20. The convenenant
ICE
"Non potrai mai scappare dal tuo cuore, quindi è meglio che ascolti
quello che ha da dirti"
(Paolo Coelho)
Ember era seduta alla sua postazione e Marcus Allen era piegato su di lei, sovrastandola con una mano appoggiata sulla scrivania, al di sopra della tastiera. Indossava solo una t-shirt nonostante le temperature non fossero elevate all'interno della scuola. I suoi bicipiti
Anni ottanta, più gonfi dal sollevamento pes che dall'allenamento atletico, guizzavano a pochi centimetri dal volto della scoiattolina.
Nonostante quel gradasso le fosse praticamente addosso, Ember si accorse del mio ingresso e agganciò subito il mio sguardo. Mi sembrò di vederla sussultare, probabilmente perché il mio volto non doveva avere un'espressione molto dolce e gioviale in quel momento. Spostai il mio sguardo su Marcus, incenerendolo con una sola occhiata, per poi tornare subito su Ember. Quell'ammasso di muscoli si raddrizzò subito, allontanandosi da lei. Non feci in tempo a rilassarmi, che mia mamma, vedendomi, mi riversò addosso un altro carico di problemi.
«O tesoro! Eccoti qui! Katy mi ha detto del polso. Come ti senti, caro?»
«Non è nulla. Guarirà in pochi giorni.»
«Oh bene! Meno male! Amanda è passata questa mattina. L'ho invitata a cena. Mi ha detto che non ti vede da diversi giorni.»
«Non dovevi farlo. Io e Mandy non stiamo più insieme dal giorno dell'inaugurazione. Le manderò un messaggio per disdire», risposi a mia mamma, ma guardando dritto negli occhi la scoiattolina.
Con uno sguardo sorpreso, ma sempre fisso nel mio, balzò in piedi e si diresse verso gli spogliatoi.
La seguii senza dimenticare di lanciare ancora un'occhiataccia a Marcus, ignorando la faccia sconvolta di mia mamma e quella divertita di mia sorella.
Entrai con prepotenza negli spogliatoi femminili, ma fortunatamente trovai solo Ember che camminava avanti e indietro nervosamente .
«Che cos'è questa storia che vuoi andare via?» le chiesi di getto in preda all'impazienza.
«Che cos'è questa storia che hai lasciato Amanda?»
«Non si risponde a una domanda con un'altra domanda.»
«Invece sì. Perché se l'hai lasciata per quello che è successo tra noi, è ancora più giusto che io me ne vada.»
«Ma cosa c'entra Amanda con te?»
«Non ho fatto altro che incasinarvi la vita da quando sono arrivata. Sono solo una complicazione. Voi siete una famiglia fantastica. Non ho mai conosciuto nessuno di così unito, gentile, accogliente e amorevole di voi. Dio solo sa quanto avrei voluto fermarmi. Ma io porto guai. Vedi, gli ho portati ai tuoi e ora anche a te. Lo so che vi faccio pena, e che non volete altro che aiutarmi, ma guarda la tua pietà dove ti ha portato. Ti rompi un polso perché non ti ho fatto dormire bene, ti trovi un'estranea in casa che ti salta addosso mentre sei ubriaco e ora ti lasci anche con la tua fidanzata. Non posso rimanere ed è meglio che tu mi stia lontano. Anni luce.»
Quando Ember finì di parlare, spalancò gli occhi sorpresa del fatto che ero rimasto impassibile per tutto il tempo del suo sproloquio. L'avevo ascoltata attentamente, con un pizzico di indolenza, mentre ero a braccia conserte appoggiato con la schiena alla porta.
«Hai finto?» mi limitai a chiederle in tono serio.
«Credo di sì.» disse con un filo di voce molto più mesta rispetto allo sfogo precedente.
Sospirai e mi staccai dalla porta con una spinta. Mi avvicinai a lei fino a sfiorare il naso con il suo e ispirai il suo profumo. Mi fermai qualche secondo come per farle capire che l'avrei baciata di lì a poco, in modo da non prenderla alla sprovvista.
Le presi il volto con la mano buona e lei sussultò in una supplica poco convincente.
«Ice...»
«Ian...» la corressi per l'ennesima volta e poi le catturai le labbra. Il bacio non fu delicato come avrei voluto, ma tra la gelosia che bruciava ancora nel petto dopo che avevo visto Allen ronzarle per l'ennesima volta attorno e la paura di perderla, non riuscii molto a contenermi. Ember sembrò ricambiarmi con la stessa intensità e quello che ne venne fuori fu un groviglio tumultuoso e denso di disperazione. Combattei l'istinto di spingerla contro il muro, ignorare il dolore al polso, sollevarla di peso e farle sentire cosa provocava al mio corpo quello che lei chiamava "pietà".
Tuttavia non dovetti sforzarmi oltre perché Ember interruppe il bacio e si allontanò. Io la lasciai andare perché non volevo farla sentire costretta, anche se sapevo benissimo che avrebbe ceduto nuovamente con un po' di insistenza.
«Continuiamo a fare lo stesso stupido errore» sbottò dandomi le spalle e abbassando la testa in preda alla vergogna.
Io le misi una mano sulla spalla e le sfiorai delicatamente il collo mentre le giravo intorno e mi mettevo nuovamente di fronte a lei. Le sollevai il mento per catturare il suo sguardo e quella volta provai a convincerla a parole.
«Scoiattolina, io e Mandy ci siamo lasciati il giorno dell'inaugurazione. Non posso negare che provassi già qualcosa per te quel giorno, ma la verità è che io e lei non siamo fatti per stare insieme. Forse eravamo fotogenici assieme, ma lei non è il tipo di donna che voglio accanto. Non me ne ero reso conto prima, ma in realtà non lo è mai stata. Quello che sto cercando di dirti è che la nostra storia era già finita prima ancora del tuo arrivo a Skyville. Riguardo il polso, che non è rotto, ma è solo slogato, è stato un errore mio di distrazione. Non ho mai dormito così bene come l'altra notte con te tra le braccia e il risveglio è stato ancora più stupendo, anche se avrebbe potuto essere ancora migliore se non avessi frainteso quella chiamata. Riguardo al resto, Ember Sullivan, c'è un'infinità di sentimenti che provo per te, ma ti assicuro che la pietà non è tra quelli. Tu riesci a sorridere, a costruire bellezza e a donarti agli altri anche quando stai vivendo un brutto momento. E questo non provoca pietà, ma bensì ammirazione, orgoglio e meraviglia, e tu sei proprio questo, piccola: una meraviglia.»
Quella dolce scoiattolina mi stava guardando tra l'impaurito e il circospetto. Tuttavia, come suo solito, prese coraggio e mi rispose.
«Io voglio andarmene, Ice. Sono qui da sei maledettissimi giorni e ho già abbandonato la mia postazione di lavoro per un crollo mentale, ho fatto preoccupare i tuoi, un pazzo si è aggirato di notte intorno alla vostra casa, mi avete dovuto trovare un'altra sistemazione e tuo padre mi ha già portato in commissariato per esporre una denuncia. Cosa succederà tra un mese, due o tre?»
«Che sarai serena e felice al mio fianco?» le sorrisi dolcemente con un pizzico di provocazione.
«Ian!» mi redarguì.
«Quindi Ian lo usi quando mi rimproveri? E Ice quando ti contorci dal piacere?»
«Non sto scherzando!» disse fuori dai denti con il volto teneramente paonazzo.
«Nemmeno io...» le sorrisi ancora.
«Dio, non è possibile!» sbottò stizzita. «Prima fai di tutto per cacciarmi e ora che voglio andarmene, non ti va bene! Che intenzioni hai ora? Mi ostacolerai anche in questo caso? Cosa devo aspettarmi?»
«Facciamo così, io non ti ostacolerò a patto che ti possa mostrare meglio Skyville e la bellezza del suo territorio nei tuoi prossimi giorni liberi, ad iniziare da questa sera.»
«Poi mi lascerai andare?»
Tentennai a rispondere.
«Ian!»
«Va bene, va bene. Ti lascerò andare,» mentii. «Ora però mi dai un passaggio a casa?» Le dissi mettendo in bella vista il tutore per assicurarmi di averla tutta per me. Potevo tranquillamente tornare a piedi, ma volevo essere certo che quel puttaniere di Marcus non la invitasse fuori per un aperitivo, rovinando peraltro i miei programmi.
«Va bene. Devo ancora finire un lavoro che stavo facendo, poi possiamo andare.»
«Devi finirlo con Marcus?»
«Ember mi fulminò con lo sguardo e uscì dagli spogliatoi femminili sbuffando teatralmente.
Mi richiusi nel mio ufficio e aprii il calendario del mio computer. Chiamai Ty per buttare giù un nuovo piano di allenamenti intensivi in modo da recuperare il piccolo stop ed essere in forma per gli X game, che si sarebbero tenuti ad Aspen poco prima di Natale. Avevo due settimane di tempo prima della partenza. Dovevo conquistare Ember e metterla al sicuro prima di lasciarla a Skyville. Nel frattempo avrei dovuto fare due shooting, uno per un articolo di GQ e uno per uno speciale di Sporting News. Entrambi si sarebbero dovuti tenere ad Aspen prima della gara. Chiamai quindi entrambe le testate, spiegando la situazione del piccolo infortunio e chiedendo di spostarle immediatamente dopo la gara, con l'accordo che il cachet sarebbe rimasto invariato anche nel caso avessi vinto. In questo modo avrei avuto più tempo da trascorrere con Ember, dando per scontato che l'avrei convinta a restare.
D'altra parte ero sempre arrivato sul podio perché non avevo mai considerato di perdere. Lo stesso valeva con la scoiattolina. Non l'avrei lasciata andare per nessuna ragione al mondo. Lei apparteneva a Skyville ora e io avrei fatto di tutto perché si sentisse a casa e al sicuro.
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