10. Plan B
ICE
La vera forza non si misura in cosa vinci,
ma in cosa proteggi".
(Fabrizio Caramagna)
Avevo passato la notte a chiedermi il perché di quel vuoto nel petto, ma soprattutto a chiedermi se Ember stesse bene, se stesse ancora facendo incubi.
Non sapevo cosa mi stesse prendendo. Un bisogno viscerale di protezione nei suoi confronti mi era esploso dentro quando l'avevo vista rannicchiata a terra negli spogliatoi. O forse, a ben vedere, anche la sera precedente, quando aveva reagito in modo spropositato al mio scherzo ed era rimasta visibilmente scossa per tutta la sera, finendo addirittura ad eccedere con l'alcol per allentare la tensione.
Frastornato dall'accaduto, avevo annullato i miei impegni con Amanda e mi ero recato al pub per vedere come stesse. L'avevo osservata per tutta la sera, ed ero tornato a casa subito dopo di loro per verificare che fosse tutto a posto.
La spiegazione più plausibile di tutti i miei istinti così insoliti si poteva ricondurre ai sensi di colpa. Non sapevo cosa fosse successo a Ember realmente e nemmeno sapevo se me lo avrebbe mai raccontato, ma vederla tremante e fuori controllo, mi era bastato per capire che aveva subito un trauma e che io avevo solo infierito ulteriormente su di lei.
Avrei voluto rimediare, ma le scuse non sarebbero state sufficienti. La situazione era fuori dal mio controllo, in quanto non conoscevo tutta la verità. E io in genere avevo sempre tutto sotto controllo. Sempre. In quello che facevo, non averlo, voleva dire rischiare la vita.
Avevo passato la notte tra il rimuginare su cosa potevo fare per lei e il desiderio di scendere, rientrare nella sua stanza, nel suo letto e tenerla stretta tutta la notte.
Volevo sentirla respirare sul mio petto, sentire il suo profumo dolce, e cazzo, sì, anche baciarla. Lo stesso desiderio che avevo avvertito quando mi ero preso la libertà di provocarla dopo la doccia negli spogliatoi.
Era inutile che mi nascondessi la verità. Non era una protezione fraterna quella che sentivo. E con buona probabilità, anche il mio precedente astio aveva a che fare in qualche modo con una strana e inspiegabile attrazione nei suoi confronti.
L'avevo desiderata proprio quando era così vulnerabile e non ne andavo fiero. L'avevo insultata in tutti i modi possibile e ora sembrava quasi che volessi approfittare di un suo momento di debolezza.
Ancora in preda a quel turbine di pensieri, il mio corpo si trascinò in automatico verso il luogo in cui sapevo l'avrei trovata a quell'ora. Ero uno straccio e ancora non sapevo come avrei affrontato quella giornata, in cui per altro avrei dovuto esibirmi per l'inaugurazione del Superpipe. Ci avrei pensato in un secondo momento. Prima di tutto volevo vedere Ember e proporre ai miei di chiudere la sede della scuola in modo che lei salisse con noi sulle piste e non stesse giù da sola.
Da quanto sapevo Daemon non si era più visto in giro, ma non ero certo che avesse lasciato Skyville. L'idea che si ripresentasse mentre la scoiattolina fosse da sola in ufficio mi faceva impazzire.
Come previsto era lì. Seduta al tavolo della cucina davanti ai miei genitori. Fu subito evidente che avevo interrotto una conversazione di cui io non dovevo essere reso partecipe. Mio padre si alzò dal tavolo velocemente cercando di far sparire una cartellina azzurra dietro la schiena e mi guardò con il solito sguardo ammonitore, mentre mia mamma si strinse gli occhi con l'indice e il pollice nel tentativo di asciugarsi le lacrime, senza attirare l'attenzione.
Ember invece si voltò verso di me solo dopo qualche istante, con gli occhi rossi e lucidi, aumentando quel vuoto nel petto che sospettavo ormai sarebbe passato solo abbracciandola.
Cosa che ovviamente che non potevo fare. Mi limitai quindi ad oltrepassare il tavolo della cucina. La scoiattolina abbassò gli occhi non appena mi appoggiai al bancone davanti a lei.
«Ember, come ti senti oggi?» richiamai la sua attenzione.
Lei sussultò, come se fosse sorpresa del mio saluto. Come se non si aspettasse quella gentilezza. Come se non le avessi chiesto scusa la sera prima e non l'avessi tenuta tra le braccia per farla addormentare tranquilla.
Alzò un sopracciglio e spalancò la bocca in cerca di parole.
«Io... Grazie... Ice. Sto un po' meglio. Mi dispiace averti piantato in asso ieri.»
Inclinai leggermente la testa, non comprendendo come mai fosse lei a scusarsi. Emisi un sospiro denso di preoccupazione. L'atmosfera che avevo trovato in cucina non mi piaceva per nulla. Avevo come la sensazione che la verità, da cui ero rimasto escluso per ovvi motivi, fosse peggio di quello che potessi immaginare.
Più guardavo Ember senza poter fare nulla per poterla consolare, più la voragine nel petto si allargava. Fortunatamente mia mamma ruppe la tensione nell'aria.
«Tesoro, hai l'aria stravolta. Hai fatto tardi al party di ieri sera.»
«No, non sono andato. È solo che non ho dormito molto ieri notte.»
Ember sollevò il volto in uno scatto e io mi chiesi se stesse pensando al nostro momento in camera sua. La paura le stava nuovamente deformando i suoi lineamenti così delicati. Contrasse le labbra rosee e carnose, e dilatò le narici incastonate nel suo nasino. Tuttavia era una paura diversa da quella che le avevo visto addosso il giorno prima.
«Come mai non sei andato? I genitori di Amanda ci saranno rimasti male», continuò mia madre poggiandomi una mano sulla spalla.
«Avevo altro per la testa e non sono il loro tirapiedi. Non c'era nessuna voce sul contratto che riguardava la serata di ieri.»
«Però l'inaugurazione di oggi immagino di sì, non puoi saltare in quello stato!» Con mia sorpresa fu Ember ad intromettersi in quella conversazione usando un'esclamazione stranamente vigorosa per il suo stato emotivo di quella mattina. Sia io che mia mamma ci voltammo stupiti verso la sua direzione, mentre lei si portò la mano davanti alla bocca e diventò paonazza, come se si fosse resa conto di aver dato voce a qualcosa che non volesse davvero esternare.
«Scusatemi, non volevo essere invadente. Mi stavo solo domandando se non fosse pericoloso effettuare dei trick così tecnici ed estremi senza aver dormito a sufficienza.»
Ember aveva paura per me, per la mia sicurezza. Mi soffermai ad osservarla non capendo come potesse elaborare quel pensiero mentre era visibilmente già frastornata per i suoi problemi.
Ci fissammo negli occhi e lei si morse il labbro fin quasi a farlo sanguinare. Di nuovo fui tentato di afferrarle il volto e baciare delicatamente proprio quel punto che stava torturando, invece mi limitai a rispondere per distrarla.
«È una giusta osservazione Ember, ma le cose in questo caso sono un po' più complicate. Dovrei trovare un'alternativa e non abbiamo molto tempo.»
«Possiamo organizzare una discesa di gruppo della scuola, magari con salti meno complicati
«Ma non saprei nemmeno a chi chiedere.»
«Katy da quanto ho capito si sta allenando nei suoi giorni liberi e sa fare qualche salto. Corretto? Il tuo allenatore potrebbe aggiungersi. Anche gli istruttori della sezione agonistica, e per far numero possiamo aggiungere anche gli altri istruttori con dei semplici grab. Infine se hai qualche videoclip delle prove che hai fatto nei giorni scorsi, posso montarti un video con quelli. Andrà a sopperire la visibilità sui social anche se magari i presenti non potranno godere delle tue evoluzioni più complesse. Posso organizzarti tutto in un paio di ore, se la Neige Management approva.»
Alzai entrambe le sopracciglia frastornato da quel fiume di propositività che mai mi sarei aspettato da lei, soprattutto in quel momento.
«Organizzare cosa? Cosa mi sono persa?» La voce squillante ed energica di Katy irruppe in cucina. Mia sorella mi rubò la tazza di caffè dalle mani e si allungo davanti a me per prendere un biscotto, il tutto mentre mi scrutò con la coda dell'occhio e uno sguardo disgustato.
«Bleah... fratello, stai davvero uno schifo! Ma cosa ti è successo?»
«Non sono in forma per saltare oggi. Ember proponeva di organizzare una discesa e un video montaggio delle prove già fatte.»
«Oh... Wow! È un'idea grandiosa! Ho tantissimo materiale per il video. Lo avevo anche segnalato alla Neige Management, ma non mi hanno dato molto retta. Io però non credo di poter fare un montaggio degno di un megaschermo. So solo fare i reel con le impostazioni predefinite di Instagram.»
«Quello lo posso fare io senza problemi, se mi passi il materiale!» rispose Ember.
«Io posso iniziare a chiamare gli istruttori.» aggiunse mia mamma.
«Io posso mettermi un tuo completo, il tuo casco e la tua maschera e saltare al posto tuo. Sono sicura che non noterebbe nessuno la differenza.» ironizzò mia sorella facendomi al linguaccia e spintonandomi una spalla.
«Ok...ok... va bene. Chiamo subito Lauren del marketing e vedo se può andare bene questa alternativa. Ci vediamo tra venti minuti tutti giù a scuola.»
Ember sorrise tutta felice e la visione del suo volto illuminato da un'espressione finalmente positiva, mi colpì dritto nel petto, tanto che non riuscii a ricambiare tempestivamente. Come era possibile che due secondi prima fosse sotto un treno e ora avesse le forze di mettere in piedi in sole due ore tutto quello che stava dicendo? Quei pensieri mi stavano oltretutto distraendo dal mio intento iniziale di quella mattina: mettere in sicurezza la scoiattolina.
Con un tempismo perfetto mio padre tornò in cucina in quel momento, incuriosito da tutta la frenesia di quella discussione.
«Non abbiamo parlato però di dove starà Ember durante l'inaugurazione. Non credo sia il caso di lasciarla sola, dopo ieri. Possiamo chiudere per un paio di ore e portarla su con noi.» Dissi fissando mio padre, il quale mi analizzò per qualche secondo e comprese che quella mia proposta non arrivava dalla malafede questa volta, ma da un opportuno buon senso.
Mi fece un cenno di approvazione e poi rivolse uno sguardo ad Ember talmente denso di dispiacere che fui pervaso dallo stesso senso di angoscia che mi aveva colpito al mio arrivo in cucina.
D'istinto guardai la scoiattolina, che stava già confabulando con Katy riguardo i videoclip in nostro possesso. Sorrideva ed era entusiasta di ogni cosa elencasse mia sorella.
Riportai lo sguardo su mio padre che nel frattempo si era messo a fissare il cielo dalla vetrata della cucina con un'espressione triste e completamente assente.
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