19. Changing plan
ICE
"Non c'è una via d'uscita... Ma forse, con te, adesso sì."
(Ki Hong Lee - Lee Minho)
Mi svegliai riverso sul tappeto del salone. Dalla luce dirompente che filtrava dalla vetrata doveva essere mezzogiorno passato. Avevo un mal di testa da annali, la bocca impastata e il polso indolenzito nonostante fosse ben saldo dentro il tutore.
Ero ridotto davvero a uno straccio, non ero abituato a eccedere con l'alcol. Nonostante tutto, però, Tyrone aveva avuto ragione. Mi sentivo svuotato ed ero pronto a ricominciare, avendo ben chiari i miei obiettivi a breve, medio e lungo termine.
Nell'immediato, le mie missioni consistevano nel farmi una doccia, togliermi di dosso quel fetore che stavo emanando, assumere un'aspirina e verificare che Ember avesse la giornata libera il giorno successivo.
Nel medio termine, volevo recuperare velocemente la motilità del polso, riprendere gli allenamenti in modo intensivo, vincere gli X-Games invernali ad Aspen. Al primo posto però della mia lista di obbiettivi c'era mettere in completa sicurezza Ember, corteggiarla e possibilmente farla diventare la mia ragazza.
Nel lungo periodo, invece, volevo vincere nuovamente l'oro alle Olimpiadi. Per quanto riguardava Ember, forse non ero ancora del tutto pronto ad ammettere cosa volessi. Diciamo solo che sicuramente avrei voluto dedicarle quella medaglia d'oro...
Una lunga lista di obiettivi ambiziosi, compreso quello della doccia, considerando che il polso mi faceva un male cane e i miei sensi erano ancora intorpiditi. Tolsi comunque il tutore e mi infilai sotto l'acqua tiepida. Mi recai dai miei per saccheggiare il frigorifero di mia mamma e fare un'abbondante colazione, o forse avrei dovuto dire merenda, vista l'ora. Nel giro di un'ora ero di nuovo lucido e soprattutto desideroso di vedere Ember.
Aspettare che tornasse a casa era fuori discussione. L'avrei raggiunta a scuola e l'avrei invitata a uscire quella sera. Avevo tutte le intenzioni di regalarle una serata speciale che le alleggerisse l'animo dopo quei giorni densi di brutti avvenimenti.
Non potevo rischiare di guidare con una mano sola. Daniel era stato chiaro. I tempi di recupero potevano essere ottimizzati solo se non avessi fatto nessuno cazzata. Così mi infilai giacca e Timberland e iniziai a percorrere i sei chilometri che separavano casa mia dall'accademia.
Lungo la strada, inviai una mail alla società di sicurezza che gestiva il sistema che avevo fatto installare dentro e fuori casa mia. Chiesi di ispezionare tutti i filmati delle telecamere dal tardo pomeriggio fino alla mattina del giorno successivo.
Poi chiamai Ty, lo ringraziai per il giorno prima e gli chiesi un ultimo favore. Il mio allenatore abitava presso l'interno della struttura del St. Regis Sky Resort. L'appartamento era di mia proprietà, ma veniva gestito dall'hotel. Sapevo che Tyrone si divertiva saltuariamente con una delle receptionist, perciò avrebbe potuto chiederle di verificare se Deamon soggiornasse ancora nella struttura.
Infine, chiamai Eddy Torres, il manager che avevo assunto per seguire una startup di un'attività turistica sulla quale stavo investendo e che stavamo attualmente testando. L'esperienza prevedeva una breve e facile ciaspolata sotto le stelle partendo da un rifugio, già di mia proprietà. Poco distante dal caseggiato, nascosti tra alcuni alberi, il progetto prevedeva sei cupole trasparenti, sufficientemente distanziate tra loro, dove gli ospiti avrebbero potuto ammirare le stelle in completa privacy. Al momento ne avevo fatta costruire solo una, in modo da testarla contro le intemperie. Stavamo inoltre valutando la fattibilità di diversi pacchetti di esperienze che partivano da un semplice aperitivo, passando a una cena a lume di candela, fino al pernottamento completo, il tutto preceduto da una breve osservazione con un cannocchiale professionale, condotta da un esperto in astronomia.
Avevo chiesto a diversi amici di provarla, ma non avevo mai trovato il tempo o la voglia di farlo personalmente. L'idea di passare una serata così romantica con Mandy non mi aveva mai entusiasmato. La mia ex si sarebbe lamentata del freddo, della scomodità dei materassi, della dubbia igiene delle pellicce di cui erano ricoperti, del pasto semplice e del fatto di mangiare accampati, anziché seduti ad una tavola apparecchiata di tutto punto. Sapevo invece che Ember sarebbe impazzita per ogni singola sfaccettatura di quella esperienza. Ne avrebbe compreso e condiviso lo spirito e sarebbe stata entusiasta di passare una serata, e forse anche la nottata, così a stretto contatto con la natura.
Guardandola scendere dalle piste, mi era stato abbastanza chiaro che la scoiattolina aveva un legame viscerale con le montagne, alla pari di quello che avevamo io e mio padre.
Inoltre sarebbe stata l'occasione perfetta per mettere in chiaro le mie intenzioni nei suoi confronti e farla staccare da tutti i suoi problemi con un'esperienza esclusiva e totalizzante.
Torres mi confermò la fattibilità per organizzare il tutto quella sera stessa e io arrivai a scuola carico di entusiasmo. Salii quasi di corsa le scale che conducevano al portico, con un sorriso ebete stampato in faccia, ripensando a come Ember si fosse lasciata andare la sera precedente, e cosa mi avesse apertamente richiesto. Ero davvero lusingato che si sentisse così al sicuro con me, tanto da voler andare a letto con il sottoscritto.
Il mio entusiasmo, però, fu subito smorzato dal volto di mio padre che mi stava aspettando in cima alla scala. Teneva le mani in tasca e mi stava osservando con un'espressione di disgusto. Mi bloccai sul posto non appena lo vidi e lui scese i pochi scalini che ci separavano, portando il suo volto alla stessa altezza del mio.
«Cosa diamine hai combinato, Ian?» Rimasi stupito da quella domanda, immaginando che si riferisse al mio infortunio. Tuttavia, mio padre non si era mai intromesso nella mia preparazione atletica da quando ero diventato maggiorenne. Si fidava del mio operato, ne andava fiero e sapevo che provava ammirazione per i risultati che avevo raggiunto. Inoltre, gli infortuni tra gli snowboarder professionisti erano di normale amministrazione.
«Mi sono solo slogato un polso.» Dissi, aggrottando la fronte confuso.
«Cristo, non mi riferisco a quello. Ho incontrato la dottoressa Jhones stamattina e mi ha detto che non è grave. Intendo, cosa diavolo hai fatto a Ember? Sei riuscito nel tuo macabro intento alla fine?» Sputò fuori quell'ultima domanda con talmente tanto disprezzo che faticavo a riconoscerlo. Non mi aveva mai parlato così in tutta la sua vita. Frastornato dal suo comportamento e non capendo a cosa si riferisse, non risposi in modo tempestivo e lui ne approfittò per rincarare la dose.
«Come ci sei riuscito? La tua insistenza che si trasferisse da te era solo un piano per portarla a letto ieri notte e trattarla male?» Continuai a guardarlo attonito e la confusione che doveva regnare sul mio volto sembrò irritarlo ancora di più, con il risultato che continuò a sbraitare. «I miei complimenti! Sarai proprio soddisfatto ora che Ember ha deciso di tornare a New York.»
«Che cosa?» esclamai, sconcertato, ridestandomi dalla mia confusione.
«Ember ha già trovato una ragazza che potrà rimpiazzarla. Una sua conoscenza di Denver. Ha detto che starà qui per il tempo sufficiente per fare il passaggio di consegne senza essere pagata in modo da non metterci in difficoltà nel pieno delle stagione e poi partirà.»
«Cazzo...» mi dovetti sedere su uno scalino per incassare quel colpo così inaspettato. Mi accarezzai la barba, chiedendomi cosa diavolo potesse essere successo in così poche ore. Quella notte Ember mi aveva praticamente implorato di fare sesso con lei. Aveva raggiunto l'orgasmo semplicemente strusciandosi, senza contare che le avevo anche confessato che mi aveva letteralmente rubato il cuore. Non aveva assolutamente senso la sua decisione.
Nel mezzo del mio sconforto, la voce incattivita di mio padre mi strappò dai miei pensieri.
«Tu non hai la più pallida idea di quello che le hanno fatto. Di quello che ha passato quella povera ragazza, di quello che ha dovuto subire...»
«Adesso basta, Papà!» sbottai, stizzito, quasi urlando quanto lui. «Ce l'ho eccome, invece! Ieri mattina mi sono intrufolato nel tuo studio e ho visto il contenuto di quella fottuta cartellina, cazzo!»
«Tu cosa hai fatto?» urlò talmente tanto che le persone in coda agli impianti di risalita si voltarono.
«Hai capito bene! Ho violato la privacy di Ember. Se vuoi farmi la predica adesso anche per questo, fammela pure. Non me ne frega un cazzo! Lo so che è sbagliato, ma lo rifarei altre mille volte. Perché quella maledetta ragazzina mi è entrata sotto pelle. Contrariamente a quanto continui a pensare, ci tengo a lei e farei di tutto per farla stare meglio. Ed è un fottutissimo problema se lei non rimane.»
Mio padre mutò espressione, come fosse un cieco che aveva appena recuperato la vista. Probabilmente si era reso conto che stavo dicendo la verità. Tuttavia, la sua espressione era ancora adirata.
«Ci sei andato a letto?»
«No! Cristo Santo! Come avrei potuto dopo quello che ho letto e visto? Ero ubriaco fradicio ieri notte. C'è stato un momento tra di noi... ma anche se lei sembrava sentirsela di andare oltre, non so con che forze, mi sono fermato.»
Si sedette affianco a me e ripeté lo stesso mio identico gesto di frustrazione passando una mano sulla barba.
«Lei è a conoscenza che tu sai tutto?»
«No...»
«Dovrai dirglielo prima o poi, e non le piacerà per niente.»
«Quanto tempo ho per convincerla a restare?»
«Se la sua amica accetta, dovrebbe arrivare qui in tre o quattro giorni e se è sveglia come Ember dice, ce ne vorranno altrettanti perché si destreggi in autonomia.»
«Cazzo... che motivazioni ha dato?»
«Dice che da quando è arrivata non ha fatto altro che crearci problemi e non vuole gravarci più della sua situazione.»
«Ha detto qualcosa di simile anche stanotte, ma pensavo fosse una frase di circostanza e non le ho dato peso.»
«Sono state tutte vane le rassicurazioni mie e di tua mamma. Abbiamo fatto di tutto, ma non possiamo costringerla a rimanere.»
«Non può tornare a New York! Là è completamente da sola e quei due figli di puttana...» ringhiai, stridendo i denti. «Dobbiamo fermarli, farli arrestare.»
«Non è quello che vuole lei.»
«Lo so, ho letto le mail che hai mandato a Thomas Lee.»
«Ian, un conto è non rispettare la sua privacy, ed è già piuttosto grave. Un altro è non rispettare il suo volere riguardo questa faccenda. È una questione troppo delicata. Se non è pronta a rivangare tutto, non possiamo costringerla.»
«Un problema alla volta, papà. Ti ricordi cosa mi dicevi quando ho messo la tavola ai piedi la prima volta e volevo fare i salti senza nemmeno stare in piedi da fermo?»
«Non mettere il carro davanti ai buoi.»
«Esatto, prima devo convincerla a restare qui. A restare con noi. A restare con me.»
Mi guardò intensamente per un lungo istante e poi mi fece una domanda che mi spiazzò. Mio padre aveva davvero capito che quello che provavo per Ember era qualcosa di molto forte.
«Pensi che lei sia in grado di avere una relazione?»
«Non lo so, ma ci spero. E se non lo sarà, l'aiuterò ad esserlo.»
Mi diede una pacca sulla spalla.
«Forza allora! Va da lei ora. La situazione è tranquilla dentro. Ci sono solo i ragazzi del Camp di Slopestyle in aula che stanno riguardando i video delle loro discese. Oggi Ember ha fatto la mattina, quindi a breve finirà il turno.»
«Grazie.» Dissi alzandomi e ricambiando la pacca sulla spalla.
Proseguii quindi verso la scuola, con una nuova determinazione. Quando entrai nell'hall, però, un moto di gelosia furente mi immobilizzò sull'uscio. Un incendio si propagò nel petto e per un attimo mi dimenticai il mio scopo originario
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