15. Broken in half
ICE
"Io sono un guerriero, veglio quando è notte
Ti difenderò da incubi e tristezze
Ti riparerò da inganni e maldicenze
e ti abbraccerò per darti forza sempre"
(Marco Mengoni)
L'aroma di castagne, vaniglia e bergamotto fu la prima cosa che i miei sensi percepirono. Pochi istanti dopo, il contatto con la sua pelle setosa, il suo braccio avvinghiato al mio torace, la morbidezza del suo seno sul mio fianco e la sua gamba affusolata intrecciata alla mia, irradiarono una sensazione di benessere in ogni cellula del mio corpo. Un piacevole solletico elettrico corse fino al mio basso ventre, dove una cospicua erezione mattutina aveva già anticipato il risveglio dei miei sensi.
Un altro formicolio, molto meno piacevole, mi stava invece torturando una spalla, segno che avevo dormito abbracciato a Ember per tutta la notte, nella stessa identica posizione in cui ci eravamo addormentati. Non mi importava molto. Avrei tranquillamente sopportato quel dolore per altre svariate ore pur di tenerla ancora tra le braccia.
Ero ormai sicuro di aver sviluppato una dipendenza. Dalla prima notte che l'avevo tenuta stretta a me, sentivo incessantemente l'esigenza di proteggerla e di baciarla. Avrei voluto coprirla con il mio intero corpo per tenerla al sicuro da qualsiasi cosa la spaventasse. Avrei voluto farla mia, per farla sentire bene, per farle capire che non era sola, ma lei non era ancora pronta a tutto questo. Dovevo aspettare i suoi tempi.
Aprii lentamente gli occhi e mi promisi che avrei fatto di tutto per svegliarmi sempre così, con lei avvinghiata a me. Mi voltai lentamente verso la sua nuca e inspirai a fondo il suo profumo. Quel lieve movimento, tuttavia, turbò il suo sonno. Ember alzò il volto verso il mio, strisciando la guancia sulla mia spalla e avvinghiandosi ancora di più al mio corpo. Due piccole fessure si schiusero dolcemente dalle sue ciglia lunghe e sensuali, e gli angoli della bocca si incurvarono leggermente.
Risposi con un sorriso che dovette risultare davvero sornione.
«Ehi, hai dormito bene, scoiattolina?»
«Benissimo...» mi rispose con la voce ancora arrochita dal sonno mentre si contorceva e strusciava addosso a me, inconsapevole del fatto che stesse mandando definitivamente in tilt il mio autocontrollo. Il silenzio calò tra di noi e l'aria mutò nella stanza. L'eccitazione era diventata palpabile tanto da appiattire i nostri sorrisi e portare i nostri volti, ormai seri, ancora più vicini. Fu Ember a gettarsi sulle mie labbra e io risposi appropriandomi delle sue con una voracità inusuale per un bacio mattutino.
Lei contraccambiò con urgenza. Si contorse mugolando tra le mie braccia e inarcò la schiena al passaggio delle mie mani quando scivolarono verso il fondoschiena.
Senza smettere di baciarmi, allargò una gamba e si mise di istinto a cavalcioni sopra di me. Tuttavia, non appena si trovò in quella posizione, interruppe il bacio e un velo di incertezza comparve sul suo volto. Mi apprestai a mettermi seduto, sempre con lei sopra di me, e per rassicurarla e le presi il volto tra le mani.
«Va tutto bene, Ember. Ma se vuoi, possiamo fermarci.»
Scosse la testa e riprese a baciarmi. Ansimò nella mia bocca, non appena si mosse sopra la mia durezza. Non sapevo se fosse per via del calore umido che sentivo provenire dal suo centro o dalle vibrazioni dei suoi gemiti nella mia bocca, ma in quel momento persi ogni freno. L'afferrai con un palmo dietro la nuca e le spinsi il viso contro il mio per approfondire il bacio. La mia lingua lasciò ogni delicatezza e le invase la bocca comunicandole in modo poco sottile la voglia che avevo di entrarle dentro. Non ancora soddisfatto, con l'altra mano, le spinsi il fondoschiena contro la mia eccitazione. Lei gemette ancora più rumorosamente e iniziò a dimenarsi sopra di me. Il solo sfregamento attraverso i tessuti e i nostri baci umidi e voraci mi stava quasi facendo raggiungere il picco, e così doveva essere lo stesso per Ember, dato che ansimava in modo sempre più incontrollato. Ad un tratto però il mio telefono squillò alle mie spalle, abbandonato sul comodino dalla notte prima. Riconobbi la suoneria di Amanda. Decisi così di ignorarla e ripresi a dedicare tutte le mie attenzioni alla mia scoiattolina, desideroso di vederla esplodere sopra di me. Ripresi così a baciarla dopo la nostra brevissima pausa dovuta a quel suono improvviso, ma lei non ricambiò. Ember doveva aver visto il nome sullo schermo, perché il suo corpo da sensuale, caldo e morbido era diventato un pezzo di ghiaccio tra le mie mani.
Con una movenza controllata si scostò e scese dal letto dandomi le spalle.
«Scusami Ice, abbiamo commesso un errore.»
«Non chiamarmi Ice, per favore. E non c'è stato nessun errore in quello che stavamo facendo.»
«Sì, invece. Per favore lasciami sola.»
«Ma...»
«Vattene, per favore!»
Balzai giù dal letto in un moto di rabbia. Come era possibile che dieci secondi fa stavamo quasi esplodendo all'unisono strusciandoci come due adolescenti e subito dopo eravamo distanti anni luce l'uno dall'altra?
Quel movimento improvviso turbò visibilmente la scoiattolina nonostante mi stesse dando le spalle, perché le sua schiena si irrigidì come a proteggere il capo e fece un passo in avanti, portandosi ancora più lontano da me. Tuttavia non desistetti. Non poteva essersi rovinato tutto così per una stupida chiamata.
«Ember, io e Amanda...»
«Ho detto vattene. Per favore! Ho bisogno di rimanere sola» la sua voce da glaciale era diventata più simile a una supplica, e così mi rassegnai al fatto che non avremmo parlato.
«Ne possiamo almeno discutere più tardi?»
Sempre dandomi le spalle, Ember annuì debolmente, probabilmente più per farmi uscire dalla dépendance, che per permettermi di spiegare la situazione.
Resistetti all'impulso di prenderla tra le braccia, farla voltare, per dirle che io e Mandy non stavamo più insieme e che potevamo riprendere dove eravamo rimasti. Io però le avevo promesso che non avremmo mai fatto qualcosa che non le andasse. Non potevo sapere se la richiesta di andarmene fosse solo unicamente per la chiamata di Amanda o se quello fosse solo un pretesto per smettere di fare qualcosa che in fondo non era sicura di voler fare.
Così mi infilai le scarpe e uscii silenziosamente in preda alla frustrazione. Non appena fuori dalla dépendance, alzai gli occhi verso casa mia e la mattinata prese una piega ancora più storta.
Mio padre stava bussando alla mia porta e mi stava chiamando. Si voltò in basso verso la dépendance sentendo un rumore provenire alle sue spalle. Il suo volto da gioviale e sereno com'era sempre, si rabbuiò e i suoi occhi mi fissarono furiosi.
Io rimasi fermo nella mia espressione seria e inspirai preparandomi alla sua ennesima ramanzina.
Fu lui a muoversi per raggiungermi e affrontarmi. Scese le scale e una volta di fronte a me sbottò come lo avevo visto fare davvero poche volte.
«Cosa diavolo pensi di fare ora, Ian? Hai cambiato strategia? Pensi di portarla a letto e di spezzarle il cuore in modo che sia lei ad andarsene? Lo capisci o no che quella ragazza non ha bisogno di essere presa in giro?»
«Ma io...»
Fui interrotto da un grido straziante che mi lacerò il petto.
La voce era quella di Ember e proveniva dalla balconata del suo alloggio. Io e mio padre ci guardammo e poi iniziammo a correre verso il cancelletto che delimitava il suo spazio esterno. Lo saltai con un balzo per non perdere tempo ad aprire il chiavistello arrugginito e mi precipitai da lei.
Il suo volto era rigato dalle lacrime, mentre teneva tra le mani la sua tavola tranciata in due. Gli presi i due pezzi dalle mani. Era una Artic Edge di ottima qualità. Ovviamente non così flessibile come le mie custom che usavo sugli half pipe, ma sarebbe stato comunque impossibile romperla accidentalmente. Qualcuno l'aveva piegata con non poca fatica, nel tentativo di spezzarla appositamente.
Sentii mio padre sospirare preoccupato alle mie spalle. Mi voltai e gli passai i pezzi di tavola nelle sue mani per farglieli visionare. Non appena me ne liberai, mi apprestai ad avvolgere Ember tra le braccia per farla smettere di piangere e lei affondò il volto nella mia spalla.
«È stato qui. Era qui fuori dal mio alloggio... È un avvertimento.» mi disse tra le lacrime.
«Ssssh, nessuno ti farà del male. Te lo prometto. Non lo permetterò, ok?»
Mio padre stava guardando quel quadretto ancora con sospetto, ma la sua espressione era più preoccupata per Ember.
«Cosa è successo? Ho sentito urlare Ember?» Mia mamma ci raggiunse tutta trafelata.
«Mamma, puoi portare Ember in casa vostra, per favore?»
«Certo, certo! Vieni, piccola, andiamo su di sopra, vieni.»
La prese per le spalle e se la portò via con sé. Le seguii con lo sguardo finché non scomparirono dentro casa, poi mi girai verso mio padre.
«Ho bisogno di sapere cosa le è successo, non posso proteggerla se non so tutta la situazione.»
«Ian, ti ho già detto che deve essere lei a dirtelo. Se lei non lo ha ancora fatto, evidentemente non vuole essere protetta da te, non credi?»
«Non mi interessa! Ho bisogno di saperlo. Perché parlava di un avvertimento?»
«Questo», disse alzando i due pezzi di tavola, «è un'intimidazione a non parlare. Se non lo ha già fatto nonostante siate andati a letto assieme, cosa ti dice che vorrà farlo ora?»
Non siamo andati a letto assieme! Dannazione. Volevo solo accertarmi che non avesse incubi come suo solito e mi sono addormentato da lei.»
«Certo, immagino dipenda da te il fatto che non sia successo, quindi?»
«Non cambiare argomento, papà.»
«Non ti racconterò niente senza il suo permesso, Ian. Fine della discussione. Ora devo andare. Voglio convincerla ad andare alla stazione di polizia per la denuncia.»
«Denuncia per cosa? Per quello che è successo ora o per altro?»
Mio padre mi fulminò con lo sguardo, ribadendo il fatto che non mi avrebbe raccontato nulla. Fui tentato di raggiungere Ember a casa dei miei, per vedere come stesse. Ma non volevo metterla ancora più in imbarazzo. Così tornai a casa mia per farmi una doccia e vestirmi.
Una volta pronto mi affacciai alla vetrata del soggiorno e la vidi salire in macchina dei miei genitori. Una volta in lontananza, mi decisi a mettere in atto quello che mi era ronzato in testa per tutto il tempo trascorso sotto l'acqua scrosciante della doccia. Doccia che nonostante la temperatura folle, non era riuscita a distendermi i nervi.
Il mio piano era sbagliato, scorretto e addirittura illegale. Ma io dovevo assolutamente sapere cosa le era successo. Non mi sarei fermato davanti a niente. Come avrei potuto aiutarla altrimenti? Avevo un disperato bisogno di saperla al sicuro e il fatto di non sapere cosa le era accaduto e di conseguenza cosa stava accadendo in quel momento mi rendeva impotente. Così mi diressi verso casa dei miei genitori, una volta dentro entrai nello studio di mio padre con l'intento di cercare una oggetto in particolare: la cartellina azzurra che avevo visto in cucina la mattina precedente. Ember l'aveva data a mio padre, il quale si era rinchiuso poi nello studio, prima di tornare in cucina e guardare Ember con un'aria degna di un funerale.
Non ci impiegai molto a trovarla, perché l'avevo impressa molto bene nella memoria. Era sotto alcuni documenti, ma la identificai subito dal colore. Mi sedetti sulla poltrona di mio padre e l'appoggiai sul sottomano in cuoio della scrivania, soffermandomi ad osservarla. Temporeggiai facendo scorrere un indice sul lato dell'apertura.
Quel piccolo faldone conteneva davvero il segreto di Ember? Cosa dovevo aspettarmi? L'idea che mi ero fatto era che Alan fosse un narcisista patologico e che l'avesse vessata con violenze psicologiche ingenti, e che una volta caduta la maschera, avesse tentato di screditare Ember in tutti i modi possibili. Ci avevo messo un po' di giorni, ma avevo compreso anche io che la scoiattolina non poteva essere una ladra. Tuttavia avevo sentito con le mie orecchie cosa Alan e il suo compare Deamon andassero a dire in giro.
Avevo vagliato anche l'ipotesi di qualche aggressione fisica, ma le reazioni di Ember non mi erano sembrate così spropositate la sera prima. Si vedeva che aveva dei problemi a lasciarsi andare, ma non mi aveva dato l'idea di essere stata picchiata. Se la chiamata di Amanda non ci avesse interrotto poco prima, ero quasi sicuro che sarebbe riuscita a lasciarsi andare con me. Forse addirittura a un rapporto completo.
Eppure, nonostante le mie svariate ipotesi, il desiderio di sapere faceva a pugni con la paura di scoprire qualcosa di orrendo. La voglia di proteggerla invece andava a braccetto con i sensi di colpa per quello che mi stavo apprestando a fare: ovvero ledere la sua privacy, riguardo una questione probabilmente molto delicata.
Feci un sospiro profondo e mi decisi ad aprirla.
Quando mi accorsi che mi trovavo di fronte a una cartella clinica, ebbi la conferma che stavo scoperchiando un maledettissimo vaso di Pandora.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top