32. X games
ICE
"Il successo è trovare qualcosa che ti piace fare, farti pagare per farlo e trovare qualcuno con cui condividerlo"
(Dick Clark)
Finalmente arrivai in fondo a quella lunga e soprattutto intensa settimana lontano da casa.
Ero in cima al super pipe di Aspen in attesa del fischio della mia ultima run. La discesa era in notturna, faceva un freddo cane e nevicavano fiocchi di quasi due centimetri, rendendo la visibilità davvero pessima. Il mio nome rimbombò dagli altoparlanti fino a fare eco sulla parete delle montagne che circondavano il pipe. Infastidito da quel frastuono. Infilai i miei auricolari per isolarmi e mantenere la concentrazione. La voce del commentatore, la musica e le esclamazioni degli spettatori sul coping erano una distrazione che non potevo permettermi.
Così mi distaccai dal mondo intero per quei brevi istanti della discesa. Ebbi la percezione di eseguire a rallentatore quei salti che mi ero raffigurato precedentemente nella mente durante la meditazione. Gli atterraggi furono tutti perfetti ed eseguii tutto ciò che mi ero prefissato.
Arrivai in fondo alla pista mentre la folla esultava eccitata e le due hostess mi fecero l'occhiolino. Entrambe non mi avevano mollato un secondo il girino precedente al party della Thunder Energy, lo sponsor principale dell'evento. Infilai il mento sotto il collo della giacca per nascondere alle telecamere una risata, ripensando ai cliché che aveva menzionato Ember durante la nostra ultima colazione.
Una volta recuperato il controllo dei miei muscoli facciali, sganciai gli attacchi, liberai il volto, scrollai la tavola dalla neve per mettere in mostra gli sponsor. Tirai sulla testa la maschera notturna mentre le due hostess si chiusero sui miei fianchi per le foto ufficiali. Ignorai la mano che una delle due fece scivolare sulla mia natica e cercai di rimanere concentrato per sentire il mio punteggio.
«Ian Colton Egawa. USA. 97.50.»
Un boato si scatenò tra la folla e le due ragazze presero a starnazzare come due oche. Io mi limitai a fare un cenno con la testa. Non mi sembrava elegante esultare quando gli altri atleti dovevano ancora scendere, anche se era matematicamente impossibile che qualcuno raggiungesse il mio punteggio, nemmeno nel remoto, e praticamente impossibile caso, che qualcuno facesse una run da 100 punti. L'oro era quindi già mio.
Sentii lo speaker commentare qualcosa riguardo alla mia solita freddezza, e io alzai lo scalda collo sopra il naso per non smentirlo e nascondere un nuovo sorriso. Col cazzo che sarei rimasto glaciale, se solo la mia scoiattolina fosse stata qui nell'area dell'arrivo. L'avrei presa, sollevata, fatta volteggiare in aria e l'avrei baciata. Dio, quanto l'avrei baciata. Avrebbero dovuto staccarla da me con la forza per trascinarmi sul podio.
Mi mancava davvero come l'aria. Forse aveva avuto ragione, venire ad Aspen da solo con Ty e Kevin Baran, il nostro cameraman, mi aveva aiutato a rimanere concentrato e a dare il massimo, raggiungendo una vittoria davvero netta rispetto agli altri rider, ma la lontananza di Ember stava diventando davvero insopportabile e la felicità di aver vinto gli X Games si unì inesorabilmente a quella del fatto che presto sarei tornato a casa da lei.
Dovevo ancora fare un servizio fotografico; il primo ero riuscito a inserirlo durante il giorno di pausa delle gare, nonostante tutti gli insulti che mi rivolse Ty per il fatto che mi dedicassi a una cosa del genere in piena competizione, ma mi ero sentito nel pieno della forma fisica e così facendo avevo guadagnato un giorno intero.
Ancora ventiquattro ore, pensai mentre salivo sul podio alzando quel medaglione tondo con la X dorata al centro.
Ancora ventiquattro, e quella medaglia sarebbe finita al collo di Ember, tra i suoi seni piccoli e sodi, mentre io sarei stato dentro di lei, a sentirla contorcersi dal piacere. Quello sì che sarebbe stato il modo perfetto per festeggiare la mia vittoria.
Invece Ty insistette per fare un salto all'after party della finale, e io accettai, conscio del fatto che i miei sponsor sarebbero stati contrariati se non mi fossi presentato. In pratica però non vedevo l'ora di andare a dormire. Prima mi sarei addormentato, prima sarebbe arrivato il giorno seguente, avrei fatto il servizio fotografico e sarei tornato a Skyville.
Alla festa, le due hostess ci si appiccicarono nuovamente ai polpacci senza demordere, ma quella sera notai che anche Ty era infastidito dalla cosa. Le stava ignorando esattamente come facevo io. Non le avevo mai scaricate in modo diretto pensando che, come al solito, lui gradisse quel tipo di compagnia. Ero stato convinto che volesse venire alla festa proprio per rimorchiare, ma mi resi conto che quella sera il mio allenatore era davvero nervoso e spazientito dalle due petulanti, seppur sexy, hostess.
«Ragazze, scusate, dobbiamo parlare di affari con uno sponsor», mentii alle due oche per seminarle. «Ci si vede in giro...». Vidi comparire sui loro volti un'espressione di incredulità e delusione. Dopotutto qualche neurone doveva esserci in quelle testoline vuote, se avevano recepito il messaggio così forte e chiaro. Non appena incassato il colpo, girarono infatti i tacchi e raggiunsero il mio collega australiano, che era arrivato secondo.
«Cosa ti prende Ty, hai perso lo smalto?» gli chiesi sorseggiando il mio whisky.
«Dannazione, erano troppo appiccicose. Grazie che te ne sei liberato tu. Lo stavo per fare io.»
«Non ti sarai mica innamorato di qualcuno, amico?»
Ty sbuffò ancora più infastidito. Era davvero raro vederlo perdere il controllo così.
«Non dire cazzate Ice, io? Innamorato? Ma ti senti? Se hai gli occhi a cuoricino tu, non vuol dire che li abbiano tutti!»
Lo fissai serio per qualche istante soppesando la questione. Avevo davvero proiettato il mio stato d'animo su di lui o c'era qualcosa di diverso?
«Ahhh», mugugnò ancora più infastidito dal mio silenzio e si dileguò diretto a parlare con Maggie Fraser, la nuova responsabile del marketing della Artic Edge. Una bionda molto piacente, leggermente ritoccata e che portava i suoi quaranta anni splendidamente. Rimasto solo, vidi con la coda dell'occhio le due hostess fissarmi, pronte a tornare alla carica. Per la prima volta nella vita fui contento di vedere il Sindaco di Aspen dirigersi verso di me, con il solito intento di propormi un nuovo investimento nella sua città. Cosa che non avrei mai preso in considerazione, dato che stavo investendo tutti i miei guadagni per lo sviluppo di Skyville. Tuttavia, in quel momento, quella conversazione mi fu davvero comoda per sganciarmi una volta per tutte dalle due sanguisughe.
Mentre il sindaco mi parlava di un nuovo residence in costruzione, mi ripromisi che non mi sarei mai presentato ad una festa senza Ember. Se dovevo tornare a godermi la vita da campione di half pipe, volevo farlo con lei al mio fianco.
Congedato il sindaco, mi diressi verso il bar dove mi raggiunse Kevin.
«Ho girato ad Ember tutto il resto del materiale, lo ha già postato. Il tuo account sta esplodendo!»
«Grazie Kev.» Dissi sintetico per celare cosa si fosse accesso nella mia mente alle parole esplodendo e Ember nella stessa frase.
Era davvero bravo nel suo lavoro e Ember valorizzava le sue riprese con i suoi montaggi d'effetto e la sua maestria nelle pubblicazioni, ma non avrei esitato un istante per defenestrarlo e portarmi dietro la scoiattolina al prossimo evento.
«Ty si sta già lavorando quella della Artic Edge per rivedere i termini del contratto dopo la tua vittoria?»
Sorrisi. «No, non funziona proprio così. Con loro il contratto ha termini temporali, non in base ai risultati. Però sì, sembra anche a te che se la stia lavorando?»
«Mi sembrano immersi in una discussione molto intensa.»
«Già, credo che Ty sia preso da qualcuno... Hai notato anche tu che non si è scopato nessuna in questa settimana, come fa di solito?»
«Oh, l'ho notato eccome, ieri mi ha mollato al pub con le due hostess. Non che la cosa mi sia dispiaciuta, intendiamoci. È stato impegnativo, ma piacevole...»
Ignorai i commenti riguardo il threesome del mio cameraman e mi persi nei miei pensieri. Ty si era preso davvero una cotta per Maggie? Gli erano sempre piaciute le donne mature, ma avrei giurato che alla fine sarebbe stata una ragazzina a fregarlo.
Lasciai scivolare via quei pensieri insieme al mio whisky e mi affrettai a concludere le mie relazioni pubbliche d'obbligo, per poi approfittare della distrazione di Ty e dileguarmi in albergo.
Diciotto ore dopo, ero fuori dalla porta della Warm Peak Ski Academy. Ero stanco, distrutto dalla giornata di shooting e dalle ore di viaggio, ma ero finalmente di fronte a Ember.
Mi presi un po' di tempo per osservarla a sua insaputa. Era intenta ad inserire qualche dato al computer e di tanto in tanto dava un'occhiata al cellulare. Mise una mano esile dietro la nuca e fece roteare il collo. Doveva essere stanca anche lei, ma era comunque bellissima. Le luci erano già tutte spente, ad eccezione dei faretti sopra la reception, segno che era sola e che dovevano essere già tutti andati via.
Non avevo detto a nessuno che saremmo tornati un giorno prima del previsto, proprio perché volevo farle una sorpresa. Avevo scaricato Ty al residence e Kev al pub e mi ero diretto alla sede dell'accademia senza passare da casa.
Non resistendo più, decisi di entrare, ma quando misi una mano sulla maniglia, vidi spuntare dagli spogliatoi Rosario, la donna delle pulizie, con addosso già il cappotto. Così mi nascosi nel buio del portico.
«Nos vemos mañana cariña linda! Por favor, cierra la puerta si no sales inmediatamente tú también. Sabes que eres preciosa!»
«Non ti preoccupare, Rosario. Ora chiudo. Buona serata! Salutami i tuoi bimbi e dagli un bacio da parte mia.»
Rosario uscì sorridendo, contagiata dalla solita positività di Ember, la quale si alzò dalla sedia, mentre la sua mano rimase sul mouse ancora qualche istante, probabilmente per salvare il lavoro che stava facendo. Una volta lasciata la postazione si incamminò verso l'ingresso e io tornai davanti alla porta a vetri. Fece ancora roteare il collo e il suo sguardo vagò distratto oltre la grande vetrata. Quando cadde sulla sagoma inconfondibile della mia auto con le sacche delle tavole sul portapacchi, i suoi occhi si illuminarono e si voltarono verso l'ingresso, incontrando i miei.
«Ice!» urlò correndomi incontro.
Aprii immediatamente la porta e lei mi saltò letteralmente addosso, cingendomi i fianchi con le gambe e baciandomi con urgenza.
La strinsi a me e mi abbandonai alla sensazione benessere irradiata da quell'abbraccio.
L'impatto dei nostri corpi aveva acceso un fuoco reso inarrestabile dalla lunga settimana di siccità. Con lei tra le braccia, allungai una mano verso l'interruttore generale delle luci e lo feci scattare, facendo piombare la scuola nel buio più completo. Chiusi la porta a chiave e la portai verso i divanetti circolari. Il camino era ancora acceso e la sue luce tenue e calda rendeva la mia scoiattolina ancora più sensuale. La adagiai sulla seduta e la sovrastai sistemandomi tra le sue cosce.
«Dio, piccola, quanto mi sei mancata!»
Ember ridacchiò con una voce roca che mi fece venire ancora più duro.
«Lo sento... diciamo, duro e forte...» disse avvinghiandosi ancora di più contro il mio bacino e attirandomi a sé. «Ben tornato a casa, campione.»
Mi tuffai sulla sua bocca mentre spingevo quella durezza contro di lei. Ember iniziò a ansimare e a muovere il bacino e io non resistetti più. Avevo bisogno di sentirla urlare, di sentire il suo sapore sulla mia bocca, di affondare in lei. Mi sollevai quindi e le slacciai i jeans quel tanto che bastava per intrufolare le mie dita dentro. Le sue mutandine erano già bagnate e non appena la riempii, Ember sussultò. Non fui delicato e non mi presi tempo per giocare. Avevo bisogno di vederla venire, così presi a muovermi, inarcano le dita e stimolando il clitoride anche dall'esterno con il pollice. In pochi istanti, esplose sulla mia mano e le sue grida rimbombarono nella mia testa.
Fu in quel momento mi sentii finalmente a casa.
«Voglio di più, voglio te Ice...»
Non me lo feci ripetere due volte e mi avventai sui suoi jeans per sfilarglieli completamente, ma non appena agganciai le dita ancora umide dei suoi umori alle asole, qualcuno bussò alla porta.
«Oh mio Dio!» esclamò la mia scoiattolina, tirandosi su i jeans e mettendosi a sedere.
Rosario era al di là della porta con una mano appoggiata alla vetrata, nell'intento di vedere se dentro ci fosse qualcuno.
«Ember, querida! ¿Estás todavía aquí?»
«Dio, non ci credo....» si passò una mano sulla faccia e fece per alzarsi.
«Non ti preoccupare, piccola. Vado io.»
Si alzò comunque e si diresse oltre il bancone della reception per spegnere il computer e fingere disinvoltura, mentre io aprii la porta a Rosario.
La donna alzò la testa verso l'alto e tirò un urlo che ruppe il silenzio del piazzale.
«Dios mío, señor Ice, eres tú! ¡Qué miedo me dio! ¡No quería molestarte! Es que dejé las compras en los probadores. ¡Tengo dos hijos muertos de hambre! ¡Disculpa!»
«Entra, Rosario, non c'è nessun problema.» le risposi ridacchiando.
La donna guardò me, poi Ember, poi ancora me e prese a correre a tutta velocità verso gli spogliatoi. In pochi secondi era già di nuovo sulla porta con un grosso sacchetto della spesa. Si voltò e fece scorrere ancora lo sguardo tra noi due, imbarazzata.
«Bienvenido a casa, señor Ice. Felicitaciones por tu victoria. Les deseo... buena tarde...» esclamò ancora tutta concitata per poi sparire di corsa nel parcheggio.
Nel frattempo, Ember era comparsa al mio fianco e mi stava sorridendo con addosso giacca, borsa e cappello in lana.
«Credo sia meglio continuare i nostri festeggiamenti a casa, campione.»
Sospirai, rassegnato a quel piccolo prolungamento di attesa. Dopotutto, Ember mi aveva aspettato per tutta la settimana; avrei dovuto offrirle qualcosa di più di una semplice sveltina sul posto di lavoro. Dopo aver chiuso la scuola, la presi per mano per incamminarci verso le nostre auto, chiedendomi quanto se la sarebbe presa mia mamma se non fossi passato a salutare quella sera, palesandomi solo il giorno seguente.
Era sempre stata una donna molto comprensiva e c'erano buone probabilità che capisse che in quel momento io e Ember avevamo solo bisogno di stare soli. Molto soli.
Ma purtroppo le mie speranze furono davvero mal riposte.
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