37. Flash-over




EMBER

"Lieve è il dolore che parla. Il grande dolore è muto."
(Lucio Anneo Seneca)

Ian era partito da soli tre giorni e mi mancava da morire. Il periodo natalizio era stato il più felice della mia vita, ma la nostra dolcissima routine era stata di nuovo stravolta. Eravamo di nuovo separati, anche se nel giro di qualche settimana avremmo avuto una nuova quotidianità fatta di viaggi, trasferte ed eventi in giro per il paese e all'estero.
Per il momento però, ero ancora bloccata a Skyville e non vedevo l'ora di raggiungerlo a Park City. Sapevo che l'unico modo di far passare velocemente quelle due settimane che ci separavano era di buttarmi a capofitto nel lavoro.
Angela era arrivata prima ancora che Ian partisse e si era sistemata nel mio vecchio alloggio, nella dépendance. Come avevo immaginato, si dimostrò fin da subito entusiasta e capace. Non avevo grossi dubbi sul fatto che in breve tempo sarebbe stata di grande aiuto agli Egawa, ma nonostante questo, mi sentivo davvero in colpa. Himari non faceva altro che rassicurarmi, ma Tak invece mi era sembrato sempre più freddo nei miei confronti. Se non a tratti quasi diffidente.
La mia terapista aveva liquidato la questione dicendo che probabilmente era solo una proiezione di qualche mia paura, che non aveva ancora estirpato completamente. Così mi tranquillizzai e mi diressi a scuola talmente carica ed energica, che non mi ero resa nemmeno conto di non aver ricevuto il solito messaggio melenso di buongiorno che Ian mi riservava ogni mattina.
Quando varcai la soglia e un'atmosfera cupa ed estremamente tesa mi investì come un fulmine a ciel sereno. Tak, Himari, Katy e Angela stavano discutendo animatamente, ma non appena mi videro sulla porta si ammutolirono.
Un strano silenzio calò in tutta la sala.
Sentivo solo il crepitare del camino sospeso al centro della stanza. Quel rumore, che era sostanzialmente diventato un sottofondo ormai scontato a cui non facevo nemmeno più caso, mi parve tutto d'un tratto fastidiosamente assordante.
Il mio cuore iniziò a pompare a mille e quella strisciante e familiare sensazione che precede le brutte notizie. Serpeggiò lungo la mia colonna vertebrale fino a scuotermi e farmi mancare l'aria.
I miei occhi passarono in rassegna tutti i volti pietrificati mentre si riempivano di lacrime fino ad annebbiarmi la vista.
«Vi prego. Vi scongiuro. No... Non ditemi che è successo qualcosa a Ian!» piagnucolai ad alta voce già in preda alla disperazione.
Guardai negli occhi prima Tak, e vi lessi preoccupazione e ancora quel piccolo bagliore di rimprovero, mentre il volto di Himari era colmo di dispiacere.
Dispiacere. Non dolore. Se fosse successo qualcosa a Ian, Himari sarebbe stata distrutta. O sbaglio? Doveva essere solo preoccupazione quella che aleggiava nell'aria. Pensai che forse si trattasse solo di un infortunio.
«Cosa è successo? Come si è fatto male?» chiesi più a bassa voce, quasi rassegnata.
«Oh no, tesoro, non ti preoccupare. Ian non si è fatto male.» tentò di rassicurarmi Himari senza grossi risultati.
«Però qualcosa è successo. Non è così?»
Tak sospirò rumorosamente. «Ember, è meglio se ne parliamo nel mio ufficio.» disse, iniziando a incamminarsi mantenendo però volto e petto rivolti nella mia direzione come in un invito a seguirlo. Ero ancora sotto shock che non mi resi nemmeno conto che Himari, nel frattempo, mi aveva affiancato e mi aveva passato un braccio intorno alle spalle.
«Vieni cara, ora ti spiegheremo tutto.»
Una volta entrati, Himari si sedette affianco a me, mentre Tak si accasciò affranto sulla sua poltrona.
«Allora Ember, non so come dirtelo senza giri di parole, quindi andrò diretto al punto. Ian sta bene fisicamente, ma è stato squalificato dalla nazionale.»
«Squali...? Cosa? Come è potuto succedere?» domandai con un tono di voce più alto di quanto avrei voluto.
Le labbra di Tak si chiusero in una linea tesa, inclinò la testa verso il basso e alzò le sopracciglia fissandomi dritto negli occhi, come se la mia domanda fosse scontata.
«No, Tak! Ti prego, dimmi che non è quello che penso.»
«Cosa pensi, Ember?»
«Dimmi che non c'entra Alan dietro tutto questo, ti prego...» balbettai incerta sentendomi strozzare da un groppo in gola.
Tak rimase in un silenzio assordante. Fu Himari quindi a prendere la parola.
«Non sappiamo bene come siano andate le cose esattamente. Ma Ian ha...» si bloccò con la voce rotta dal dispiacere. «Non so come sia potuto accadere, Ian non ha mai fatto certe cose, nemmeno da ragazzino...» proseguì in preda al rammarico asciugandosi una lacrima. «Ma fatto sta che ha picchiato Alan...» fece un'altra pausa densa di angoscia. «A sangue, nei corridoi degli alloggi degli atleti. Lo ha mandato all'ospedale.»
«Oh mio Dio!» esclamai sconvolta. Come avevo fatto a essere così stupida da non prendere in considerazione la possibilità che la situazione prendesse una piega simile?
«Ross non ha sporto denuncia, e possiamo immaginare il perché, ma la federazione si riunirà oggi per espellere Ian dalla squadra per comportamento deplorevole.» finì Tak.
«No, no... è tutta colpa mia. Accidenti!»
«Oh no, cara. Non è colpa tua!»
«Certo che è colpa mia! Lo hai detto anche tu, Mari! Non è da lui questo comportamento! Ian non è solito andare in giro a prendere a pugni le persone e io avrei dovuto prevedere una conclusione simile.»
«Ember, purtroppo c'era solo un modo per poter evitare un epilogo simile. E sappiamo che quella strada non è percorribile.»
«Sono stata egoista! Mi sono concentrata solo su quello che era meglio per me, senza pensare minimamente a come si sentisse lui.»
«Non ti possiamo biasimare, cara, è più che comprensibile...» tentò di rassicurarmi ancora Himari.
«Già, ma intanto questa situazione ha rovinato la carriera di Ian. Tutti i sacrifici che ha fatto, la dedizione che ci ha messo. Tutto spazzato via così per colpa mia.»
«La risolveremo in qualche modo...»
«No! La risolverò io. Io devo... pensate che possa partire per Park City ora? O vi lascerò troppo in difficoltà?»
«No, tesoro, vai pure. Hai la nostra benedizione. Anzi, visto che è un lungo viaggio e sei sconvolta, forse Katy può venire con te. Prendete il SUV di Tak, noi ce la caveremo, non ti preoccupare, la tua amica è già sul pezzo!»
Sapevo che Himari stava esagerando. Angela era in gamba, ma non era ancora in grado di coprire un turno da sola e senza anche Katy, Mari avrebbe dovuto fare doppio turno, finché non saremmo tornate. Tuttavia, quella era un'emergenza e c'era in ballo davvero qualcosa di grosso.
Annuii con il capo, ringraziando tacitamente Himari di quella bugia, poi mi rivolsi verso suo marito.
«Tak, posso riprendermi la mia cartella clinica dallo studio di casa tua?»
Lui si agitò sulla sedia, cambiando espressione per la prima volta dopo che ero entrata nel suo ufficio.
«Ember, forse è meglio che venga anche io, se hai intenzione di fare quello che penso.»
«No, non servirà. Non ho intenzione di mettervi in difficoltà ulteriormente.» risposi decisa.
«Va bene, Ember, allora chiamerò il mio amico avvocato e gli dirò di raggiungervi a Park City. Katy lo conosce.»
«Ian dov'è in questo momento?» chiesi infine.
«È agli alloggi della federazione. È tenuto a rimanere lì finché il board della federazione si pronuncerà riguardo a cosa dire alla stampa.»
«Ember, credo sia meglio che tu lo chiami subito. Era piuttosto distrutto e non sapeva come dirtelo.» aggiunse Himari.
«Sì, certo. Lo chiamerò una volta in viaggio.» mentii.
Non ero pronta ad affrontare Ian. Ero troppo arrabbiata con lui, ma soprattutto con me stessa. Dentro di me perversava una bufera di sensazioni conflittuali. Da un lato ero furiosa nei suoi confronti per avermi costretta ad affrontare una situazione simile, a fare tutto ciò che avevo sempre evitato. Dall'altro mi sentivo così in colpa per averlo messo in una posizione così impossibile.
Bruciavo nel mio dolore ogni singolo giorno, lentamente e dolorosamente. Avevo imparato a conviverci, ma non avevo considerato che la mia brace potesse attecchire quello che mi circondava come un flash over. Una propagazione dell'incendio brusca, improvvisa e letale.
Ero stata davvero stupida ed egoista a pretendere che lui rimanesse impassibile davanti all'uomo che aveva violentato la ragazza di cui era innamorato. Era stato davvero troppo, anche per un uomo freddo e glaciale come lui.
Quindi non chiamai Ian, né rivolsi la parola a Katy in auto per tutto il viaggio, finché cinque ore dopo feci irruzione nel pieno di una riunione di emergenza del consiglio della Snowboard Associaton of United State per spegnere quel maledetto incendio.

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