più soffocare.
«Signorina Sullivan, ha mai praticato niente del genere con il suo ex fidanzato Alan Ross?»
L'avvocato si scostò leggermente indicando Alan e riportando il suo ghigno nella mia visuale. La mia mente tornò a quel volto che grugniva, imprecava e mi insultava a pochi centimetri dal mio. Sentii come se le mani di Deamon mi stessero bloccando ancora i polsi e di istinto me le massaggiai.
Mi resi conto troppo tardi che il mio battito stava rallentando. Cercai Ian tra il pubblico e l'ultima cosa che vidi fu il suo viso contrito mentre si alzava di scatto in piedi e gridava il mio nome.
Non udii le sue urla, nè vidi altro, perché diventò tutto buio ed estremamente silenzioso.
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