35. Xmas gift
EMBER
"Le nostre paure sono come mine che esplodono non appena qualcuno vi appoggia un piede sopra."
(Emanuele Breda)
Il periodo natalizio trascorse in una routine talmente paradisiaca che spesso mi chiedevo se non fosse tutto un sogno.
Io e Ian ci svegliavamo con la luce del sole, lasciando la vetrata senza oscuranti. A seconda dell'orario, facevamo l'amore tra le lenzuola, ancora assonnati dalla notte di sesso precedente, oppure, se eravamo in ritardo, sotto la doccia, come se la cosa ci potesse far guadagnare davvero del tempo. La sua modalità preferita, però, credo rimanesse quella di prendermi in cucina dopo una lunga tazza di caffè e il suo toast con uova strapazzate e avocado.
La cosa ci faceva sempre arrivare per il rotto della cuffia all'apertura della scuola. Scendevamo sempre assieme. Si era organizzato gli allenamenti in modo che i suoi orari combaciassero con i miei. Mi accompagnava fin dentro la scuola, recuperava la sua tavola dal suo ufficio e saliva sulle piste con Tyrone, che immancabilmente arrivava presto anche lui e, con una scusa qualsiasi, passava dalla reception per scambiarsi discretamente qualche sguardo di fuoco con Katy.
Per pranzo, a seconda del meteo, a volte salivamo io e Katy, munite di tavola, per un pasto veloce al rifugio e un po' di discese allo snow park, oppure, nel caso avesse nevicato tanto, ci godevamo qualche fuoripista che Katy e Ian conoscevano bene. Altre volte, invece, quando nevicava, c'era troppo vento o semplicemente le piste erano troppo gremite, Ian si presentava alla chiusura della scuola con qualche sacchetto contenente il nostro pranzo d'asporto e mi portava di corsa a casa. Inutile dire che mangiavamo sempre tutto freddo, in quanto la nostra priorità, una volta varcata la soglia, non era di certo quella di pranzare.
Ovviamente le pause pranzo a fare l'amore sul divano del suo soggiorno, davanti al camino acceso, avvolti dalla coperta in cachemire e con un albero di Natale alto quasi tre metri che torreggiava su di noi, erano le mie preferite.
Ian non aveva badato a spese per le decorazioni. Non aveva mai addobbato la sua casa per Natale, quindi, in uno dei nostri pomeriggi liberi, mi trascinò tra serre e centri commerciali per comprare tutto l'occorrente, oltre a un'abbondante spesa per la cena.
Quella sera, infatti, non raggiungemmo gli Egawa come eravamo soliti fare, ma ce ne rimanemmo a casa di Ian, per avere una serata tutta per noi.
Mentre cucinavo, iniziò ad addobbare la parte alta dell'albero, continuando a chiedermi consiglio su come posizionare le palline e le altre decorazioni. Quando portai in tavola la cena, aveva praticamente quasi finito.
«Lascio qualche pallina per te, scansafatiche. Se no sarebbe il mio primo albero di Natale, invece che il nostro.»
«Scansafatiche? Allora vuoi proprio cucinare tu la prossima volta!»
Ian scoppiò a ridere tutto felice. «Non credo proprio ti convenga, scoiattolina.»
Non riuscivo ancora ad abituarmi al suo lato passionale, goliardico e soprattutto gioioso. Era così diverso dall'Ice che avevo sempre visto alle gare e in televisione. Dal giorno della tempesta, era sempre stato felice e sorridente quando non eravamo in mezzo agli estranei e così giocoso e passionale quando eravamo noi due da soli.
A fine cena, sparecchiammo e finimmo l'albero assieme. Quando appesi l'ultima pallina, sentii una familiare scossa di elettricità alle mie spalle.
Invece di affievolirsi, gli effetti che il suo corpo avevano sul mio sembravano intensificarsi giorno dopo giorno. Prima che partisse per Aspen, sentivo le farfalle in pancia e sotto pelle ogni volta che mi toccava. Ma dopo il suo ritorno, fu solo un crescendo. Avevo iniziato a sentire quel formicolio intenso e sconvolgente anche solo quando il suo corpo si avvicinava al mio, come se le nostre ossa si riconoscessero chimicamente anche a piccole distanze.
Le sue labbra morbide si posarono sulla mia spalla, rimasta fuori inavvertitamente dal cardigan. Il piacere pervase il mio corpo come in una fiammata e io chiusi gli occhi per contenere quella sensazione così intensa.
La mia mano si fermò ancora protesa verso la pallina. Ian fece scorrere la sua per tutta la lunghezza del mio braccio fino a intrecciare le dita alle mie, in una stretta che mi provocò una contrazione al basso ventre.
Poi la sua voce roca mi fece rabbrividire di lussuria ancora di più.
«Piccola, questo è il nostro primo albero...» soffiò nel mio orecchio, «...nella nostra casa. Perché tu. Sei. Ls mia. Casa.»
Sussultai, ormai completamente pervasa da quella sensazione di benessere.
«E tu... Tu sei la mia, Ice.» conclusi mordendomi con malizia il labbro inferiore.
Mi appoggiò le mani sui fianchi e mi fece voltare di scatto, avventandosi sulle mie labbra, e fu così che mi prese, per la prima di tantissime volte, sotto il nostro albero, in quella che ormai,ogni cellula del mio corpo e della mia mente, percepiva davvero come il luogo a cui appartenevo.
Anche per questo motivo, la sera di Natale fu davvero magica. Dopo tanti anni, potevo dire di averla passata davvero in famiglia. Fu tutto così perfetto: la cena con gli Egawa a casa loro, lo scambiarsi i regali nel loro salotto, giocare a Sciarada ridendo fino alle lacrime per le assurdità che riuscimmo a dire. Senza contare quando io e Ian, una volta rimasti soli a fine serata, ci scambiammo i regali. Io trovai una pallina nuova appesa all'albero di Natale. Era trasparente e conteneva un cofanetto che aveva l'aria di custodire un piccolo gioiello, mentre io avevo incastonato tra i rami una piccola busta con su scritto "ICE".
Quando lo aprii, scoprii che in realtà non era un gioiello così piccolo. Mi trovai tra le mani tre catenine d'oro, di tre lunghezze diverse, ognuna con un ciondolo diverso. La prima, la più corta, aveva cinque piccoli anelli lunghi simili a dei tizzoni ardenti, raffiguranti quindi il mio nome. La seconda aveva una piccola ghianda, volta a raffigurare il mio soprannome, ovvero l'intimità tra me e Ian, e il terzo, quello più vicino al mio cuore, era un diamante incastonato in modo da sembrare un cubetto di ghiaccio.
Per quanto avessi ampiamente accettato l'intensità e la legittimità della nostra relazione, e per quanto fossi conscia che le disponibilità economiche di Ian fossero ampie, rimasi destabilizzata per un attimo di fronte al valore di quel regalo. Tra il diamante, i grammi d'oro e il fatto che lo avesse fatto fare probabilmente su commissione, quel set di collanine doveva valere una fortuna.
«Ian, sei impazzito? È troppo! Il mio regalo non si avvicina nemmeno lontanamente al tuo.»
«Lascia giudicare a me...» mi baciò e io gli indicai la busta tra i rami. La prese con un sorriso pieno di gioia e io sperai che apprezzasse più il significato, che il regalo in sé.
«Una notte più Spa privata al West City Park Resort di Park City fra tre settimane?» Ian mi chiese conferma con gli occhi quasi lucidi di speranza riguardo al vero significato di quel regalo.
«Sì, ho scelto l'hotel con l'aiuto di Himari e la data con l'aiuto di Tyrone», gli dissi a conferma della sua domanda celata.
La sera del suo ritorno ad Aspen, Ian mi aveva chiesto di seguirlo nelle sue gare, trasferte ed eventi, lasciando quindi perdere il mio ruolo di segretaria della scuola. Mi propose di occuparmi della comunicazione e delle relazioni pubbliche a trecentosessanta gradi per la sua immagine di atleta professionista e di tutte le sue attività in essere e future.
Io cercai di posticipare quella decisione alla fine della stagione natalizia con la scusa che non fosse il momento buono per parlare ai suoi di un cambiamento simile.
Tuttavia, Himari si rese conto che il nostro rapporto aveva preso il largo a gonfie vele, così come si rese conto di quanto avevamo sofferto a stare lontani durante gli X Games. Così fu lei a tirare fuori l'argomento in un raro momento di tranquillità alla scuola.
«Ember, se ritieni che il vostro rapporto sia giunto a un punto tale da sentirti a tuo agio nel far combaciare il tuo lavoro con lo stare con Ian, e la tua amica è ancora disponibile a sostituirti, non avere paura di presentare le tue dimissioni. Sicuramente sarebbero meglio accettate rispetto a quelle che pensavi di dare un mese fa, visto che sappiamo che non spariresti questa volta.»
Mi aveva detto in tutta sincerità in un raro momento di tranquillità alla scuola.
Fu così che mi ritrovai con la mente sgombra di scuse e il cuore pieno d'amore. Presi quindi coraggio e misi per la seconda volta la mia carriera nelle mani di un uomo. Un uomo diverso, però, di cui ormai sapevo di potermi fidare.
Ian si sarebbe dovuto recare per gli allenamenti con la nazionale a Park City, nello Utah, subito dopo le feste, proprio mentre avrei dovuto fare un passaggio di consegne con Angela, la ragazza che avevo conosciuto al centro di riabilitazione del New Jersey. La mia ex compagna di stanza si era già resa disponibile a sostituirmi quando volevo fuggire da Skyville, in quanto era stata ammaliata dai miei racconti della vita sulle piste da sci. E così avevo segretamente organizzato il tutto senza dire niente al diretto interessato, in modo da lasciargli sotto l'albero una sorpresa che sapevo lo avrebbe reso felice.
«Scoiattolina, questo vuol dire che... verrai a Park City con me?»
«Non potrò venire con te per l'intero periodo, non ancora per lo meno. Angela arriverà qui non appena finite le vacanze natalizie per il passaggio di consegne. Ci vorranno due settimane prima che sia completamente autonoma, ma con tua mamma abbiamo stilato i turni in modo che io abbia due giornate per raggiungerti quando avrai il tuo giorno di riposo.»
Rassicurato, il sorriso di Ian si allargò e, con ancora il biglietto regalo tra le mani, prese a baciarmi con un'intensità mai provata prima. Le sue labbra erano morbide e possessive, pur mantenendo un tocco delicato che mi faceva tremare le gambe. Dopo un lunghissimo istante in cui la mia mente fu completamente annebbiata dal piacere, smise di baciarmi, ma le sue labbra rimasero sulle mie.
«Piccola, lo so che per te non è stata una scelta facile. Ma ti prometto che non ti darò nessuna ragione al mondo per pentirtene», mi sussurrò. «Mai, per nessuna ragione.»
Poi si umettò le labbra e sospirò, tradendo un accenno di preoccupazione, si fece più serio, e l'ombra di quel dannato nome che avevamo tentato di non nominare più, si frappose tra noi.
«Ember, agli X Games lui non c'era, ma non sarà sempre così.»
«Lo so, ne ho parlato anche con la dottoressa e anche lei pensa che potrei farcela. Magari evitando all'inizio i luoghi comuni dove sarebbe facile incontrarlo ed essere costretta a interagirci.»
Non ero così sicura di essere in grado, ma non avevo più intenzione di limitare il mio rapporto con Ian a causa di Alan. Mi ero riappropriata della mia sessualità e mi sarei riappropriata anche della mia carriera e della mia credibilità.
«Ember...» sospirò, come se fosse in cerca delle parole giuste che lo aiutassero a indorare la pillola. «Potrebbe esserci un'altra opzione, sai. Una strada che risolverebbe questo problema una volta per tutte senza costringerti a vederlo.»
«No, Ian! Non ho nessuna intenzione di denunciarli. Ne abbiamo già parlato all'inizio della nostra storia. È fuori discussione. Voglio guardare avanti, non indietro!»
«Ember, ma è tuo diritto...»
«È mio diritto decidere cosa è meglio per me. E io ho deciso che non è trascinarli in tribunale e rivivere con dovizia di dettagli tutto quello che è successo.»
L'insistenza di Ian e il solo pensiero di una causa contro Alan e Deamon mi gettarono in una sensazione di disagio che spazzò via la magia di quella notte.
Improvvisamente mi sentii di nuovo sporca, come non succedeva da tantissimo tempo.
«Io devo... scusami, Ian... ho bisogno di farmi una doccia e di dormire», conclusi correndo in camera per poi fiondarmi in bagno. Cercai di togliermi quella sensazione terribile da sotto la pelle, ma il getto d'acqua, per quanto bollente, non riusciva a sortire alcun effetto.
Iniziai a strofinare con forza la spugna sulle braccia, sulle gambe, sul collo fin quasi a escoriarmi la pelle, finché la porta dietro di me si aprì lentamente e quella familiare elettricità pervase il mio intero corpo.
Una mano si posò sulla mia e mi prese la spugna.
«Ti prego. Permettimi di aiutarti, Ember...»
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