02. Cold Welcome

EMBER

"La vita, per i diffidenti e i timorosi, non è vita, bensì una morte costante."
(Luís Vives)

In pochi minuti sistemai i pochi bagagli nell'alloggio. Tuttavia, ero troppo irrequieta per seguire il suggerimento di Tak e riposarmi dopo la nottata passata a guidare. Così, spinta anche dalla curiosità e dal desiderio di iniziare questo nuovo capitolo della mia vita, mi incamminai verso la scuola, ansiosa di immergermi nella nuova realtà di Skyville.
Arrivata all'academy, fui accolta questa volta da Katy, con una ventata di energia e vivacità. Con i capelli raccolti in due piccoli chignon e un sorriso contagioso, la piccola Egawa incarnava chiaramente uno spirito libero che mi colpì immediatamente. Nonostante fossimo quasi coetanee, la sua spensieratezza e il suo approccio leggero alla vita erano qualcosa che ammiravo e invidiavo allo stesso tempo.
Katy, con un inusuale entusiasmo, mi mostrò il sistema di prenotazioni e come erano organizzate le varie dinamiche all'interno della scuola. Tra di noi nacque subito un'intesa, e senza nemmeno rendermene conto, gettammo le basi di quella che sentivo sarebbe diventata una solida amicizia.
La giornata trascorse in un piacevole vortice di novità. Pranzammo alla bakery accanto alla scuola, insieme a Himari, che con le sue storie e il suo calore materno aggiunse un ulteriore tassello al mosaico di Skyville che stavo già iniziando ad amare. Anche il pomeriggio trascorse sereno e la mia prima giornata era quasi volta al termine.
Ero alla reception, immersa nella pianificazione delle mie nuove responsabilità, quando dal portico provenne una voce profonda e calma che mi provocò un piacevole brivido lungo la schiena. Quel suono suadente e tranquillizzante non mi era familiare, ma neanche del tutto sconosciuto. Non feci in tempo a collegarlo alle numerose interviste riguardanti le gare di half pipe, che la porta si aprì e l'atmosfera gioviale della scuola mutò radicalmente. Ian Colton Egawa fece il suo ingresso, portando con sé un'aria di freddezza che non aveva nulla a che fare con la temperatura.
Alto, massiccio e con una postura che parlava di anni di allenamenti e competizioni, i suoi occhi scansionarono la stanza prima di posarsi su di me. Il suo sguardo misurato e calcolatore mi fece sentire scrutata e, in un certo senso, giudicata. La sua presenza era così imponente che per un momento mi trovai a corto di parole, qualcosa che mi capitava raramente.
«Sei tu Ember, giusto?» La sua voce risultò questa volta più greve. Aveva usato un tono neutro, ma sotto la superficie di quel suono, mi fu chiaro che si nascondeva qualcos'altro che faticavo a decifrare. Annuii, alzandomi in piedi ed estesi una mano in un gesto di benvenuto. Lui la osservò impassibile, ma non ricambiò, lasciando il mio braccio disteso nel vuoto.
«Sì, sono io. È un piacere incontrarti, Ice.» La mia voce risultò più ferma di quanto mi aspettassi. Cercai quindi di mantenere un sorriso che speravo sembrasse sincero, nonostante il mio nervosismo.
Il modo in cui mi osservò mi fece sentire come se stesse cercando di leggere oltre le apparenze, cercando falle o incongruenze nel mio essere lì, nella scuola dei suoi genitori.
Mi fissò per un lunghissimo istante finché schiuse le sue labbra carnose ed emise un ringhio gutturale.
Avrei potuto fraintendere quel suono con qualcosa di estremamente roco e sensuale, se non fosse stato per quel velo di diffidenza che ricopriva il suo sguardo.
Ad ogni modo quel misero verso di dissenso fu tutto ciò che mi concesse prima di rivolgere l'attenzione a suo padre, che aveva seguito la scena con evidente imbarazzo.
Mentre si allontanarono nell'ufficio riservato a Ian, non potei fare a meno di constatare che il mio arrivo a Skyville, probabilmente, era appena diventato un po' più complicato.
Dovevo però ammettere che, nonostante quella spiacevole freddezza e diffidenza che Ice mi aveva riservato, ero rimasta colpita dalla sua aura di riservatezza e intensità con la quale sembrava valutare il mondo intorno a sé, con occhi critici e penetranti.
La curiosità che avevo provato nei suoi confronti si mescolò ad un senso di inquietudine, sapendo che parte del mio passato poteva essere nota anche a lui attraverso il punto di vista distorto e manipolatorio di Alan.
Il mio maggior timore riguardo al mio ritorno nell'ambiente sciistico si era avverato. Non potevo più limitarmi alla sola sfida di adattarmi ad un nuovo lavoro e a una nuova vita, ma dovevo anche dimostrare il mio valore in un ambiente dove l'ombra del dubbio era stata ingiustamente gettata su di me.
Il comportamento di Ian non aveva lasciato molte opzioni riguardo il suo gradimento nei miei confronti, ma quella sera, una volta tutti a cena intorno al tavolo, la situazione si fece ancora più imbarazzante.
Ice non mi guardò in faccia un solo istante, come ad ignorare completamente la mia presenza. Quando i discorsi mi avevano coinvolto invece, si era limitato ad estraniarsi dalla conversazione, nonostante le frecciatine pungenti e i solleciti poco velati della sorella. Con rammarico, notai che Tak e Mari erano in evidente imbarazzo, tanto che quando il loro primogenito tornò a casa sua, si scusarono per conto suo.
«Mi spiace molto, Ember, per il comportamento di Ian, mio figlio non è come noi. È un po' più burbero. Siamo tutti molto attaccati alla famiglia, ma lui lo è in modo meno solare di noi. È un po' territoriale e diffidente con gli estranei.» mi spiegò Mari.
«Una volta non era così», proseguì Tak, «ma credo che l'essere al centro della attenzione per via della sua fama l'abbia cambiato. Ti prego di ignorare la sua maleducazione. Vedrai che con il tempo il vostro rapporto migliorerà.»
Mari mi regalò un ampio sorriso di incoraggiamento, mentre Katy mordicchiava pensierosa gli hashi e mi osservava tra il malizioso e il machiavellico, mettendomi quasi a disagio.
Per stemperare quella strana atmosfera, mi alzai per sparecchiare, ma Himari mi bloccò appoggiando delicatamente la mano sul mio polso.
«Per stasera niente piatti! Ti meriti un po' di riposo, non preoccuparti di nulla. Per quanto riguarda invece la colazione è raro trovarci tutti allo stesso orario, quindi lascio sempre tutto sul tavolo e ogni uno si serve da solo. L'ultimo mette via tutto. Ok? Ora Forza vai a riposarti!»
Dopo i vari saluti e ringraziamenti, mi infilai la giacca e percorssi le scale che collegavano l'ingresso della villa al piccolo appartamento posto al piano terra. Ero quasi arrivata all'ingresso, quando notai una figura nella terrazza della villetta affianco.
La sagoma imponente di Ice si stagliava nel buio, resa visibile solo dai riflessi della luna sul manto di neve che circondava la casa. Le penombre accentuavano i suoi lineamenti mascolini, rendendolo ancora più attraente e glaciale allo stesso tempo. Stava osservando il cielo stellato, poi il suo sguardo vagò verso le piste illuminate dai gatti delle nevi e infine cadde su di me, senza alcuna sorpresa. Ebbi la sensazione che sapesse esattamente che lo stavo osservando. Nel buio non riuscivo ad intravedere la sua espressione, ma la sua postura rigida e la testa inclinata verso il basso, mi fecero immaginare uno sguardo intimidatorio.
Prese a camminare all'indietro e mi diede le spalle solo una volta arrivato alla vetrata di quello che doveva essere il suo salotto.
Mi resi conto solo una volta sparito all'interno che avevo smesso di respirare per tutto il tempo in cui Ice era stato sul suo terrazzo.
Ispirai profondamente e mi ritirai nella mia stanza, stanca e spossata da tutte le emozioni positive e negative di quella giornata.
Nonostante il senso di inquietudine che mi aveva lasciato la buonanotte singolare di Ice, mi addormentai piuttosto velocemente. Tuttavia il mio sonno non fu ristoratore come speravo.
Dopo tanto tempo e tanto lavoro, i miei demoni tornarono a farmi visita, proprio nel luogo dove mi ero aspettata di trovare la mia pace.


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