Fotografie ad un'Anima (2/6)

Se avesse dovuto dare un peso specifico alla sua vita, l'avrebbe comparata all'osmio.
Pesante, duro. Di colore scuro.
A volte forte, a volte fragile.

Se avesse dovuto paragonarla a una sostanza, avrebbe optato per l'acido.
Se avesse dovuto dire cosa ne avrebbe fatto, avrebbe scelto di farla dissolvere come la polvere nell'acqua.

La stessa acqua della pozzanghera nella quale infilò il piede...

<<Ah... Cavolo! Le scarpe nuove!>>
Impreco, ho lavorato sodo per acquistarle.

L'acqua fangosa, lercia, ha schizzato tutti gli stivaletti bianchi.

<<Non avevo niente da fare io! Le scarpe bianche al parco. Ah! Luna...>>

Mi siedo di nuovo su una panchina.
Sfilo la scarpa e col fazzoletto comincio a pulirla.
Mentre cerco di levare via le macchie mi tolgo il calzino e rimango a giocherellare con le dita dei piedi al vento...

Perché in fondo... Luna era così.
Non le importava di ciò che avrebbe detto la gente.
No.
Non le importava se l'avessero presa per pazza, o se le avessero riso addosso.
Erano talmente poche le cose che amava, che sarebbe rimasta indifferente a tutti... e a tutto il resto.

Sognava la libertà. Sognava un paio d'ali per volare lontano.
Dove nessuno l'avrebbe raggiunta.

Odiava. Odiava ogni tipo di costrizione.
Come quella volta che oltraggiarono il suo corpo.

Sapete, fu l'unico momento della sua vita in cui ripose le sue matite.

Ma a Luna non importava.
Preferiva conviverci pacificamente.

In fondo, bastava essere in grado di non ricordare, e lei era molto brava in questo.

Sì! Molto brava.

Se avesse dovuto ricevere una medaglia, sicuramente sarebbe stato per quella dote.
Un po' innata, un po' inculcata.

Ma cosa importa!

Luna era... era... era...
Se avesse cercato aggettivi, forse non li avrebbe nemmeno trovati.

Luna era...

Sono estasita dalla sensazione del fresco vento sulla pelle.
Continuo a muovere le dita scordandomi completamente della scarpa riposta ormai sulla panchina.

Poggio la punta del piede a terra.
Distratta, smuovo il terriccio.
Inspiro profondamente.

Ad occhi chiusi immagino un'enorme distesa d'erba verde.
Corro, corro libera e sorridente.
Forse, in qualche parte del mondo, esiste per davvero un luogo che mi faccia sentire così.

Ma non è per me sognare ad occhi aperti.
Questa è la mia vita e la devo accettare.

Torno alla mia scarpa e continuo a sfregare, sfregare, e sfregare...

Sfregare. Togliere lo sporco.
Se avesse potuto l'avrebbe fatto.

Il male viene per nuocere, e questo Luna lo sapeva bene.

Se fosse stata in grado di riportare la purezza dei suoi teneri anni, l'avrebbe fatto.

Quelle macchie.
Quelle macchie non sarebbero andate via col sapone, nemmeno con la spugna.

Capì che qualunque cosa avesse usato, non sarebbe stata abbastanza.
Abbastanza per cancellare.
Abbastanza per riscoprire di nuovo il suo profumo.
Abbastanza per tornare una nuova sé.

Ma non le importava.

Non le importava, si arrese...

Mi arrendo alle calzature sporche.
Indosso di nuovo il calzino e poi la scarpa.

Forse posso disegnare un altro po'.

L'alternativa è quella di tornare a casa, ma scelgo la prima, già prima d'aver pensato alla seconda.

Mi guardo attorno. Qualcosa attirerà la mia attenzione, prima o poi. O forse qualcuno?

In lontananza un berretto scuro saltella sul capo di un uomo.
Calzoncini corti e bianca t-shirt.

Come mio solito, mi nascondo dietro l'album ripreso in mano. Ma non completamente. Stavolta sono curiosa... non è mica la scimmia di poco fa!

L'uomo, a piccole falcate, percorre il suo giro d'allenamento.
D'improvviso sosta poco distante da me.

Prontamente porto gli occhi sul mio album ancora chiuso.
Fingo di essere impegnata altrove.
Fingo... perché in realtà lo sto osservando eccome!

L'uomo col respiro affannato, porta le mani sulle ginocchia e cerca di recuperare fiato.
Stende le braccia verso l'alto.

Proprio in questo preciso istante percepisco una desueta sensazione...

Del resto, non la si poteva biasimare.
Cercare di recuperare acqua da un pozzo arso, sarebbe stato impossibile.
Ma forse scavando la dura roccia, forse scendendo in profondità, avrebbe potuto ascoltare ancora il lento scorrere della sorgente di vita.

D'altronde non la si poteva biasimare.
Trovare via d'uscita, scavare con le unghie per tentare di salvarsi, sarebbe stato solo uno spreco di energie.

Emozioni e sensazioni sepolte nel nero.
In superficie restava solo l'assenza di luce.

Se avesse potuto scegliere, di certo non avrebbe optato per l'essere lanciata in un pozzo, nell'oscurità, nel vuoto.

Si sarebbe fatta lanciare su un campo di Viole, o forse su una distesa di Tulipani.
No, forse Calle bianche.

Proprio quelle che l'uomo sfiorò annusandole...

Si porta stanco alla fontanella e dopo aver bevuto sposta il naso nell'insenatura del fiore.

Le gocce d'acqua si mescolano al sudore del volto.

Seduta a pochi passi, seguo i movimenti dell'uomo con un angolo dell'occhio.

Le mani... le sue mani.

Soffice carezza sull'enorme petalo striato di verde.
Lo contiene nel palmo, delicatamente.
Inspira ad occhi chiusi.

Io resto in assoluto silenzio.
Blocco il respiro nel torace.
Nessun rumore.

Simbiosi dell'attimo.

Il cuore salta un battito.
Mentre l'uomo riprende la sua corsa fra i fitti alberi.

Volto immediatamente lo sguardo nel verso opposto e attendo che si allontani abbastanza.
Espello lentamente il fiato, l'addome trova sollievo.

I fiori, sono lì a guardarmi.

Mi porto lentamente al fitto insieme d'infiorescenze.
La tocco.
La stessa.
Carezzo lo stesso fiore.
Il fresco del petalo solletica l'epidermide.

Mi siedo a terra col mio album. Proprio di fronte.
Sulla panchina sarei troppo distante. Vicina, ma ai miei occhi troppo distante.
Voglio poterle toccare... vivere.

Metto l'auricolare con la mia musica e comincio a tratteggiare.
Questi fiori... grandi imbuti, solitari e bianchi...

Bianco come quello che desiderava.
Un foglio bianco.
Non solo per disegnare.

Un foglio per poter riscrivere la sua storia, la sua vita.
Quella che aveva, non le sarebbe mai piaciuta molto.

Bianco.
Per poterlo imbrattare di tutti i colori.
Giallo, Rosso, Azzurro, Rosa, Viola, Cobalto, Magenta, Carminio, Smeraldo.

Cosa sono i colori?
Ma in fondo a Luna i colori nemmeno piacevano.

Cosa importava.

Il foglio della sua vita, imbrattato di nero, sarebbe stato abbastanza.
Quel tanto che bastava per dire...

<<Che tristezza... che schifo!>>

Guardo le mie Calle.

No. Non sono belle. Per niente.
Ma fra queste, proprio in basso a sinistra, spicca quella Calla.

Conserverò a lungo questo ricordo.
La sua mano: quel tocco soave tra il bianco Candido.

Continua...

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