Fotografie ad un'Anima (4/6)

Ti odio!

L'intera pagina di quaderno ripete le due parole sistematicamente.
L'unico modo che mi è concesso per confermare, ribadire, un sentimento che mi è fin troppo familiare...

A cosa sarebbe servito poterlo dire, o forse l'aveva fatto.

Ragionevole adattamento.
Se ne fece una ragione, come tutte le volte.

Quando aveva a che fare con suo padre, quella era la frase finale:
"Pazienza. Me ne farò una ragione".

Non nasceva mai spontanea, perché se Luna avesse dovuto gridare come la sua testa, non sarebbe sfuggita alla bestia nemmeno una volta.

Il silenzio, senza ombra di dubbio alcuno, era sempre la scelta giusta.

D'altronde era così che ci si comportava.
"Lascialo stare".

Luna avrebbe preferito ingoiare chiodi, ma forse li ingoiava lo stesso. Non fa differenza.

Sopravvivenza.

Morte dell'anima...

Prendo il pennello in mano e seduta al tavolo cerco di portare a termine il lavoro che mi ha assegnato...

Aveva i suoi compiti.
Aveva solo i suoi compiti.

Non importava se ci fosse altro nella vita di un individuo, era la vita di un individuo non la sua.

La sua sarebbe stata quella, e andava bene così.

Non era importante!
Non era importante se nel mentre che riusciva a scegliere colori, pennelli, e cosa volesse creare, fosse volato tutto all'aria.

Non era importante se nel mentre che si riprendesse dallo stato di terrore che le faceva tremare incessantemente le mani, si fosse piazzato un pugno al centro della tela che avrebbe fatto vibrare anche il pavimento.

Non era importante!

Fortuna che non le era arrivato addosso.
Ringraziava Dio...

Con gli occhi ancora serrati dal forte impatto, prego Dio.
Lo ringrazio o forse gli inveisco contro.

<<Ecco. Guarda cosa mi hai fatto fare!>>

Nascondo la testa nelle spalle e nella sicura convinzione che arrivi altro.

Le gambe mi sembrano dislocate dal resto del corpo.
Continuano a fare la solita e strana danza sotto al tavolo.

Porto le mani sulle mie cosce e asciugo il sudore sui pantaloni.
Chiudo gli occhi e ringrazio Dio...

Ringraziò Dio.

Finché erano le sue fottute tele a rimetterci, andava più che bene.

In realtà avrebbe voluto dire altro al Padre Celeste, creatore e iniziatore di vite, ma si sarebbe trattenuta sempre.

Già era penosa abbastanza la sua vita, non osava immaginare come sarebbe stata se la funesta ira di Dio le si fosse scagliata addosso.

Prima o poi, forse, l'avrebbe ascoltata...

<<Non so che fare...>>
<<Muoviti!>>

Prima o poi, forse, mi ascolterà.

Ancora tremante prendo colori, pennelli, straccetto e a testa china osservo il bianco della tela adagiato sul tavolo.

Il forte istinto mi porterebbe a spremere il contenuto dei tubetti ovunque.
Mi viene voglia di creare un'accozzaglia improbabile di segni, una mistura indecente, un obbrobrio impresentabile a qualunque occhio umano.

Ma non è la scelta migliore.

Scelgo di placare l'involucro portante dei miei sentimenti e di radunare nella mente un'immagine sensata.
Forse lo sarà...

Forse tutto avrebbe avuto un senso un giorno, o forse no.

No. Non c'era senso.

Assenza di contenuti sostanzialmente validi a poter giustificare tutti gli atti ignobili, indegni, vili, che quell'uomo commise giorno dopo giorno, attimo dopo attimo.

Dimenticare. Come?

Sarebbero passati minuti, ore, giorni, interi anni, ma il peso sarebbe rimasto lì, nello stesso identico posto e con lo stesso identico peso.

Avrebbe trovato motivo di vita il giorno, ma la notte sarebbe stata il suo inferno.
Lenta e disarmante avrebbe masticato ogni singolo angolo della sua esistenza.

Avrebbe pianto, urlato, sarebbe restata inerme, avrebbe vagato per ore nel buio.

Il buio che le sarebbe divenuto suo migliore amico e confidente.

Il buio, violento, brutale, usurpatore, stupratore di vite umane, sarebbe stato il suo intimo compagno.

Le avrebbe portato disperazione, poi spenta.
Le avrebbe portato dolore, poi occultato.
Le avrebbe portato doni spietati all'anima, poi eclissata.
Le avrebbe portato fiamme gelide.
Freddo...

Sento il vuoto, sento il freddo gelido ghiacciarmi le mani.
Assenza totale di emozioni.
Impulsi di passione frenati, sospesi: i pennelli non sono le mie matite e la tela non è il mio foglio.

Lo stesso porto a termine l'unica realizzazione che forse non finirà nella spazzatura insieme al disprezzo, per essa, di mio padre.

Prendo il pennello sottile e comincio a dipingere anche i bordi della tela.

Stendo la pittura omogenea e uniforme.
Odio vedere il bordo bianco.
È come se ad una ballerina di danza classica le togliessimo il tutù: un piccolo particolare, ma che per me fa la differenza.

In fondo alla mia realizzazione non spetta la cornice.

Questo piccolo accorgimento la renderà più amabile persino ai miei occhi.
È pur sempre una mia creatura.
Fredda, distante, impersonale, incolore ma, lo stesso, mia creatura.

La guardo.

La rabbia sale repentina alla testa. Flusso maligno e accecante.
Stavolta mi viene la voglia di farlo io un buco al centro della tela...

Lo fece, miei cari lettori.
Ignari voi quanto fosse ignara lei di cosa sarebbe accaduto dopo.

Pianse.
Costrinse tutto il suo dolore fra il costato.
Soffocò tutto il male nelle membra.

Versò lacrime non per le conseguenze, ma per ciò che aveva fatto alla sua "creatura"...

<<Cos'hai fatto!>>

L' urlo di mio padre mi si infila nelle orecchie come un coltello, lo stesso che ho usato per squarciare la tela.

Resto apatica sotto la ripercussione del suo gesto.
Piangerò dopo.
Non tento neanche di difendermi, ogni tentativo sarebbe vano.

<<La merda che disegni credi sia meglio di questo?>> Sazio, comincia con le parole. <<Non sai usare nemmeno il colore su quello schifo!>>

Rimango inerte e passiva sotto l'invettiva.
<<Ora comincerai da capo!>>

Si allontana per andare a cercare il mio oro prezioso, probabilmente per fargli fare la fine della volta precedente.

Non ho molto timore, sotto il materasso, l'album è al sicuro.

Pagano il prezzo dell'ira qualche matita e qualche colore.

Riprendo una nuova tela e ricomincio il mio lavoro, mentre mio padre ancora inveisce contro di me e contro il mio volere.

Continua...

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