28. Immaculate Kitchen
ICE
"Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni."
(Eleanor Anna Roosevelt)
Il mio rapporto con il sesso era sempre stato diametralmente opposto a come gestivo il resto della mia vita.
Fuori dalle lenzuola ero sempre stato cinico, calcolatore, dedito alla disciplina e all'autocontrollo. Riuscivo a gestire le mie emozioni alla perfezione. D'altra parte, avevo imparato a domare la paura dei muri ghiacciati dell'half-pipe quando ero solo un ragazzino. Un ragazzino che a soli sedici anni era già salito sui podi delle Olimpiadi, ma che tuttavia non sapeva nulla della vita a quell'epoca. La mia bravura nelle run non corrispondeva ad un'altrettanta dimestichezza con le faccende dei sentimenti. Così, avevo riprodotto quell'approccio che funzionava così bene nel pipe, anche a tutti gli altri aspetti della vita.
L'unico frangente che era rimasto fuori e che funzionava da valvola di sfogo compensatrice, era proprio il sesso.
Se nel quotidiano ero glaciale, razionale e distaccato, a letto mi lasciavo guidare dall'istinto. Tra le lenzuola riversavo tutta l'aggressività, la passione e la spontaneità che reprimevo negli altri ambiti.
Che fossi con Amanda o con qualche relazione occasionale prima di lei, quando mi spogliavo dei vestiti, toglievo anche tutti quei paletti che mi avevano permesso di diventare quello che ero e che mi avevano permesso di raggiungere così tanti traguardi.
Ma la mia Scoiattolina, in pochi giorni, aveva ribaltato tutto il mio mondo. Lo aveva investito, stravolto e soprattutto capovolto. Mi ero ritrovato a ripensare alla mia professione e ai relativi obiettivi con passione e slancio emotivo, non più come una semplice macchina atletica da raffinare verso la perfezione.
Non pensavo più a Skyville come una cittadina da riqualificare e su cui investire economicamente, ma era una comunità unita che amava il suo territorio e che voleva valorizzarlo e condividerlo.
Ember non era di certo la fidanzata fisicamente patinata in ogni istante e circostanza, costantemente instagrammabile e capace di cavalcare il jet set internazionale, ma era la cosa più bella, unica e meravigliosa su cui i miei occhi si erano mai posati.
Io e Amanda eravamo stati una coppia di potere. Quelle che funzionano alla perfezione sui social, sulle copertine, capaci di tramutare in oro tutto ciò che ci gravitava attorno, ma le nostre vite erano state completamente vuote nel nostro quotidiano.
Con Ember, invece, era stata tutta una emozione unica fin da subito. Inizialmente forse c'era stato l'odio, l'ira, il fastidio, ma poi era iniziata la curiosità, un innato istinto di protezione e un bisogno viscerale di vederla serena e felice.
La mia scoiattolina era qualcosa di estremamente delicato e prezioso, di cui volevo prendermi cura e che avrei sempre difeso da qualsiasi cosa potesse arrecarle dolore e dispiacere.
Questo mi aveva portato immancabilmente a mutare il mio approccio in camera da letto.
Il sesso non poteva più essere la mia valvola di sfogo, ma era diventato uno strumento che poteva far sentire Ember amata, rispettata e protetta. Per far ciò, però, avevo dovuto rinunciare a una parte di spontaneità, anche se la cosa non aveva reso il fare l'amore con lei meno piacevole. Anzi.
Esplodere assieme a Ember era stata l'esperienza più bella della mia vita. Non c'era stata conquista, trofeo o record battuto che potesse anche solo pareggiarla.
Sentire il suo orgasmo liberarsi intorno a me, la sua voce dolce mutare in gemiti arrochiti dal piacere, e il suo profumo di castagna mischiarsi al quello della mia pelle e all'odore di sesso, era stato qualcosa di unico e di cui ero certo non avrei più potuto fare a meno.
Nonostante i nostri respiri si fossero regolarizzati da un pezzo, io ero ancora sopra di lei, appoggiato su un gomito, mentre con l'altra mano le accarezzavo la guancia con le nocche. A giudicare da come se la rideva, dovevo avere un'espressione davvero da ebete. Gli occhi mi sorridevano e le guance mi tiravano, ma non riuscivo davvero a rilassarle, e il fatto che nel suo sguardo intravedessi la stessa mia felicità contribuì alla definitiva paralisi dei miei muscoli facciali.
Nessuno dei due aveva ancora proferito verbo. Era come se avessimo paura di rompere la magia di quel momento, ma poi la mia curiosità ebbe la meglio.
«Perché "Ice"?» le chiesi interrompendo il nostro silenzio, ma non il sorriso.
Ember mi guardò confusa. Così dovetti riformulare la mia domanda.
«Perché mi chiami con il mio soprannome proprio nei momenti più intimi?»
«Oh...» comprese divertita. Poi il suo viso si fece improvvisamente serio «Perché mi ricorda quello che mi hai detto quando eri ubriaco. Che ti ho rubato la tua anima di ghiaccio e l'ho sciolta al sole. Ed è esattamente quello che anche tu hai fatto con la mia. Hai scongelato delle parti di me rimaste intrappolate sotto una calotta di dolore.»
Feci scorrere freneticamente i miei occhi nei suoi, come a cogliere l'essenza di quello che stava dicendo.
«Non riesco più a stare senza di te Ember, rimani con me per favore. Questo posto è anche tuo.»
Non disse niente, ma mi fissò con un'aria che sprigionava una rassegnazione felice. Aveva lo sguardo di chi ha finalmente il cuore alleggerito, dopo aver preso una decisione importante. Poi i suoi occhi caddero alla base del mio collo, sollevò il capo e appoggiò la fronte sulla parte alta dei miei pettorali, facendo scorrere una mano sulla mia pelle fino ad avvicinarla al suo volto.
«Questo, per me è il posto più bello al mondo», sussurrò picchiettando le sue esili dita sul mio sterno.
Una sensazione di calore si irradiò proprio nel punto in cui Ember si era rannicchiata. La strinsi forte e roteai sulla schiena portandomi la mia scoiattolina sul fianco, ma lasciandole il volto ancora nel suo posto preferito.
Non so per quanto tempo rimanemmo così beandoci dei nostri corpi incollati, dell'odore dolciastro di sesso che aleggiava nell'aria, dei nostri respiri sincronizzati, delle carezze reciproche e di quei piccoli, ma magnetici, sfioramenti delle punte del naso.
Non ci eravamo nemmeno resi conto che la bufera era passata perché eravamo troppo concentrati sul battito dei nostri cuori, mentre io stavo già facendo scorrere una mano lungo il suo collo per afferrarle il volto, baciarla e ripetere quello che avevamo appena fatto.
«Ian...»
«Dimmi, scoiattolina» le sussurrai già sulle labbra.
«Non dovremmo chiamare i tuoi? Spiegarli dell'incidente? Sentire Katy se sta bene...»
Grugnii frustrato. Ember aveva ragione. Ci eravamo dimenticati di tutta l'apocalisse che si era abbattuta su Skyville.
«Già... Dovremmo.» Sospirai rassegnato. «Io chiamo mio padre, mentre tu prova a sentire se di là in casa è tutto ok.»
Mi infilai i pantaloni della tuta, avviai la chiamata ed uscii dalla stanza. Non volevo ritrovarmi al telefono con mio padre che mi incalzava di domande scottanti davanti a Ember.
Mentre passavo in rassegna tutte le vetrate dell'area living, raccontai a mio padre dell'accaduto e gli dissi che avrei chiamato io l'impresa edile per rimuovere l'albero e riparare la terrazza. Dal suo canto invece mi informò che per sgomberare la strada ci sarebbero volute ancora un paio d'ore.
Quando chiusi la conversazione e mi voltai verso la cucina, la visione di Ember al telefono, mentre rovistava dentro gli sportelli mi fece divampare un nuovo incendio. Indossava la mia felpa blu che a fatica le copriva le natiche.
Quella visione così intima, mi scaldò nuovamente il petto.
Non ero così sicuro di volere così tanto qualcosa da quando da bambino avevo visto le evoluzioni di Shaun White per la prima volta nell'half-pipe di Aspen. In quell'occasione era stato come vedere l'anteprima della mia vita futura. Volevo Ember, con addosso i miei vestiti e i capelli sconvolti dal sesso, mentre armeggiava nella mia cucina, e la volevo ogni singolo giorno della mia vita.
Mi avvicinai lentamente al bancone.
«Ok, Katy! Ti aspettiamo», esclamò, confermando l'ipotesi che fosse ancora al telefono con mia sorella. «Sì, benissimo. Porta anche quello! Dovrebbe bastare!» Concluse infine la chiamata e si mise a parlare con me senza voltarsi, come se sapesse benissimo che la stavo osservando.
«Che strano! Tua sorella non si è accorta dei danni della bufera? Ci credi?» disse, aprendo lo sportello sopra il forno.
Feci spallucce avvicinandomi sempre di più. «Forse stava dormendo...»
«Sì, in effetti aveva la voce assonnata», rispose prima di sbuffare spazientita. «Ian Colton Egawa, ma è davvero possibile che tu non abbia nemmeno un pacco di pasta? Non l'hai davvero mai usata questa cucina?»
«No, ma possiamo rimediare subito.» La presi per i fianchi e la feci sedere sul bancone posizionandomi in mezzo alle sue gambe. Ember gemette sentendo nuovamente la mia durezza e io la inglobai nel mio desiderio con un bacio selvaggio. Le spinsi il bacino verso di me e lei appiattì i suoi seni sui miei pettorali, stringendosi a me.
Tuttavia, quando infilai la mano sotto la felpa in cerca di quel tessuto in pizzo che avrei sfilato nuovamente, Ember si bloccò.
«Ian...»
«Stando a quanto mi hai detto poco fa, il fatto che tu mi stia chiamando Ian in questo momento, non è una cosa positiva», borbottai, cercando di capire dove avessi sbagliato questa volta.
Di tutta risposta, scoppiò a ridere sulle mie labbra e appoggiò le mani sulle mie spalle.
«È che sta arrivando tua sorella con tutti gli ingredienti che non hai. Ci ha proposto di preparare la cena qui da te, dato che i tuoi arriveranno tardi. Sempre che tu sia d'accordo...»
«Ok... mi sembra un'idea davvero bella. Ma perché qui da me? Katy sa benissimo che la mia cucina è vuota e immacolata. Potevamo cucinare da loro.»
«Non saprei. Forse per fare qualcosa di carino per i tuoi?»
Mi morsi il labbro e aggrottai la fronte per quella stranezza.
«C'è qualcosa che non mi torna...»
«In effetti era strana, era come se non ci volesse di là. Non ha nemmeno voluto che andassi io a prendere tutto l'occorrente.»
Risi, soddisfatto della conclusione che la mia mente aveva appena elaborato, e mi riallacciai con le dita alle sue mutandine e feci per tirarle.
«Forse perché sarà impegnata a fare quello che stiamo facendo noi... vedrai che non sarà qui tanto presto...»
«Ian...» mi rimproverò ancora, ma poi sussultò guardando in direzione della vetrata dell'ingresso. Feci per voltarmi anche io, ma improvvisamente Ember cambiò idea e mi attirò a sé.
«Non smettere, Ice, ti prego!»
Feci allora scorrere un dito sul bordo delle sue mutandine e lo sentii impregnato dei suoi umori. Infilai di colpo un dito dentro di lei, fino in fondo. Ember gettò la testa indietro ansimando.
Mi ero trattenuto così tante volte che caddi nella tentazione di evitare qualsiasi forma di preliminare. Volevo Ember e la volevo subito.
Così mi abbassai all'unisono l'elastico dei pantalone e anche quello dei boxer. In un solo colpo la riempii facendola rimanere senza respiro per un lungo istante.
«Ho esagerato?» le chiesi, improvvisamente. Ero incerto, ma allo stesso tempo non riuscii a fermarmi e la bacia con poca gentilezza, senza aspettare la risposta.
I mugolii, la veemenza con la quale Ember ricambiava il mio bacio e i movimenti del suo bacino, mi rassicurarono ulteriormente sul fatto che non mi ero lasciato andare troppo, dopotutto.
«No...» ansimò. «Dio, è perfetto! Non fermarti, ti supplico.»
«Devo prendere il profilattico, piccola», continuai a parlarle mentre il mio bacino sbatteva contro il suo e contro il bancone. «Ho fatto le analisi pochi giorni fa per gli X Games e ... cazzo...» ansimai...«so che con te non corro rischi, ma...»
«Non ora!»
Ember mi interruppe facendo rimbombare il suo piacere per tutto l'open space. I suoi gemiti si fecero sempre più ravvicinati e la sentii stringersi sempre di più intorno al mio cazzo, fino a contorcersi. Urlò nuovamente il mio soprannome senza alcun ritegno.
Ember era appena venuta improvvisamente e violentemente pochissimi secondi dopo averla penetrata.
Nonostante in genere non avessi grossi problemi a controllarmi, fu davvero difficile non farmi trascinare nella sua esplosione dirompente.
Il suo corpo era ancora scosso da scariche di piacere e i suoi gemiti sembravano più dei lamenti sconvolti.
«Va tutto bene, piccola?»
Mugolò una flebile risposta affermativa e si aggrappò alle mie spalle. Io ne approfittai per prenderla in braccio e spostarla sull'altro mobile della cucina.
Allungai la mano per aprire il cassetto delle scorte e estrassi una scatola di profilattici.
Ember, ancora frastornata, aggrottò le sopracciglia.
«Ian, non dovrebbero esserci delle posate in quel cassetto?»
«Ehm, forse sì...»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top