08. Stay with me

ICE

"Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l'ho amata e a volte anche lei mi amava.
In notti come questa io l'ho tenuta tra le braccia.
L'ho baciata tante volte sotto il cielo infinito".
(Pablo Neruda)

Quella sera Ember non si presentò a cena e l'atmosfera a tavola fu davvero surreale. Katy ci martellava con i racconti dei suoi salti sul nuovo superpipe che aveva avuto modo di provare quel giorno, grazie alla collaborazione di Ty. Sembrava non darci un attimo di tregua, ma se conoscevo bene mia sorella, quel comportamento era volto a colmare i silenzi lasciati dai nostri genitori. Avevano un'aria tremendamente cupa e triste. Li avevo visti così senza parole solo pochissime volte, in occasione della morte dei miei nonni.
Non osai chiedere più nulla a mio padre, dopo quanto mi aveva intimato nel pomeriggio. Così, dopo cena, salutai tutti e mi diressi verso casa mia. Sulla porta, però, mi bloccai e mi voltai verso l'appartamento di Ember. Combattuto tra i sensi di colpa e la curiosità, ritornai sui miei passi per andare verso la dépendance. Mi bloccai con il pugno a mezz'aria indeciso se bussare o meno, quando ad un tratto iniziai a sentire lamenti e grida provenire dall'interno.
«Ember! Stai bene?» Urlai ma non ricevetti Nessuna risposta.
«Ember, mi senti?» Un altro urlo straziante mi scosse lungo tutta la spina dorsale e inziai subito a cercare nel mio mazzo le chiavi di quella porta.
«Ember, se non mi rispondi, entrerò, ho le chiavi con me» l'avvisai un'ultima volta.
Continuavo a sentirla piangere e così feci scattare la serratura e irruppi nella sua stanza, convinto di trovare qualche aggressore. Invece mi trovai di fronte a uno spettacolo che mi sconvolse ancora di più.
Ember era rannicchiata a letto, con addosso solo degli shorts, un reggiseno sportivo e un cardigan aperto. Stava ancora dormendo, in preda a un terribile incubo. Il sogno che la stava imprigionando però doveva essere davvero reale, perché le sue guance erano rigate dalle lacrime e il suo volto contrito dal dolore.
Valutai come agire. Forse avrei dovuto andarmene e fare finta di niente. Dopotutto Ember non stava correndo nessun pericolo reale. Tuttavia, uno strano calore nel petto mi tenne inchiodato lì, nel suo alloggio, a pochi passi dal suo corpo che si contorceva tra le lenzuola.
L'unica cosa di cui ero certo, è che non potevo più a vederla in preda al terrore e al dolore, senza fare nulla. Così allungai una mano e iniziai a parlare con un tono carezzevole e tranquillizzante, senza sapere bene da cosa dovessi rassicurarla.
«Ember, è tutto a posto. Sei a Skyville, nella dépendance degli Egawa. Io sono Ice. Sono qui con te. Sono entrato in camera tua perché ti ho sentito urlare.»
Ember aggrottò la fronte e smise di piangere, e pronunciò il mio nome in un tono interrogativo.
«Sì, sono qui.» le risposi sollevato che la mia intrusione stesse sortendo qualche effetto.
Aprì gli occhi lentamente e mi guardò con una vena di sorpresa, nonostante fosse tremendamente assonnata e sconvolta.
«Ice?» ripeté ancora, tra l'incredulo e l'imbarazzato.
«Scusami, Ember. Ti ho sentito urlare, ho provato a chiamarti, ma non mi rispondevi e così ho usato le chiavi che ho nel mio mazzo.»
Si mise seduta sul letto e si chiuse il cardigan, apparentemente infreddolita. Stava ancora tremando, ma non sapevo se fosse per la paura o perché, agitandosi nel letto, si era scoperta dal piumone.
Mi diede una rapida occhiata e poi abbassò lo sguardo, evidentemente a disagio.
Per un lungo istante nessuno dei due pronunciò un'altra parola e così compresi che fosse il caso di lasciarla sola. Mi diressi verso la porta, ma con una mano ancora sulla maniglia mi bloccai e iniziai a parlare, dandole le spalle.
«Mi dispiace, Ember, se ti ho giudicato senza nemmeno conoscerti. Per qualsiasi cosa sappi che ci sono. Non sono così insensibile come posso sembrare.»
Non ricevendo alcuna reazione da lei, dopo pochi istanti, proseguì ad abbassare la maniglia.
Il mio movimento fu interrotto da una voce talmente flebile da risultare quasi impercettibile, ma che tuttavia vibrò forte lungo la mia spina dorsale.
«Aspetta...» mi disse quasi in un sussurro. Mi bloccai trattenendo il respiro per qualche istante e nel mio petto si aprì uno squarcio rovente. In quella singola parola avevo percepito tutta la sua fragilità.
Mi voltai e tornai vicino al letto, piegandomi sulle ginocchia per guardarla dritto negli occhi.
«Dimmi come posso farti stare meglio.
«Potresti... rimanere qui per qualche istante? Solo fino a quando mi sarò riaddormentata
«Certo...»
Con un fare assonnato, Ember si infilò sotto il piumone e mi fece spazio, come ad invitarmi a stendermi affianco a lei.
Mi sdraiai fuori dal piumone, e lei si rannicchiò verso il mio lato con entrambe le mani raccolte vicino alla bocca.
Non sapevo come comportarmi. Era davvero raro che mi sentissi a disagio. Eppure in quella situazione mi sentivo estremamente goffo. Optai così per fissare semplicemente il soffitto. Piegai i gomiti e misi le mani dietro la nuca, in modo da tenerle impegnate.
Un istinto inspiegabile mi aveva fatto desiderare di toccarla, abbracciarla e sussurrarle ancora qualche frase capace di calmarla. Ma non lo feci. Avevo la sensazione di essere a letto con una ampolla di vetro. Talmente fragile e delicata che avrei potuto mandare in mille pezzi al minimo movimento sbagliato.
Così non mi mossi e mi concentrai sul suo respiro. Lo sentii regolarizzarsi piano piano, segno che Ember stava scivolando nuovamente in un sonno profondo.
Compresi che si fosse addormentata quando mugolò e si avvicinò al mio fianco, infilando la testa sotto il mio braccio e facendo aderire il suo corpo al mio. Ringraziai che ci fosse il piumone a dividerci, perché lo strano calore nel petto scese piano piano fino al mio inguine.
A quel punto non resistetti all'impulso di avvolgerla e il mio braccio scese lungo la sua schiena.
Un istinto di protezione viscerale mi pervase impedendomi di alzarmi, come avrei dovuto invece fare, se mi fossi attenuto alle sue indicazioni. Ember mi aveva chiesto di rimanere fino al momento in cui si sarebbe addormentata, pertanto ogni istante in più trascorso in quel letto, era un attimo che le stavo rubando a sua insaputa, senza alcun diritto.
Mi avvicinai con il volto alla sua nuca e inspirai il profumo caldo e corposo di castagna, bergamotto e sciroppo d'acero, addolcito probabilmente da quello che doveva essere il sentore dolce e naturale della sua pelle. Sentore che sembrava impregnare anche le sue lenzuola e che mi stava creando uno strano senso di assuefazione.
Ero già stato catturato da quell'aroma quando l'avevo provocata nello spogliatoio maschile il giorno prima. Avevo mentito quando le avevo detto che stavo solo scherzando. Era vero solo in parte. Era iniziato tutto come una provocazione, ma non appena mi ero avvicinato e avevo percepito il suo profumo, ero stato attirato da lei come una valanga verso il pendio.
Se lei non si fosse divincolata, avrei finito per baciarla, e non molto teneramente. Fui grato di non averlo fatto, considerando le successive  reazioni che aveva avuto quando le avevo bloccato i polsi e quando aveva visto Deamon.
«Cosa ti è successo, scoiattolina?» mi trovai a sussurrare tra i capelli, beandomi ancora della sua fragranza e stringendola ancora di più verso il mio petto.
Provai una strana sensazione di benessere ad avere Ember che dormiva tranquilla tra le mie braccia, ma quell'attimo così intimo venne bruscamente interrotto dalla vibrazione del cellulare, che nel silenzio della stanza, sembrò emettere un baccano assordante. Mi divincolai velocemente in modo che quel ronzio fastidioso non la svegliasse e, dopo aver visto il nome di Amanda sullo schermo, silenziai la chiamata e uscii velocemente dalla dépendance.
«Amorino, ma dove sei? Ti avrò mandato mille messaggi! Sono al party della Neige Management, pensavo ci trovassimo direttamente qui.»
«Cazzo, mi sono scordato!»
«Cosa vuol dire che ti sei scordato?»
«Vuol dire che ero già a letto.»
«Ice, non puoi non venire, la società di mio padre è uno dei tuoi sponsor, si offenderà.»
«Gli sto dando visibilità da quando hanno iniziato il progetto del superpipe, taggami in una storia, Mandy, dirò a Katy di condividerla. Dì a tuo padre e a Lauren del marketing che ho una contrazione muscolare e che se vogliono che inauguri il superpipe domani, non devono rompermi i coglioni.»
«Quindi davvero mi molli così al party? Vuoi che ti raggiunga più tardi? Non ci siamo visti nemmeno ieri, mi manchi...»
«No, sono stanco.»
«Ma se non ti sei nemmeno allenato oggi? Ian! Non puoi mollarmi qui come una cretina, cosa diranno le persone? E la stampa? Ci sono mille fotografi, cazzo! Penseranno che siamo in crisi, che abbiamo litigato o peggio ancora che ci siamo lasciati!»
«Buonanotte, Amanda.» dissi riagganciando.
Odiavo quando era così invadente e insistente, come se non le fregasse di me. Come se le uniche cose importarti fossero quei dannati eventi, le relazioni pubbliche, e l'apparenza in cui era avvolta la nostra relazione.
L'ultima cosa che volevo quella notte, inoltre, era avere addosso lei e il suo profumo dolciastro e nauseante, così diverso da quello caldo e avvolgente della scoiattolina.
Rimasi in silenzio per qualche istante per verificare che Ember non stesse ancora avendo incubi, e me ne tornai a casa scrollando i ventisette messaggi non risposti.
Anche Katy, Tyrone ed altri miei amici stavano reclamando la mia presenza alla festa, ma io non ero proprio dell'umore.
Dopo la mia partecipazione ai primi mondiali, la Neige Management aveva duplicato il suo fatturato grazie alla visibilità che avevo dato a Skyville. Non sarebbero stati contenti della mia assenza quella sera, ma se la sarebbero fatta andare bene. Dovevano ringraziare anche me, se Skyville sarebbe passata in poco più di dieci anni, da località sciistica minore a centro nevralgico degli eventi di freestyle.
Stanco e assonnato, mi feci una rapida doccia bollente e mi gettai a letto. Purtroppo non  riuscii a prendere sonno subito come ero solito fare. Le immagini di Ember rannicchiata sul pavimento dello spogliatoio, della sua faccia pallida quando era entrato Deamon a scuola e del suo corpo che si contorceva tra il piumone, mi stavano perseguitando.
Fui travolto da un desiderio improvviso di tornare di sotto a verificare che stesse dormendo serenamente, ma ovviamente non lo feci. Rimasi nel mio letto, augurandomi che l'alba arrivasse presto, e con essa l'orario della colazione.

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