01.Skyville
EMBER
"Rinascere, "rialzarsi", "riscattarsi", "ripartire". Senti come suonano bene, profumano di coraggio e di possibilità.
(Fabrizio Caramagna)
Il rumore costante del motore si mescolava alla voce di Harry Styles che riempiva l'abitacolo della mia jeep. "Kiwi" rimbombava attraverso gli altoparlanti, iniettando un'energia grezza nell'aria, già carica di aspettative. Canticchiavo ripensando a quanto fosse stata assurda la mia vita negli ultimi mesi.
Per quasi un anno, mi ero rifugiata a New York, un luogo dove avevo potuto nascondermi tra la folla e diventare un volto anonimo tra milioni. Dove nessuno conosceva la mia storia o il dolore che mi portavo dentro e che speravo mi sarei lasciata presto alle spalle.
Era stata una pausa necessaria ed ero convinta che avesse funzionato. Almeno per un po'. Ma poi, il richiamo delle montagne si era fatto sentire più forte che mai. Non appena era ricominciato l'autunno, non avevo resistito e il caos della grande Mela. Da rassicurante, aveva iniziato ad essere opprimente.
Da quando ero bambina, avevo sempre vissuto in montagna, fatta eccezione per gli anni in cui mia la mia nonna materna, Ariette Sullivan, si era presa cura di me a Brooklyn.
L'arrivo del primo freddo, era stato un silenzioso invito a tornare a ciò che amavo, a ciò che era parte di me.
Nell'ultimo mese mi ero sentita meglio e mi sembrò che l'unica cosa che mi mancasse fosse quella pace che solo i vasti spazi aperti e la neve immacolata potevano offrirmi.
Ecco perché ero sulla strada per Skyville, con la musica a farmi da colonna sonora e il cuore pieno di speranza appena ritrovata.
Avevo messo di nuovo in affito su airbnb il monolocale che avevo ereditato da nonna Ariette, nel quale mi ero rifugiata in quei mesi, ed ero partita.
La mia auto, carica dei pochi averi che mi ero portata dietro, era tutto ciò di cui avevo bisogno. Era il momento di tornare, di affrontare ciò che la vita aveva in serbo per me.
Avevo attraversato quasi metà del paese e il sonno iniziava a farsi sentire, tuttavia l'eccitazione di essere vicina alla meta e l'aria fresca che si insinuava nell'abitacolo erano come un soffio che mi riempiva i polmoni e rinfrescava i pensieri.
Skyville non era solo una località sulla mappa; era il luogo che avevo scelto per ripartire, per ricostruire me stessa lontano dalle ombre di un trauma che troppo spesso aveva soffocato la mia anima.
Avevo lasciato un po' al caso il mio destino. Avevo scorso le pagine di annunci di lavoro online nelle principali località sciistiche del paese, senza un metodo di ricerca particolare o filtri che mi precludessero ciò che il fato aveva in serbo per me. Il mio sguardo era così caduto su un nome particolare che mi aveva trasmesso subito un senso di accoglienza: la Warm Peak Snow Academy. Avevo visto migliaia di altri annunci meglio retribuiti e più in linea con le mie competenze di comunicazione e gestione dei social media. Quella scuola di sci, invece, cercava una semplice segretaria, senza nemmeno una grande esperienza pregressa.
Non riuscivo a spiegarmi cosa esattamente mi avesse attirato: forse erano state le foto della sede che avevo visto su Google.
Nonostante mi fosse chiaro che non ci fosse una precisa strategia di comunicazione dietro i loro profili social e il loro sito, le foto degli ambienti della scuola trasudavano calore, positività e passione autentiche.
Gli interni erano tutti in legno. Nell'hall, una confortevole panca circolare in tessuto, disseminata di cuscini dai colori vivaci, circondava un camino ascensionale. Sopra la reception invece si protendeva un lampadario che mi aveva catturato fin da subito. Realizzato con vecchi sci, disposti in cerchio e con le punte rivolte verso il basso, creavano una cornice per le numerose lampadine che scendevano al loro centro.
Ma furono gli sguardi nelle foto dei due proprietari che mi conquistarono davvero. Himari e Takashi Egawa, una coppia dalle origini giapponesi, avevano sorrisi calorosi come una rifugio confortevole in una giornata di tempesta. Nel loro ritratto, le labbra di Himari si allargavano dolcemente sul viso, mentre gli occhi si stringevano in tante piccole rughe che rimarcavano un'espressione genuina di felicità. Takashi, invece, irradiava tranquillità; il suo sorriso era più contenuto. Trasmetteva una fiducia e una benevolenza silenziose, ma potenti.
Al telefono, la sensazione che il posto fosse speciale si intensificò. Ascoltare le loro voci così gentili e calorose mi fece sentire una familiarità sorprendente, quasi come se avessi trovato la famiglia che non avevo mai avuto.
Solo in un secondo momento, collegai i puntini e realizzai che c'era la possibilità che quei gentili signori potessero essere parenti di Ian Colton Egawa, meglio conosciuto nel mondo dello snowboard come ICE, campione mondiale e olimpionico di half pipe.
All'inizio, questo pensiero mi fece quasi recedere dall'idea di accettare l'offerta. Non ero sicura di voler tornare ad avere a che fare con il mondo degli atleti olimpici e tutti i loro pettegolezzi. Riflettendoci meglio, però, mi convinsi che ICE non avrebbe rappresentato un grosso problema. Non lo conoscevo personalmente, ma mi aveva sempre dato l'idea di un tipo molto riservato e lontano dalle chiacchiere dell'ambiente.
Inoltre conoscendo bene le dinamiche degli snowboarder professionisti sarebbe stato quasi sempre lontano da casa, ad allenarsi in qualche località sciistica dotata di un super pipe.
Dopotutto io avevo bisogno di quel cambiamento e la Warm Peak Academy sembrava offrirmi un ambiente sicuro, dove mi sarei sentita a mio agio e che mi avrebbe permesso così di tornare piano piano al mondo a cui appartenevo e da cui ero stata cacciata ingiustamente.
I miei pensieri si stavano incamminando sulla via insidiosa della tristezza, quando la vista del cartello "Benvenuti a Skyville" mi destò e mi diede una scarica di adrenalina positiva.
Addentrandomi nel paese, ebbi l'impressione di conoscerlo da sempre. Avevo scandagliato accuratamente anche le foto di quella piccola località, protetta dalle vette di montagne imponenti. Ricordai le immagini delle strade fiancheggiate da chalet in legno con tetti spioventi ricoperti di neve fresca.
Le piazze erano a animate dai bar , dove le risate e le chiacchiere si mescolavano all'aroma di cioccolata calda e pasticceria appena sfornata. Le luci soffuse dei lampioni erano ancora accese e si riflettevano sulla neve, creando un'atmosfera magica e piena di aspettativa.
Le piste da sci si estendevano come un ventaglio intorno alla località, offrendo percorsi per ogni livello di esperienza, dalle dolci discese per i principianti fino alle sfide vertiginose per gli sciatori più esperti, passando ovviamente per l'half pipe e gli snow parks. Ogni pista, ad ogni modo, terminava nel cuore di Skyville, simboleggiando il legame indissolubile tra la comunità e l'amore per gli sport invernali.
Parcheggiai di fronte allo chalet che ospitava la scuola degli Egawa e mi diressi al suo interno.
Un caos fatto di giacche da sci e caschi colorati animava l'atrio della scuola, rendendola ancora più viva di quanto avessi visto in foto. Il vociare elettrizzante e il rumore sordo degli scarponi sul pavimento in pietra erano carichi di energia ed eccitazione.
In mezzo a tutta quella confusione, gli occhi sorridenti di Himari agganciarono subito i miei, nonostante fossi ancora sulla soglia. La vidi dire qualcosa alla ragazza che occupava la postazione della reception, la quale sembrava essere la sua fotocopia ringiovanita, poi la congedò con un amorevole colpetto sulla spalla e si incamminò tutta solare verso di me.
«Tu devi essere Ember Sullivan! Benvenuta a Skyville, cara. Ti stavamo aspettando!»
«Grazie mille, Himari. È un piacere anche per me conoscerti finalmente di persona.»
«Chiamami Mari, cara. Come è andato il viaggio? È stato piacevole?»
«È stato bellissimo. I panorami qui sono davvero mozzafiato.»
«Vedrai che Skyville ti farà conquisterà . Hai già incontrato Tak? Ti ha fatto vedere la dependance?»
«Ancora no, sono appena arrivata, ma sono certa andrà benissimo.»
«Oh, ci credo. Vedrai, ti farà innamorare ogni giorno di più. E se c'è qualcosa di cui hai bisogno, o se vuoi solo chiacchierare, la mia porta è sempre aperta. Ora però cerchiamo Tak, così ti aiuterà a sistemarti e, non appena questa massa chiassosa si sarà dileguata sulle piste, io e mia figlia Kathleen ti mostreremo come funzionano le cose qui!»
Himari si mise in punta di piedi e scrutò sopra i caschi colorati in cerca del marito.
«Ah, eccolo che sta arrivando! Sapevo che non avrebbe resistito a darti personalmente il benvenuto.»
Takashi si stava avvicinando a noi con un'aria insolitamente distinta, nonostante il suo abbigliamento tecnico da sci. Con i suoi capelli brizzolati e la lunga barba sale e pepe, sembrava sprigionare saggezza e benevolenza. Il suo viso portava le tracce di milioni di risate, con piccole rughe che si irradiavano dai suoi occhi e che non nascondevano una vita vissuta all'insegna della gioia. Un luccichio mattiniero suggeriva innumerevoli albe osservate dalle cime innevate e una forte connessione con la natura.
«Ciao Ember, benvenuta.» Disse stringendomi forte la mano.
«Ember è appena arrivata, caro. Puoi mostrarle tu la dependance? Ti ho fissato le lezioni solo dopo le undici questa mattina.» Disse Mari, sorridendo calorosamente al marito, che la ricambiò con tenerezza.
«Prima di sistemarti, perché non vieni a fare colazione con me? La nostra bakery affianco fa il miglior bagel della contea e il caffè è semplicemente eccezionale. Ti servirà per recuperare un po' di energie dopo il viaggio», aggiunse Tak.
Risi, contenta dell'invito, mentre il mio stomaco brontolava già solo all'idea.
Il begal al salmone della Bakery si rivelò qualcosa di davvero eccezionale e contribuì a farmi santire subito a casa. Durante la colazione, Tak mi spiegò da chi era composta la scuola, mentre in auto mi anticipò qualcosa riguardo alla mia sistemazione che, in pratica, consisteva nella dependance della loro villa, situata a soli sei chilometri dalla scuola.
L'alloggio non era dotato di una cucina vera e propria, quindi mi disse che avrei cenato a casa con loro e con i loro figli, Kathleen e Ian.
Pronunciò il nome di quest'ultimo come se desse per scontato che lo conoscessi e in quel momento i miei peggiori timori vennero confermati.
Un velo di preoccupazione mi incupì l'animo e la cosa non sfuggì a Takashi, il quale mi stava guardando accigliato mentre proseguiva a descrivermi la stanza.
«Va tutto bene, Ember?»
«Sì, Tak, scusami, sono solo un po' stanca.»
«Immagino, perché non ti riposi un paio di ore e poi raggiungi Mari e Katy più tardi?»
«Grazie, lo apprezzo molto!» gli risposi, scendendo dalla macchina ancora distratta dai miei scheletri nell'armadio.
Non mi ero resa conto di essere arrivata davanti a un maestoso complesso di villette a schiera di recentissima costruzione.
La struttura moderna e sontuosa che emergeva dalla neve era una perfetta fusione di vetro, pietra e acciaio, che offriva una vista spettacolare del paesaggio invernale circostante attraverso le ampie vetrate. Sembrava essere stata progettata per coniugare il lusso moderno con l'amore per la natura selvaggia e incontaminata.
Un sorriso si allargò sul volto di Tak vedendo la mia espressione sbalordita.
«È bellissima, vero? L'abbiamo comprata assieme a Ian. La sua casa è quella a destra, attigua alla nostra, ma praticamente la usa solo per dormire. Nonostante abbia centottanta metri quadri tutti per lui, è sempre da noi. Il tuo alloggio, invece, è qui al piano terra. Basterà percorrere quella scalinata per raggiungerci.»
«È stupenda, Takashi! Non mi aspettavo nulla di simile.» dissi tradendo un pochino di incertezza e sicuramente tanta sorpresa.
«Vieni, ti mostro la tua camera. Sono sicuro che rimarrai ancora più sorpresa vedendo la vista!»
Il signor Egawa aveva avuto ragione. Rimasi senza parole per il panorama mozzafiato di quel monolocale, ma il mio essere silenziosa era dovuto anche a un conflitto interiore che mi stava segretamente dilaniando da quando avevo capito che sarei stata a stretto contatto con Ice, in occasione dei momenti conviviali.
Rimasi imbambolata davanti alla finestra senza più proferire verbo e Tak, come se avesse intuito il mio stato d'animo, si congedò lasciandomi sola.
Cosa poteva sapere di me Ian Colton Egawa? Forse mi stavo facendo solo dei gran castelli in aria. Probabilmente non si ricordava nemmeno di me e della mia triste esistenza. Tuttavia, ero irrequieta. Lo avevo visto parlare più di una volta con Alan Ross, il mio ex fidanzato, nonché suo collega di nazionale.
Ritrovarmi davanti a qualcuno che era a conoscenza di quello che Alan era andato a dire in giro sul mio conto, mi stava fomentando un senso di angoscia soffocante. Per un istante rimpiansi l'anonimato di cui avevo goduto a New York.
Tuttavia, non volevo perdere la mia occasione. Skyville, la Warm Peak Academy e i signori Egawa mi avevano trasmesso delle vibrazioni positive che non pensavo di poter provare più nella mia vita. Sentivo che avrei potuto appartenere a quel luogo, che mi avrebbe protetto e che avrei potuto anche chiamarlo "casa"un giorno. Era tutto quello di cui avevo tremendamente bisogno e, allo stesso tempo, tutto ciò che la vita mi aveva strappato via più di una volta.
E io non avevo nessuna intenzione di rinunciarci solo perché Alan mi aveva ricoperto di fango, per ripulire se stesso e il suo amichetto da quello che avevano fatto.
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