22. Under the stars
EMBER
"La gioia più grande è quella che non era attesa."
(Sofocle)
Io e Ian ci separammo nelle rispettive camere: lui per farsi la doccia, io per cambiarmi.
Indossai, come da sua indicazione, dei pantaloni da sci e una giacca imbottita. Non mi aveva dato molti dettagli. Mi aveva detto solo che avremmo passato un'oretta all'aperto, prima di cena.
Mi guardai allo specchio sorridendo del mio insolito outfit da incontro galante. Infilai gli scarponcini e mi diressi in salotto, dove Ian mi stava aspettando, guardando con un ghigno il cellulare.
«Quindi non hai resistito a creare dei contenuti per il mio profilo. Sembra che sotto sotto, alla fine, tu voglia rimanere qui a lavorare.»
«L'ho fatto solo in preda ai sensi di colpa nei confronti di tua sorella...»
«Mmmh... sarà... Ad ogni modo sono davvero bellissime. Non sapevo che fossi appassionata anche di fotografia. Sembra proprio che tu sia una risorsa impareggiabile, non sono sicuro che dovremmo lasciarti andare.»
«Ah, ah! Avevi promesso! Un patto è un patto. Ti ho concesso questo appuntamento, ma tu non dovrai ostacolare la mia partenza.»
«Oh, quindi questo è un appuntamento? Io pensavo fosse un giro turistico d'addio?» mi canzonò Ian e io diventai paonazza per la figuraccia che avevo appena fatto. In effetti, Ice non mi aveva proposto un appuntamento. Mi aveva solamente detto che voleva farmi vedere le bellezze di Skyville prima che partissi.
Lui sorrise di fronte al mio imbarazzo, si avvicinò, mi prese per la vita e mi diede un bacio a stampo sulle labbra, poi prese a parlarmi tenendomi stretta al suo petto.
«Forse il nostro abbigliamento non sarà elegante, ma questo, Ember Sullivan, è decisamente un primo appuntamento. Uno di quelli che ha tutta l'intenzione di non essere l'ultimo.»
Deglutii faticosamente, sentendomi il volto andare ancora fuoco, anche se per motivi diversi da prima.
«Forza scoiattolina, dovrai guidare ancora tu per un pezzettino.»
«Per un pezzettino? E poi chi guiderà?»
«Essendo fuori gioco io, ho assoldato un autista speciale, vedrai...»
Sempre con la mano dietro la schiena, mi spinse verso la porta.
Quindici minuti dopo eravamo sul versante sud della montagna che torreggiava sulle villette delle famiglie Egawa.
Ian era sorridente e aveva la stessa espressione che aveva avuto il giorno dell'inaugurazione e la mattina seguente, quando ci eravamo svegliati insieme. Era bello da morire e l'aria misteriosa di quella serata lo rendeva ancora più carismatico.
Mi fece cenno di accostare in una piazzola, affianco a una grossa motoslitta.
Un signore alto, dalla carnagione olivastra, con un completo da sci nero e un cappello da aviatore in pelliccia scura, ci stava aspettando in piedi, affianco a quel mezzo imponente. Una volta scesi dall'auto, il signore dall'aspetto sudamericano salutò Ice in modo formale.
«Buonasera, Torres. Lei è la Signorina Sullivan. Sarà nostra ospite per questa notte.»
«Piacere, Signorina Sullivan, sono davvero onorato di conoscere la persona che è riuscita a convincere il signor Egawa a partecipare all'esperienza di Skynight.»
«Torres, la Signorina Sullivan non sa nulla di questo progetto. Dovrai spiegarle tutto.»
«Oh, beh... allora non roviniamo l'effetto sorpresa. Spiegherò tutto a tempo debito. Prego, madame.» concluse Torres con un inchino e facendomi cenno di salire a bordo della motoslitta.
Mi soffermai per un momento. Se l'avessi raccontato alla mia psicologa, non ci avrebbe creduto. Io, Ember Sullivan, stavo salendo su una motoslitta con due uomini, verso una destinazione ignota, di notte e sul versante della montagna meno battuto in assoluto.
«Ember, va tutto bene?»
La voce dolce e preoccupata di Ian mi raggiunse alle mie spalle.
«Sì, Ian. Va tutto bene, ero solo un po' pensierosa.»
Avevo spento il suo sorriso, quindi cercai di regalargli uno dei miei, dimenticandomi che era in grado di riconoscere quando sorridevo veramente anche con gli occhi e quando lo facevo solo con la bocca.
Ancora un po' imbarazzata, salii sulla motoslitta e Ian mi seguì posizionandosi dietro di me. Torres si sedette poco più avanti e accese i motori. Ian mi cinse la vita e appoggiò il mento sulla mia spalla e io mi adagiai sul suo torace ampio e accogliente. Mi godetti la corsa finché non vidi un piccolo e grazioso rifugio in legno, da dove si inerpicava il fumo di un grosso camino.
«Oh Ian, ma è stupendo quel rifugio, ceneremo lì?»
«No, quella è solo la nostra base di partenza.»
Aggrottai la fronte, non riuscendo ad immaginarmi quale altra attività si potesse fare di notte in mezzo alla neve.
Arrivati a destinazione, entrammo nel casolare. Contrariamente a quanto sembrava da fuori, l'atmosfera dentro non era così rustica, ma molto elegante e raffinata. Così come la clientela raccolta in sette tavoli da due persone e una tavolata lunga, di quindici ragazzi. Notai che in effetti non c'era nemmeno un paio di coperti liberi. Il personale della sala, quando si accorse della nostra presenza, scattò sull'attenti e venne a salutarci. Quello che sembrava essere il responsabile aggiornò Ian sulle presenze degli ospiti del ristorante e delle camere. Lui si congedò gentilmente dopo un paio di convenevoli e mi prese per mano trascinandomi verso il retro del ristorante, dove vicino ad un piccolo capanno, Torres ci aspettava con delle ciaspole e delle bacchette.
«Oh mio Dio, Ian! Una ciaspolata sotto la luna piena! L'ho sempre voluta fare e non ci sono mai riuscita a causa del brutto tempo.»
Ian sogghignò, sempre avvolto in un alone di mistero.
«Spero siano della misura corretta, Signorina Sullivan.» mi disse Torres porgendomi l'attrezzatura.
«Saranno perfette! Grazie!» risposi entusiasta come una bimba il giorno di Natale.
Dieci minuti dopo eravamo su di un percorso in piano poco impegnativo che costeggiava la foresta. Il cielo su quel versante disabitato era qualcosa di immaginabile. Anche con le torce accese, si riusciva a vedere la Via Lattea, mentre tutt'attorno a noi la neve sembrava assumere toni quasi fluorescenti a causa del riverbero della luna piena.
Avevo il cuore pieno di meraviglia tanto da risultare incontenibile. Un groppo mi si formò in gola e senza rendermene conto, le lacrime iniziarono a solcarmi le guance. Cercai inutilmente di asciugarmele con il guanto impermeabile, ma quel gesto goffo attirò solo l'attenzione di Ian, il quale mi prese subito per il polso e mi obbligò a voltarmi.
«Scoiattolina, cosa succede?»
Al suono di quella domanda scoppiai definitivamente come una fontana. Torres si accorse del momento delicato e proseguì di qualche decina di metri, lasciandoci un po' di privacy.
«Scusami Ian, è che è tutto così incredibile e mai nessuno mi aveva fatto una sorpresa simile. Sono solo un po'... commossa, ecco! Sono lacrime belle in un certo senso...» mentii sapendo che la magia di quella serata aveva un retrogusto di malinconia e solitudine.
Ian si avvicinò ancora di più e mi cinse la vita con il tutore, si tolse un guanto e mi asciugò le lacrime.
«Dietro la commozione si affaccia sempre qualche ferita. Non sai quanto mi renda felice che ti stia piacendo tutto questo. Ma non posso dire di essere contento per il fatto che nessuno ti abbia mai dato qualcosa di simile. Tu ti meriti questo e molto altro, Ember. Ricordatelo sempre.»
Scoppiai a piangere sulla sua giacca. Odiai me stessa per essere sempre così vulnerabile e odiai lui perché riusciva sempre a dirmi delle frasi capaci di smuovere tutte le mie ferite.
Mi sforzai di recuperare il controllo dopo qualche singhiozzo, in quanto non avevo nessuna intenzione di rovinare quella serata memorabile.
Quando mi staccai, vidi Ian fare un cenno a Torres indicando un altro percorso e dopo pochi minuti raggiungemmo una pedana di legno dove era posizionato un telescopio astronomico.
Mi portai i guantoni alla bocca ed emisi un piccolo urletto, riportando così il sorriso sul volto di Ian, dopo il disastro che avevano combinato poco prima.
«Il nostro Torres è un esperto astronomo con una passione per l'ospitalità.» esordì Ian.
Non avevo mai visto lo spazio da un telescopio, così innondai Torres di tante domande quante le stelle che stavano osservando.
Lui mi fece vedere la luna con i suoi crateri, i suoi mari e le sue montagne, Giove e le sue lune, Saturno con i suoi anelli, la nebulosa di Orione, le Pleiadi e la Galassia di Andromeda.
Sarei stata la donna più felice sulla faccia della terra anche se Ian mi avesse portato solo al rifugio per una cenetta, ma quello che mi stava facendo vivere andava oltre ogni mio desiderio.
«Bene, ora vi suggerirei di accomodarvi, Signor Egawa, in modo che possa servirvi la cena prima del picco di massima visibilità delle Geminidi.»
«Cosa sono le Geminidi?» chiesi sempre più curiosa.
«Sono uno sciame di meteoriti. Un po' come quello del dieci di agosto.»
«Ed è stasera?»
«Sì, esatto, Signorina Sullivan.»
«Benissimo, allora torniamo subito al rifugio!»
Entusiasta, mi diressi verso il sentiero che avevamo percorso per arrivare alla piattaforma.
«Ember, non dobbiamo andare al rifugio...»
«No?» chiesi confusa.
«No, c'è ancora una sorpresa, ma questa volta è l'ultima, te lo prometto.»
Dopo quindici minuti di cammino, arrivammo in una piccola piana dove si ergeva un grazioso igloo con il tetto trasparente e illuminato da una luce calda al suo interno. Dentro, potevo intravedere due chaise longue, ricoperte di pellicce e cuscini, con in mezzo un tavolino di modeste dimensioni. Sopra vi erano posizionate una bottiglia di champagne, due flûte e una cesta con fragole, grissini e altre ciotole che non riuscivo ancora ad identificare.
Persi la connessione con la realtà e di conseguenza anche la parola, per tutto il tragitto che ci separava dall'entrata all'igloo.
Anche una volta dentro, non riuscii a proferire verbo. Ian continuava a guardarmi sogghignando, mentre Torres disse qualcosa per me incomprensibile in quel momento e sparì nel nulla.
Il mio accompagnatore pieno di sorprese mi tolse la giacca, il cappello e i guanti come se fossi una bimba piccola e li appoggiò sulla panchina vicino all'ingresso, mentre io continuavo a girare su me stessa osservando estasiata l'ambiente intorno a me e guardando incredula verso il cielo.
«Ian Colton Egawa, ma dove lo hai trovato questo posto così magico?»
«Non l'ho trovato, l'ho acquistato.»
«Tu cosa?»
«Il rifugio che hai visto prima era di mio nonno, sai? Pensa che mio padre è nato lì dentro. Purtroppo però lo hanno venduto quando ero appena nato. Mio padre aveva appena aperto la scuola di sci e mio nonno non riusciva più a cavarsela senza il suo aiuto. È stata la prima cosa che ho comprato con i primi soldi degli sponsor, dopo aver preso ovviamente le villette a schiera. In realtà, tutto quello che ho guadagnato l'ho reinvestito in attività o strutture ricettive o micro-ricettive qui a Skyville. Quasi tutte con un ritorno davvero notevole, ma il rifugio di mio nonno non è stato di certo il mio migliore investimento. Sono anni che facciamo fatica a chiudere in pareggio. Troppe poche camere e coperti rispetto al personale richiesto. Ho provato ad alzare il tiro trasformandolo in uno chalet di charme, ma non è bastato. Andrebbe bene così, dato che ha principalmente un valore affettivo, ma a me non piace perdere. Mai. In nessun ambito.» Fece una pausa fissandomi con uno sguardo talmente intenso che mi sentii andare a fuoco.
«Con Torres stiamo quindi testando questo igloo e i relativi servizi, prima di acquistarne altri cinque e aggiungere Skynight ad una delle principali attrattive di Skyville.
«Ian, ma è un'idea grandiosa! La gente impazzirà per questo posto.»
«Lo spero, Ember. L'intento è proprio quello di farli innamorare di Skyville, così da fare in modo che restino per sempre.» disse con una voce così roca che tradì l'allusione.
«Ma perché Torres diceva che non hai mai provato questa esperienza?»
«Perché non l'ho mai fatto. Ho analizzato e rivisitato tante volte il business plan. Ho chiesto ad amici e colleghi di provarla, ma io non me la sono mai sentita.» Poi si avvicinò, mi fece scivolare un braccio intorno alla vita, mi attirò a sé e continuò a parlare sulle mie labbra.
«Volevo viverla con il giusto mood e, fino a pochi giorni fa, non avevo mai avuto la persona giusta con cui condividerla.»
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