18. Even more

EMBER

La mente mette i limiti, il cuore li spezza.
(Jim Morrison)


A quanto pareva, quella sera, l'intera famiglia Egawa si era coalizzata contro di me, con l'intento di farmi traslocare nella stanza degli ospiti di Ice.
Non riuscii a controbattere di fronte alla loro determinazione. Ero stanca e decisamente spossata dagli eventi di quella giornata: un risveglio umiliante tra le braccia di un Ian fidanzato, una minaccia con i fiocchi trovata sulla terrazza e una inutile denuncia contro ignoti che Tak mi aveva quasi costretto a esporre, poiché sosteneva che un domani sarebbe tornata utile nel caso mi fossi decisa a riaprire il caso contro Alan e Deamon.
Decisi quindi di accettare la loro proposta almeno per quella notte, soprattutto tranquillizzata dal fatto che Ian non sarebbe tornato, se non a notte inoltrata, e che quindi Katy avrebbe dormito nella sua stanza per non lasciarmi sola in quella casa sconosciuta.
A detta di Himari, inoltre, i sistemi di sicurezza di casa di Ice erano piuttosto avanzati, e l'idea che Deamon si fosse avvicinato così tanto al mio alloggio per lasciarmi un messaggio intimidatorio, mi aveva terrorizzato più di quanto non avessi dato a vedere.
Così dopo cena, aiutata da Himari e Katy, mi trasferii nel lussuoso appartamento di Ian. La metratura della casa era la stessa di quella di Tak e Mari, ma lo stile di arredamento era completamente diverso. Era minimale, quasi freddo e impersonale, ad eccezione di alcuni dettagli in cuoio, alcune pareti dai colori terrosi e dei tessuti morbidi e naturali che creavano una sensazione di calore avvolgente. Trovai che quell'ambiente rispecchiasse perfettamente la natura del proprietario. Glaciale e impassibile in superficie, ma allo stesso tempo inaspettatamente passionale e affettuoso nel privato, tanto da riuscire a riscaldare i cocci irrevocabilmente rotti della mia anima.
Il profumo che aleggiava nell'aria mi ricordava la pelle di Ian, mentre le lenzuola della camera da letto degli ospiti avevano lo stesso odore dei suoi abiti. Cullata proprio da quell'aroma, riuscii ad addormentarmi senza grossi problemi, esattamente come avevo fatto la sera prima nel mio alloggio, tra le sue braccia.
Tuttavia, il mio sonno piacevolmente aromatizzato non durò a lungo. I soliti incubi mi fecero svegliare di soprassalto verso le tre di mattina. Impiegai qualche istante per ricordarmi dove fossi. Avevo il respiro ansante e la gola secca. Decisi quindi di farmi coraggio e inoltrarmi nell'open space dove si trovava la cucina ultra moderna di Ice. Avevo bisogno di bere qualcosa. Una camomilla mi avrebbe aiutato a riaddormentarmi, ma dubitavo che "Mister Meditazione e Autocontrollo" ricorresse a qualche erbaccia per calmare i nervi. Così mi accontentai di raggiungere il frigorifero in cerca di una semplice bottiglia di acqua fresca. Non accessi la luce in quanto le immense vetrate sul lato sud e quelle del lucernario permettevano al riflesso della luna quasi piena di rendere ben visibili tutte le semplici sagome degli arredi.
Quando spalancai lo sportello del frigo, illuminando tutta l'area circostante, sentii un grugnito provenire dalla zona living.
«Hei... c'è troppa luce...spegni!»
Non mi spaventai perché riconobbi subito quella voce roca e tremendamente sensuale, nonostante avesse un sospettoso tono impastato.
Mi sporsi con la testa oltre alla penisola e vidi Ice seduto sul suo divano, con la testa ciondolante verso terra, in un imbarazzante, quanto inutile, tentativo di sfilarsi le Timberland senza slacciarle.
«Ian, ma cosa stai combinando?»
«Scoiattolina, sei tu?» sbiascicò confermando i miei sospetti sul suo stato di ebrezza.
«Sì, sono io», risposi raggiungendolo e inginocchiandomi davanti ai piedi del divano. Iniziai a disfargli i lacci delle scarpe. «Ian, Dio mio, ma quanto hai bevuto? Puzzi di whisky come se fossi caduto nel serbatoio di una distilleria scozzese.»
«Sì, beh... forse ho bevuto un goccio di troppo...»
«Oddio, e questo tutore cos'è? Cosa hai fatto alla mano?»
«È solo un polso slogato. Mi sono fatto male durante l'allenamento.»
«Mi dispiace, Ice, spero non sia successo perché non ti ho fatto dormire bene ieri notte.»
«Io ho dormito benissimo, Scoiattolina. Ma non chiamarmi più Ice, intesi?!» disse con una tale intensità che un brivido mi attraversò la schiena irradiandosi in seguito nel mio basso ventre.
Scacciai via quella sensazione che mi stava già dando alla testa e presi ad analizzargli il volto. Aveva un'aria sconvolta e sofferente. Sembrava che la sua giornata fosse stata anche peggiore della mia. Cosa aveva potuto far crollare così la sua personalità algida e altera?
«Ehi, ma cosa ti è successo? Cosa ti ha turbato così tanto da farti ridurre in questo stato?» gli domandai abbassando la voce e allungando la mano verso la sua guancia. Lui l'afferrò e l'appiattì sul volto posandoci il tutore sopra. Poi inspirò come a catturare il profumo della mia pelle. Un brivido mi percosse l'intero corpo come una potete scossa elettrica.
«Dolce Ember, tu ti preoccupi per me, ma chi si preoccupa per te?»
«Mi sembra che non ho fatto altro che dare dei grattacapi ai tuoi genitori da quando sono arrivata, e ora ho anche invaso casa tua», gli risposi abbassando lo sguardo mortificata.
Di tutta risposta Ian intrecciò l'altra mano con la mia portandola sulla mia guancia in una posizione speculare a quella sul suo volto. Le sue mani erano calde, quasi bollenti, ma non fu per quello che iniziai a sentire un calore incandescente sia nel petto che in mezzo alle gambe. I nostri sguardi si erano agganciati facendo scaturire in me, lo stesso inspiegabile desiderio di quella mattina. Ian se ne accorse, sospirò e divincolò entrambe le mani dalle mie.
«Ember, torna in camera tua.» mi disse con un tono improvvisamente serio e autoritario.
«No, non ti lascio qui così. Tu non stai bene!»
«Sono solo ubriaco e ho una voglia tremenda di baciarti, senza alcuna delicatezza. Allontanati da me e torna in camera, per favore.»
Non mi mossi. Non so cosa mi stesse prendendo. Qualcosa in me non stava funzionando come doveva, in modo diametralmente opposto al solito. Ero di fronte a un uomo, quasi il doppio della mia stazza, ubriaco fradicio e che aveva appena dichiarato di volermi saltare addosso. Con tutte le mie fobie da stress post-traumatico, sarei dovuta scappare a gambe levate. Probabilmente non avrei dovuto nemmeno avvicinarmi quando lo avevo visto in difficoltà sul divano. Senza contare che fosse fidanzato e che quella mattina aveva tacitamente confermato che quanto era successo tra noi, era stata solo un'avventura dettata dal momento.
Tuttavia ero attratta a lui come da una forza gravitazionale. Anche se razionalmente sapevo bene che dovevo tutelare la mia anima e il mio corpo, non riuscivo ad avere paura di Ice. Non riuscivo ad immaginarmelo mancarmi di rispetto, per lo meno non sul piano fisico, dato che su quello emotivo lo aveva già fatto più volte, compreso il volermi usare come amante, stando con un'altra.
Probabilmente mi sarei fatta male permettendo che la cosa si ripetesse ancora, ma io volevo tremendamente essere baciata. Le emozioni che mi aveva regalato quella mattina erano state una scoperta così inaspettata. Il mio corpo aveva provato di nuovo piacere. Aveva sentito inspiegabilmente il desiderio di essere toccato, baciato e anche molto altro. Prima che quel dannato telefono mi avesse ricordato che Ice era fidanzato, avevo desiderato con ogni mia cellula di fondermi con lui. Ian Colton Egawa mi aveva fatto intravedere la speranza di poter avere ancora una vita normale. Di potermi rapportare ancora sessualmente con qualcuno senza avere un attacco di panico.
Il problema era che tutte quelle sensazioni che pensavo fossero morte e sepolte, si erano riattivate solo esclusivamente con lui. Anche Marcus mi aveva ricoperto di attenzioni per tutta la giornata, ma più che lusingata, la cosa mi aveva quasi infastidito. La sua sfacciataggine e la sua convinzione di essere sempre desiderato da chiunque mi ricordava tanto quella di Alan, quando ci eravamo appena conosciuti.
Alla luce dei fatti, all'infuori di Ian, nessun uomo, anche il più galante e rispettoso, mi aveva mai provocato una reazione che non avesse a che fare con qualche piccolo effetto trigger. E io avevo un dannato bisogno di sapere fino a che punto la mia testa, il mio cuore e il mio corpo si sarebbero potuti spingere.
Dopo la minaccia della tavola spezzata ne avevo ancora più la necessità. Proprio perché il mio passato continuava a rincorrermi, io avevo bisogno di vedere un piccolo spiraglio sul mio futuro.
Avevo una disperata esigenza di sapere che Alan e Deamon non mi avessero completamente e irrimediabilmente rotto del tutto.
«Ember, per favore. Non voglio baciarti in queste condizioni.» Ice mi strappo dai miei pensieri implorandomi nuovamente, con una voce ancora più roca e lo sguardo sempre più offuscato.
«E se io invece lo volessi?»
«Cazzo!» esclamò in un moto di sconforto, lasciandosi cadere la testa tra le mani. Si accarezzò la barba incolta con quella buona e sollevò il volto. Mi trovò sempre nella stessa posizione, in ginocchio ai piedi del divano. Chinò lentamente la testa verso di me e io gli andai incontro, fermandomi solo a pochissimi centimetri dalle sue labbra.
«Scoiattolina... Alla fine qualcosa lo hai rubato, lo sai?» esalò con un filo voce talmente sensuale che qualcosa in me scattò.
Non lo feci continuare a parlare, non resistetti più. Mi feci coraggio e in una mossa audace, unii le mie labbra alle sue. Ian si congelò per un istante in preda allo stupore, ma poi, come mi aveva promesso, mi baciò senza alcuna delicatezza, ma al tempo stesso senza mai mancarmi di rispetto o farmi sentire un mero strumento di piacere.
Mi prese il volto con una mano e mi divorò con urgenza mentre mi trascinava per la vita sul divano. Per la seconda volta quel giorno, mi misi a cavalcioni sopra di lui, percependo subito la durezza della sua eccitazione. L'odore della sua pelle muschiata e resa dolciastra dall'alcol mi fece desiderare di toccarla con la mia. Mi disfai del mio cardigan e gli sfilai la maglia termica, appiattendomi subito sul suo torace. Ian gemette con un suono gutturale e, con un'energia che non pensavo potesse avere in quel momento, si sollevò seduto con me in grembo. Avvinghiai le gambe intorno al suo bacino, mettendo in contatto le nostre parti intime ancora intrappolate in diversi strati di tessuto. Senza mai smettere di baciarmi, prese a spingersi in mezzo alle gambe portandomi rapidamente verso l'orgasmo. Stavo avendo la conferma che il mio corpo era davvero ancora completamente ricettivo. Forse anche troppo, data l'astinenza. Ian mi appoggiò allo schienale del divano per aumentare l'attrito e continuò a strusciarsi e a trattenermi per la vita. Arrivata al punto di non ritorno, gettai la testa indietro e ansai in preda agli spasmi. I miei muscoli interni si contorsero alla ricerca disperata di Ian. Con mia sorpresa, piacere e frustrazione si mescolarono fra loro rendendomi ancora più ingorda. Riportai lentamente il mio volto sul suo, leccandomi le labbra. «Ne voglio ancora, voglio di più, ti prego, Ice.»
«Qualsiasi cosa tu voglia, non chiamarmi più Ice.» Mi rispose con voce quasi tormentata.
Poi si sollevò in piedi afferrandomi per le natiche e tenendomi sempre ferma nella stessa posizione. Non so dove stesse trovando la forza, considerando che lo avevo trovato barcollante in salotto. Tuttavia, la sua postura era tornata ferma, solida e perfettamente bilanciata come suo solito. Nemmeno in quel caso ebbi paura di cadere. Ian godeva della mia piena fiducia.
Si diresse verso la camera degli ospiti e spalancò la porta con un leggero calcio. Prese a baciarmi più lentamente e mi adagiò in modo estremamente cauto sul letto, come se avesse avuto paura che potessi rompermi da un momento all'altro. Sussultai ancora più eccitata di prima, pensando che quel cambiamento di ritmo fosse solo il preludio di quello che avevo desiderato nel profondo: riuscire ad avere un rapporto completo con lui.
Contrariamente a quanto pensassi invece, Ian interruppe il bacio e prese a sussurrarmi sulle labbra.
«La mia anima, Ember. È quella che hai rubato e l'hai sciolta come neve al sole.»
Così dicendo tornò in posizione eretta, mi abbandonò sul letto e arretrò verso la porta senza darmi le spalle e si congedò. «Rimani buona qui, per questa notte. Ti prego.»

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