09. Confession
EMBER
"Per comprendere certi delitti basta conoscere le vittime".
(Oscar Wilde)
Mi svegliai la mattina successiva al mio crollo mentale, stranamente riposata.
La dottoressa mi aveva detto che sarebbe potuto succedere una mia regressione in concomitanza di qualche situazione che mi ricordasse o che mi facesse rivivere il trauma subito.
Il miei primi giorni a Skyville non erano andati come speravo, e quel dannato half pipe da sette metri non aveva fatto altro che aumentare la mia angoscia verso il futuro.
Essere braccata nel bagno da Ice mi aveva già portato a galla alcuni ricordi, ma rivedere il volto di Deamon e risentire la sua viscida voce, mi aveva letteralmente catapultata a Denver, dopo il party sfrenato organizzato dalla Artic Edge, il marchio più rinomato per le tavole da snoawboard.
Non avevo molti ricordi in realtà, dato che le droghe che Alan e Deamon mi avevano sciolto di nascosto nel cocktail mi avevano offuscato la mente fino a perdere a tratti la coscienza. Mi ero sempre ritenuta fortunata di essere stata così poco lucida in quella circostanza. Non avrei mai voluto ricordare quella notte. Guardarmi allo specchio la mattina seguente in ospedale, era già stato sufficiente per rompermi in mille pezzi in modo irreparabile. Tuttavia il mio inconscio non fu d'accordo e dopo qualche ora dal mio ricovero, aveva iniziato a rigettare qualche flebile ricordo. Anche a distanza di settimane, non avevo ancora recuperato la memoria dell'intera nottata, ma ogni successivo evento post traumatico mi lasciò un ricordo in più, finché non completai quel puzzle terrificante. Da lì in poi, ogni effetto trigger, mi riportava a galla tutto, rompendomi ogni volta in mille pezzi, ancora e ancora.
La psicologa che mi aveva seguito a New York, si era resa disponibile a delle sedute in remoto, così incassai la sconfitta e le scrissi per fissare un appuntamento, prima ancora di alzarmi dal letto.
Sospira affranta e in quel momento mi resi conto che le lenzuola sembravano impregnate di muschio, lime e pino silvestre, il profumo di Ice.
Imputai quella stranezza alla forza della memoria olfattiva.
Avevo sognato di dormire tra le sue braccia e di conseguenza la mia testa stava immaginando il profumo che avevo sentito quando si era avvicinato così pericolosamente nelle spogliatoio maschile.
Sospirai al ricordo di quel sogno che era stato così vivido, tanto da sentire distintamente il suo corpo massiccio affianco al mio.
Scrollai infine la testa coscia dell'assurdità di quei sogni e mi alzai per tirare fuori la cartella clinica di quella maledetta notte.
Salii a casa Egawa, nonostante fosse molto presto rispetto al mio orario abituale. Come previsto, trovai solo Himari e Tak in cucina, i quali stavano parlando sottovoce in modo molto serio.
Interruppero la conversazione non appena mi videro e mi rivolsero dei sorrisi ancora più accoglienti del solito.
«Buongiorno Ember, come ti senti questa mattina?»
«Meglio Tak, grazie...»
«Caffè latte?» mi chiese ancora, ricordandosi della nostra prima colazione assieme alla bakery.
Annuii mestamente.
«Io... volevo scusami ancora per ieri. Mi dispiace davvero tanto essere crollata così sul lavoro. Mi dispiace anche non avervi dato delle spiegazioni esaustive.»
Himari scosse la testa in un affettuoso dissenso.
«Cara, non ti devi preoccupare assolutamente. Abbiamo intuito che è una situazione molto delicata e non volevamo essere indiscreti o invadenti. Volevamo solo capire se c'è qualcosa che possiamo fare per aiutarti.»
«Lo so Mari e vi ringrazio davvero tantissimo per la vostra comprensione. Voi mi avete accolto alla scuola e nella vostra casa come una di famiglia fin da subito e mi sembra doveroso essere trasparente con voi.»
Himari si sedette affianco a me e mi prese una mano come a darmi coraggio e io inizia a raccontare tutto dopo una breve pausa.
«L'anno scorso, vivevo a Denver con il mio ex fidanzato Alan. Un collega della nazionale di vostro figlio. Immagino sappiate chi sia.»
Annuirono entrambi senza alcuna sorpresa.
«Il nostro rapporto sembrava essere normale finché un piccolo infortunio non lo bloccò per qualche mese. Avevo già notato che quando Alan cometteva qualche errore nelle gare o se l'allenamento non andava come si aspettava, riusciva ad incolpare me con qualche giustificazione assurda e contorta. E così fece anche in occasione dell'incidente a Saas-Fè. Da quel giorno incominciò un periodo davvero buio e difficile. Prese a sballarsi tutte le sere e io pensai ingenuamente che fosse solo un modo per affrontare quel periodo di fermo forzato, finché una notte ad una festa, lui e il suo allenatore, hanno insistito che assumessi della coca anche io.
Mi sono categoricamente rifiutata, ma loro...» Deglutii e Himari mi strinse ancora di più la mano. Raccolsi le forze e proseguì a raccontare la parte più difficile. «Hanno versato una dose massiccia di droga nel mio cocktail e io persi praticamente i sensi poco dopo. Mi sono svegliata la mattina dopo con...con...»
«Non devi raccontarci i dettagli se non te la senti»
Annuì, sospirai e cercai di buttare fuori quell'ammissione tutta d'un fiato. Come a strappare un cerotto in un colpo solo.
«Hanno abusato di me, entrambi, non solo sessualmente.»
Feci scivolare sul tavolo il faldone che mi aveva rilasciato l'ospedale. E dopo qualche istante ripresi a parlare.
«Mi avevano minacciato di rifarlo ancora se avessi aperto bocca. Così mi rifiutai di esporre la denuncia sul momento. Non feci in tempo ad uscire dall'ospedale che avevano già sparso voce secondo la quale io avrei derubato Alan per poi scappare via, in modo da screditarmi e rendere qualsiasi cosa che avessi raccontato in seguito poco credibile. Credo che la loro versione la sappia anche Ian... ad ogni modo ero talmente a pezzi che non avevo la forza di intraprendere nessuna azione legale, oltre che nemmeno i soldi per farlo. Ogni singolo centesimo che avevo da parte l'ho speso per pagare la psicologa che mi ha aiutato ad affrontare il tutto. Quando ho scelto di venire a Skyville non sapevo del Superpipe. Non sarei mai venuta qui se solo avessi immaginato che questo posto sarebbe diventato a breve un ricettacolo per gli atleti professionisti.»
Avevo parlato tutto il tempo senza guardarli negli occhi in quanto era la prima volta che raccontavo a qualcuno che non fosse la mia dottoressa quello che era successo. Quando rialzai la testa i loro volti erano completamente paonazzi. Takashi aveva la mascella serrata in una espressione tesa, mentre Himari cercò furtivamente di asciugarsi un paio di lacrime dalle guance.
«Mi dispiace avervi turbato.»
Tak sbuffò e si sedette davanti a me. Cercò di dissipare l'espressione tesa sul suo volto e prese a parlami in tono amorevole.
«Non hai niente da temere finché se qui con noi Ember, così come non avrai niente da temere se li denuncerai e non lo avrà nemmeno qualche altra ragazza che potrebbe trovarsi nella tua stessa situazione...»
«Se vuoi intraprendere questa strada noi ti aiuteremo e saremo sempre con te. Non sei tu che devi scappare, Ember e ora non sei più sola.» concluse Himari abbracciandomi.
«Sì, credo sia il momento di farlo, ma vorrei pensarci ancora un attimo. Non sono ancora sicura di essere pronta, ma grazie davvero per il vostro aiuto. Non sapete quanto conti per me.
«Ember, se mi dai il permesso posso far visionare intanto la tua cartella ad un mio amico, una bravo avvocato penalista. Sono sicuro ci potrà dare qualche indicazione fin da subito in modo che tu possa figurare meglio come andranno le cose. Magari potremo anche chiedere un' ordinanza restrittiva.»
Annuii, grata finalmente di avere qualcuno che mi aiutasse e mi desse la forza di affrontare legalmente quello che mi era successo, anche se non sapevo sarebbe stato abbastanza per convincermi a farlo davvero.
«E se ti fa piacere, posso lasciarti il numero di una amica che gestisce un centro anti...»
Himari si interruppe bruscamente , Tak raccolse velocemente la cartellina dal tavolo e mi fece un cenno di intesa, diringendosi verso il suo studio, dopo aver riservato uno sguardo ammonitore proprio dietro le mie spalle.
Mi voltai comprendendo che non eravamo più soli e vidi Ice tenebroso come sempre, cupo come sempre, ma con un'aria visibilmente stanca. Invece di ignorarmi come era solito fare, mi riservò uno sguardo talmente intenso da entrami sotto la pelle, strisciare lungo tutto il mio corpo fino ad attecchirmi nelle ossa.
Mi stava guardando dentro. Non mi stava più scrutando malignamente in cerca di qualche mia mancanza, ma era come se i suoi occhi mi stessero vedendo per la prima volta, penetrando la mia mente e il mio cuore.
Avevo appena messo sul piatto i miei segreti più reconditi e umilianti, ma Tak e Himari avevano accolto il mio dolore senza farmi sentire a disagio.
Ian invece non sapeva ancora niente di quello che mi era successo, tuttavia mi sentii improvvisamente nuda ed esposta sotto il suo sguardo, improvvisamente caldo, avvolgente e inspiegabilmente senza più alcuna traccia di astio.
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