16. S.A.N.E.

ICE

"L'unica maschera concessa nella vita è nascondere il proprio dolore dietro un sorriso per non perdere la propria dignità".
(Alda Merini)


La cartella risaliva a poco più di un anno prima e riguardava il ricovero in pronto soccorso di Ember Sullivan presso l'ospedale di Denver.
Quando iniziai a leggere il verbale, percepii il terreno mancarmi sotto i piedi e un groppo in gola mi rese subito difficile respirare.
Ogni parola dell'anamnesi fu una lama conficcata nel petto.

Lesioni ed ecchimosi multiple su volto, bacino, torace e arti. Sospetta contusione di due costole e del setto nasale. Sospette lesioni esterne ed interne ai genitali e nell'area perineale. La paziente si presenta in uno stato mentale confusionale, a tratti catatonico.
Viene accompagnata al pronto soccorso da una coppia di sconosciuti che l'hanno soccorsa per strada trovandola in apparente stato di shock.
Vengono allertate le autorità e la SANE (Sexual Assault Nurse Examiner) per sospetta violenza sessuale.

"Sessuale". Rilessi quella parola non so quante volte. Ember aveva subito uno stupro.
Il foglio iniziò a tremarmi tra le mani e dovetti chiudere gli occhi prima di prendere coraggio e procedere nella lettura.
Il plico che seguiva era un dossier della SANE, in cui venivano confermate le fratture delle costole e del naso, oltre a un elenco infinito di lesioni e abrasioni su tutto il corpo.
In una lista a parte venivano descritte le lesioni genitali nell'area perineale e veniva menzionato un intervento in laparoscopia ginecologica per intervenire su una grossa lesione interna, riconducibile a una penetrazione forzata e perpetrata per diverse ore.
Gli esami delle tracce biologiche invece evidenziavano due diversi tipi di sperma e confermavano la rilevazione di due DNA, che sarebbero stati conservati per identificare gli aggressori.
Le analisi del sangue identificavano invece un miscuglio composto da talmente tante droghe diverse che non avevo idea di come il suo fisico non fosse collassato. In particolare, veniva menzionata una massiccia quantità di GHB, la droga dello stupro, del nitrito di amile, il cosiddetto popper, poi ancora cocaina, oltre a tracce ingenti di alcol.
Nella sezione legale, veniva riportato che Ember si era, in un primo momento, rifiutata di denunciare l'accaduto, ma che poi, sollecitata dagli agenti presenti, aveva esposto la denuncia di aggressione sessuale contro ignoti; pertanto, la raccolta delle prove forensi sarebbe stata conservata presso l'ospedale.
Il terzo plico del dossier riguardava alcuni esami condotti a distanza di tre mesi, dove veniva confermato esito negativo di sifilide, epatite B e HIV. Oltre a una perizia psichiatrica eseguita presso un centro di salute mentale del New Jersey che evidenziava disturbi del sonno, fobie, attacchi di panico e una evidente forma di stress post-traumatico.
Quando mi resi conto che il quarto plico era composto da un dossier fotografico di lesioni, contusioni, ecchimosi e abrasioni riportate da Ember, richiusi la cartellina con un colpo. La lasciai ricadere sul sottomano di mio padre, come se fosse incandescente e mi stesse ustionando le mani.
Emisi un urlo soffocato e sbattei i pugni sulla scrivania in preda alla frustrazione. Avevo voglia di spaccare l'intero studio, ma ancora di più avevo voglia di prendere a pugni me stesso.
Faticavo ad accettare che Ember avesse subito tutto quello che c'era scritto nel dossier. Quello che sicuramente non avrei mai accettato era il modo in cui l'avevo trattata io. Il modo in cui l'avevo accolta, insultandola e accusandola, dando credito alle voci messe in giro da quei due pezzi di merda. Io avevo contribuito solo a un'ulteriore violenza.
Mi presi la testa tra le mani e strinsi i capelli. Poi mi alzai e iniziai a camminare avanti e indietro per tutta la stanza.
Faticavo a pensare lucidamente.
L'immagine del volto tumefatto di Ember continuava ad invadermi la mente come un dolore assordante. Il labbro superiore viola spaccato, un occhio gonfio e livido fino a non permetterle di aprirle la palpebra, il naso informe e le narici sporche di sangue raffermo, erano tutti i dettagli che sapevo non avrei mai dimenticato.
Dovevo tuttavia cercare di riflettere. Perché Ember aveva consegnato la sua cartella clinica a mio padre? L'aveva forse convinta ad esporre denuncia contro Alan e Deamon? Da quanto c'era scritto nel verbale del SANE, sarebbe bastato un esame del DNA per sbatterli entrambi in cella alla velocità della luce.
Tornai a sedermi alla scrivania e accesi il computer di mio padre. Aprii la posta e cercai tra i vari mittenti il nome di Thomas Lee, un vecchio compagno di università di mio padre a cui sapevo si rivolgeva spesso in caso di consulenze legali.
Trovai una raccolta di mail avente oggetto "Riapertura indagini."
Lessi tutte le mail che si erano scambiati. Mio padre gli aveva mandato un riassunto della cartella clinica e il resoconto dell'esito del kit di indagini su crimini sessuali. Thomas confermava che le prove forensi raccolte e conservate dalla SANE erano sufficienti a farli arrestare in tempi celeri. La speranza che quei due bastardi finissero presto in gattabuia mi permise di riprendere fiato, ma poi l'ultima mail, inviata solo un quarto d'ora prima, mi fece sprofondare di nuovo nella disperazione.
Mio padre aveva comunicato a Lee che Ember ci aveva ripensato. Non voleva più riaprire il caso, in quanto l'arresto di Alan e del suo allenatore l'avrebbe messa sotto i riflettori facendole rivivere tutto quello che le era successo. Rimasi pietrificato e ricominciai a leggere da capo con la speranza di aver frainteso qualche frase.
Ero talmente concentrato che non mi ero reso conto che qualcuno aveva appena fatto irruzione nello studio di mio padre.
Quando alzai gli occhi dal computer ancora sotto shock mi trovai davanti Ember, con uno sguardo stralunato e un sorriso imbarazzato.
«Mio Dio, Ice! Non mi aspettavo che fossi nello studio di tuo padre. Mi sono spaventata.»
Ice... perché di nuovo Ice? Dannazione!
Aveva preso di nuovo le distanze e l'utilizzo del mio soprannome ne era la prova.
«Scusami, non volevo interromperti. Ma tuo padre si è dimenticato i contratti dei nuovi istruttori e mi ha chiesto di salire a prenderli. Mi ha detto che gli avrei trovati sulla scrivania in una cartellina con il logo della scuola.»
Senza dirle una parola, approfittai di quella scusa per mettere alla rinfusa la scrivania e coprire la sua cartella clinica con altri documenti e faldoni. Solo una volta nascosta, le allungai quello che stava cercando, anche se avevo sempre saputo perfettamente dove si trovasse.
Lei lo apri per controllarne il contenuto e mi ringraziò, dandomi le spalle e io non riuscii ad emettere alcun suono. Era lì davanti a me, quasi di nuovo sorridente, nonostante quella mattina avesse ricevuto un'intimidazione brutale, e nonostante quello che quei due cani schifosi avessero fatto al suo corpo e alla sua anima una dozzina di mesi prima.
Una volta sulla porta la vidi sospirare. Si voltò, tornò davanti alla scrivania e prese a parlare tutto d'un fiato.
«Ice, quello che è successo ieri notte e quello che stava succedendo stamattina, è stato... sbagliato. Tremendamente sbagliato. Ti chiedo scusa. Io non voglio intromettermi tra te e Amanda.»
La guardai esterrefatto dalla sua dolcezza. Non riuscivo a capacitarmi di quanto potesse essere ancora innocente dopo quello che aveva subito. Ad essere ancora gentile e delicata. A sorridere ed essere grata per le piccole cose come una piccola discesa allo snow park o una serie su Netflix con gelato annesso.
Non ricevendo risposta però, il suo sguardo si rabbuiò anche se solo per un breve istante, poi le due labbra si incurvarono in sorriso forzato, mentre gli occhi si fecero quasi lucidi.
«Sì, giusto. Forse per te non era un'intromissione, ma solo un'avventura a sé, dettata dal momento. Ad ogni modo credo sia meglio non ricreare la situazione di ieri notte. Sei stato molto gentile a preoccuparti per me, ma non è necessario che tu mi tenga ancora compagnia. Andrà tutto bene! Io ora vado. I tuoi genitori mi aspettano giù di sotto, in macchina.»
No, Ember! Non va bene un cazzo! Tu sei stata violentata in modo brutale, ti hanno distrutto come se fossi un povero animale indifeso gettato nella fossa dei leoni. Ti hanno dilaniato il corpo e l'anima. E ora ti stanno ancora violentando, minacciandoti. Non va bene! Non va bene per niente!
Non dissi niente di tutto ciò. Non dissi nemmeno mezza parola. Avrei potuto dirle almeno che non stavo più con Amanda, come avevo desiderato di fare quella mattina. Ma non lo feci. Avevo paura di aprire bocca per non tradire il fatto che ero sconvolto da quanto appena appreso sul suo conto. Così mi limitai a fissarla andare via, inerme.


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